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Autore: mairileni    30/11/2012    10 recensioni
"Cosa avete intenzione di fare? Di me, intendo."
"Non lo so."
"Sei un bugiardo del cazzo."
"Ti sbagli. Io non mento mai." Mentre lo dice fa un sorriso furbetto.
"Non hai risposto."
"L'ho fatto! Non lo so. Davvero. Questo..." Mi solleva la mano ammanettata. "Questo non era... nei piani" dice, e guarda un punto indefinito del pavimento, mentre lo fa. "In realtà è stata una sorpresa anche per me... quindi non lo so."
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buonasewaaa!!! ^^
 
Eccoci alla fine di questa fic, come sono triste! T.T 
La verità è che non mi sarebbe spiaciuto allungarla, ma la storia era questa, quindi non potevo tergiversare! T.T Voi mi capite, vero? *no*
 
Questo ultimo capitolo è stato molto difficile da scrivere per me, quindi non so proprio come potreste reagire! ^^ Spero vi piaccia.
 
Alloooora, rispondiamo alle fedelissime! <3
 
aleale00 ~ Eh, sì, molto angst, ma I love drama, che vuoi farci? :) Grazie di aver continuato sempre a seguire!
 
A li ~ Sì, lo so, era breve, mi spiace!!! *si dà una padellata in testa* E riguardo quello che ha detto Matt in realtà un motivo c'è... *aura di mistero* spero che questo capitolo chiarisca le idee! :) Grazie per aver scritto!
 
Lilla ~ Ciao! Una nuova lettrice, che bello! Ti ringrazio moltissimo per le cose che hai scritto, sono contenta che la mia storia ti abbia appassionato, mi fa molto piacere! ^^
 
Nota > In questo capitolo sono protagonisti argomenti delicati, come la morte, quindi, anche se ho cercato di trattarli nel modo meno pesante possibile, potrebbero urtare la sensibilità di alcuni: nel caso mi scuso da subito.
 
Bene, bene, abbiamo detto proprio tutto!
Buona lettura! *v*
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
 
Pushing us into self-distruction
 
 
Ho sempre odiato il natale.
 
Quando avevo tredici anni abbiamo passato il nostro primo natale senza papà, e l'avevo odiato.
Avevo odiato papà, avevo odiato passare il natale senza papà, avevo odiato il natale stesso, e l'albero, con i suoi colori isterici e sgargianti che non c'entravano un cazzo con la situazione.
 
Avevo odiato aprire i regali, e avevo odiato la gioia di trovarci dentro quello che volevo, perché ti avevo detto di non spendere, cazzo.
 
E invece tu mi avevi preso quel libro, quello sullo spazio di cui mi sono imparato ogni singola parte a memoria, e quell'orologio, e quella chitarra, la mia prima chitarra.
 
Avevo odiato la messa, perché chi devo pregare, se non credo più a nulla?
 
Avevo odiato il fatto che per la prima volta non ci fossero regali anche per te.
 
 
Guardo l'orologio, quello che mi hai regalato tu per quel natale.
 
'Christmas'.
Mi dà fastidio anche la parola.
'Christmas'. 
Why would I have to pronounce it 'Christ-mas', like 'Chris'? It's supposed to be 'Christ', the name, isn't it?
 
Questo natale non lo festeggerò, è poco ma sicuro. E mi va già di lusso.
 
È l'una del pomeriggio, siamo senza pranzo e Dom sta recuperando il sonno perso da questa nottata in bianco.
 
Sulle mie gambe.
 
Giro un po' la testa e ti guardo dormire.
Ciao, Dom.
 
Tocco la tasca dei jeans, le mie pastiglie sono ancora lì. Sono quelle forti, quelle per casi gravi.
 
Non funzionano, sai mamma? Non dormo comunque.
 
E quello stronzo vuole ucciderti. 
Domani. 
Non lo farà, mamma, te lo giuro.
Sono tranquillo. Non morirai.
 
Di nuovo, mano sulla tasca, le pastiglie sempre lì. 
 
Tiro fuori la scatoletta cilindrica, arancione, anonima, l'etichetta vuota, e ne guardo il contenuto.
 
Stai tranquilla mamma, nessuno ti farà male.
 
Tolgo il tappo, fa quel rumore, 'pop' tipo, che quando ero piccolo mi faceva tanto ridere.
 
Faccio cadere una compressa sul palmo della mano. Tanto non funzionano.
Me la metto in bocca e ingoio.
 
