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Autore: Blusshi    02/12/2012    1 recensioni
La potente stella Deneb e il pianeta Uolo si detestano, è in corso la loro seconda guerra.
Uolo si vendica di Deneb che tempo prima lo rase al suolo e rapisce i civili denebiani, deportandoli come schiavi o trucidandoli in massa.
Zara, una bellissima bambina, assiste alla morte della zia e insieme al cuginetto Peter viene trasferita su Uolo, dove l'aspettano un clima insopportabile, ostilità e duro lavoro.
Toccherà a lei cercare di sopravvivere alla guerra, che perpetra feroce e brutale e alle angherie dei uolesi.
Ma i nemici sono tutti mostri, tutti uguali, o Zara troverà qualcuno disposto a tenderle la mano?
Sarà forse l'antica alleanza tra la regina di Deneb, sua madre, e Uolo che l'aiuterà salvare la sua vita e quella dei suoi cari?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Mi sentivo le cose ammassate dentro la testa senza ordine.
Eppure per un attimo mi era sembrato che tutto fosse finito…
Ma no! Me lo volevo io: avrei potuto subito tornare a casa, ma dannata la mia troppa sensibilità…
Ecco, se fossi stata una menefreghista sarei partita subito, sena indugio, senza stare lì a pensare al povero Peter.
Mamma mia, se penso a lui piango.
E se avessi scoperto che era morto durante il periodo che avevamo trascorso separati?
Io gli volevo un bene dell’anima, per me era come un fratello…anzi, penso che avessi più cose in comune con lui che con i miei fratelli che per me erano troppo grandi.
Volevo bene anche a Milly, la sorella di Peter. E anche alla zia Lela.
Però non dovevo farmi prendere dall’ansia e fare la sciocca: Ulai mi stava offrendo la possibilità di ritrovarlo!
Ulai…che dire di lei?
Mi guardava sempre in modo strano, come se mi studiasse.
Inoltre mi faceva delle domande in continuazione: chissà cosa voleva da me…
Avevo fatto bene a fingere di essere Martina Webb: una volta ritornata a casa quella vermona avrebbe perso le mie tracce.
Ci era mancato poco, una volta, che mi scoprisse: aveva continuato a chiamare “Martina! Martina! Martina!”
E io avevo continuato a non risponderle.
Mi aspettavo davvero che iniziasse a urlare “Zara! Zara!”?
Decisamente no.
Me ne ero ricordata per miracolo.
Ulai era l’unica uolese con cui ero riuscita a parlare da persona civile e le avevo chiesto perché ad un certo punto diventava tutto buio: era da quando ero arrivata che quella cosa mi spaventava tantissimo, anche se sapevo che era solo su Deneb (che è una stella) che c’era sempre la luce.
Infatti anche la Terra è un pianeta, come Uolo, e anche là la luce va e viene; questo me l’aveva detto la fidanzata di mio fratello, che è terrestre.
“Come intendi aiutarmi?” le avevo chiesto.
Non è che fossi proprio convintissima che dicesse sul serio.
Lei mi aveva detto che era una persona importante su Uolo, perché era la sacerdotessa suprema della dea.
Essendo influente, avrebbe chiesto al verme che aveva portato da lei i miei compagni e anche me di dirle che ne era stato degli altri.
Così avrebbe ordinato di mandarglieli per sacrificarli.
“Che ne dici, Martina, a te va bene?”
“Uhm…sì…”
Forse un altro dei miei difetti è che sono troppo diffidente; anche se era sempre stata la mamma a dirmi di non fidarmi degli sconosciuti.
 Mentre Ulai telefonava e cercava in giro io avevo dovuto rimanere al tempio con gli altri.
E che barba! Peter era mio cugino, io l’avrei salvato!
Non una vermaccia strisciante…
Ma non potevo uscire, ero una rifugiata e non potevo correre quel rischio: anche perché avrei messo in pericolo tutti.
E non mi sembrava il caso.
Un giorno andai ad osservare le facce nuove che erano arrivate da qualche giorno e fui contentissima di vedere qualcuno di familiare.
