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Autore: Nina Ninetta    03/12/2012    3 recensioni
*IN PAUSA*
Questa è una storia che ho scritto un pò di tempo fa e vorrei riproporla qui. Narra le vicende di personaggi come Nina Williams, Jin, Kazuja, Xiaoyu, ma anche Squall, Quistis, Yuna, Rikku, uniti per affrontare un nemico comune, Heihachi Mishima, e i loro nemici di sempre ...
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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LONDRA

La ragazza sollevò il braccio dal bancone, la mano affusolata e distesa colpì l’uomo dietro di se, il quale si era avvicinato un po’ troppo e ghignando. L’uomo, sulla quarantina, si accasciò al suolo, privo di vita:l’osso del collo si era rotto in seguito al micidiale colpo della donna. Nel locale cadde il silenzio.
Un tempo era stato forse uno dei pub più frequentati, ma ora ne rimaneva solo un vecchio bancone, con dei vecchi tavolini e un vecchio angolo, riservato in passato ad una qualche band musicale.
Finì la sua bevanda e il rumore della tazza che si poggiava sul banco interruppe per un secondo il mutismo, quindi fece scivolare una banconota e disse al barman, senza guardarlo in viso, che poteva tenersi il resto. L’uomo assentì con un cenno del capo: era pietrificato. Delle volte, in tarda serata, quella donna gli si presentava al bancone, chiedendo del te con una goccia di latte, pagava e andava via. Sempre sola, senza mai dare corda a nessuno, neanche a coloro che le si avvicinavano con l’intento di chiudere la serata in un qualche squallido letto di motel o, peggio ancora, in un bagno con le pareti sudice e impregnate dell’odore di urina. Bella come una dea, quella sera si era rivelata anche mortale come una divinità.
La ragazza scese dallo sgabello, afferrò il cappotto che giaceva accanto ad essa e lo indossò prima di aprire la porta e abbandonare il locale. I presenti osservarono ogni suo movimento fino a quando non scomparve nel buio della notte.
Alzò gli occhi verdi al cielo: una, due, tre stelle…nubi, nubi e ancora nubi. In lontananza una saetta illuminò il cielo corvino. Una folata di vento e d’istinto si strinse nel caban nero. S’incamminò rasentando il muro a sinistra, le mani ben salde nelle tasche del cappotto, lo sguardo puntato davanti a se, fiero e orgoglioso. L’aria era densa di fumo, le industrie erano in attivo anche di notte. Una macchina sfrecciò nella carreggiata centrale, ma lei non vi badò. Aveva altro per la testa…o per lo meno si sforzava. Qualche anno prima un incidente l’aveva trattenuta nell’altro mondo per tre mesi circa e, al suo risveglio, la mente era completamente vuota. Nell’ospedale dove era rinvenuta, accanto al suo letto, quando aveva aperto gli occhi, non vi aveva trovato nessuno. Durante il periodo di riabilitazione una donna le si era presentata, di punto in bianco, sostenendo di essere sua sorella. Da quel momento una rabbia irrefrenabile l’aveva assalita, un odio profondo contro quella ragazza, di un paio di anni più piccola di lei. Tuttavia, dopo quell’incontro qualcosa le era tornata in mente: il suo nome e la sua professione. Nina Williams: assassina.
- Ehi, Barbie!- la voce roca e impastata di fumo e alcool si alzò alle sue spalle, l’uomo attese che la donna dai capelli chiari si voltasse prima di proseguire – Sei stata cattiva prima, hai ucciso uno dei miei amici- alzò l’indice scuotendolo mentre le labbra si allargavano in un sorriso cinico – Non si fa! La mamma non te l’ho ha inseg…-
Con un che di superficiale la giovane donna tornò a guardare davanti a se, proseguendo per la sua strada. L’espressione sul viso era completamente amorfa. I tacchi degli stivali presero a far echeggiare il consueto toc-toc toc-toc.
L’uomo grugnì rabbioso, si scaraventò su di essa, attanagliandole il collo e sbattendola contro il muro. Strinse ancora un po’, fissandola diritto negli occhi, quelli occhi privi di espressione ma meravigliosi, del colore del mare in agitazione.
