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Autore: _Eleuthera_    29/11/2012    21 recensioni
C'è una foresta dove il Padre di Tutto non può guardare. Gli uomini la temono, ma c'è una ragazza che non ne ha paura, perché prega gli dèi e crede che la proteggano.
E c'è un dio che si nasconde nella foresta. Un dio dalla lingua d'argento, che gli uomini non pregano mai.
[Post Avengers] [Storia vincitrice del concorso "La notte degli Oscar" per la categoria "Miglior storia in assoluto"]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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In un modo o nell'altro, le storie sono specchi. Le utilizziamo per spiegare a noi stessi come funziona il mondo, o come non funziona.
Come gli specchi, le storie ci preparano ai giorni che verranno.
Ci distraggono dalle cose che stanno nelle tenebre.

(Neil Gaiman - Smoke and mirrors. An introduction)


The Price



C’era una volta una ragazza con i capelli lunghi e la pelle cotta dal sole e gli occhi tristi come il cielo. Viveva senza né madre né padre nel villaggio ai margini della foresta, dove gli uomini commerciavano la legna e le donne cucivano le pelli. La sera cantavano e ballavano intorno a grandi fuochi onorando con danze il dio della luce, Freyr, e ringraziando il Padre di Tutto per il giorno che si era trasformato nella notte dolce senza fare male, sicuri che lui potesse vederli e sentirli. Alla ragazza piaceva la notte rischiarata dai fuochi, ma quando le braci si spegnevano e il buio tornava ad essere buio, allora aveva paura.
All’alba ringraziò gli dèi per la buona luce del sole, e come ogni mattino si incamminò nella foresta cercando i cespugli di bacche zuccherine e le radici nutrienti che raccoglieva e mangiava. A volte ne vendeva, ma doveva ricordarsi di non dire a nessuno che quelle cose provenivano dalla foresta, perché gli uomini e le donne del villaggio credevano che il Padre di Tutto non potesse vedere attraverso le pareti di rami intrecciati del bosco, e ne avevano paura. Anche lei una volta ne aveva avuto timore, ma adesso non più, perché ogni mattina pregava gli dèi ed era certa che loro le dessero ascolto. In tanti anni, la foresta era rimasta mite e silenziosa al suo passaggio.
Le avevano detto di stare attenta, perché la foresta non era mite e silenziosa. La foresta era in attesa. Ma lei lo aveva dimenticato.
Quel giorno percorse i sentieri nascosti nel sottobosco e scese i pendii verso il cuore della foresta. Il gorgoglio limpido del lago al centro del bosco le ricordò che non mangiava pesce da molto tempo, e seguì il rumore ignorando cose come il destino e l’universo e tutto quanto.
Per un solo istante, scendendo le curve della foresta verso il bacino del lago, ebbe l’impressione che il silenzio fosse tutt’altro che quiete, ma piuttosto qualcosa in sospeso, l’assenza della tempesta. Poi lo vide e restò immobile lì dov’era.
C’era un uomo seduto sulla riva del lago, le mani intente a intrecciare qualcosa che le sembrò una rete da pesca. Si accorse di lei quasi subito, quando era troppo vicina e troppo sorpresa per riuscire a scappare. Non fece nulla se non guardarla minuziosamente, soppesandola con lo sguardo.
«Vattene», disse poi, ma la sua voce si mescolò con quella di lei.
«Chi sei?»
«Vattene» ripeté ancora lui.
«Gli uomini hanno paura di questa foresta» osservò la ragazza, che non capiva né perché un uomo avesse avuto il coraggio di addentrarsi nel bosco, né perché fosse improvvisamente diventata così curiosa.
L’altro emise una mezza risata che tintinnò sulle rocce del lago. «E tu non ne hai?»
«Gli dèi mi proteggono».
Lui rise ancora. «Quali dèi?»
«Quelli che prego ogni giorno».
L’uomo smise di ridere all’istante. Nel breve tempo di quelle parole lei aveva potuto osservare sul suo volto piccole ferite ancora non rimarginate, come graffi sulle labbra.
«Vattene. Gli dèi non vedono dentro a questa foresta».
La sua voce era aspra come un ordine e la ragazza si sentì travolgere dalla paura. Avrebbe voluto scappare, ma qualcosa la teneva inchiodata al suolo. Per qualche motivo, non riuscì a muovere un muscolo.
L’uomo non distolse lo sguardo finché non lasciò cadere la rete. Si alzò e avvicinò a lei. La ragazza pensò che era altissimo, e che aveva occhi come schegge di ghiaccio, e che l’avrebbe uccisa.
«Io sono Loki, l’unico dio che tu non preghi» disse, guardandola dritta in faccia. «Se non te ne vai, ti ucciderò».
Si rese conto di aver smesso di respirare, e sentì la propria voce riempire il silenzio come se fosse stata la voce di un’altra persona.
«Non uccidermi».
«Lo farò, se non lascerai questa foresta».
«Ho bisogno di questa foresta per vivere».
«Non m’interessa».
La ragazza alzò lo sguardo e vide una capanna di legno poco distante dalla rete abbandonata sulla riva del lago. Sapeva che il Dio degli Inganni era crudele e infido, ma non privo di senno. Anche gli dèi stringevano patti. Avrebbe capito.
«Se è qui che vivrai, potresti avere bisogno di aiuto. Ti porterò tutto quello che ti serve, se mi lascerai entrare ancora nella foresta».
Loki corrugò la fronte, e per un momento le sembrò quasi divertito. «Vorresti stringere un patto con un dio?»
«So che lo onorerai».
«Sono il Dio degli Inganni. Chi ti garantisce che non mi prenderò gioco di te?»
La ragazza prese un respiro profondo affinché la voce non le tremasse.
«Dicono che sia tu il dio che realizza i desideri dei mortali, ad un prezzo. Molti ti pregano per questo».
«E quale sarebbe il tuo desiderio?»
Per un istante la ragazza pensò a tutte le cose che avrebbe potuto dire. Poi, scelse.
«Vorrei non dover più soffrire la fame».
Loki tacque per un po’, come a valutare la sua richiesta.
«Il prezzo per questo desiderio» disse alla fine, e si stava già voltando per andarsene «è acqua potabile. Quella del lago non lo è».
Si chinò per raccogliere la rete da pesca. Quando si voltò, la ragazza era scappata via.
 