Aspetto.
 
Ne tiro fuori un'altra.
Me la metto in bocca, ingoio.
Ne tiro fuori un'altra.
Bocca, giù.
E ancora un'altra.
In bocca, giù.
In bocca, giù.
Sei, sette pastiglie.
In bocca, giù.
In bocca, giù, lo sguardo fisso davanti a me.
 
Finite.
Fatto.
 
Stan vuole ucciderti.
Stan vuole ucciderti perché sei la mia unica garanzia, l'unico motivo che può usare per tenermi con lui.
 
La scatoletta è vuota, ora.
 
Voglio proprio vedere se Stan si prenderà la briga di ucciderti, mamma, dopo che verrà a darci la cena e mi troverà morto.
 
Dominic.
 
Faccio scorrere gli occhi lungo il tuo corpo, disteso alla mia sinistra. Le converse nere, i jeans, la mia maglia -hai ancora la mia maglia?- che ti ho dato alla pensione, nera. E ancora, la giacca nera. E poi biondo.
 
Prendo due ciocche dei tuoi capelli e le confronto, una biondissima, l'altra quasi castana, senza nessuna sfumatura intermedia. Che stranezza.
Prendo la parte chiara tra indice e medio e ne tasto la morbidezza, da radice a punta, da radice a punta, piano.
 
Ti accarezzo ancora un po', e come vorrei che il tempo si fermasse, e ti passo le mani sul viso, sulle guance, fino a sentire sotto i polpastrelli i capelli sottili, nuovi, dell'attaccatura, dietro alle orecchie.
 
E non mi accorgo di essermi mosso finché non sono lì, accanto a te, piegato scomodamente per non svegliarti, la mia mano sinistra a sostituire le mie gambe, la mia mano destra sul tuo viso, la mia bocca a un centimetro dalla tua.
Sento il tuo respiro debole.
 
Tanto non ho nulla da perdere.
 
Non ci penso più, ed elimino la distanza rimasta tra noi, e fanculo se ti svegli, e fanculo se mi griderai che faccio schifo, e fanculo tutto, perché ora le mie labbra sono contro le tue, ti vedo attraverso le ciglia dei miei occhi socchiusi, e tutto il resto non c'è.
 
E quando apri gli occhi mi attacco a te ancora di più, perché tra poco come minimo mi darai un pugno, quindi tanto vale godermelo finché non capisci che cosa sto facendo.
 
E invece no, apri gli occhi, e per un attimo li apri ancora più del normale, poi li richiudi, e mi prendi la testa, ma non so perché, e non mi stai spingendo via, ma le dita si intrecciano nei miei capelli sulla nuca, e cominci a baciarmi anche tu, e siamo una cosa sola.
 
***
 
Non so perché, non so se è giusto, ma fa stare bene, e nulla è sbagliato se ti fa stare bene.
 
Nessuno smette per primo, lo facciamo nello stesso momento, e allora ho la conferma che no, non c'è niente di sbagliato, in tutto questo.
 
Abbasso gli occhi, mi brucia la faccia, ma non me ne vergogno, né me ne pento, è solo emozione.
 
E ora ti sei sollevato, hai tolto delicatamente la mano da sotto la mia testa e ti sei messo seduto, alla mia sinistra, a guardarmi con quell'aria un po' imbarazzata di chi sa di averla fatta grossa, come quella dei bambini.
 
Sei vestito di nero, come al solito, ma non riesco a vedere il nero se non come contrasto con i tuoi occhi chiari.
 
Ora mi sono alzato anch'io e mi sono messo la mano sulla fronte, lo faccio quando sento caldo, uso le mani fredde come se fossero ghiaccio.
 
E siamo uno accanto all'altro, zitti, ma non pesa, non c'è bisogno di dire qualcosa per riempire questo silenzio.
 
Quanti minuti sono passati? Non lo so.
"Matthew."
Sorridi, tu, con aria assente, come se ti fossi ricordato di qualcosa di bello:"Mh?"
"... No, nulla."
"Che c'è?"
"... No, niente. È che non mi era mai successo."
Ed è vero.
Non specifico cosa non mi è mai successo, se il bacio, il bacio con un maschio, o quello che sento ora. Ti lascio con il dubbio.
"Neanche a me."
Ecco. Chi la fa l'aspetti.
 
