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Autore: fulvia70    29/11/2012    3 recensioni
{Teen Sherlock/Teen John}
Sedici anni e continuava a nascondersi, Sherlock Holmes.
Persino il suo nome era stato oggetto di scherno in quel dannato college, per non parlare del fatto che, alto, magro, con riccioli bruni attorno al volto affilato dagli zigomi alti su cui due incredibili occhi di gelido zaffiro davano luce al mondo, possedeva una grazia e una eleganza innate che gli meritavano l’attenzione delle ragazze, anche se lui non ci badava e il risentimento dei ragazzi.
(...)
Quel giorno però accadde qualcosa di diverso, qualcosa che avrebbe cambiato la vita del giovane Holmes per sempre.
Dalle spalle di Holmes, non visto, uscì un ragazzo. Era uno nuovo, arrivato dalla campagna, aveva dedotto Sherlock quando l’aveva osservato la prima volta, un tipo solido e ben piantato, biondo, con occhi azzurro cielo e l’espressione dura sul viso.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti _ I personaggi non mi appartengono e non scrivo per scopi di lucro, solo per puro divertimento.

 Il ragazzo si mosse appena. Quegli idioti se n’erano andati? Si odiava per quella codardia che lo spingeva a nascondersi dietro le colonne per spiare quel gruppo di maledetti imbecilli che lo facevano oggetto continuo di scherno e di percosse e umiliazioni.

Avrebbe potuto ricorrere a suo fratello, quel fratello maggiore con il quale non condivideva molto ma che era sempre stato pronto ad aiutarlo al bisogno così come a lasciarlo ispiegabilmente solo di fronte alla vita.

Ma no, Mycroft non avrebbe avuto parte in quella situazione, non avrebbe potuto deriderlo per la sua viltà. E poi per quel che ne sapeva, suo fratello, come suo padre prima, era ormai un pezzo grosso del Governo britannico, di sicuro non aveva tempo da perdere per difendere il fratello minore dalle aggressioni dei teppistelli di turno.

Sedici anni e continuava a nascondersi, Sherlock Holmes.

Persino il suo nome era stato oggetto di scherno in quel dannato college, per non parlare del fatto che, alto, magro, con riccioli bruni attorno al volto affilato dagli zigomi alti su cui due incredibili occhi di gelido zaffiro davano luce al mondo, possedeva una grazia e una eleganza innate che gli meritavano l’attenzione delle ragazze, anche se lui non ci badava e il risentimento dei ragazzi.

Non eccelleva in qualche sport, Sherlock. La sua mente era diversa, geniale. Comprendeva cose che per gli altri sarebbero rimaste oscure forse per sempre. Era capace di superare e umiliare, ma senza alcuna intenzionale cattiveria, persino i suoi professori.
Perché i suoi genitori si ostinassero a lasciarlo in quella scuola Sherlock non se lo sapeva spiegare. Certo, era il più prestigioso college del Regno. Ma che importanza avrebbe avuto questa cosa nella sua vita? L’avrebbe reso più intelligente? Forse felice? Che cos’era la felicità?

Uscì dal suo rifugio Sherlock proprio mentre una voce roca e ben conosciuta alle sue spalle gridava _ Eccolo, ragazzi è qui! –
Holmes non si mosse. Non era mai scappato, benchè incapace di difendersi e fisicamente più debole degli altri.

I soliti tre teppisti, il rosso e tozzo Marc Anderson, il bruno e robusto Jacob Radagast e il biondo e minuto Jason Donovan, la mente del gruppo, gli si pararono davanti.
_ Ma non ti stanchi mai di prenderle, genio? – lo affrontò Radagast.
Sherlock non gli rispose neppure.

Quel giorno però accadde qualcosa di diverso, qualcosa che avrebbe cambiato la vita del giovane Holmes per sempre.
Dalle spalle di Holmes, non visto, uscì un ragazzo. Era uno nuovo, arrivato dalla campagna, aveva dedotto Sherlock quando l’aveva osservato la prima volta, un tipo solido e ben piantato, biondo, con occhi azzurro cielo e l’espressione dura sul viso.
_ Lasciatelo stare. – intimò.
Donovan sghignazzò _ E come credi che potrai impedirci di fare quello che vogliamo, campagnolo? –
Il ragazzo incrociò le braccia sul petto e li fissò a turno, senza mostrare alcuna paura.
_ Il primo che lo tocca perde i denti, il secondo si troverà con il naso spezzato e il terzo... bhè, lasciamo fare alla fantasia, no? –
La voce del campagnolo era divertita e sicura. Il suo sorriso fece esitare i tre, che si guardarono incerti.
_ Non vale la pena di sporcarsi le mani con te, bifolco! – dichiarò Anderson.
Il nuovo arrivato sollevò un sopracciglio e si avvicinò di un passo al rosso tarchiato.
_ Io sono qui, quando vuoi! – sussurrò con gelida ferocia.
Anderson impallidì. Donovan scrollò le spalle. _ Andiamocene ragazzi. Tanto sappiamo dove trovarti, Holmes! –

