"Per Daidouji. Grazie per il suo prezioso aiuto, per i discorsi su Cicerone e
sulla letteratura latina. E anche per il
conforto."
Vivamus mea
Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis. […]
Cornelius Caramell era ben cosciente di
una cosa: non aveva mai avuto una fervida immaginazione. Per quanto si
sforzasse, non c’era mai stato niente da fare. Quando i suoi coetanei uscivano
nel cortile della scuola per ammirare le nuvole, lui vedeva, rispettivamente,
una nuvola. Una nuvola. Una nuvola. E un’altra nuvola. Il che, comunque, faceva
apparire il tutto piuttosto noioso. Dunque, dopo aver tormentato la propria
mente per qualche minuto, tornava all’interno dell’istituto per dedicarsi ad
altro, lasciando perdere quei passatempi che avrebbero dovuto divertirlo, e che
invece l’annoiavano.
Cornelius Caramell sapeva anche un’altra cosa: non aveva
mai avuto una gran risma di amici. Poca fantasia, pochi
giochi da inventare, poche idee svergognate da proporre. E se trovava uno
spunto interessante, ne era così fiero che continuava
a riproporlo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, imperterrito in quella
sfilata auto celebrativa di cui era protagonista.
Ecco spiegato, con un breve gioco di logica e dinamica sociale, il motivo per cui spesso si era ritrovato
solo durante l’estate, a volare su una scopa nell’immensità del cielo. E
nemmeno da quella visuale, comunque, sapeva capire che
forma avessero veramente le nuvole.
Potevano essere tonde, vagamente triangolari. Solo una volta ne vide una a
forma di corona, una grande ed immensa corona da re. Ma forse riconobbe una corona perché voleva riconoscerla.
Perché affannarsi, si chiedeva, quando i veri sogni potevano facilmente
avverarsi rimanendo con i piedi ben per terra?
Infine, la terza cosa che Cornelius Caramell intuiva di sé
era la spiccata predisposizione ad insinuarsi tra le pieghe del potere
politico, pronto a saltar fuori non appena identificata qualche smagliatura.
Per quanto invisibile potesse essere.
Aveva giocato sul servilismo, sulla restituzione di
piccoli favori ingranditisi col tempo, su quel sorriso lezioso che spesso
sapeva svendere e svalutare anche all’uomo più vile. Cornelius Caramell, a dispetto
di quello che cercava spesso di far credere, non era un uomo stupido. Quando il precedente governo era crollato, tutti i movimenti
dei politici erano conversi sulla sua figura, così che salire al potere si era
rivelato relativamente semplice.
Vinta una battaglia, una corona sulla testa, il Ministro
si trovò a fronteggiare il nemico che da sempre aveva odiato.
- Guardi gli schedari, Cornelius? È strano, in un periodo
di crisi, vedere un Ministro tutto dedito a questi lavoretti. –
Lui. Gli occhiali a mezzaluna tagliavano l’iride
cristallina precisamente a metà, come se la pupilla fosse stata disegnata da un
pittore inesperto.
- Pensavo qui, da solo. –
- Il silenzio non aiuta a riflettere, Cornelius. –
- Ho sempre amato il silenzio. E’ sempre stato il mio
migliore amico. Ha saputo ascoltarmi, comprendermi, consolarmi, per quanto
immobile. Come puoi giurare una cosa del genere, Silente, e pretendere di
trovarmi d’accordo? –
- Non pretendo mai niente da nessuno. È solo che… -
- Sì? –
- Oh niente. Semplicemente, ho sempre ritenuto il silenzio
noioso. Capisci, non risponde mai… -
Lo odiava. Nulla di più, e nulla di meno. Silente sapeva
sempre metterlo in una difficile condizione di stallo emotivo, per cui non sapeva mai se tornare indietro, o osare un passo
in più. Semplicemente, Silente lasciava spazio per riflettere, trarre conclusioni.