Ti prendi la faccia tra le mani.
"Sei stanco?"
"Eh?" ti giri con un sorrisino.
"Sei stanco?"
"... Sì, abbastanza, ma non è nulla d..."
"Perché non riposi?"
"No, no, c'è... tempo, per riposarsi." sorridi ancora, cos'avrai in testa, poi, lo sai solo tu.
Ti abbraccio, non me ne frega niente se è strano o imbarazzante, e mi abbracci anche tu.
"Come vuoi."
 
***
 
"Perché non riposi?"
"No, no, c'è... tempo, per riposarsi." 
 
Una stilettata nel cuore.
Eh, no, Dom, così non vale.
Dopo mi riposo, Dom.
 
Scusa.
 
"Matthew."
Cazzo. Non mi abituerò mai:"Cosa?"
"Mi ucciderà?"
"No, Dom. L'avrebbe già fatto."
"E allora cosa?"
"Dom."
"Sì?"
"Il tuo compleanno lo passerai a casa."
Ora il tuo sorriso è amaro:"E tu come lo sai?"
"Lo so e basta."
Sono serio, e ti accarezzo la testa, mentre tu ti accoccoli con la faccia nell'incavo del mio collo:"E tu?"
"E io?"
Soffi con il naso, lo sento sulla pelle:"E tu dove sarai?"
"Non qui." ed è vero.
 
Hai smesso di farmi domande, e sono quasi le quattro, ormai.
 
Ho un peso sullo sterno, che mi fa respirare male, e penso che sia tu, ma non sei tu, tu sei più in alto.
 
Ma cosa... Ah, beh, certo. Quasi dimenticavo.
 
Guardo ancora l'orologio. Le quattro e cinque. Sì. Sta per iniziare.
 
Ti do un piccolo bacio sui capelli.
 
***
 
Credo sia fuori luogo, ma ora siamo io e te, fuori dal mondo, quindi te lo chiedo:"Senti... già che siamo... in vena di rivelazioni... quand-cioè, quando..."
"... Ho capito di essere gay? O quando ho capito di essermi innamorato di te?"
 
'Innamorato'.
Allora non sono io che esagero.
 
"In realtà volevo sapere la prima ma... anche la seconda è interessante."
"Alle medie e subito."
Avvampo:"Subito."
"Sì." sei serissimo, tu.
"E... me lo dici così?"
E sfoderi una delle tue facce sarcastiche meglio riuscite di sempre:"Vuoi che te lo dica mentre ti faccio uno spogliarello?"
Ma che...?
"No... Er... As-ascolta, i-io non sono abituato a-cioè..."
Ora ridi di gusto, leggero.
"Tranquillo."
"No, io... non pensavo che me l'avresti detto immediatamente, io..."
"Te l'ho detto perché oggi sono in vena di confessioni."
Annuisco energicamente:"Dovrei sfruttare questo momento?"
Ridi ancora:"Vedi un po' tu."
"Mi dirai tutta la verità?"
"Non ho motivo di non farlo." 
Perché mi guardi in quel modo, Matthew?
"Però sappi che è solo oggi!" Pausa:"Anche perché se mi avessi chiesto queste cose in altri frangenti ti saresti potuto scordare una risposta diversa da 'vaffanculo'!"
Rido.
 
Bene:"Ti ho in pugno, allora."
"Ora non ti gasare."
 
***
 
 
C'è una foto che porto sempre con me. Ormai è distrutta, piegata in quattro parti, ma c'è.
 
C'è il mare, e davanti ci sei tu, con me in braccio, ed era il giorno dopo il mio sesto compleanno, perché avevo in mano la macchinina nuova. 
Ce l'aveva scattata papà, me lo ricordo. Io ti stavo mostrando qualcosa in mare, e tu mi avevi detto di girarmi, che ci facevamo una bella foto.
 
E ora questa foto è qui, nei miei jeans, tasca sinistra. Ma c'è.
 
 
Mi hai fatto domande innocenti, fino a ora, Dom, eppure ti ho detto che puoi chiedermi quello che vuoi.
Mi hai chiesto se sono allergico a qualcosa, ad esempio. Io ti ho detto di no, e tu di rimando mi hai detto di essere allergico alle mele, così ho riso e ti ho detto che è un'allergia carina. In altri frangenti avrei alzato le sopracciglia e ti avrei detto che sei uno sfigato. 
 
Ma questo è il mio ultimo pomeriggio, e non voglio filtri, non più.
 
Poi mi girava un po' la testa e ti sei preoccupato, ma ti ho detto che era per la stanchezza.
 
