AILE
Cap1. I primi due richiami
La luce fioca illuminava a
mala pena il volto di un giovane ragazzo. La sua carnagione olivastra si notava
poco in quella grande ed enorme stanza. Lui era insicuro, quasi spaventato.
«Non essere
timoroso» echeggiò una voce «vai,
avvertili e torna»
«Si» rispose semplicemente e, nonostante il
suo stato d’animo, si dimostrò sicuro in quella risposta.
Doveva essere sicuro di sé.
Sapeva bene che da quel momento in poi la sua vita non sarebbe stata più la
stessa.
Osservò nuovamente i quattro foglio consegnatigli poco prima.
“La prima è Lauren Myer, 33 anni, non male. Poi Adam Suzuky,
27 anni. Mary Jane Cody, 16
anni, 16 anni?! Accidenti, non sono il più giovane
allora…infine Brian Scott, 58 anni” pensò nella sua
mente il ragazzo mentre leggeva i fogli.
Ore 10.00. Ospedale Staten island, New York.
«Ehi Lauren, a quando le ferie? »
«Ho preso
tutto il mese di luglio più metà giugno, così ne approfitto e parto con mio
marito e i bambini» rispose sorridente una
giovane donna, alta, lunghi capelli biondi che le cadevano sulle spalle, occhi
color cielo, vestita con un camice bianco e un paio di scarpe bianche ai piedi.
Mentre la donna camminava nel
corridoio del reparto di pediatria di uno dei più importanti ospedali di New York, lo Staten Island, un’infermiera la chiamò.
«Dottoressa Myer, è arrivata la signora di ieri col piccolo di 5 mesi,
le dico di aspettare un quarto d’ora? »
«Ma no povero
piccolo, vado subito! »
«E la sua pausa? »
«Non fa nulla, il
bambino è più urgente della mia pausa! »
La donna si
affrettò a camminare verso la sua stanza dove fuori la attendeva una giovane
madre, molto più giovane di lei, con piccolo bimbo in braccio che aspettava di
essere visitato. Guardandola pensò che l’infermiera sbagliava
a definirla “signora”.
«Ciao Sarah,
entra pure» le sorrise vedendo in lei un volto malinconico.
«Grazie
dottoressa Myer»
Lauren diede la precedenza alla ragazza col
bambino e, mentre entrava anche lei nella stanza, qualcosa la bloccò. Una
sensazione strana. Sentiva una presenza. Corrugò la fronte e si voltò di
scatto.
Non c’era
nessuno, solo colleghi che discutevano.
Scosse il capo ed
entrò, magari si era sbagliata.
Qualche ora più
tardi si trovava a camminare nel corridoio, infestato di bambini, ma non
dell’ospedale, bensì di una scuola elementare.
Fra la folla e le
urla non riuscì e non distinguere il volto del piccolo Cristian,
il figlioletto di 6 anni che parlava vivacemente con i compagnetti.
Subito lo prese e lo portò con sé in macchina, dove Carol,
la figlia presa dall’asilo poco prima, li aspettava mentre
giocava con un orsetto di peluche.
Mise in moto e
prese la direzione per casa.
Arrivata piazzò i
bambini davanti la tv e subito si mise ai fornelli. Quel giorno il marito Felix, non sarebbe venuto per il pranzo dato che lavorava
ad orario continuato.
Il tempo del
pranzo volò e si trovò nel suo momento di maggior relax, quando i bambini erano
in camera a fare il pisolino pomeridiano e lei distesa sul divano del salotto,
con l’aria climatizzata addosso, con in mano un
romanzo rosa. Adorava leggere. Ma fu disturbata dal suono del campanello.
“Anche a
quest’ora…ma chi sarà?!” si chiese fra sé e sé un po’
infastidita. Si alzò e andò verso la porta aprendola senza neanche chiedere chi
è.
« Si? »
«Aile» pronunciò
deciso il ragazzo moro che si presentò di fronte a lei.
La donna sgranò
gli occhi e si fece seria. I due si fissarono per qualche secondo.
“Non mi spavento,
no” pensava il ragazzo.
«Watashi wa» rispose
ancora più seria.
«Domani notte.
Alle 2» continuò il ragazzo.
«Non è finito
niente, vero? »
«Non lo so
purtroppo»
E detto ciò si
girò e scese le scale sparendo nella strada. Lauren
continuò a guardare finché poté. Poi si morse il labbro e tornò dentro.
Ore 16.00, liceo
Una folla di
adolescenti scalmanati e
irrequieti, uscirono al suono della campanella.
