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Autore: margheritanikolaevna    01/12/2012    11 recensioni
Dal capitolo terzo: " “Ascoltami” disse Stella, con voce improvvisamente ferma “C’è una cosa che devi sapere: io non sono chi pensi che sia. Non sono la persona che credi di conoscere”.
La poliziotta era consapevole che un solo gesto avrebbe persuaso Mac più di mille parole, che lui avrebbe tenacemente bollato come sciocche credenze popolari, impossibili da credere: per questo, lesta come un fulmine s’impossessò della pistola che il collega teneva alla cintola e prima che lui - interdetto da quel gesto inaspettato - riuscisse a muovere un muscolo puntò l’arma verso il proprio petto ed esplose un colpo".
Racconto primo classificato al Goth Contest, indetto da CarmillaLilith su efp
Questo è il link: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10338285
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi fa piacere dedicare questa storia a meiousetsuna, amica e fantastica autrice, che è di certo una delle maggiori esperte sulla faccia della terra di … ecco, se ve lo dico la storia si svela già tutta. Ma lei di sicuro capirà a cosa mi sto riferendo.
Buona lettura e grazie a chi avrà voglia di leggere e lasciare un suo parere.
 







 
Di sangue e d’ombra
 
Prologo
 
Era una notte di cristallo e di ghiaccio a New York City.
Sebbene non tirasse nemmeno un alito di vento, l’aria limpida pareva attraversata da innumerevoli lame aguzze che segnavano la pelle, irrigidivano il passo e trasformavano il fiato in sbuffi di vapore biancastro.
Nel cielo insolitamente terso brillava una luna piena e pallida, incredibilmente luminosa; l’atmosfera gelida e immobile rimandava i suoni, anche i più lontani, con impressionante chiarezza e la strada deserta - a causa del freddo e dell’ora tarda non c’era nessuno in giro - risuonava dell’eco dei passi dei detective Mac Taylor e Stella Bonasera che, dopo essersi trattenuti con i colleghi a bere qualcosa al Sully, si apprestavano finalmente a tornare a casa.
Lasciate le auto in un garage a una decina di isolati dal pub, avevano rinunciato a cercare un taxi e avanzavano a passo svelto, facendo scricchiolare l’asfalto gelato sotto le scarpe e di tanto in tanto guardandosi intorno meccanicamente - un gesto proprio da sbirro, considerò Stella con un sorrisetto.
Non c’era anima viva, sembrava di muoversi in un sogno attraversando un silenzio denso come acqua gelida: un silenzio irreale, nella città che non dorme mai.
Ogni ombra, ogni vicolo, ogni portone, per quanto familiari sembravano significare qualcosa che tacevano; in quell’atmosfera così strana, persino il vapore che saliva dai tombini verso l’alto, in spirali via via più sbiadite contro l’oscurità della notte, avrebbe potuto celare un che di spettrale.
Tuttavia i due poliziotti, grazie alle birre bevute e all’eco delle battute di Danny Messer, erano di ottimo umore e, rilassati e insolitamente ciarlieri, camminavano tenendosi sotto braccio, godendo della reciproca compagnia e della bella notte invernale; all’orizzonte si stava addensando una nebbiolina leggera che sembrava avvolgere il panorama in un velo trasparente, mentre qua e là scintillavano i bagliori della luce lunare riflessi sull’asfalto coperto di brina.  
A un tratto, dopo una svolta la luna comparve da dietro la cima di un palazzo, mostrandosi ai due detective in tutto il suo corrusco splendore.
“Accidenti!” si lasciò sfuggire Mac Taylor levando gli occhi al cielo: sebbene non si potesse certo definire un tipo contemplativo, tuttavia solo un cieco avrebbe potuto rimanere insensibile di fronte a uno spettacolo così suggestivo.
Stella ridacchiò, stringendosi di più al braccio del collega, e disse con voce volutamente ovattata: “Sai che quando la luna brilla di una luce così intensa può avere innumerevoli effetti sugli uomini: influisce sui sogni, sull’umore delle persone ed è il segnale di una straordinaria attività spirituale? Guarda!”.
Si fermò e con un sorriso gli indicò gli alberi di Stuyvesant Square Park, accanto al quale stavano passando in quel momento.
“Guarda” ripeté “la luna questa sera è piena di influssi magnetici e arcani: non vedi come le foglie brillano e luccicano sotto questo argenteo splendore, come se misteriose mani fatate le avessero illuminate apposta per rischiarare il nostro passaggio?”.
Mac sgranò gli occhi assumendo un’espressione di esagerato stupore e ribatté, trattenendo a stento una risata: “Come sei romantica, Stella! Solo una persona innamorata può fare di questi discorsi…”.