“MAX! Max, sei vivo!”
Corsi incontro a braccia aperte al mio amico della fabbrica.
“Ehi verdona! Come vanno le zecche?”
Era il Max di sempre, che gioia!
“Sei il solito stupido, ma dillo che sei contento anche tu di vedermi!” gli dissi, abbracciandolo forte.
Lo era, lo era.
Gli chiesi cos’era successo: dopo che io ero scappata, il verme della fabbrica li aveva tenuti ancora più sotto controllo, facendoli lavorare anche di notte.
Era arrabbiato, ma era contento perché credeva che io e gli altri fossimo già belli che sacrificati.
“Ma infatti: come fai a essere viva?” mi aveva chiesto Max.
E allora anche io gli avevo raccontato tutto. Anche della gentilezza di Ulai e dei suoi piani non troppo malefici.
“Fiuuh…avevo già una paura…”
Max era un dono del cielo: era sempre lui a togliermi i brutti pensieri, arrivava sempre nel momento giusto.
Anche se naturalmente non rinunciava a raccontarmi delle cose sceme.
E io ci credevo!
“Sai qualcosa dei mostri?”
Un pomeriggio stavo giocando con dei fiori ciccioni che crescevano nel giardino di Ulai.
Ahah! Ulai, cicciona. I suoi fiori, ciccioni!
Max era venuto da me e mi aveva raccontato tutto sui mostri.
Beh, sapevo già che mangiavano la gente e che vivevano nelle caverne, che erano grossi eccetera eccetera…
No!
Quello scemo era riuscito a tirare fuori che io ero un mostro!
Sì, perché ero in grado di fare quelle cose che lui si sognava e basta.
“Ah, sei geloso allora?”
Era imbarazzante, ma io da piccola avevo avuto una grandissima paura dei mostri e pensavo che casa mia ne fosse piena.
In cameretta erano sotto il letto, nel letto, dietro le tende, nella cesta dei giochi ,negli armadi, dietro la porta, sul balcone: tutte le volte che di notte sentivo un rumore, mi svegliavo e scappavo fuori piangendo.
E poi andavano in giro per i corridoi e si rintanavano nei posti dove la gente passa poco, come le cantine e i piani più alti.
Avevo paura pesino a tavola, perché siccome di solito la tovaglia era lunga lunga fino a terra e io pensavo che sotto potessero nascondersi dei mostri.
Negli ultimi tempi però il mio concetto di mostri si era ristretto ai uolesi: sì, i uolesi erano dei brutti mostri, tutti tranne Ulai.
Già, Ulai.
Finalmente era ritornata con tutti gli schiavi delle fabbriche.
“Ti prego vieni con me!” avevo preso Max per la tunica e l’avevo costretto a seguirmi.
“Ascolta, adesso guardiamo se c’è Peter…”
Max era più grande di me, aveva dieci anni, quando stavo con lui mi sentivo al sicuro, avevo meno paura.
“Martina…Martina! Vieni qui!” sentii Ulai che mi chiamava sottovoce, ma non l’ascoltai e continuai sulla mia strada.
Arrivai nella stanza piena di gente imbambolata, che mi fissava con aria stranita.
Una dopo l’altra, guardai attentamente tutte le facce dei bambini.
Ti prego, fa che non sia morto, fa che non sia morto!
Sentivo il mio respiro corto, man mano che andavo avanti a scannerizzare quelle facce. Nessuna era quella di Peter.
“Ynas, sono tutti qui?” mi accorsi, quando parlai con una novizia di Ulai, che stavo per piangere.
“Tutti: non ne abbiamo trovati altri…”
Cominciai a riguardare tutti i bambini, ma questa volta ero frenetica, con le lacrime che mi impedivano di vedere bene.
Stavo perdendo il controllo e non lo sopportavo: un mio punto di forza era che sapevo restare sempre calma e impassibile.
Peter! Il mio Peter!
Corsi via alla velocità della luce; non volevo che gli altri mi vedessero piangere e pensassero che ero una bambina capricciosa e viziata.
Entrai nel dormitorio e mi buttai sul mio letto, piangendo in una volta sola per tutte le volte che mi ero trattenuta.