Sotto la scala un gruppo di quattro ragazzine del 3° anno
chiacchierava in maniera più quieta, anzi, lo erano perché ascoltavano
un’incredibile storia avvenuta al centro commerciale il giorno precedente. A
raccontarla era una ragazzina sui 16, con i capelli rossi legati in una coda da
un bastoncino, probabilmente una matita, e gli occhi verdi che guardavano prima
un’amica, poi un’altra.
Ad un tratto si
bloccò.
«Dai, perché ti
fermi sul punto più bello? Che ha fatto il poliziotto? » chiese curiosa l’amica
seduta accanto a lei. Ma la rossa non rispose e si voltò di scatto alla sua
destra.
«MJ, che hai
visto? » chiese un’altra amica voltandosi dove si era voltata prima MJ, ma non
vedendo nulla di interessante le scrutò il viso.
«Nulla Sasha, nulla…»
Allora?!?! Daaaaaaai! » continuava non
curante del suo blocco la prima.
«AH si, dicevo,
il poliziotto mi ha preso dal colletto e poi…» MJ, continuò la sua storia come
se nulla fosse successo, ma il suo “secondo occhio” era sempre allerta. Sapeva
che quel qualcosa, anzi, quel qualcuno, eri lì, lì per lei. Sapeva che le
avrebbe dovuto comunicare, ma non si aspettava che lo avesse fatto in quel
modo.
«…quindi ho preso
la borsetta e l’ho buttata sotto…»
Si bloccò
nuovamente, ma fu la presenza di qualcuno a farglielo fare. Anche le altre tre
amiche si voltarono nella stessa direzione, dove un ragazzo moro con gli occhi
stupendamente color miele gli si presentò davanti.
MJ non proferì parola ma alzò il sopracciglio.
«Aile» pronunciò
deciso.
Le quattro amiche
si scambiarono un’occhiata e poi scoppiarono a ridere facendo arrossire il
ragazzo.
«Cosa scusa? Cos’è francese? » chiese poco
educatamente l’amica mora, mentre sghignazzava, quasi come per prenderlo in giro.
«E chi lo sa,
magari arabo, o giapponese» rispose
MJ sghignazzando, enfatizzando l’ultima parola.
Il moretto era
più che indignato, dopo un bassissimo “scusate”, si voltò e andò via. Ma MJ lo
sentiva che era ancora là.
Dopo aver fatto
qualche apprezzamento, le ragazze vollero raccontato la fine dell’avventura al
centro commerciale che con allegria MJ fece.
«Scusate, bevo un
sorso alla fontana e torno. Aspettatemi perché a casa ci torniamo assieme, ok? » raccomandò la rossa alle tre amiche che annuirono.
MJ attraversò la
strada, si diresse nella piazza di fronte e andò verso la fontana per bere. Si
chinò, tirò un sorso e quando si rialzò si trovò nuovamente il ragazzo di
prima.
«Aile» pronunciò
deciso.
Lei lo fissò,
quasi con odio. La sua espressione da spensierata ragazzina liceale cambiò,
trasformandosi in una da donna con tanti impegni e preoccupazioni.
«Watashi wa» rispose
fredda «Ma ti sembra il modo? Così, davanti a tutti? Dopo anni ecco una
matricola, e per giunta incapace! Ma dico, non potevamo cadere più in basso»
rispose seccata.
Che pugno allo
stomaco, rimproverato da una ragazzina.
“ Ma io sono
forte”
E così si
dimostrò, impassibile a quel rimprovero.
«Domani notte.
Alle 2» riprese.
Lei lo guardò
quasi sfidandolo, lui riuscì a sostenere lo sguardo e poi si voltò scomparendo
fra la folla di New York.
Scuotendo la
testa si voltò anche lei nella direzione delle amiche dove proprio Sasha la guardava mentre si
avvicinava. In quel momento il viso di MJ tornò allegro e spensierato come
prima, ma quanto sarebbe durato?
“La ragazzina era
tosta. Ma dico, è ancora una bambina, come diavolo...ma che dico, io ho solo 4
anni in più di lei…” pensava il ragazzo tra le tante persone. Ma non ci faceva
neanche caso, si sentiva solo a camminare come in un lungo, bianco e vuoto
corridoio. Non riusciva a sentire le voci attorno a lui, i pensieri le
sopraffacevano.
“ Adesso mi
toccano i due uomini. Devo andare alla New York university, il professore mi
attende”.
Salve gente!! Sono Viky4forever, la
vostra Kiaruccia! Mi ritrovo qui a pubblicare la mia
seconda storia originale (la prima non l’ho mai completata e neanche scritta al
pc!). spero che il primo
capitolo, se ben corto, vi abbia incuriosito. In realtà l’avrei voluto far
concludere più in là, ma forse sarebbe stato troppo lungo.
Aspetto i vostri commenti.
Saluti, Viky.