Il giorno seguente, la ragazza tornò nella foresta con un grande secchio di legno pieno d’acqua. Lo trascinò per tutto il tragitto facendo attenzione a non versarne nemmeno una goccia, scendendo di nuovo i pendii coperti di foglie secche fino al lago al centro del bosco.
Il Dio degli Inganni stava ultimando la rete da pesca seduto nello stesso punto del giorno prima. Non la degnò di uno sguardo. La ragazza posò il secchio di legno accanto a lui, poi si allontanò di qualche passo, con prudenza. Per qualche istante rimase immobile, come in attesa di qualcosa, forse del coraggio.
«Ieri, al margine della foresta» disse alla fine «Ho trovato un cervo trafitto da una freccia. Mi darà da mangiare per quasi un mese».
Loki non rispose. Il giorno dopo, la ragazza tornò con un altro secchio d’acqua.
 
«Presto cadrà la neve» disse la ragazza dopo molte lunghe settimane d’autunno. Il freddo tagliava la pelle e lei osservava Loki rompere la crosta di ghiaccio che si era formata sulla superficie dell’acqua. Ogni giorno gliene portava un secchio. Loki non le aveva mai detto grazie, ma quando la carne del cervo era finita la ragazza aveva trovato lepri impigliate nelle trappole e uova selvatiche e funghi.
Vide il proprio respiro trasformarsi in una nuvola sottile di vapore, e si strinse le mani nel tentativo di scaldarle. «Perché non accendi un fuoco?» chiese.
Per la prima volta da quando avevano stretto il patto, Loki alzò lo sguardo su di lei. La osservò a lungo, e la ragazza pensò che fosse indeciso, che potesse rispondere in molti modi e che ne stesse scegliendo uno proprio in quell’istante, proprio guardando lei.
«Non ho freddo» rispose.
La ragazza abbassò lo sguardo e se ne andò pensando che anche il respiro del dio si era tramutato in brina e che le sue dita erano rigide e gonfie mentre intrecciavano la rete; poi pensò che gli uomini e le donne del villaggio raccontavano che Loki fosse disprezzato dagli dèi perché era solito fare della verità ciò che voleva.
Il giorno dopo gli portò una coperta oltre al secchio d’acqua. Loki non ringraziò, ma quando lei si fermò ad osservarlo intrecciare la rete, non la mandò via.
 