Sei andato avanti con domande di questo genere, finché non mi hai chiesto se suonassi qualche strumento, io ti ho detto di sì, il piano e la chitarra, e allora ho scoperto che suoni la batteria. Magari in un'altra vita formeremo una band e diventeremo ricchi, ti immagini?
 
A quel punto mi sdraio, perché ho le vertigini, e tu ti spaventi, e metti le gambe sotto la mia testa, accarezzandomi.
"È per il cibo, secondo me, sai? Ma tanto tra poco ceniamo, non preoccuparti." e mi accechi con uno dei tuoi sorrisi.
"Sì, io..."
 
E ora sono quasi le sei.
Ci siamo.
 
***
 
"Sei diabetico?"
Mugoli qualcosa, ma non rispondi.
"Matthew, sei diabetico?" ripeto più ad alta voce. Mi sto spaventando sul serio.
"Mh... no..."
"Hai qualche malattia, o cose simili?"
"... No..."
"E allora che cazzo hai?"
"Nulla, io... solo... stanco..."
"Cosa?"
"Insonnia..."
"Soffri... soffri di insonnia? Hai bisogno di qualche pillola?"
"... Prese..."
 
Ormai stai delirando e ti faccio altre domande, ma non rispondi più.
Ribalti gli occhi per un attimo e inizi a passarti la mano sulla fronte, come a togliere a forza una macchia inesistente.
 
Allora mi alzo, mi butto contro la porta, e grido, chiamo Stan, prendo a calci il ferro e grido ancora, cazzo, ho le lacrime agli occhi, e grido, e cerco aiuto, ma non mi sente nessuno.
 
Un verso timido mi fa girare di nuovo verso di te. Non mi sente nessuno. Non mi sente nessuno, da questa cazzo di stanza, nessuno.
Allora ti prendo la testa e me la appoggio sulla pancia, ti abbraccio, ti ripeto che andrà tutto bene, e non oso chiederti se ti è già successo altre volte, perché se mi dicessi di no potrei impazzire.
 
Sto lì, cullandoti, con un dondolio ipnotico, tu ti sei addormentato, o probabilmente sei svenuto, ma voglio pensare che tu stia dormendo.
 
Non so quanto passa, potrebbero essere ore, o minuti, che sento dei passi affrettati provenire dall'esterno.
 
Sento una voce che non conosco, più voci che non conosco, e un'altra voce, che le sovrasta tutte, e che grida:"Ragazzi! Ragazzi, siete lì?"
 
Non so cosa grido di risposta, ma ti prego, fa' che questo rumore di ferro sia la chiave nella porta, fa' che ci portino fuori di qui, ti prego.
 
Divise blu, pistole, torce, fuori.
 
Non sento i rumori, non sento nulla, vedo due poliziotti chini su di te e cerco di avvicinarmi anch'io, ma mi trattengono, qualcuno cerca di rassicurarmi, e grido, e uno dei due sta chiamando l'ambulanza, e uno dei due scuote la testa.
 
Mi tengono, mi dicono che mi riporteranno a casa, chiedo dov'è Stan, e mi ripetono che è tutto finito.
 
Il viaggio in macchina dura pochissimo, o tantissimo, è tutto fuori dal tempo.
 
Sono a casa.
 
Rivedo mia madre, mio padre, mia sorella, e sono a casa, e li abbraccio forte come se potessero togliermeli. 
Piangono tutti, ma piangono di gioia, e grazie agente, dovere, signora, ed è tutto finito.
 
Quella sera ceniamo insieme, e vi rassicuro, vi parlo di come ero quasi riuscito a scappare, e piangiamo ancora, ma è un pianto leggero, liberatorio. Vi parlo di tutto, ma non di Matthew. Vi parlo poco, di lui, e sono sfuggente.
 
Appena il mio pensiero sfiora lui, sto già male.
 
Vi chiedo come abbiate fatto a trovarmi, mi parlate di una signora, in una pensione, che si era ritrovata con una stanza distrutta, la nostra, e c'era del sangue per terra, il suo.
 
Perché mi aveva lasciato scappare.
 
Mi avete detto che avevano mostrato la mia foto alla signora, e lei mi aveva riconosciuto.
 
Mi avete detto che cercavano Stan già da un po', e che da lì non è stato difficile trovarlo.
 
Mi avete chiesto ancora se mi avessero costretto a fare qualcosa che non volevo, vi ho ripetuto di no.
 