Si fermò anche lui un istante, la guardò in viso e aggiunse, in un tono che non tradiva tuttavia alcuna particolare emozione: “Già, ne sono sicuro: devi avere un amore nel cuore, anche in questo momento”. 
Non sono mai stata innamorata di nessuno e mai lo sarò” sussurrò Stella nel suo cuore “A meno che non si tratti di te”.
Per quanto si sforzasse di celare quel sentimento a tutti e per prima a se stessa - soffocandoli e ricacciandoli brutalmente indietro ogni volta che minacciavano di riemergere e di farle così perdere il controllo della vita che aveva messo in piedi con fatica -  l’amore per lui era sempre lì immutabile, davanti ai suoi occhi, impresso nel fondo della sua anima vecchia e stanca.
Fin dal primo momento del primo giorno in cui aveva messo piede negli uffici della Scientifica di New York, era stato così; da allora non era passato giorno senza che i suoi sentimenti si fossero arricchiti di nuovi motivi di stima e affetto nei confronti del suo capo, solo all’apparenza freddo e distaccato.
Quante volte, al contrario, aveva colto - solo lei, solo lei! - un tremito incrinare la sua voce solitamente ferma, o un velo umido passare dentro quegli occhi verdi che sapevano essere taglienti come una lama. I suoi sorrisi rari e fugaci, poi, le sue battute imprevedibili erano privilegi riservati esclusivamente a lei e a pochi altri; li ricordava tutti, uno per uno, e li custodiva nella sua anima come regali preziosi.  
Anche dopo la morte di Claire, quando gli era stata accanto aiutandolo a rimettere in piedi la sua esistenza straziata dal dolore e dai sensi di colpa, era sempre rimasta consapevole di quanto fosse senza speranza il suo amore; eppure, nonostante tutto ciò, non era mai stata capace di andarsene.
Sebbene fosse una sofferenza atroce reprimere quotidianamente ciò che provava, celandolo dietro lo schermo di una cameratesca amicizia, aveva preferito restare a New York e continuare a lavorare con lui dividendo il giorno, la notte e il respiro: meglio questo - si era ripetuta un’infinità di volte durante le sue nottate senza sonno - che stargli lontana, perderlo, non saperne più nulla.
E poi, aveva considerato, forse che un amore infelice non era una punizione fin troppo lieve per tutto il male che aveva fatto?
Forse che non aveva scelto di espiare in quel modo le sue passate nefandezze, come se Mac Taylor fosse un inconsapevole cilicio posto esattamente sul suo cuore?  
Stella fu confusamente agitata da questi pensieri, ma non rispose, limitandosi a contemplare a sua volta l’occhio pallido della luna, immobile sopra di loro.
Mac seguitò invece a fissarla, incapace di distogliere gli occhi da lei: com’era bella in quella luce argentata! Timido e strano era il suo sguardo quando, in fretta e senza nessun preavviso, gli si avvicinò e nascose il viso contro la sua spalla, con un sospiro che era quasi un flebile singhiozzo e stringendogli la mano nella sua, che tremava.
Il detective sentiva la sua morbida guancia ardere contro la propria e il suo alito stranamente freddo accarezzargli l’orecchio fino a provocargli un brivido; poi la donna si staccò da lui, repentinamente come gli si era avvicinata, e rimase a fissarlo con uno sguardo di fuoco.
Gli occhi come due tizzoni confitti nel volto pallido ed esangue: occhi pieni di passione, ma allo stesso tempo infinitamente dolenti. Mac vi si immerse, pur senza riuscire a scorgere ciò che era nascosto sul fondo.
Quanto tempo durò quell’istante sospeso che tutto promise e nulla mantenne? Troppo a lungo per non promettere, troppo poco per mantenere: a un tratto il tenente lanciò un grido di dolore e cadde in ginocchio, portandosi la mano alla nuca e ritraendola bagnata di sangue.
Stella si rese conto in una frazione di secondo che dall’oscurità di un vicolo laterale erano emersi tre uomini vestiti di scuro: uno aveva colpito Mac alla testa con una bottiglia, che si era frantumata nell’impatto e che adesso l’uomo stringeva per il collo brandendola come un’arma, mentre un altro puntava contro di lei un coltello la cui lama guizzava sotto la luce della luna.
Il terzo, che aveva sollevato il cappuccio della felpa grigia fino a nascondere parzialmente il viso, le gridò di tirare fuori il portafogli e di togliersi l’orologio e la catenina d’oro che portava al collo.