Era solito dire che solo gli sciocchi non cambiavano
mai idea. In un certo senso, Cornelius Caramell aveva sempre preferito
definirsi coerente. I suoi cambiamenti di mentalità erano
spesso dovuti al mutamento di alcuni legami politici e, com’era facile
prevedere, affatto veritieri.
Lui credeva in se stesso e nel proprio potere.
E questo, per quanto limitante, gli
era sempre bastato.
- Grave crisi in ministero oggi. Sarai stanco, Cornelius.
–
Lui. La bocca era un sorriso perenne, appena sminuito
dalle pieghe agli angoli del viso. Non ricordava di averlo mai visto giovane,
eppure non riusciva a concepirlo come un vecchio.
- Infatti mi sto riposando. –
- Alla fine ai Goblin il denaro non è bastato? Pensavo avessi
raggiunto un… accordo. –
- Non capisco a cosa ti stia
riferendo, Silente. –
- Oh. Oh, beh, un vecchio come il sottoscritto a volte si
confonde. Eppure, mi pareva di aver immaginato… ah, la
stanchezza, che crudele amica. –
- Sarai stanco anche tu. –
- Già. Ma la coscienza non lo è.
Non lei perlomeno. –
- Silente? –
- Non ha pesi da portare, la mia. Oh, guarda come sono
vecchio. Parlo di sciocchezze ad un Ministro. Raggiungerò i miei adorati
ragazzi ad Hogwarts. Sono loro, l’eterna giovinezza. –
Coscienza. Cornelius Caramell non aveva bisogno di una
voce che lo disturbasse nei momenti più importanti,
che ne masturbasse la mente. Pertanto, senza alcuna esitazione,
si era semplicemente dimenticato di averla e l’aveva chiusa in chissà quale
parte del suo corpo, così che rimanesse silente.
Davvero. Se le nuvole non avevano
forma, perché doveva averne la coscienza? E la sua,
poi. Doveva essere vecchia, raggrinzita, storpia, ingobbita da tutti quei pesi
che si accumulavano dentro di lui, giorno dopo giorno.
Un Ministro poteva seguire due stili vita, egualmente dannosi: mettere in gioco
le proprie idee, combattere a costo della propria
poltrona; o più semplicemente, modellarsi sui giochi strategici di chi si
rivelava essere, suo malgrado, sempre più potente di lui.
Per quanto incredibile potesse
apparire, Cornelius Caramell li aveva provati entrambi.
Lui.
L u i .
I movimenti erano flessuosi e senza tempo, il naso
provocante eppure dolce, le mani capaci di strette possenti. Gli occhi. Gli
occhi erano vaghi e distanti, leggermente oltre la spalla sinistra del suo
interlocutore, proiettati verso chissà quale universo.
Cornelius Caramell sapeva bene cosa si provava a quello
sguardo.
Silente.
S i l e n t e .
Sulle orme dei grandi pensatori del mondo magico, aveva
argomentato tesi, sostenendo le proprie convinzioni con forza.
Le nuvole scorrevano libere nel cielo,
così come le sue parole fluttuavano nella stanza.
Le nuvole si scontravano producendo schianti
fragorosi, le sue parole trovavano fiere oppositrici.
Le nuvole si
univano, frenetico movimento di chiari scuri.
Le loro bocche
si toccavano, reciproco interesse per vedere fino a dove potevano spingersi le
parole.
Cosa importava, allora, se le nuvole
non avevano una vera forma?
Nuvole
[A B C]
[
Wanna talk, Cornelius? ]
Un
ragazzo guardava le nuvole. Istintivamente il capo si muoveva al ritmo di
chissà quale mutamento celeste, mentre i piedi, pigramente poggiati sul manto
erboso, ogni tanto si stendevano per poi tendersi di nuovo. Cercava qualcosa,
probabilmente, poiché tendeva costantemente la fronte in espressioni di muta
incomprensione.
Borbottava a se stesso, e riusciva persino a trovarsi
noioso.
