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Autore: Lady Antares Degona Lienan    21/06/2007    2 recensioni
Le nuvole si univano, frenetico movimento di chiari scuri.
Le loro bocche si toccavano, reciproco interesse per vedere fino a dove potevano spingersi le parole.
Cosa importava, allora, se le nuvole non avevano una vera forma?
[Silente/Caramell]
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Per Daidouji. Grazie per il suo prezioso aiuto, per i discorsi su Cicerone e sulla letteratura latina. E anche per il conforto."

Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis. […]

Cornelius Caramell era ben cosciente di una cosa: non aveva mai avuto una fervida immaginazione. Per quanto si sforzasse, non c’era mai stato niente da fare. Quando i suoi coetanei uscivano nel cortile della scuola per ammirare le nuvole, lui vedeva, rispettivamente, una nuvola. Una nuvola. Una nuvola. E un’altra nuvola. Il che, comunque, faceva apparire il tutto piuttosto noioso. Dunque, dopo aver tormentato la propria mente per qualche minuto, tornava all’interno dell’istituto per dedicarsi ad altro, lasciando perdere quei passatempi che avrebbero dovuto divertirlo, e che invece l’annoiavano.

Cornelius Caramell sapeva anche un’altra cosa: non aveva mai avuto una gran risma di amici. Poca fantasia, pochi giochi da inventare, poche idee svergognate da proporre. E se trovava uno spunto interessante, ne era così fiero che continuava a riproporlo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, imperterrito in quella sfilata auto celebrativa di cui era protagonista.

Ecco spiegato, con un breve gioco di logica e dinamica sociale, il motivo per cui spesso si era ritrovato solo durante l’estate, a volare su una scopa nell’immensità del cielo. E nemmeno da quella visuale, comunque, sapeva capire che forma avessero veramente le nuvole. Potevano essere tonde, vagamente triangolari. Solo una volta ne vide una a forma di corona, una grande ed immensa corona da re. Ma forse riconobbe una corona perché voleva riconoscerla. Perché affannarsi, si chiedeva, quando i veri sogni potevano facilmente avverarsi rimanendo con i piedi ben per terra?

Infine, la terza cosa che Cornelius Caramell intuiva di sé era la spiccata predisposizione ad insinuarsi tra le pieghe del potere politico, pronto a saltar fuori non appena identificata qualche smagliatura. Per quanto invisibile potesse essere.

Aveva giocato sul servilismo, sulla restituzione di piccoli favori ingranditisi col tempo, su quel sorriso lezioso che spesso sapeva svendere e svalutare anche all’uomo più vile. Cornelius Caramell, a dispetto di quello che cercava spesso di far credere, non era un uomo stupido. Quando il precedente governo era crollato, tutti i movimenti dei politici erano conversi sulla sua figura, così che salire al potere si era rivelato relativamente semplice.

Vinta una battaglia, una corona sulla testa, il Ministro si trovò a fronteggiare il nemico che da sempre aveva odiato.

- Guardi gli schedari, Cornelius? È strano, in un periodo di crisi, vedere un Ministro tutto dedito a questi lavoretti. –

Lui. Gli occhiali a mezzaluna tagliavano l’iride cristallina precisamente a metà, come se la pupilla fosse stata disegnata da un pittore inesperto.

- Pensavo qui, da solo. –

- Il silenzio non aiuta a riflettere, Cornelius. –

- Ho sempre amato il silenzio. E’ sempre stato il mio migliore amico. Ha saputo ascoltarmi, comprendermi, consolarmi, per quanto immobile. Come puoi giurare una cosa del genere, Silente, e pretendere di trovarmi d’accordo? –

- Non pretendo mai niente da nessuno. È solo che… -

- Sì? –

- Oh niente. Semplicemente, ho sempre ritenuto il silenzio noioso. Capisci, non risponde mai… -

Lo odiava. Nulla di più, e nulla di meno. Silente sapeva sempre metterlo in una difficile condizione di stallo emotivo, per cui non sapeva mai se tornare indietro, o osare un passo in più. Semplicemente, Silente lasciava spazio per riflettere, trarre conclusioni. Era solito dire che solo gli sciocchi non cambiavano mai idea. In un certo senso, Cornelius Caramell aveva sempre preferito definirsi coerente. I suoi cambiamenti di mentalità erano spesso dovuti al mutamento di alcuni legami politici e, com’era facile prevedere, affatto veritieri.

Lui credeva in se stesso e nel proprio potere.

E questo, per quanto limitante, gli era sempre bastato.