Si allontanarono e Sherlock rimase a fissarli sorpreso, poi guardò il ragazzo più basso di lui e inclinando la testa sul lato destro domandò _ Perché lo hai fatto? –
Rise lo sconosciuto e inaspettatamente Sherlock sentì anche il suo viso aprirsi al sorriso.
_ Bhè, prego, è stato un piacere aiutarti! –
Sherlock lo fissava con attenzione. _ Oh, già, quella cosa che mi dicono sempre... sì, certo, grazie! Sherlock Holmes. – replicò, offrendo la propria mano destra all’altro, rammentandosi dei reiterati insegnamenti della sua governante.

Il biondo prese la destra e la strinse con la sua, una stretta asciutta, forte, virile e salda senza essere arrogante. A Sherlock piacque, la catalogò nella sua mente come qualcosa di sorprendentemente piacevole.
_ John Watson. E’ un piacere conoscerti Sherlock Holmes. Tu vivi qui, vero? –
Si avviarono. Parlando scoprirono di avere lezioni comuni quel giorno.

Rientrarono nel vetusto edificio vittoriano senza smettere di parlare. John si rese conto che il suo nuovo amico poteva farlo per minuti interi senza prendere fiato. Si rese anche conto che quel tipo strano gli piaceva. Molto. Sembrava diverso da come tutti lo dipingevano.
Bhè, almeno a lui piaceva così com’era.
 
John tentava inutilmente di capire quel problema di trigonometria che aveva davanti.
Era stanco, intorpidito. Si alzò, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando. Stava accostandosi alla finestra della stanza che divideva con l’incolore Karlsson, quando la porta si aprì.
Voltandosi John si trovò davanti Sherlock, che indossava il suo lungo cappotto e l’immancabile sciarpa blu annodata a quel collo niveo.
Sorrise al suo amico. Si conoscevano ormai da un intero semestre e spesso avevano studiato assieme. John aveva scoperto che benché ne ignorasse sorprendentemente i nomi, Sherlock era affascinato dalle stelle, dalle costellazioni, dal cielo notturno, così un paio di volte erano riusciti a sgattaiolare oltre le soffitte piene di ciarpame e infilandosi negli abbaini erano usciti sul vecchio scivoloso tetto per contemplare il cielo nelle notti stellate.
Quell’angolo della città era scarsamente illuminata di notte e questo giovava all’osservazione delle stelle.

Aveva anche scoperto come Sherlock potesse rimanere per ore e giorni interi assorto nei suoi ragionamenti, arrivando a non mangiare, cosa che comunque normalmente lo interessava molto poco e a non dormire per giorni.

John aveva imparato ad aiutarlo, a farlo mangiare e riposare come nessun altro era mai riuscito prima. Ma questo John non poteva saperlo, come non sapeva che il posto che si era conquistato nella vita del giovane Holmes era assolutamente unico.
_ Sherlock! Che ci fai qui, non avevi chimica? Non è la materia che preferisci?-
Con una smorfia di superiorità Sherlock si sfilò la sciarpa e slacciò il cappotto.
_ Se non fosse insegnata da quella vecchia mummia del professor Hamilton sicuramente! John, ho una notizia che spero... ti farà piacere... –
John si ritrovò ad osservare con stupore il candore della carnagione del suo amico arrossire sugli zigomi e senza sapersene spiegare il motivo la cosa lo riempì di tenerezza.
Da quando Sherlock Holmes si preoccupava di far piacere a qualcuno?
_ Che succede? – domandò, accostandosi all’altro.
_ Karlsson è stato spostato... cambierà stanza... e .. io verrò qui, con te. – disse tutto di un fiato.
John spalancò occhi e bocca e poi sorrise.
_ A metà semestre? Come hai convinto il preside Sherlock? –
L’altro accennò un sorriso che gli piegò l’angolo sinistro della bella bocca carnosa che a John aveva sempre fatto pensare a quella seducente di una bella donna.
_ Perché credi che sia stato io, John? –
Un’altra cosa notevole del suo amico, secondo John, era quella voce virile, baritonale, calda, profonda, a volte roca, sempre capace comunque di scenderti come lava bollente nel sangue.