Digrignò mostrando alla donna una sfilza di denti gialli e corrosi dal fumo. Aveva sopportato anche troppo. Sollevò di scatto il ginocchio destro, l’espressione dell’uomo mutò, gli occhi gli si riempirono di lacrime e si accasciò ai piedi della ragazza, le mani a coppa sui genitali. Nina lo oltrepassò, quando un fischio debole fu seguito da un altro, forzato, ma con maggiore vigore. Un rumore di catene inebriò l’aria.
L’atmosfera continuava ad essere intrisa del vapore emanato dalle grandi industrie. Questa volta la ragazza si arrestò di sua volontà e lanciò un’occhiata alle sue spalle. Un gruppo di omoni barbuti e tatuati aveva affiancato l’uomo, che adesso a stento riusciva a mettersi in piedi. Quanti ne erano? Cinque o sei? Il numero era fattibile! Un paio avanzarono, maneggiando una catena quello a destra e un manganello l’altro a sinistra. Nina ora si era voltata completamente verso gli omoni, inevitabilmente un sorriso sarcastico le incorniciò il bel viso dalla carnagione chiara. Con un gesto fulmineo si liberò dell’ingombrante cappotto, il quale scivolò ai suoi piedi. Una maglia nera a collo alto le aderiva all’addome e al seno, entrambi perfetti, mentre a coprire la parte inferiore, o per lo meno fin sopra il ginocchio, c’era una gonna scura, quindi delle calze dello stesso colore e un paio di stivali alti fino al polpaccio. Distese le braccia, allargò le gambe posizionando la destra leggermente più avanti di quella mancina. Bene, era in posizione di attacco, fece segno con le dita di avvicinarsi. I due ciclopi, con un urlo sovrumano, si fiondarono verso di lei. Nina deviò a sinistra, l’omone con il manganello si ritrovò ad abbracciare il vuoto, lei le passò un braccio intorno al collo, un tac e l’uomo barbuto si accasciò ai suoi piedi, privo di vita, con occhi spalancati e vuoti e la bocca contorta in una smorfia di dolore. L’altro omone guardò prima il suo amico disteso sul freddo e polveroso marciapiede, quindi sollevò fin sul capo la catena, emanò un urlo grottesco, molto più simile a quello di un animale che di un essere umano, e si tuffò contro la bella ragazza. Quest’ultima afferrò la catena con la mano destra prima ancora che potesse colpirla, l’uomo sembrò entrare in una specie di trance. Osservava la ragazza, era riuscita a bloccare la sua arma, lei approfittò della temporanea mancanza di attenzione e gli fu addosso: una serie di pugni nella bocca dello stomaco, quindi un calcio e fuori due. Il barbaro volò all’indietro atterrando sul cemento, sul quale una pozza di color carminio iniziava a distendersi. In lontananza i rintocchi di una campana: mezzanotte. Un <> si elevò nell’aria, era stato l’uomo che aveva dato inizio a tutto ciò.
Nina ipotizzò che dovesse essere il boss di quella banda di king kong, giacché con un solo suo gesto il resto della compagnia la circondò. Ad occhio e croce dovevano essere circa una decina, una dozzina massimo. Rimase dov’era, nella sua posizione di attacco/difesa.
Nata in Irlanda, la sua infanzia era stata una favola, fin quando…fin quando cosa? Possedeva solo pochi e disordinati ricordi della sua vita passata: l’odio verso la sorella era uno di questi.
Poi cosa più? Sapeva solo che i suoi genitori erano morti, era andata a visitare le lapidi, e che…qualcuno alle sue spalle tentò di coglierla di sorpresa. Non ci riuscì. La donna ventiquattrenne si abbassò, falciò le caviglie con un colpo di gamba e l’omone si ritrovò supino sbarrando gli occhi quando la donna che lo sovrastava estrasse, tirandosi leggermente su la mini dalla coscia sinistra, un pugnale, retto da una giarrettiera. Si chinò su di lui per colpirlo al cuore, ma questi rotolò di lato, evitando l’impatto mortale.