Stella rivolse lo sguardo a Mac, che giaceva ancora stordito al suolo, e scostò i lembi del cappotto per mostrare ai rapinatori il distintivo che portava agganciato alla cintura, sperando che la cosa li spaventasse e li convincesse a desistere da ciò che avevano in mente.
“Sono un poliziotto, state indietro!” disse con voce ferma, tentando di reprimere la preoccupazione per le condizioni dell’amico. Poi di scatto fece per piegarsi e afferrare la pistola fuori ordinanza che teneva legata al polpaccio, nascosta sotto i pantaloni, quando l’uomo incappucciato tirò fuori a sua volta una rivoltella argentata e la rivolse contro Mac.
“Merda!”pensò Stella mordendosi il labbro inferiore, mentre in un istante passava mentalmente in rassegna le diverse possibilità di reagire, rendendosi conto - proprio grazie alla sua esperienza - che si trovava in una situazione dalla quale difficilmente sarebbe riuscita a tirarsi fuori indenne.
“Non provarci nemmeno, bella” disse l’uomo “Se tocchi la pistola il tuo amico si ritrova all’istante con un buco in mezzo alla fronte”.
La poliziotta deglutì a vuoto e si bloccò istantaneamente: non poteva certo correre il rischio che sparassero a lui, che in qual momento non era in grado di difendersi. Doveva proteggerlo, questa era la sua priorità.
Quindi, sforzandosi di tenere a bada il panico e mantenere una calma almeno apparente, si raddrizzò e con cautela tirò fuori il portafogli, gettandolo poi per terra davanti ai tre. 
“Molto bene” esclamò quello che impugnava l’arma, che pareva anche il capo, e dopo aver gettato un’occhiata d’intesa agli altri due si avvicinò a Stella, passando accanto al portafogli senza degnarlo di uno sguardo.
La squadrò da capo a piedi con studiata lentezza, consapevole dell’orrore che stava attraversando la sua vittima; era chiaro che lei aveva già capito perfettamente ciò che le sarebbe accaduto e quella sensazione aveva il potere di eccitarlo in maniera animalesca. Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima.
Anzi, sì - considerò, umettandosi le labbra sottili piegate in un ghigno - adesso che ci pensava sarebbe stata la prima volta con una poliziotta… lei avrebbe di sicuro lottato e tutto sarebbe stato dannatamente divertente.  
“Avevamo un programma diverso per stasera” proseguì con un tono che a Stella fece ghiacciare istantaneamente il sangue nelle vene e facendo un cenno col capo ai compagni, che subito lo seguirono accerchiando la detective “Ma non credo che potremmo lasciarci sfuggire un’occasione del genere… che ne dite, amici?”.
Fecero un altro passo verso di lei e quello che impugnava il coltello allungò un braccio per afferrarla.
“F-fermi!”.
La voce di Mac risuonò meno ferma di quanto il tenente avrebbe voluto; ma in tutta onestà era già un miracolo essere riuscito a riaprire gli occhi e a rialzarsi in piedi, col sangue che gli colava ancora lungo la schiena e la vista che si appannava.
Puntò la sua pistola contro i rapinatori, ma prima che Stella riuscisse a tirare un sospiro di sollievo i due che erano più vicini a Mac gli erano già balzati addosso e lo avevano colpito brutalmente all’addome e al capo: non fu necessaria molta forza per metterlo fuori combattimento, già malconcio com’era.     
“Avanti” gridò a quel punto quello che teneva il coltello “Spara a questo bastardo! Così poi potremo divertirci in santa pace con lei…”
L’altro allungò il braccio verso il poliziotto riverso al suolo e tolse la sicura all’arma, preparandosi a premere il grilletto: ancora un istante e sarebbe stato troppo tardi.
Da quando era arrivata a New York e aveva deciso di entrare in polizia, Stella Bonasera aveva sempre temuto che prima o poi si sarebbe trovata in una situazione del genere.
Non aveva altra via d’uscita, doveva agire subito.
Anche se sapeva che le conseguenze sarebbero state devastanti.
Con un balzo felino, si interpose tra il corpo esanime di Mac e la pistola.
Alzò il viso verso i tre, levò su di loro uno sguardo glaciale e disse in tono straordinariamente calmo: “Andatevene. O sarò costretta a uccidervi tutti”.
La voce era piana e sottile, eppure riecheggiò nell’oscurità gelida della notte distorta come se per giungere fino alle loro orecchie avesse dovuto percorrere abissi di tempo e di spazio. 
Il suo volto aveva subito in una frazione di secondo una trasformazione che li allarmò: si era deformato e incupito, diventando orribilmente livido. Strinse i denti con un rumore che fece loro accapponare la pelle e serrò i pugni, mentre li guardava con intensità tale da volergli penetrare fin dentro l’anima. 