Lo sapevo, lo sapevo! Avrei dovuto prendermi cura di te! e invece…Ti ho fatto morire…
Mentre ero lì a maledirmi e a ripetere che Max aveva ragione, che ero davvero un brutto mostro, che ero un essere spregevole e disgustoso e tutte queste cose, non feci caso alla porta che si apriva.
“Zara perché piangi?”
No, sto diventando tutta matta: adesso sento anche la sua voce…
Una volta avevo sentito una fiaba dove c’era una ragazza che non mi ricordo perché, ma alla fine moriva e diventava schiuma del mare.
Ecco, mi sentivo talmente male, talmente in colpa che avrei potuto sciogliermi da un momento all’altro e diventare schiumetta.
Sì, voglio morire! Così andrò da Peter e gli chiederò scusa!
Sentii qualcuno che si sedeva sul letto.
“Max…”
Mi girai a pancia in su per abbracciarlo, ma la persona che era vicino a me non era Max.
No, assurdo!
Vicino a me c’era mio cugino: i capelli ormai erano quasi ricresciuti come prima del taglio della fabbrica, sulla faccia c’era qualche cicatrice, era un po’ sciupato.
Lo abbracciai fin quando non mi implorò di lasciarlo respirare.
“Oh, Peter, mi faccio schifo…ti ho abbandonato”.
Anche lui ricambiò l’abbraccio: “Dai Zarina non dire queste cose! Anzi, se non ci fossi stata tu, sarei morto da tempo”.
Restammo a chiacchierare tutta la sera, fin quando entrò Max, tutto eccitato:
“Peter, Zara, una bella notizia: Ulai ci farà partire la settimana prossima!”
La settimana prossima?
“Sul serio! Oh, che bello, che bello!”
Presi Max e Peter per mano e iniziai a girare come un’idiota: ero fuori di me dalla gioia.
Casa, casa!
Avrei rivisto i miei genitori, finalmente!
Chissà quanto erano preoccupati per me…sempre che non mi credessero già morta.
Mancava solo una settimana…e io mi facevo già dei film: sì, una volta a casa avrei chiesto se Peter avrebbe potuto stare da noi, e forse anche Max…
“Verdona, non so se lo sai, ma anche io ho una famiglia. Tranquilla.” Mi disse una volta. Oltretutto viveva molto lontano da me, dall’altra parte di Deneb.
“Ma fa niente, ci sentiremo lo stesso e ti racconterò altre cose sui tuoi parenti…”
“IO TI AMMAZZO!” volevo scherzare, ma gli avevo dato una botta così forte da fargli venire un lividone.
Peter mi aveva abbracciata: “Oh Zara sono così felice che tu sia rimasta sempre la solita!”
E come dargli torto? Anche io mi sarei sentita morire a vedere la faccia di Peter stralunata e persa come quasi tutti i bambini.
 
Ero così grata ad Ulai.
Sarei subito andata da lei per ringraziarla di avermi aiutata, per aver salvato Peter e per il viaggio di ritorno su Deneb.
Ed ero contenta, perché mi aveva detto che voleva assolutamente parlare con la mamma: io le avrei detto che era merito suo se ero viva e forse forse…avrebbero fatto qualcosa per far finire la guerra!
Che bello…
Ero talmente felice che anziché camminare saltellavo.
Da un po’ Ulai diceva di non sentirsi bene, ma l’avrei disturbata solo per poco…
Quando entrai nella sua stanza, la trovai distesa per terra, dentro un lenzuolo.
“Ulai! Che ci fai per terra? Ascolta…”
“Martina! Ah, sei arrivata…” Ulai mi interruppe, parlando con voce fioca “Vieni, vieni qui vicino…”
Deglutii: non era una voce da Ulai.
Mi stai prendendo in giro? Guarda che io mi preoccupo!
“Lo sapevo che saresti venuta…”
Mi sedetti per terra accanto a lei, ma quando si voltò a guardarmi, mi sentii rattrappire le budella.
Quegli occhi non avevano nulla di vivo: semichiusi, con uno strato lattiginoso che li ricopriva.