- Ehi!- il capo banda attirò l’attenzione su di se. Aveva il braccio proteso in avanti, nella mano la canna di una pistola puntata contro la donna. Le fece cenno di gettare il pugnale. Obbedì. Il boss avanzò lentamente, sogghignava.
Dietro di lei si stava aprendo un varco, mentre inesorabile indietreggiava. Ancora uno, due, tre passi e, la già fioca luce emanata dai lampioni che a stento restavano accesi, scemò. Si guardò furtivamente intorno, solo imponenti pareti macabre. Accidenti a lei! Era entrata in un vico! Inviò una fugace occhiata: oltre le spalle il buio. La voce dell’uomo che le stava con il fiato sul collo attirò quello sguardo gelido su di sé, sostenendo che quello era una via priva di uscita. Gli credeva. Arrestò il suo indietreggiare: era qualcosa che le nasceva da dentro, qualcuno molto probabilmente le aveva insegnato che scappare, dinnanzi al pericolo, equivaleva alla vigliaccheria e lei non peccava certo di ciò.
Assassina fredda e priva di coscienza aveva svolto diversi lavori sporchi, era entrata persino nella grazie dell’imprenditore più potente del mondo, il quale l’aveva contatta spesso per eseguire mansioni da lui dettate. Peccato che alcune non era riuscita a concluderle… Ma questa è tutt’altra storia! Uno scatto e fu di nuovo nella posizione di lotta, la canna puntata minacciosamente su di lei. Subitaneo un rombo, la canna dell’arma da fuoco fumante e un grido sommesso, intanto, moriva in fondo alla gola della donna. Nina era ginocchioni, la mano destra stretta sulla spalla sinistra, rivoli di sangue gocciolavano sul terreno, lungo l’arto. Il viso era contratto in una smorfia di dolore, la ragazza combatteva per non urlare. Il “re dei barbari” teneva un sorriso cinico che si nascondeva tra la barba, passò la pistola ad un compagno sulla sinistra, quindi avanzò, chinandosi a sua volta sulle gambe per poter guardare il viso candido, ora più che mai, della ragazza irlandese. Lei non contraccambiò lo sguardo, si ritrovò tuttavia ad osservarlo quando le afferrò il mento tra l’indice e il pollice, sollevandolo:
- Non avrei voluto tesoro, credimi, mi ci hai costretto. Io odio prendermela con le donne, non è così ragazzi? – risa e fischi generali tra gli spettatori, per la serie “tutto muscoli e virilità, senza cervello” - soprattutto se belle e ribelli, ma tu…- sospirò scuotendo il
capo a destra e a manca, fece per proseguire il discorso, quando qualcosa di vischioso gli si appiccicò sulla guancia mancina. La fissò, adesso il suo sguardo era mutato, dal cinismo era passato a collera pura. La ragazza dal canto suo lo guardava, anche i suoi occhi erano mutati, nel verde marino si rifletteva fierezza e non più il dolore di pocanzi. Sempre tenendola per la mascella la costrinse a mettersi in piedi, con un urlo animalesco la sospinse contro la parete, quella sulla destra. Si ripulì la guancia dalla saliva con il dorso della mano, poi un ceffone e la ragazza si puntellò sul muro, inviando uno strillo. La spalla gettava sempre più sangue. Iniziò ad avere il fiatone, il cuore prese a pulsarle come un pazzo. Di nuovo l’omone le afferrò il viso e la voltò verso di sé:
- Che c’è, puttana?! Le cose ti girano storte!- sollevò di nuovo il braccio, la ragazza serrò gli occhi, d’istinto, pronta a riceverne un altro, che mai giunse.
Sollevò la palpebre lentamente e attraverso un velo di appannamento, intravide una figura muscolosa trattenere il polso del boss, serrato in una mano. Con una spinta lo allontanò, posizionando gli arti come il suo stile di lotta prevedeva, per iniziare una battaglia.
Nina lo guardò per un ultima volta, il grido del capo barbaro che si lanciava contro la sagoma le giunse ovattata:
- Kazuja …- sibilò, prima di perdere i sensi.
Poi il buio.
 

  
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