Quando cadde la neve il vento riempì il bosco di fischi e ululati e la ragazza lo attraversò incespicando, le dita che stringevano il manico del secchio rosse e screpolate dal freddo. Il lago si stava incrostando di ghiaccio, e quando la ragazza raggiunse la riva la nebbia scivolava sulla neve come un mantello. Si fermò davanti della capanna dove il dio si nascondeva, esitando.
Lui aprì la porta, la guardò e le fece cenno di entrare. Lei si fece avanti senza sapere che quel giorno molte cose sarebbero cambiate.
Il legno tratteneva il calore, ma non abbastanza, e dentro alla capanna faceva freddo quasi quanto fuori. La ragazza posò il secchio e si guardò attorno. La stanza era spoglia e robusta come una roccaforte e lei si chiese da che cosa stesse scappando il Dio degli Inganni da non essere tranquillo nemmeno lì, nella foresta dove il Padre di Tutto non poteva guardare. Si voltò in silenzio, osservando Loki per un brevissimo istante prima che si accorgesse di lei. Non aveva mai dubitato che fosse un dio, ma nella luce bianca della neve che filtrava dalle finestre minuscole il suo profilo le sembrò quello di un uomo. Si chiese perché non lo avesse mai pregato. La sua mente vagò nel vuoto per un istante, poi Loki alzò lo sguardo e lei ricordò.
«Sei fuggito da Asgard perché tagliasti i capelli di Sif la Guerriera?» chiese la ragazza, perché le giornate di neve sono ovattate e intorpidite e le domande fanno meno male. «O la causa fu la morte del dio Balder?»
Di Loki sentì solo la risata, perché dopo aver parlato perse il coraggio di guardarlo.
«È questo che si dice su Midgard?»
«Sono le storie che raccontano i nostri padri» rispose la ragazza.
«Ah, sì. Dimenticavo» Loki si sedette per terra appoggiando la schiena contro il muro. «A voi mortali le storie piacciono molto».
«A te no?» chiese lei.
«Solamente quelle che racconto io».
La ragazza si avvicinò, perché come tutti i mortali anche a lei le storie piacevano molto.
«Si dicono molte cose su di te» mormorò.
«Non stento a crederlo».
«Ma mi sono sempre chiesta se siano vere».
Qualcosa si ruppe nello sguardo di Loki, una scintilla che le ricordò il crepitio del ghiaccio sul lago. La fissò in silenzio, poi sorrise divertito.
«Dimenticavo che voi mortali siete anche curiosi».
La ragazza non rispose, ma per un attimo, nella luce pallida riflessa dalla neve, si chiese se non fosse sbagliato parlare così ad un dio e non avere paura. Eppure, nonostante il battito frenetico del cuore, parlò ancora.
«D’inverno ci si raccoglie attorno al fuoco e gli anziani raccontano le storie degli dèi» disse. «Parlano delle gesta di Odino, dei suoi corvi Huginn e Muninn e del suo cavallo Sleipnir dalle otto zampe. Parlano di Thor e delle sue tempeste e delle imprese che ha compiuto con il martello Mjolnir, forgiato dai nani. E quando cala la notte parlano di Loki e delle sue malefatte, e ci mettono in guardia».
Loki rimase in silenzio. La ragazza alzò lo sguardo.
«Queste sono le loro storie. Io, però, vorrei ascoltare le tue».
Poi il silenzio cadde anche su di lei, un silenzio nervoso e stopposo come la neve, e a quel punto Loki alzò lo sguardo, il crepitio del ghiaccio che danzava nei suoi occhi.
«Vuoi stringere un nuovo patto?»
La ragazza non disse nulla, ma il suo sguardo si fece ampio e splendente, e Loki proseguì.
«Il prezzo per le mie storie sono le tue storie.» disse. «Mi racconterai quello che dicono gli abitanti di Midgard».
Serrò le labbra in un sorriso che si leggeva come un invito, e il ghiaccio nei suoi occhi era pieno di luce.
La ragazza pensò che una proposta del genere richiedeva un’attenta riflessione, perché Loki intrecciava le parole così come faceva con le reti da pesca. Pensò che non poteva rispondere subito, che doveva aspettare prima di decidere, perché è così che funziona con le decisioni, si aspetta sempre un po’; e che forse sarebbe dovuta fuggire e non mettere più piede nella foresta dove il Padre di Tutto non poteva guardare.
Pensò a ciascuna di queste cose. E, subito, rispose di sì.
 