- Grave crisi in ministero oggi. Sarai stanco, Cornelius. –

Lui. La bocca era un sorriso perenne, appena sminuito dalle pieghe agli angoli del viso. Non ricordava di averlo mai visto giovane, eppure non riusciva a concepirlo come un vecchio.

- Infatti mi sto riposando. –

- Alla fine ai Goblin il denaro non è bastato? Pensavo avessi raggiunto un… accordo. –

- Non capisco a cosa ti stia riferendo, Silente. –

- Oh. Oh, beh, un vecchio come il sottoscritto a volte si confonde. Eppure, mi pareva di aver immaginato… ah, la stanchezza, che crudele amica.

- Sarai stanco anche tu. –

- Già. Ma la coscienza non lo è. Non lei perlomeno. –

- Silente? –

- Non ha pesi da portare, la mia. Oh, guarda come sono vecchio. Parlo di sciocchezze ad un Ministro. Raggiungerò i miei adorati ragazzi ad Hogwarts. Sono loro, l’eterna giovinezza. –

Coscienza. Cornelius Caramell non aveva bisogno di una voce che lo disturbasse nei momenti più importanti, che ne masturbasse la mente. Pertanto, senza alcuna esitazione, si era semplicemente dimenticato di averla e l’aveva chiusa in chissà quale parte del suo corpo, così che rimanesse silente.

Davvero. Se le nuvole non avevano forma, perché doveva averne la coscienza? E la sua, poi. Doveva essere vecchia, raggrinzita, storpia, ingobbita da tutti quei pesi che si accumulavano dentro di lui, giorno dopo giorno. Un Ministro poteva seguire due stili vita, egualmente dannosi: mettere in gioco le proprie idee, combattere a costo della propria poltrona; o più semplicemente, modellarsi sui giochi strategici di chi si rivelava essere, suo malgrado, sempre più potente di lui.

Per quanto incredibile potesse apparire, Cornelius Caramell li aveva provati entrambi.

Lui.

L u i .

I movimenti erano flessuosi e senza tempo, il naso provocante eppure dolce, le mani capaci di strette possenti. Gli occhi. Gli occhi erano vaghi e distanti, leggermente oltre la spalla sinistra del suo interlocutore, proiettati verso chissà quale universo.

Cornelius Caramell sapeva bene cosa si provava a quello sguardo.

Silente.

S i l e n t e .

Sulle orme dei grandi pensatori del mondo magico, aveva argomentato tesi, sostenendo le proprie convinzioni con forza.

Le nuvole scorrevano libere nel cielo, così come le sue parole fluttuavano nella stanza.

Le nuvole si scontravano producendo schianti fragorosi, le sue parole trovavano fiere oppositrici.

Le nuvole si univano, frenetico movimento di chiari scuri.

Le loro bocche si toccavano, reciproco interesse per vedere fino a dove potevano spingersi le parole.

Cosa importava, allora, se le nuvole non avevano una vera forma?

Nuvole [A B C]

[ Wanna talk, Cornelius? ]

Un ragazzo guardava le nuvole. Istintivamente il capo si muoveva al ritmo di chissà quale mutamento celeste, mentre i piedi, pigramente poggiati sul manto erboso, ogni tanto si stendevano per poi tendersi di nuovo. Cercava qualcosa, probabilmente, poiché tendeva costantemente la fronte in espressioni di muta incomprensione.

Borbottava a se stesso, e riusciva persino a trovarsi noioso.

- Cerchi qualcosa? –

Domanda inutile. Il ragazzo aveva teso un sopracciglio, cortesemente. – Chiedo scusa? –

L’uomo, probabilmente sui trent’anni appena passati, gli rivolse un sorriso gentile. – Pare evidente che tu stia cercando qualcosa. Altrimenti non saprei spiegarmi quel viso così teso. E’ una così bella giornata. –

- Mi chiedevo che forma abbiano le nuvole. –

- Domanda complicata. –

- Già. –

- Mi chiamo Silente. –

- Sono Cornelius Caramell. –

- Oh. – il viso dell’uomo si era improvvisamente trasformato in un’espressione vagamente sorpresa. Gli occhi azzurri, acquosi, mantennero comunque il loro alone d’imperscrutabilità, come se nessuno avesse potuto capire mai cosa vi si nascondesse dietro, e carpire così il loro segreto. – Quel Cornelius Caramell? –

- Temo di essere io. –

La risposta suonò forzata.

Io.

Io?

Semplicemente ed unicamente io.

Me stesso.

Asse sintagmatico della mia stessa esistenza.

Io, signore e padrone del mondo che avevo creato.

Davvero, io.

Non cedevo, volevo, dimenticavo.