Sherlock era seduto sul bracciolo della sola poltrona della stanza. Appariva incredibilmente elegante anche in quella posa scomoda.
John Watson rise di cuore. _ Oh, Sherlock, perché una cosa così potevi ottenerla solo tu! –
L’altro sorrise, compiaciuto. Era sensibile alle lodi, nessuno gliene faceva mai, ma quelle di John gli scendevano come miele sull’anima.
_ Touché! Spero tu non debba pentirtene, John... sono disordinato e intrattabile e spesso suono il violino, per ore o per giorni, quando ho bisogno di concentrarmi! –
Watson scosse la testa e si parò di fronte al suo amico sorridendogli.
_ Sherlock, tu non mi fai paura. Tu mi vai bene così come sei. – dichiarò.
L’altro tornò serio e nei suoi incredibili occhi dalle molteplici sfumature di blu John lesse stupore e piacere.
Chinò il viso, Sherlock, come sopraffatto da una emozione di cui fosse incapace di contenere il calore che adesso gli invadeva le vene e il cuore.

Si alzò di scatto e si accostò alla finestra, guardando fuori.
_ Nevicherà. – disse, guardando il cielo.
John lo avvicinò e assentì. _ Mi piace la neve. Mi divertivo a giocarci con quell’impiastro di mia sorella, da bambino. Anche adesso mi piacerebbe rotolarmici dentro. Tu l’hai mai fatto Sherlock?-
Holmes guardò Watson. Il suo sguardo blu cupo era così intenso che a John mancò il fiato e per un istante gli parve di non riuscire a sentire altro suono attorno a sè oltre quello del proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie.
_ No, John. Mai fatto. – sussurrò con voce leggermente arrochita Sherlock.
Che aveva? A cosa stava pensando quelal sua mente meravigliosa?
Sorrise John, per riscuotersi da quella specie di incantesimo.
_ Se nevica andremo assieme a rotolarci nella neve. Devi farlo, Sherlock. E’ bellissimo! –
Alzò le spalle Sherlock, con una piccola smorfia sulla bella bocca.
_ Non siamo più bambini, John. –
_ Vero, ma non significa che non possiamo divertirci! – replicò l’altro sorridendo.

Sherlock guardò ancora il cielo. Perché stava così incredibilmente bene con John? Perché solo con lui si sentiva a suo agio con se stesso? Perché solo John aveva avuto il potere e la volontà di farlo sentire un essere umano come gli altri, invece di uno scherzo della natura, di cui tutti prima o poi ridevano o si vergognavano? John non si scandalizzava dei suoi ragionamenti cinici, anche se lo aiutava a vedere il buono delle persone; non lo trattava da diverso, anche se sapeva perfettamente quanto Sherlock fosse effettivamente diverso da tutto il resto del mondo; lo assecondava nei suoi giorni di malumore e lo aiutava quando la noia rischiava di ucciderlo, facendogli provare desiderio per una droga sintetica su cui era riuscito a mettere le mani. John lo aveva aiutato ad accettare il fatto che non poteva distruggere il proprio corpo con quella porcheria per dar sollievo alla sua mente.

Sì, se mai Sherlock Holmes aveva potuto sperimentare l’amicizia, era accaduto esclusivamente con John Watson, che non aveva amicizie altolocate come la sua famiglia, che non aveva genitori socialmente influenti come i suoi, che proveniva da quartieri poveri e da una famiglia originaria della campagna, che voleva fare il medico un giorno per il solo scopo di aiutare il prossimo.
Sherlock assentì e disse _ Nevicherà, John. –
 
John Watson era assolutamente consapevole dell’importanza che quel ragazzo diverso e geniale aveva nella sua vita. Come un ciclone era entrato nella sua routinaria esistenza e l’aveva trasformata dal di dentro. Quando era con Sherlock, John dimenticava ogni altra cosa al mondo. I suoi silenzi, quegli sbalzi d’umore, quel modo cinico e crudo di affrontare la vita, tutto lo affascinava.

Da qualche mese aveva persino smesso di pensare a Laura Johnson, la ragazza per la quale era stato male negli ultimi diciotto mesi. In effetti, davanti a Sherlock tutto sembrava sbiadire. Non c’erano persone, uomini o donne che fossero, che potessero reggere il paragone.