Nelle ore brevi e dilatate dell’inverno, le parole scendevano tra la neve e il freddo come strisce di fumo. Ogni giorno la ragazza trascinava un secchio d’acqua gelata attraverso la foresta, entrava nella capanna in riva al lago e si sedeva su una coperta in mezzo al pavimento, lì dove vi sarebbe stato posto per il legno e la brace, ma dove il fuoco non veniva mai acceso.
Ogni giorno una storia, questo era il patto. Loki aveva voluto che fosse lei a iniziare. Come prima storia la ragazza aveva scelto l’antica leggenda in versi di come egli si fosse presentato alla tavola degli dèi con l’intento di seminare zizzania. Loki non aveva detto una parola per tutto il tempo del racconto e lei, che aveva tremato nel definire un suo ritratto così detestabile, pensò che stesse conservando le parole per la sua storia.
Il giorno dopo scoprì di aver avuto ragione. Loki non le cantò la stessa storia, ma un’altra, un’avventura - la conquista di un manufatto magico del quale lei non aveva mai sentito parlare – e le sue parole scintillavano come il respiro immenso di un drago, il fiato rarefatto nel freddo. Parlava e tesseva immagini vive e calde, così precise che la ragazza poteva vederne i contorni come ombre nere davanti a una candela.
La trama della storia non era più avvincente di tante altre che lei conosceva, eppure era così bella che il giorno dopo la ragazza cercò di annodare le parole esattamente come lui aveva fatto con lei. Gli raccontò un’altra di quelle storie in poesia che gli anziani cantavano quando la notte era profonda. Loki ascoltava. Sembrava imparasse a memoria. La guardava, e quando lei imparò ad alzare lo sguardo su di lui si rese conto che raccontare le cose guardandosi in viso era ancora più bello. Il ghiaccio nei suoi occhi non rifletteva nemmeno una parola, eppure quando era lui a raccontare, tutto cambiava, e il ghiaccio diventava cristallo e il cristallo brillava.
Non ci volle molto prima che la ragazza capisse.
Loki amava raccontare storie.
E a lei piaceva ascoltarle.
Mantenne segreto il suo patto con il Dio degli Inganni per paura di essersi ingannata lei stessa. A volte, quando veniva la sera e fuori nevicava e lei scivolava sotto le coperte che non erano mai abbastanza calde, pensava a ciascuno di quei giorni come ad un grande sogno, e aveva paura che quando si fosse svegliata non si sarebbe ricordata nemmeno una delle storie di Loki.
Non era certa che gli esseri umani potessero raccontare così. Forse lo sapevano fare soltanto gli dèi. Forse lo sapeva fare soltanto lui.
 
Si chiedeva quale fosse il prezzo, per saper raccontare così.
 
Il primo inverno passò insieme alle parole. La primavera e l’estate lo spazzarono via. Le storie, invece, rimasero.
Quando l’inverno finì, la ragazza iniziò a pensare che Loki si sarebbe stancato delle sue storie. Vide con orrore la neve sciogliersi, il ghiaccio del lago creparsi, e pensò che un giorno si sarebbe recata sulla riva e Loki, semplicemente, non ci sarebbe più stato.
Invece quando le foglie sugli alberi ripresero a tremare e il vento tornò a respirare freddo, Loki era ancora lì. Un giorno la ragazza scese nel bosco fino al lago e si accorse che il cielo era bianco e che l’acqua si era ghiacciata, e quando lo disse a Loki lui sorrise senza sorpresa.
«E’ il tempo» le rispose. «Voi mortali lo conoscete meglio di me, eppure ancora ve ne stupite».
La ragazza avrebbe voluto dirgli che non era lo scorrere del tempo a lasciarla senza parole. Era il fatto che nonostante il tempo fosse passato, lui era ancora lì.
 
Quando per la seconda volta vide insieme a lui l’ora più corta dell’anno, la ragazza scoprì di non avere più storie. Gliene era rimasta una soltanto, la più terribile, quella che non aveva coraggio di raccontare. Guardò Loki pensando che quel racconto lo avrebbe ferito, ed ebbe paura. Non perché avrebbe ferito un dio, ma perché avrebbe ferito lui.
Poi si ricordò che le cose hanno un prezzo, e che forse era quello il prezzo da pagare per raccontare le storie. Forse avrebbe fatto più male a lei, che a lui.
Così, alla fine, racimolò le parole per raccontargli di come gli dèi lo vollero punire per la morte di Balder, legandolo ad una rupe e condannandolo a contorcersi sotto le fauci del serpente, il veleno come lava sul suo corpo; e di come sua moglie Sigyn ne raccogliesse le stille in una ciotola, protesa sopra di lui per risparmiargli il dolore.
Alla fine del racconto, Loki rise.
«Non credevo che voi umani mi amaste a tal punto da affiancarmi una compagna tanto fedele» commentò.
«E’ ciò che ogni uomo desidera» disse lei. «Non vogliamo essere soli quando stiamo male».
Per la prima volta le sembrò che calasse un silenzio strano, infestato da parole invisibili come fantasmi. Alla fine, la ragazza afferrò uno spettro e gli diede la sua voce.
«E’ diverso, per gli dèi?» chiese.
«No» rispose Loki «Non è diverso».
Si rese conto di non riuscire più a distogliere lo sguardo dal suo volto. Loki sorrise il suo sorriso affilato.
«Può non essere così per il potente Thor o per il saggio Odino, ma io inganno e uccido e ferisco, e questo, come ogni altra cosa, ha un prezzo».
Nella penombra le cicatrici che gli solcavano le labbra si notavano appena, ma la ragazza sapeva che erano lì.
Il mattino dopo, al sorgere del sole, quando la ragazza pregò gli dèi, pregò anche Loki.
 