- Cerchi qualcosa? –
Domanda inutile. Il ragazzo aveva teso un sopracciglio,
cortesemente. – Chiedo scusa? –
L’uomo, probabilmente sui trent’anni appena passati, gli
rivolse un sorriso gentile. – Pare evidente che tu stia cercando qualcosa. Altrimenti non saprei spiegarmi quel viso così teso. E’ una
così bella giornata. –
- Mi chiedevo che forma abbiano
le nuvole. –
- Domanda complicata. –
- Già. –
- Mi chiamo Silente. –
- Sono Cornelius Caramell. –
- Oh. – il viso dell’uomo si era
improvvisamente trasformato in un’espressione vagamente sorpresa. Gli occhi azzurri, acquosi,
mantennero comunque il loro alone d’imperscrutabilità,
come se nessuno avesse potuto capire mai cosa vi si nascondesse dietro, e
carpire così il loro segreto. – Quel Cornelius Caramell? –
- Temo di essere io. –
La risposta suonò forzata.
Io.
Io?
Semplicemente ed
unicamente io.
Me stesso.
Asse sintagmatico della mia stessa esistenza.
Io, signore e
padrone del mondo che avevo creato.
Davvero, io.
Non cedevo, volevo,
dimenticavo.
Io. Serbavo.
Rancore. Verso. Il. Mondo.
Lui.
Lui?
Lui non era mai
uguale.
Lui era come gli altri lo volevano.
Lui era cangiante,
ma solo all’apparenza.
Lui, signore e
padrone di un mondo a metà tra il reale e l’immaginario, dove schegge di
coscienza andavano piantandosi dentro le mura di
quegli universi, ferendoli.
Lui, immutabile
eppure diverso.
Non perdeva, non
lasciava, non ringhiava.
- Ti senti solo, Cornelius? –
La domanda era ampia, eppure rimaneva chiusa all’interno
di un preciso argomento: quando Cornelius parlò, sapeva esattamente a quali
elementi riferirsi.
Silente si apprestava ad ascoltare, sapendo bene ciò a cui
avrebbe dovuto ribattere.
Da un po’ di tempo, porsi domande e ascoltare risposte già
previste era diventato il loro trastullo quotidiano. Tentavano per quanto
possibile di capire quanto si conoscessero a vicenda. E se uno dei due non sapeva cosa aspettarsi alla fine di un punto
interrogativo, esternava il suo dubbio ad alta voce, così che l’altro potesse
sedersi più comodamente, e prendere a parlare. All’inizio, i dialoghi
erano tramutati quasi sempre in monologhi
introspettivi: Silente parlava, parlava. Cornelius faceva altrettanto. Ciascuno
esponeva pezzi della propria vita, ma solo riferendosi a ciò che l’altro in
quel momento voleva sapere. Infine, dopo un anno di attese
e di cortesi attenzioni, erano arrivati a conoscersi talmente bene da poter
immaginare dall’inizio alla fine quello che l’altro avrebbe detto.
E quando si stancavano d’azzardare
previsioni use al niente, uno dei due cominciava a cambiar prospettiva,
rimodellando idee e concetti secondo una diversa teoria. Lì, dove finiva il
concetto di divertimento e iniziava quello di sfida, non erano infrequenti le
discussioni.
Forti, violente discussioni.
L’accademia della Magia rimbombava, fremendo e tremando
senza interruzione. Le urla oltrepassavano senza difficoltà le mura della loro
stanza doppia e si diffondevano con una certa presunzione per tutto l’edificio,
insinuandosi ovunque ci fossero orecchie per ascoltarle. Lotte sul piano fisico
non ve ne erano mai, o forse erano coperte dal
frastuono delle loro ipotesi.
Per la verità, nessuno osava più aprire quella porta quando i due discutevano.
Eppure, non c’era mai stata una sola persona che non avesse approvato quelle discussioni dal punto di vista
teorico: perché c’erano due menti geniali una di fronte all’altra, pronte a
lottare fino allo spasmo per ottenere una vittoria, anche solo momentanea.