E il modo in cui respirava…sembrava quasi morta.
“Martina cara, ascoltami: tra poco tornerete a casa, è già tutto pronto. Le novizie vi accompagneranno…”
“Ulai, ma che dici? Devi venire, l’hai detto anche tu!”
Lei provò a sorridere.
Mi sembrava invecchiata di colpo, la faccia che era una ragnatela di rughe: “Mi dispiace, Martina…ma non penso…”
“No, dai…” mi sentivo angosciata, anche io respiravo male.
E allora? Se sto così…vuol dire che mi sono affezionata?
“Tuttavia…non potrei mai morire lasciando incompiuta una cosa tanto speciale…”
Ulai stava morendo…
In quel momento mi sentii di fare io un passo verso di lei: Ulai ne aveva fatti tanti.
Stava per morire, e glielo dovevo.
“Ulai aspetta! Voglio che tu sappia come mi chiamo: il mio vero nome è Zara”.
Lei spalancò gli occhi lacrimosi. Poi protese verso di me i tentacoli, accarezzandomi faccia e capelli.
“Ah, Zara…sapevo che eri tu!” mi fece un sorriso compassionevole “…tu hai i suoi occhi, il suo coraggio…”
Presi in mano un suo tentacolo e lo strinsi.
“Per cui…c’è una sola cosa che voglio dirti…” fece una pausa, stringendo le mie mani “…sii sempre te stessa! Non far spegnere mai il fuoco che arde in te! Sii sempre grande! Oh, che la dea ti benedica…”
No, non deve morire! Lei deve continuare…a salvarci…
Dopo avermi parlato per l’ultima volta, Ulai mi chiese di lasciarla sola: su Uolo era un diritto dei moribondi, in modo che niente potesse ostacolare la strada allo spirito.
Chiese anche che, dopo la sua morte, la bruciassimo sul fuoco purificatore della dea.
L’abbracciai con tutto il mio affetto, una volta per tutte.
“Zara…sei…bellissima!”
Mi sorrise fra le lacrime, mettendomi in mano un sacchettino.
E così, anche un’altra persona buona se ne va…perché? È tutto così sbagliato…
 
 
L’astronave diretta su Deneb era piena dei bambini del tempio, anche gli ultimi sottratti alle fabbriche.
Tutti gridavano, cantavano, erano incollati ai finestrini.
Le novizie erano tante, ma non potevano nulla contro l’eccitazione generale.
“Ehi, Zarona, non ti siedi?”
Quello stupido di Max, stravaccato su una specie di poltroncina, stava scherzosamente facendo il lavaggio del cervello a Peter, in modo che stesse a distanza di sicurezza da me.
“Pensa che una volta l’ho vista sputare fuoco!” sentii Peter sussurrare.
Max rise: “LO SAPEVO! Aveva tutte le carte in regola del classico mostro sputafuoco!”
Non avevo tanta voglia di giocare.
Presto sarei tornata a casa, a casa mia. L’orrore di Uolo era finito.
Tuttavia non riuscivo a non pensare a Ulai, alle sue ultime parole, al pettinino di cristallo che mi aveva dato prima di morire: era a forma di cigno, bello, trasparente.
Era della mamma.
Forse Ulai voleva che capissi che aveva pagato il suo debito, che aveva giocato il gioco dello strascico della guerra come esattamente aveva fatto la mamma con lei.
Dicendomi di restare sempre me stessa mi aveva pregata di continuare sempre ad essere l’eredità di mia madre.
Mentre l’avevano bruciata, tutti pensavamo una cosa sola: era davvero una grande eroina. Non l’avrei mai dimenticata; chissà, forse il ciclo di sarebbe ripetuto e in un domani sarebbe toccato a me salvare qualcuno.
Ma sarebbe stato in un futuro lontanissimo.
Ora ero grata e felice, in un’astronave che mi avrebbe riportata a casa.
Il portellone si chiuse sopra di noi.
E io risi, risi di gioia e di eccitazione, mentre l’astronave sfrecciava via, veloce come un ottovolante.
   
 
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