Lei non aveva più in serbo nemmeno una storia, ma Loki sì. Mentre le ore si allungavano di nuovo e il vento scioglieva la terra ghiacciata, Loki continuò a raccontare. Le raccontò storie di ogni genere, alcune simile alle leggende dei mortali, altre completamente diverse; ma mai le raccontava perché avesse costruito una capanna vicino al lago, nella foresta imperscrutabile, né perché si ostinasse a non accendere il fuoco. La ragazza avrebbe voluto chiederglielo, ma per qualche motivo non ci riusciva mai.
Fu durante la tiepida primavera che seguì, che la ragazza si innamorò di un giovane cacciatore del villaggio. Si fece catturare dal pensiero con dedizione inaspettata, e nelle ore buie della notte sospirò il suo amore, e la mattina si dimenticò di pregare gli dèi.
Una sera d’estate chiese a Loki se fosse possibile stringere un nuovo patto. Lui le chiese cosa desiderasse, e per un istante la ragazza pensò che sapesse già ogni cosa, e si sentì prendere dal panico.
«Vorrei che l’uomo che amo ricambiasse il mio amore», gli disse comunque. Loki la guardò a lungo. Nei suoi occhi si intrecciò un racconto, ma fu dissolto prima che la ragazza se ne potesse accorgere.
«Il prezzo per questo desiderio è una matassa di filo» disse Loki «poiché ho nuove reti da tessere, ma non ho più corda».
Il giorno seguente la ragazza gli portò un cesto pieno di fili per tessere le reti. Quella sera, quando il villaggio si raccolse attorno al fuoco per raccontare le gesta degli dèi, il cacciatore le si sedette accanto. Scesero le ore più buie e gli anziani cantarono le storie più spaventose, quelle del Dio degli Inganni e delle sue malefatte, ma la ragazza e il cacciatore si erano già allontanati; lui la baciò alle ombre del fuoco, e il crepitio nei suoi occhi non era quello del ghiaccio ma il riflesso delle fiamme. La ragazza se ne accorse mentre lui cercava il suo respiro e lei cercava i suoi occhi, e quella notte sognò la superficie gelata del lago, come un ricordo di molto tempo prima, e il rumore della neve sotto i piedi.
 
Quando le stagioni erano calde, Loki tesseva le sue reti in riva al lago. La ragazza gli sedeva accanto e si chiedeva perché passasse così tanto tempo a tessere. Forse gli piaceva. Forse gli ricordava qualcosa. O forse c’era un motivo ben preciso. Era l’ennesima domanda che non gli avrebbe mai posto.
Si chiedeva anche come mai le cicatrici sulle sue labbra non fossero guarite del tutto. Erano piccoli segni bianchi che brillavano frastagliati alla luce del sole. Sembravano il disegno di una cucitura, ed erano un’altra domanda che lei non gli avrebbe mai rivolto.
«Mi dirai perché sei qui?» gli chiese un giorno, perché c’erano domande che voleva fargli anche se non poteva. Loki non alzò nemmeno lo sguardo dalla rete che stava tessendo.
«Quando t’incontrai, due inverni fa, ero sola anch’io» disse lei dopo un lungo silenzio, ma ricordava troppo bene le labbra del cacciatore sulla sua bocca, pensava già ai baci che gli avrebbe dato dopo il tramonto, e si sentì una bugiarda anche se aveva detto la verità.
Loki non disse nulla.
 