Ogni tanto, arrivavano i silenzi.
Erano il cruccio di tutta l’accademia, il dilemma intorno
a cui frotte di ragazze rimuginavano giorni e giorni,
il punto nevralgico che, a detta di tutti, avrebbe svelato la chiave per comprendere
come quei due potessero andare così tanto d’accordo, e non distruggersi a
vicenda.
- Non sono solo, se tu non mi fai
sentire tale. –
- E io lo faccio, ogni tanto? –
- Tu mi fai sentire solo, Albus? –
- Credo di sì. –
Quando sopra le loro discussioni
nascevano nuvole bianche in cielo, Cornelius tendeva a rinchiudersi dentro se
stesso. Era un problema che non s’era mai arrischiato a rivelare a Silente, se
non quando aveva i momenti di maggiore crisi affettiva.
Che senso avevano le nuvole, e che
forma?
Quel giorno gli era stato presentato il Ministro della
Magia tutt’ora in carica. Gli era sembrato un ometto
inutile, senza particolari difetti né aspirazioni. Non avrebbe portato il loro
mondo alla rovina, eppure aveva immediatamente capito
che non nemmeno l’avrebbe fatto evolvere. Semplicemente, il blando compromesso
che aveva fatto con se stesso contemplava un banale
annullamento del fattore rischio, così come dello spirito d’intraprendenza.
Se mai ne aveva avuto uno.
Cornelius intuiva la necessità d’una
personalità forte al potere, ma non sapeva con certezza se il mondo magico
avrebbe accettato d’esser messo in ombra e rappresentato da un unico singolo.
Il difetto dei maghi stava sempre nell’arroganza e nella presunzione d’esser
migliore degli altri.
Dunque, il Ministro Jhonsson – questo il
suo nome – aveva auspicato dei buoni rapporti con lui, e gli aveva stretto la
mano con uno sguardo particolarmente intenso. Cornelius Caramell aveva
immediatamente compreso il significato di quell’occhiata. Con buone
probabilità, il Ministro Jhonsson sperava che fosse lui a sostituirlo. Forse
vedeva in lui un personaggio brillante ma non eccessivamente preso
dal potere, un poco perso nelle proprie divagazioni teoriche.
- Spero che sceglierà bene le sue amicizie, Cornelius. –
Lui aveva inteso subito che quel basso ometto, che
insopportabilmente prevedeva d’aver capito tutto di lui, gli
stesse brillantemente suggerendo d’allontanarsi da Silente.
Era stato di ritorno da quell’incontro, che Silente gli
aveva chiesto quella cosa.
- Allora perché mi chiedi se sono solo, se sai bene che
sei tu, a farmi sentire tale? –
- Perché… -
Poi c’era stato uno di quei silenzi.
Cornelius non aveva mai capito quando
avesse oltrepassato il confine in cui tutto era permesso. Silente doveva saperlo ma ne faceva mistero, e gl’impediva di parlarne.
Pareva tutto avvolto da un imperscrutabile alone di mistero, che giocava a
rendere quel segreto conturbante.
Sempre più conturbante.
I silenzi, quei silenzi in cui
tutti amavano far confluire le proprie convinzioni, non erano altro che amorosi
e passionali baci fatti di promesse e desideri.
Davvero. Cornelius non aveva mai
capito dove fosse iniziato, quel gioco che prendeva i sensi e pareva tenerli
prigionieri nelle sue spire. Senza passione non c’era
esistenza, non c’era liberazione dell’anima. Il corpo rimaneva a terra.
Loro, lui, senza quei baci non era niente.
- Silente? –
- Di cosa ti ha parlato, quell'uomo? -
- Il Ministro? -
- Lui. -
- Di politica. -
- … e non ti senti mai solo,
quando sei con lui? -
Tutti avevano capito
che Silente era l'uomo della situazione, quello che bisognava o amare o odiare,
con cui non era possibile stringere un accordo a metà fra le parti. Non c'era
possibilità di ingannarlo, e nemmeno di essere ingannati. Silente non aveva
bisogno di ricorrere a vili trucchi per attirare consensi.