Io. Serbavo. Rancore. Verso. Il. Mondo.

Lui.

Lui?

Lui non era mai uguale.

Lui era come gli altri lo volevano.

Lui era cangiante, ma solo all’apparenza.

Lui, signore e padrone di un mondo a metà tra il reale e l’immaginario, dove schegge di coscienza andavano piantandosi dentro le mura di quegli universi, ferendoli.

Lui, immutabile eppure diverso.

Non perdeva, non lasciava, non ringhiava.

- Ti senti solo, Cornelius? –

La domanda era ampia, eppure rimaneva chiusa all’interno di un preciso argomento: quando Cornelius parlò, sapeva esattamente a quali elementi riferirsi.

Silente si apprestava ad ascoltare, sapendo bene ciò a cui avrebbe dovuto ribattere.

Da un po’ di tempo, porsi domande e ascoltare risposte già previste era diventato il loro trastullo quotidiano. Tentavano per quanto possibile di capire quanto si conoscessero a vicenda. E se uno dei due non sapeva cosa aspettarsi alla fine di un punto interrogativo, esternava il suo dubbio ad alta voce, così che l’altro potesse sedersi più comodamente, e prendere a parlare. All’inizio, i dialoghi erano tramutati quasi sempre in monologhi introspettivi: Silente parlava, parlava. Cornelius faceva altrettanto. Ciascuno esponeva pezzi della propria vita, ma solo riferendosi a ciò che l’altro in quel momento voleva sapere. Infine, dopo un anno di attese e di cortesi attenzioni, erano arrivati a conoscersi talmente bene da poter immaginare dall’inizio alla fine quello che l’altro avrebbe detto.

E quando si stancavano d’azzardare previsioni use al niente, uno dei due cominciava a cambiar prospettiva, rimodellando idee e concetti secondo una diversa teoria. Lì, dove finiva il concetto di divertimento e iniziava quello di sfida, non erano infrequenti le discussioni.

Forti, violente discussioni.

L’accademia della Magia rimbombava, fremendo e tremando senza interruzione. Le urla oltrepassavano senza difficoltà le mura della loro stanza doppia e si diffondevano con una certa presunzione per tutto l’edificio, insinuandosi ovunque ci fossero orecchie per ascoltarle. Lotte sul piano fisico non ve ne erano mai, o forse erano coperte dal frastuono delle loro ipotesi.

Per la verità, nessuno osava più aprire quella porta quando i due discutevano.

Eppure, non c’era mai stata una sola persona che non avesse approvato quelle discussioni dal punto di vista teorico: perché c’erano due menti geniali una di fronte all’altra, pronte a lottare fino allo spasmo per ottenere una vittoria, anche solo momentanea.

Ogni tanto, arrivavano i silenzi.

Erano il cruccio di tutta l’accademia, il dilemma intorno a cui frotte di ragazze rimuginavano giorni e giorni, il punto nevralgico che, a detta di tutti, avrebbe svelato la chiave per comprendere come quei due potessero andare così tanto d’accordo, e non distruggersi a vicenda.

- Non sono solo, se tu non mi fai sentire tale. –

- E io lo faccio, ogni tanto? –

- Tu mi fai sentire solo, Albus? –

- Credo di sì. –

Quando sopra le loro discussioni nascevano nuvole bianche in cielo, Cornelius tendeva a rinchiudersi dentro se stesso. Era un problema che non s’era mai arrischiato a rivelare a Silente, se non quando aveva i momenti di maggiore crisi affettiva.

Che senso avevano le nuvole, e che forma?

Quel giorno gli era stato presentato il Ministro della Magia tutt’ora in carica. Gli era sembrato un ometto inutile, senza particolari difetti né aspirazioni. Non avrebbe portato il loro mondo alla rovina, eppure aveva immediatamente capito che non nemmeno l’avrebbe fatto evolvere. Semplicemente, il blando compromesso che aveva fatto con se stesso contemplava un banale annullamento del fattore rischio, così come dello spirito d’intraprendenza.

Se mai ne aveva avuto uno.

Cornelius intuiva la necessità d’una personalità forte al potere, ma non sapeva con certezza se il mondo magico avrebbe accettato d’esser messo in ombra e rappresentato da un unico singolo. Il difetto dei maghi stava sempre nell’arroganza e nella presunzione d’esser migliore degli altri.

Dunque, il Ministro Jhonsson – questo il suo nome – aveva auspicato dei buoni rapporti con lui, e gli aveva stretto la mano con uno sguardo particolarmente intenso. Cornelius Caramell aveva immediatamente compreso il significato di quell’occhiata. Con buone probabilità, il Ministro Jhonsson sperava che fosse lui a sostituirlo. Forse vedeva in lui un personaggio brillante ma non eccessivamente preso dal potere, un poco perso nelle proprie divagazioni teoriche.