Sul finire dell’estate il cacciatore sposò la figlia di un artigiano di un villaggio vicino. La giovane era assai bella, ricca e, a quanto si diceva in giro, in attesa di un bambino.
Il giorno in cui lo venne a sapere, la ragazza calpestò il sentiero verso la capanna in riva al lago respirando dentro di sé l’aria fredda dell’autunno. Guardò Loki in silenzio, dritta davanti a lui. Guardò la sua pelle chiara, i capelli troppo lunghi, i suoi occhi di ghiaccio e le cicatrici bianche di cui non voleva parlare.
«Mi hai ingannata» dichiarò. Avrebbe dovuto immaginarlo, ma questo non glielo disse.
«E’ tutto un inganno» ribatté Loki con rabbia improvvisa. «Ancora non l’hai capito? Dopo tutto quello che ti ho raccontato?»
Lei rimase in silenzio, perché aveva troppe parole ma nessuna di queste poteva servire come risposta.
«Non devo neppure fare nulla» proseguì Loki «Ci pensa la vita. E’ tutto un inganno, e la sola cosa che puoi fare è mentire. Se gli avessi detto che aspettavi un figlio, è te che il cacciatore avrebbe sposato».
«Ma tu mi hai mentito. Mi hai fatto del male».
Loki spalancò le braccia, come a mostrare qualcosa che non c’era. «Vedi» disse. «Questa è una bugia. Vi siete fatti del male da soli. Voi mortali credete che ci sia bisogno degli dèi per ferirvi, ma non è necessario. Pensate voi a tutto».
La ragazza chiuse gli occhi e desiderò sparire insieme al dolore. Diede le spalle a Loki e si sedette per terra. Aspettò di sentire il rumore della porta che si chiudeva, ma quando riaprì gli occhi Loki era ancora accanto a lei.
«Non era questo il prezzo che esigevo», le disse, la voce ancora dura, ma quasi un sussurro. La ragazza sentì la sua mano sfiorarle i capelli. Chiuse gli occhi e pianse per un po’, ma non si mosse.  Non vogliamo essere soli, quando stiamo male.
 
Loki era cambiato. Forse finalmente si sentiva al sicuro. Erano passati molti inverni e molte estati e lui era rimasto nascosto senza che nessuno lo trovasse - nessuno, a parte lei. La ragazza non gli aveva più chiesto di stringere un patto, perché con il passare del tempo ne avevano stretto un altro, una promessa tacita di cui entrambi sapevano ma di cui nessuno parlava mai davvero. Loki raccontava le sue storie e lei le ascoltava. Era un equilibrio straordinariamente semplice, eppure la ragazza se ne stupiva ancora, a volte. Di tanto in tanto si chiedeva quale fosse il prezzo da pagare per quel silenzioso accordo, perché un prezzo c’era sempre.
Raccolte ordinatamente nel suo cuore c’erano tutte quelle domande che pensava non gli avrebbe mai chiesto. Rimasero lì finché, una notte, non gliene pose una.
«Perché stai scappando?»
Loki rimase a lungo in silenzio e per un attimo la ragazza pensò che non le avrebbe risposto.
«Odino mi ha punito» disse invece lui «Ma io sono fuggito, e mi sono nascosto nell’unico luogo dove non potrà trovarmi».
«Che cos’hai fatto?»
«Ho tentato di impadronirmi del tuo mondo».
La ragazza sentì la paura fiorirle sotto la pelle, e Loki le rivolse un sorriso, senza felicità.
«Succederà fra molti secoli. Il tempo è diverso, per gli dèi. Quello di cui ti parlo l’ho fatto nel futuro. Ho guidato creature spaventose contro i mortali, ma ho fallito e sono stato ricondotto ad Asgard affinché mi giudicassero. Così, i nani forgiarono un ago e un filo e gli dèi li usarono per cucirmi le labbra, come punizione. Strappai il filo e fuggii in questo luogo e in questo tempo».
Non era semplice da comprendere, perché la ragazza non aveva mai pensato che il futuro esistesse già. Invece, adesso, ciò che per lei era il futuro, per Loki era il passato. Era un pensiero che le faceva venire le vertigini. Tentò di recuperare la lucidità chiedendogli la prima cosa che le venne in mente.
«È per questo che non accendi mai il fuoco? Per non rivelare agli dèi il tuo nascondiglio?».
Loki non rispose. Lei strinse le labbra, rimase in silenzio, poi provò ancora.
«Perché hai scelto proprio questo tempo?»
«Perché questa foresta non esisterà per sempre. Un giorno gli uomini la distruggeranno e vi costruiranno le loro città».
La ragazza pensò che se la foresta fosse stata distrutta niente avrebbe più potuto impedire la vista del Padre di Tutti. Sentì il cuore battere più veloce.
«Racconteremo agli uomini che questa foresta non può essere distrutta. Racconteremo storie che la proteggeranno. Dirò loro che è un luogo sacro e…»
«Passerà molto tempo, i racconti non saranno sufficienti. Le storie muoiono come gli uomini».
La ragazza corrugò la fronte. Il cuore le batteva ancora più forte. «Non è vero. Gli anziani tramandano le leggende che furono raccontate loro da chi era anziano al loro tempo. E’ così che vivono le storie».
«Gli uomini dimenticano».
«Io no. Un giorno toccherà a me raccontare le storie degli anziani, e allora racconterò le tue storie, tutte quelle che mi hai raccontato».
Attese la risata di Loki, ma non arrivò mai. Alzò lo sguardo su di lui e scoprì che aveva occhi seri, profondi e antichi proprio come aveva sempre pensato che fossero gli occhi degli dèi.
«Sì» le disse, e c’era qualcosa di infinitamente amaro nel suo sguardo. «So che lo farai».