Ho paura che tutto sia un sogno, quindi inizio a toccare tutto, in casa, a ritrovare le cose che avevo lasciato.
 
Ripenso a Matthew, e una sensazione di vuoto mi mozza il fiato.
Ho paura di chiedere cosa ne è di lui.
 
E non riesco a dormire.
 
Mi sveglio prestissimo, già senza sonno.
È tutto vero. Sono a casa, e non mi sono mai sentito più libero di così. Libero di scendere le scale in mutande, libero di fare colazione con due brioche piene di nutella da far schifo, libero di uscire in giardino a fumarmi una sigaretta.
 
Sono libero di fare quello che voglio, ma stamattina non faccio nulla di tutto questo. 
Vi abbraccio, vi bacio, 'buongiorno', 'ti voglio bene', 'mi sei mancato'.
 
Sono già vestito:"Esco, casa Howard!" annuncio.
"Oddio, tesoro, stai..."
"Oh, mamma, dai!"
Lei mi sorride imbarazzata:"Ok"
Mi sistema il colletto della giacca:"Ma non ritardare troppo, va bene?"
"Ok" sorrido di rimando.
 
Ho carpito il posto dove ti hanno portato, Matthew, sei al Dawlish, ora.
Prendo l'auto, guido veloce, sto arrivando.
 
Padiglione D, piano due, corridoio sei, stanza uno.
 
La stanza non la riconosco dal numero, ma dalla donna che ne esce.
 
"Buon... Buongiorno, signora Bellamy."
Lei si gira, la faccia stravolta:"Oh... Tu... tu devi essere Dominic."
"Er... sì."
"Matthew mi ha parlato di te."
"C-Come sarebbe a dire... Com'è possib..."
"Io stavo... andando a prendere qualcosa da mangiare, se vuoi credo che..."
"Sì, io vorrei vederlo."
Sorride, uno di quei sorrisi pieni di dolore:"Certo."
Fa per andarsene ma la chiamo indietro:"Signora Bellamy!"
"Sì?"
"Suo figlio... lui non è un criminale."
Soffia con il naso e sorride ancora:"Lo so. Lo so."
 
Sei attaccato a delle macchine, sei l'unica cosa viva in questa stanza asettica. Ho sentito parlare dei dottori, fuori da qui. Bisbigliavano, ma ho sentito la parola 'sibilo'. 
'Sibilo'.
'Sibile'.
'Irreversibile'.
 
Come vorrei non averci fatto caso, ma ora lo so. Sei in coma. Sei in coma da overdose di barbiturici. Di pillole. 
Ti sei ammazzato. 
Ti sei ammazzato per salvare tua madre.
 
Sarebbe bastato che aspettassi un cazzo di pomeriggio.
 
Ti guardo, così indifeso nel tuo letto. Vorrei pensare che ti sveglierai e mi dirai che è tutto finito, e che potremmo uscire qualche volta, ma la verità è che non ti sveglierai più.
 
Guardo il tuo viso, finalmente riposato, finalmente in pace, i tuoi capelli, l'unico punto nero, che macchiano il cuscino, in questa stanza fatta di latte.
 
Ed è la prima volta che ti vedo vestito di bianco.
E sei bellissimo.
 
*** *** ***
 
...
 
Er... eccomi! 
 
Dunque, avevo deciso questo finale già dalla notte dei tempi, quindi non odiatemi, vi prego! >.> È stato difficile anche per me!
 
Ah, è importante che sappiate che con il titolo "Pushing us into self-distruction" sto pensando all'ULTIMO "Pushing us into self-distruction" che canta Matt in Showbiz, non il primo! Cioè, se volete canticchiare (?) il titolo, sappiate che si tratta di quello a metà canzone! Quindi cambia l'intonazione! *è pazza*
So che è inquietante precisarlo, però io ve lo dico. >.>
Inoltre showbiz è una delle mie canzoni preferite in assoluto dei mius *ma chissenefrega?*.
 
Ok, abbiamo detto tutto! Ormai siamo giunti al termine! :(
Grazie a  e n d l e s s l y, a chi ha seguito in silenzio e soprattutto a chi ha continuato a recensire! 
 
Questa era la mia prima fic, spero che ne seguiranno altre! Ho già qualcosa che mi frulla in testa, in realtà... :)
 
Quindi, un bacio e a pwesto! ^^
*agita la mano in lontananza (?)*
   
 
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