- Spero che sceglierà bene le sue amicizie, Cornelius. –

Lui aveva inteso subito che quel basso ometto, che insopportabilmente prevedeva d’aver capito tutto di lui, gli stesse brillantemente suggerendo d’allontanarsi da Silente.

Era stato di ritorno da quell’incontro, che Silente gli aveva chiesto quella cosa.

- Allora perché mi chiedi se sono solo, se sai bene che sei tu, a farmi sentire tale? –

- Perché… -

Poi c’era stato uno di quei silenzi.

Cornelius non aveva mai capito quando avesse oltrepassato il confine in cui tutto era permesso. Silente doveva saperlo ma ne faceva mistero, e gl’impediva di parlarne. Pareva tutto avvolto da un imperscrutabile alone di mistero, che giocava a rendere quel segreto conturbante.

Sempre più conturbante.

I silenzi, quei silenzi in cui tutti amavano far confluire le proprie convinzioni, non erano altro che amorosi e passionali baci fatti di promesse e desideri.

Davvero. Cornelius non aveva mai capito dove fosse iniziato, quel gioco che prendeva i sensi e pareva tenerli prigionieri nelle sue spire. Senza passione non c’era esistenza, non c’era liberazione dell’anima. Il corpo rimaneva a terra.

Loro, lui, senza quei baci non era niente.

- Silente? –

- Di cosa ti ha parlato, quell'uomo? -

- Il Ministro? -

- Lui. -

- Di politica. -

- … e non ti senti mai solo, quando sei con lui? -

Tutti avevano capito che Silente era l'uomo della situazione, quello che bisognava o amare o odiare, con cui non era possibile stringere un accordo a metà fra le parti. Non c'era possibilità di ingannarlo, e nemmeno di essere ingannati. Silente non aveva bisogno di ricorrere a vili trucchi per attirare consensi.

I suoi occhi sapevano conquistarti in un lampo. I suoi argomenti schietti facevano il resto.

Il mondo magico era sull'orlo di una di quelle scelte che ne avrebbe modificato l'assetto per i prossimi venti, forse trent'anni. Silente rappresentava il mondo nuovo, da scoprire.

Ma i maghi erano sempre stati ciechi, troppo ciechi.

Non volevano cambiare quello che avevano contribuito a creare. Non c'erano modi per mediare questa loro condizione di superiorità apparente con cui spesso, troppo spesso avevo avuto a che fare. Dunque, tre mesi dopo, io venni eletto come nuovo Ministro.

Silente, per quanto moderatamente soddisfatto, aveva fallito. Continuava a ripetere che non avevo compreso.

Cosa, lo capii solo dopo. O forse, non lo compresi mai.

- Non avevo mai capito quel tuo guardare verso il cielo, fino a che non ti avevo parlato, quel giorno. Ho scoperto che eri simile a me; così simile che per un attimo, ne ero rimasto spaventato. -

- Silente. -

Si erano trovati dopo anni in un giardinetto fuori dal mondo, nel mezzo delle corti, fra una riunione e l'altra. Quando si ha bisogno di scappare si finisce sempre in un luogo che si ha caro. Ed entrambi avevano scelto quello.

- Miodio, Cornelius, tu eri così simile a me, che per un attimo ho temuto che anche tu… -

- Che anche io fossi ossessionato da me stesso, dai miei pensieri? -

- … avevi un tale sguardo. -

Silente pareva come invecchiato all'improvviso. Come se l'essersi svegliato dopo una lunga apnea l'avesse scaraventato ancora umido e inesperto in un mondo sconosciuto. Era un mondo che aveva preteso di creare, ma che gli era sfuggito di mano.

- Io ero ossessionato da una sola cosa, Silente. Le nuvole. -

- … -

- Tu non mi hai mai risposto. Che forma hanno, le nuvole? -

- Alla fine, hai approvato quella legge. -

- Cosa centra, certo, certo, per il bene della comunità -

- Cosa è cambiato, Cornelius? -

Piccoli uomini convinti di cambiare il mondo rimanevano fermi, indecisi sul da farsi, continuando a non far niente.

- Silente, non ti capisco a volte, che centra ora la legge… -

- … tu eri l'unico che poteva capire che le nuvole… loro, avevano forma di nuvole. -

- … -

- E invece, non l'hai capito mai. Volevi solo il mio amore, la mia riconoscenza. -

- E non era abbastanza? -

- Non era abbastanza. -

[…] et quod vides perisse perditum ducas.