C’erano anche giorni in cui non c’era posto per le domande, e la ragazza ascoltava i suoni delle storie; oppure nessuno dei due parlava, e allora ascoltavano insieme i suoni del silenzio, che erano storie esattamente come lo erano le parole.
A volte la ragazza si chiedeva se stessero aspettando qualcosa. Lo poteva vedere negli occhi di Loki, mentre stavano zitti e il suo sguardo precipitava nel vuoto come se la caduta fosse un’abitudine, o un incubo ricorrente. Loki aspettava, e anche lei aspettava. Non era certa che aspettassero cose diverse, ma nemmeno che si trattasse della stessa cosa. Sapeva però che il tempo era diverso per gli dèi e per gli uomini, e che l’attesa non era una cosa che potevano fare insieme.
Erano soli. Così, restavano soli insieme.
 
Fu un giorno d’estate, troppo caldo e troppo feroce. Quel giorno si scatenò una tempesta sul villaggio, e la luce dei fulmini trapassava gli spazi fra i rami intrecciati in alto e la cupola della foresta lampeggiava di bagliori improvvisi, e per la prima volta alla ragazza sembrò che Loki non avesse alcuna voglia di raccontare.
Era un giorno d’estate ma sembrava inverno, e la ragazza avrebbe tanto voluto raccontare lei una storia, se solo gliene fosse rimasta una. Un tuono immenso spezzò il ticchettio della pioggia e Loki sussultò, e la ragazza gli afferrò un braccio, pur sapendo che lui l’avrebbe scrollata via con rabbia.
C’era qualcosa che voleva dirgli, anche se non si trattava di una storia.
«Tu soddisfi i desideri degli uomini, ad un prezzo» disse. Loki si voltò, e lei proseguì. «Ho un desiderio. Vorrei che non fossi più solo».
Loki rimase in silenzio e per un po’ la ragazza non sentì altro che il mormorio insistente della pioggia. Poi Loki rise, ma quando lei incontrò il suo sguardo si accorse che i suoi occhi non stavano affatto ridendo.
«Non posso soddisfare questo tuo desiderio» rispose «E lo sai benissimo».
Dimmi qual è il prezzo da pagare, avrebbe voluto chiedergli lei, ma un altro tuono esplose sopra la foresta e le pareti della capanna tremarono e Loki con esse.
Così, non gli chiese nulla. Ma se lo avesse fatto Loki le avrebbe risposto che non c’era un prezzo, e così dicendo avrebbe mentito. Non perché volesse ingannarla, ma perché ignorava che un prezzo ci fosse, e che fosse il suo cuore. E non sapeva nemmeno che lei lo aveva già pagato.
 