I suoi occhi
sapevano conquistarti in un lampo. I suoi argomenti schietti facevano il resto.
Il mondo magico era
sull'orlo di una di quelle scelte che ne avrebbe
modificato l'assetto per i prossimi venti, forse trent'anni.
Silente rappresentava il mondo nuovo, da scoprire.
Ma i maghi erano sempre stati
ciechi, troppo ciechi.
Non volevano
cambiare quello che avevano contribuito a creare. Non c'erano modi per mediare
questa loro condizione di superiorità apparente con cui spesso, troppo spesso
avevo avuto a che fare. Dunque, tre mesi dopo, io venni
eletto come nuovo Ministro.
Silente, per quanto
moderatamente soddisfatto, aveva fallito. Continuava a ripetere che non avevo
compreso.
Cosa, lo capii solo dopo. O forse, non lo compresi mai.
- Non avevo mai capito quel tuo guardare verso il cielo,
fino a che non ti avevo parlato, quel giorno. Ho scoperto che eri simile a me;
così simile che per un attimo, ne ero rimasto
spaventato. -
- Silente. -
Si erano trovati dopo anni in un giardinetto fuori dal mondo, nel mezzo delle corti, fra una riunione e
l'altra. Quando si ha bisogno di scappare si finisce
sempre in un luogo che si ha caro. Ed entrambi avevano
scelto quello.
- Miodio, Cornelius,
tu eri così simile a me, che per un attimo ho temuto
che anche tu… -
- Che anche io fossi ossessionato
da me stesso, dai miei pensieri? -
- … avevi un tale sguardo. -
Silente pareva come invecchiato all'improvviso. Come se l'essersi svegliato dopo una lunga apnea l'avesse
scaraventato ancora umido e inesperto in un mondo sconosciuto. Era un
mondo che aveva preteso di creare, ma che gli era sfuggito di mano.
- Io ero ossessionato da una sola cosa, Silente. Le
nuvole. -
- … -
- Tu non mi hai mai
risposto. Che forma hanno, le nuvole? -
- Alla fine, hai approvato quella legge. -
- Cosa centra, certo, certo, per
il bene della comunità -
- Cosa è cambiato, Cornelius? -
Piccoli uomini convinti di cambiare il mondo rimanevano
fermi, indecisi sul da farsi, continuando a non far
niente.
- Silente, non ti capisco a volte, che centra
ora la legge… -
- … tu
eri l'unico che poteva capire che le nuvole… loro, avevano forma di nuvole. -
- … -
- E invece, non l'hai capito mai. Volevi solo il mio amore, la
mia riconoscenza. -
- E non era abbastanza? -
- Non era
abbastanza. -
[…] et quod vides perisse perditum ducas.
Fulsere quondam candidi tibi soles […]
L'uomo alla fine è
rimasto da solo nella corte, a guardarsi alle spalle. Sente solo gli echi dei
propri errori, errori di un vecchio, ormai, che non sa più emergere fuori da quel mondo in cui si è improvvisato attore.
Il vecchio, dunque,
sorride e sospira.
Si lascia andare in
mezzo ai ricordi, e ancora immagina, e ancora s'illude.
Continuerà a
recitare.
[…] Qui nunc it per iter tenebricosum
illuc, unde negant redire quemquam. […]
Il ragazzo alla fine è andato via, e continua a proseguire
per la propria strada: delle mille domande che gli si affacciano nella mente,
ne scarta la maggior parte. Le altre, si perdono camminando. Dalle tenebre
della mente non si spera mai di fare ritorno, e Cornelius Caramell non desidera
altro, illuso, deluso, abbandonato.
Lasciatemi stare, pensa. Non lo urla, ma l'eco è violenta
nella sua testa.