Certo, a John piacevano le ragazze e molto e un giorno avrebbe avuto una famiglia sua, dei figli e una bella casa, magari con un ambulatorio medico vicino... ma pensare che avrebbe potuto stare senza Sherlock, per un motivo qualsiasi, gli creava angoscia, una sottile angoscia gelida come l’acqua della pioggia d’inverno quando sembra che possa scenderti fino in findo all’anima oltre che entrarti nelle ossa.
Sorrise quando udì la voce profonda e calma del suo amico assicurare che avrebbe nevicato.
 
La neve arrivò. Sherlock non sbagliava. E John mantenne la promessa. Riuscì a trascinarsi dietro un riluttante Sherlock Holmes, imbronciato e indisponente come un bambino viziato, nel parco ampio del college. Finirono per fermarsi dopo diversi minuti di cammino, in una radura di betulle e siepi di biacospino.
John con una risata si tuffò nella neve, lasciandosi cadere sulla schiena e muovendo braccia e gambe disegnò un angelo nella coltre candida.
Sherlock lo guardò inorridito.
_ Tu non vuoi che io faccia... quello! – esclamò puntando l’indice della mano destra sulla sagoma che John aveva lasciato a terra, ora che in piedi stava scrollandosi dalla neve sui capelli.
_ Oh, Sherlock, ma certo! Un altro angelo, per forza, o il mio si sentirà solo! –
Fece una smorfia poco convinta Sherlock.
_ Non credo proprio John, non può sentirsi solo, se fosse vero starebbe con i suoi simili, dal momento che non lo è può benissimo rimanere solo! –
Scosse la testa John Watson. _ Mio caro Sherlock, nessuno deve rimanere solo! Oltretutto ho proprio voglia di vederti sporco di neve, avanti! –
Sherlock lo fissò, sorpreso.
_ Avanti, Sherlock, sdraiati. Siamo soli, nessuno può vederci. –
Holmes esitò. Avrebbe voluto accontentare il suo amico ma trovava ridicola quella forma di divertimento infantile. Di sicuro poco adatta alla loro età.
_ Non credo che lo farò! –
Rise John e Sherlock si ritrovò a girare il viso verso quella risata come una falena verso la luce.
_ Oh, invece lo farai, mio caro! Lo farai ora! – dichiarò bellicosamente divertito Watson.
Con una mossa fulminea spinse all’indietro Sherlock che annaspando finì a terra.
Il suo cappotto, le braccia spalancate dalla sorpresa, le gambe aperte per ritrovare il perduto equilibrio in caduta, tutto era perfetto, l’angelo era stato già disegnato.
_ Grandioso Sherlock, ora muoviti, fai come ho fatto io! – lo esortò John con un sorriso furfantesco.
Sherlock stava per rialzarsi ma John glielo impedì, inginocchiandosi vicino a lui con un guizzo rapido e immobilizzandolo a terra.
_ Avanti, Sherlock! – lo incitò.
L’altro scosse il capo e una manciata di neve si impigliò in quei riccioli neri che tanto contrasto procuravano con quel candore immacolato.
John afferrò una generosa porzione di neve con la mano sinistra e la tenne minacciosamente sospesa sul viso di Sherlock.
_ Se non lo fai ti infilerò neve dappertutto, sarai bagnato come un pulcino! – lo minacciò.

Il tono giocoso di John irretiva Sherlock, sapeva che nelle intenzioni del suo amico c’era solo una genuina volontà di ludico divertimento. Ne era assolutamente incantato.

_ Non puoi farlo! Non puoi costringermi! – lo ammonì Sherlock, poco convinto.
Assentì ridendo John. _ Si che posso! –
Non fece in tempo a spostarsi Sherlock che John gli spalmò la neve sul viso, facendolo boccheggiare e tossire.
Sherlock si alzò con un colpo di reni e John si ritrovò spinto nella neve dal suo amico, le posizioni invertite ora e le braccia bloccate dalle mani snelle e forti del compagno di stanza.
Sorrideva sorpreso John. Sherlock era immobile su di lui, gli occhi blu acceso che lo fissavano con una serietà da far tremare le ginocchia e quella bella bocca arrossata dal contatto con la neve leggermente dischiusa.
_ John... – sussurrò Sherlock con voce roca.
Il giovane Watson rabbrividì, sentendo una scia di fuoco scendergli lungo la spina dorsale.
Si rese conto che il respiro corto dell’altro era dovuto all’eccitazione. Del gioco?
John si passò la lingua sulle labbra secche, lo faceva sempre quando era a disagio o non capiva che cosa stesse accadendo.
Si accorse che Sherlock arrossì a quel gesto e che il viso del suo amico si abbassava sul suo, fino a fermarsi alla distanza del palmo aperto di un bambino.