Il vento cambiò e il tempo con esso, ma Loki se n’era dimenticato.
Perciò, quando il tempo finì, non se ne accorse subito. Solo quando non vide più arrivare la ragazza mortale si rese conto che erano passati molti inverni, che il vento era cambiato e il tempo con esso, e che il tempo era finito.
Loki pensò agli uomini che dicevano che gli dèi erano immortali, e li invidiavano per questo senza sapere che non era affatto vero, che niente può vivere per sempre, perché la vita esige un prezzo e quel prezzo è la morte. Pensò a quanta paura avessero gli uomini della morte, forse anche più di quanta ne avessero di lui. Si chiese se anche la ragazza avesse avuto paura di morire.
Loki uscì dalla capanna e alzò lo sguardo verso la cupola di rami che lo avrebbe protetto dallo sguardo di Odino, di Thor e di tutti gli dèi. C’era un profondo silenzio. Non si sentiva nemmeno un rumore, nemmeno il vento. La foresta era mite e silenziosa. Loki pensò che fosse in attesa.
C’era un prezzo per ogni storia che aveva raccontato così come c’era un prezzo per qualunque cosa. Loki lo sapeva, perché lo aveva pagato. Sotto le sue dita, le cicatrici sulle labbra erano piccole e lisce. La foresta era zitta, nessun rumore, neanche di passi. Forse c’era un prezzo che non avrebbe mai finito di pagare.
Loki si inoltrò nel bosco. Raccolse della legna secca e ne fece un mucchio sulla riva del lago. Quando scese la notte accese un fuoco. Vi aggiunse altra legna per assicurarsi che le fiamme divampassero alte e feroci verso il cielo, e guardò il fumo salire e perdersi oltre la cupola di alberi, tra le fessure dei rami, fino alle stelle che da lì non vedeva. Seduto davanti al fuoco, pensò a lungo a quel tempo che era finito e si rese conto che della ragazza mortale non sapeva nemmeno il nome, sebbene sapesse di lei molte altre cose, e scoprì di sentirsi infinitamente triste, in un modo eterno che solo gli dèi conoscevano. Poi gli venne in mente il tempo che sarebbe venuto dopo e pensò che sarebbe stata una gran bella storia, se solo ci fosse stato qualcuno a cui raccontarla.
Allora ravvivò il fuoco, e si mise ad aspettare.















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Questa storia mi si è presentata durante un viaggio in treno, ed è vissuta così, in treno, in qualche settimana di spostamenti sul regionale Milano-Verona. Mi piace scrivere in treno e ho amato questa storia, perché è arrivata così, senza che la cercassi, e perché mi sono resa conto che l'ho scritta con così tanto piacere perché avevo delle cose da dire.
L'arte del raccontare, il passare del tempo, la solitudine, sono tutti temi che esercitano un enorme fascino su di me. Ne volevo parlare, e all'improvviso è comparsa questa storia con tutte queste cose dentro di sè.
Il tema di Loki che si nasconde, invece, lo avevo già affrontato in "White blank page". Qui lo ripropongo in una chiave totalmente diversa. Forse mi manca la fantasia, però mi piace davvero tanto esplorare questo tema in ogni suo angolino.

Sebbene quello che ho scritto sia farina del mio sacco, sono stata fortemente influenzata da due elementi importanti.
- C'è una frase, "Everything comes with a price", "Ogni cosa ha un prezzo", che è un po' il tormentone della serie della abc "Once upon a time". E' una frase che si riferisce spesso al fatto che ogni incantesimo abbia un prezzo, e spesso è collegata al personaggio di Rumpelstiltskin, che stringe un patto con chi ha bisogno del suo aiuto, esigendo un prezzo in cambio dell'incantesimo. All'origine questa storia doveva essere una sorta di re-telling della fiaba originale di Rumpelstiltskin, ma poi ha preso la sua strada, che evidentemente era un'altra.
- Alcune circostanze sono ampiamente ispirate a "Le fatiche di Loki" di Roberto Aguirre-Sacasa e Sebastiàn Fumara. In questo albo Loki, per evitare di essere giudicato per l'omicidio di Balder, si nasconde nei pressi di un lago che la vista di Odino non può raggiungere. Intreccia reti da pesca, non accende nessun fuoco. Alla fine i lupi di Odino arrivano alla radura e lo vedono, e a quel punto Loki accende un grande fuoco e aspetta l'arrivo di Thor. Nello stesso fumetto c'è un episodio in cui gli dèi puniscono Loki per i suoi tranelli cucendogli le labbra con ago e filo. Sono tutti elementi della mitologia. Li ho presi, li ho rielaborati, li ho inseriti nella fiaba. Sono citazioni che spero abbiate notato, se eravate già familiari con "Le fatiche di Loki" o con il mito, perché tra le loro molteplici valenze hanno anche quella della "strizzata d'occhio".

Mi rendo conto che questa storia possa essere criptica in alcuni passaggi. Spero che il racconto si sia lasciato leggere tra le righe, spero che abbia permesso all'immaginazione di completare laddove era necessario, e soprattutto spero che vi siate divertiti e che la storia vi sia piaciuta.
Ringrazio ogni lettore, e ringrazio anche chi vorrà lasciarmi un commento per farmi sapere che ne pensa della storia. Naturalmente vi invito a farlo, mi farete felice, e che diamine!
Infine, ringrazio Darma, una specie di santa.

Au revoir,
Eleu

   
 
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