Sopra di lui scorge l'ombra di una nube che elegante
scivola sulla sua, ricoprendola.
E d'improvviso gli appare chiara la
visione d'ogni cosa. Il mondo in cui Silente ha cercato di trascinarlo ha
regole e confini ben precisi, dove ciascuno può essere
quello che è, senza dover creare illusioni o false speranze.
Eppure lui non è mai riuscito ad
entrarvi, se non per poco.
Non sa il perché. Non l'ha mai capito,
non lo capirà mai.
La nube langue un poco nel cielo, sfuma in preda al vento,
ed infine scompare.
Fine.
Note di
post-fazione:
E' opinione comune (anche mia, per quel che ne so), che
una fanfiction, con i dovuti casi, debba
sapersi reggere in piedi da sola. Avere una fine, un inizio,
un corpo di trama che ne giustifichi gli eventi. Che sia un esempio di
coerenza narrativa, più o meno, personaggi
permettendo.
Qui invece mi permetto d'intervenire sui significati di
ciò che ho scritto. Per lo meno, vorrei cercare di farvi capire che cosa pensavo mentre buttavo giù l'idea originale di trama.
Come sapranno i più affezionati, questa fanfiction è nata come Caramell/Scrimgeour. Dunque, Caramell in posizione attiva, a volerla dire tutta. Prima
falla, la totale ignoranza che esibivo nei riguardi del povero passivo, Scrimgeour. Non sapevo nemmeno che forma avesse.
Dunque, poiché la sottoscritta impiega almeno un mese a delineare un personaggio originale decente - e in ultima
analisi, proprio di quello si trattava - mi sono costretta a ripiegare sulla
storia che sta qui adesso, pairing Silente/Caramell.
E automaticamente Caramell diventa passivo nella mia testa. Va bene tutto, ma
Silente passivo, ecco, direi che proprio non è nelle
peculiarità del personaggio.
Dunque, mi sono inventata questa.
Catullo apre e chiude la fanfiction.
Perché è il poeta a cui sono maggiormente affezionata
nel panorama della cultura latina, e fornisce inoltre preziosi spunti
romantici.
Parliamo della trama, dei risvolti
sentimentali dei personaggi, dei generi e degli stili. Non ho creato una trama
approfondita perché credo che il ritmo degli eventi sia scandito dalla maturazione
psicologica dei personaggi - e già ho fatto fatica a regolare quella,
figuriamoci°°
Per il resto, ho voluto fare qualcosa di confuso perché è
così che vedo il legame che li unisce, apparentemente saldo,
ma fondato su basi estremamente traballanti. Volevo qualcosa di effimero, perché no, proprio come una nuvola.
Per il resto, l'arco di tempo
impiegato per completare questa fanfiction è stato
lungo. Scuola elegiaca docet, suppongo, ma mai mi
sono dedicata così tanto al labor
limae. Ho cambiato l'ordine delle parole, sostituito
verbi con altri. E mi sono astenuta da termini
complessi, perché secondo me questa storia è fatta di pensieri, e i pensieri
sono dei miei personaggi sono dannatamente lineari.
Credo sia tutto. Spero.
RoSs
Le traduzioni dei pezzi di Catullo sono, in ordine:
Viviamo, mia
Lesbia, e amiamo,
e stimiamo quanto un singolo soldo
i rimbrotti
degli anziani bigotti.
E
quello che ti appare perduto, consideralo tale.
Una volta candidi soli avevano bruciato per te.
E ora quello se ne
va per un viaggio tenebroso,
là dove a tutti è negato il ritornare.
Note: non ho alcuna intenzione
di possedere Caramell e Silente, tanto più che
farebbero un gran casino, anche nascondendoli nell'armadio. Li lascio volentieri
alla volenterosa J.K. Bowling che ne detiene tutti i
diritti.
E benché mi frutterebbero parecchio
come clown, niente da fare: nonostante questa fanfiction,
rimango povera in canna.