John sollevò la testa, lentamente, molto lentamente, senza mai perdere il contatto visivo con l’altro e portò la sua bocca su quella schiusa del suo compagno di stanza.
Fu un contatto rapidissimo ma a John tolse il fiato. Quelle labbra meravigliose erano incredibilmente morbide, nessuna delle ragazze che aveva baciato aveva quella bocca incredibile.

Sherlock lo guardò poggiare la testa di nuovo a terra e chinò la sua, per imprigionare la bocca dell’amico nella sua.
Rimase fermo, immobile, muovendo unicamente la bocca su quella del biondo.
John era immobile, paralizzato dalla sorpresa. Sentiva le labbra morbide e umide e calde dell’altro strusciare sulle sue, poi sentì la lingua dell’altro premere con delicatezza per fargli aprire la bocca e a quel punto perse del tutto il contatto con la realtà.
Si liberò dalla stretta delle mani di Sherlock e lo fece adagiare su di sè, passandogli la mano destra attorno al busto e la sinistra dietro la nuca, affondata tra quei morbidi riccioli neri che tante volte aveva pensato gli sarebbe piaciuto toccare.

Si lasciò esplorare dal bacio di Sherlock e si ritrovò ad ansimare quando la lingua dell’altro lo carezzò lentamente, dandogli una sferzata di piacere capace di appannargli la lucidità e di farlo gemere appena.
Sherlock fu scosso da quel suono, attraversato da una scarica di adrenalina così potente che avrebbe potuto ridere o danzare o arrampicarsi su un albero in un istante.
Continuò a baciare John finché questo non si staccò in cerca di ossigeno.

Rimase con il naso affondato nel calore del collo del suo amico, Sherlock nella spalla sinistra.

Era assolutamente incapace di pensare lucidamente Watson.

Quando Sherlock si rialzò, aiutandolo a fare altrettanto, lo guardò come se fosse stato una visione divina.
_ Sei in collera con me, John? – sussurrò preoccupato Sherlock.
Watson scosse la testa.
_ Perché lo credi? Non potrei mai. Non con te! – replicò, con qualche difficoltà nel pronunciare una qualsiasi forma di pensiero articolato.
_ Non volevo... offenderti, John... –
Quello Sherlock esitante commosse il cuore generoso del giovane Watson.
_ Non mi hai offeso, Sherlock. Noi siamo amici, lo saremo per sempre. –
L’altro sorrise, come folgorato dalla gioia.
_ E lasciatelo dire, baci divinamente! Voglio dire... Buon Dio, Sherlock, io non ho mai provato con nessuno... nessuno mi ha mai baciato così! – esclamò John con schietta ilarità.
Sherlock arrossì vistosamente.
_ Non bacio nessuno, di solito. Pensavo che si facesse così. –
John lo guardò allibito.
_ Vuoi dire che era la prima volta? Non mi prendi in giro? –
_ Perché dovrei mentirti? – si imbronciò Holmes.
John sorrise, scosse la testa e si guardò le scarpe, si spazzolò i pantaloni e la giacca dalla neve con le mani e poi tornò a guardare il suo compagno di stanza.
_ Bhè, fortunato lui o lei che ti avranno come compagno, Sherlock! Se questo era il tuo primo bacio... –
Il suo tono allusivo sorprese Holmes, che nascose un sorriso.

Non ci sarebbe stato nessun altro oltre John Watson. Di questo Sherlock era sicuro, come era sicuro che sarebbe riuscito a farlo accettare al suo amico, con pazienza e con molta attenzione.

Sherlock sapeva come portare a buon fine i propri desideri.
E ormai stava accettando che quella incredibile incognita, il sentimento per un’altra persona, prendesse posto nella sua vita e che avesse addirittura un volto e un nome, quelli del suo migliore amico, del suo solo amico.

_ Andiamo, John. Ho voglia di una cioccolata calda. La preparerai tu, vero? –
John rise, mentre si avviavano.
_ Come sempre, Sherlock. Come sempre. – borbottò, divertito.
 
 
NOTA _ Ogni commento sara' ben accetto. Mi [ piaciuto provare a scrivere di Sherlock e John adolescenti, per la prima volta. Spero piaccia anche a voi ...
  
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