L’aria si era fatta d’un tratto opaca, pesante e se possibile ancora più fredda di prima, tanto che i tre uomini rabbrividirono in preda a un orrore improvviso, che non aveva nulla a che vedere con ciò che stavano per fare o con il fatto che avevano davanti uno sbirro.
Istintivamente e senza alcuna ragione apparente, indietreggiarono di un passo, anche se l’uomo col cappuccio seguitava a tenere sotto tiro Mac.
“Certo che, oltre a essere carina, hai anche un gran senso dell’umorismo, eh?” disse questi, cercando di nascondere sotto quella frase spavalda il brivido di inspiegabile terrore che lo aveva attraversato da capo a piedi.
Stella volse lo sguardo verso il collega ancora una volta, come ad accertarsi che fosse effettivamente privo di sensi, fece un passo verso di loro sempre guardandoli torva e ripeté solo: “Andate via!”.
Era ormai vicinissima e il suo alito freddo come l’aria esalante da una tomba colpì in viso l’uomo, facendogli perdere il controllo; stravolto dalla paura, volse l’arma contro di lei.
Tremando, gridò: “Adesso basta giocare!”.
Poi levò il braccio e la colpì con tutte le sue forze, ma Stella si divincolò e, illesa, lo afferrò col suo polso sottile. Il rapinatore si dibatté per liberarsi da quella stretta ma non vi riuscì; sgranò gli occhi per il terrore e lo stupore, domandandosi confusamente come fosse possibile che una donna tanto minuta potesse esercitare una forza del genere.  
Nel silenzio carico di tensione, il suono della sua ulna che si spezzava di netto - serrata in quella morsa femminea ma implacabile - fu udito distintamente da tutti i presenti, subito seguito da un lacerante urlo di dolore. Stringendosi il braccio fratturato e intorpidito come se fosse stato attraversato da una forte corrente elettrica, l’uomo indietreggiò e poi cadde a sua volta in ginocchio con un gemito. 
Mentre a quel punto il ragazzo che aveva colpito Mac con la bottiglia se l’era già data a gambe a tutta velocità, invece il terzo si scagliò contro Stella brandendo il coltello. Menò un fendente verso la sua gola con tutta l’energia che gli era rimasta, certo di non poterla mancare giacché le era vicinissimo, ma rimase paralizzato e incredulo quando davanti ai suoi occhi la donna si scansò in un lampo, veloce come una pantera, e senza alcuno sforzo apparente riapparve a qualche metro da lui, il volto deformato in una smorfia animalesca.  
Lo guardava passandosi la punta della lingua sulle labbra come una fiera che stia per saltare alla gola di una preda, con negli occhi un furore e una fame da troppo tempo repressi.
Poi gli si avvicinò lentamente, mentre dai suoi occhi emanava come un sottile magnetismo che lo paralizzava, impedendogli di muoversi e fuggire: lo fissò per un istante e lui fu certo che l’avrebbe ucciso.
Invece Stella repentinamente distolse lo sguardo da lui e nel medesimo momento - interrottosi il flusso energetico che lo legava - l’uomo corse via pazzo di terrore, fermandosi solo il tempo necessario per aiutare il compagno ferito, che gemeva sommessamente come un bambino tenendosi il braccio, a tirarsi su e a infilarsi il più velocemente possibile nel vicolo dal quale erano sbucati.
La poliziotta respirò profondamente, cercando di riprendere il controllo di sé, i pugni serrati e gli occhi fissi sull’asfalto ghiacciato. Ciò che aveva fatto era sbagliato: inevitabile per salvare se stessa e l’uomo che amava, ma senza dubbio sbagliato.
Ma la cosa più terribile era ciò che aveva provato, mentre artigliava il braccio di quel bastardo o fissava l’altro imprigionandolo nelle sue spire come un serpente a sonagli un topolino: non paura, né senso di colpa, bensì unicamente piacere.
Il piacere profondo e torbido dell’infliggere dolore a una creatura vivente.
Quel piacere selvaggio che aveva il gusto acre della sopraffazione.
Solo una cosa avrebbe reso perfetto il suo godimento, ma di quella era riuscita - sia pure con immenso sforzo - a privarsi di nuovo.
Adesso era ancora stata in grado di controllarsi; ma la prossima volta ce l’avrebbe fatta?
Il sangue le correva tumultuoso nelle vene, mentre il suo corpo era ancora scosso da brividi: troppo a lungo represso, il mostro dentro di lei tornava ad agitarsi.
La bestia che per lunghissimi anni era riuscita a seppellire era stata alla fine risvegliata.

  
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