Fulsere quondam candidi tibi soles […]

L'uomo alla fine è rimasto da solo nella corte, a guardarsi alle spalle. Sente solo gli echi dei propri errori, errori di un vecchio, ormai, che non sa più emergere fuori da quel mondo in cui si è improvvisato attore.

Il vecchio, dunque, sorride e sospira.

Si lascia andare in mezzo ai ricordi, e ancora immagina, e ancora s'illude.

Continuerà a recitare.

[…] Qui nunc it per iter tenebricosum
illuc, unde negant redire quemquam. […]

Il ragazzo alla fine è andato via, e continua a proseguire per la propria strada: delle mille domande che gli si affacciano nella mente, ne scarta la maggior parte. Le altre, si perdono camminando. Dalle tenebre della mente non si spera mai di fare ritorno, e Cornelius Caramell non desidera altro, illuso, deluso, abbandonato.

Lasciatemi stare, pensa. Non lo urla, ma l'eco è violenta nella sua testa.

Sopra di lui scorge l'ombra di una nube che elegante scivola sulla sua, ricoprendola.

E d'improvviso gli appare chiara la visione d'ogni cosa. Il mondo in cui Silente ha cercato di trascinarlo ha regole e confini ben precisi, dove ciascuno può essere quello che è, senza dover creare illusioni o false speranze.

Eppure lui non è mai riuscito ad entrarvi, se non per poco.

Non sa il perché. Non l'ha mai capito, non lo capirà mai.

La nube langue un poco nel cielo, sfuma in preda al vento, ed infine scompare.

Fine.

Note di post-fazione:

E' opinione comune (anche mia, per quel che ne so), che una fanfiction, con i dovuti casi, debba sapersi reggere in piedi da sola. Avere una fine, un inizio, un corpo di trama che ne giustifichi gli eventi. Che sia un esempio di coerenza narrativa, più o meno, personaggi permettendo.

Qui invece mi permetto d'intervenire sui significati di ciò che ho scritto. Per lo meno, vorrei cercare di farvi capire che cosa pensavo mentre buttavo giù l'idea originale di trama.

Come sapranno i più affezionati, questa fanfiction è nata come Caramell/Scrimgeour. Dunque, Caramell in posizione attiva, a volerla dire tutta. Prima falla, la totale ignoranza che esibivo nei riguardi del povero passivo, Scrimgeour. Non sapevo nemmeno che forma avesse.

Dunque, poiché la sottoscritta impiega almeno un mese a delineare un personaggio originale decente - e in ultima analisi, proprio di quello si trattava - mi sono costretta a ripiegare sulla storia che sta qui adesso, pairing Silente/Caramell.

E automaticamente Caramell diventa passivo nella mia testa. Va bene tutto, ma Silente passivo, ecco, direi che proprio non è nelle peculiarità del personaggio.

Dunque, mi sono inventata questa.

Catullo apre e chiude la fanfiction. Perché è il poeta a cui sono maggiormente affezionata nel panorama della cultura latina, e fornisce inoltre preziosi spunti romantici.

Parliamo della trama, dei risvolti sentimentali dei personaggi, dei generi e degli stili. Non ho creato una trama approfondita perché credo che il ritmo degli eventi sia scandito dalla maturazione psicologica dei personaggi - e già ho fatto fatica a regolare quella, figuriamoci°°

Per il resto, ho voluto fare qualcosa di confuso perché è così che vedo il legame che li unisce, apparentemente saldo, ma fondato su basi estremamente traballanti. Volevo qualcosa di effimero, perché no, proprio come una nuvola.

Per il resto, l'arco di tempo impiegato per completare questa fanfiction è stato lungo. Scuola elegiaca docet, suppongo, ma mai mi sono dedicata così tanto al labor limae. Ho cambiato l'ordine delle parole, sostituito verbi con altri. E mi sono astenuta da termini complessi, perché secondo me questa storia è fatta di pensieri, e i pensieri sono dei miei personaggi sono dannatamente lineari.

Credo sia tutto. Spero.

RoSs

Le traduzioni dei pezzi di Catullo sono, in ordine:

Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,

e stimiamo quanto un singolo soldo i rimbrotti

degli anziani bigotti.

E quello che ti appare perduto, consideralo tale.

Una volta candidi soli avevano bruciato per te.

E ora quello se ne va per un viaggio tenebroso,

dove a tutti è negato il ritornare.

Note: non ho alcuna intenzione di possedere Caramell e Silente, tanto più che farebbero un gran casino, anche nascondendoli nell'armadio. Li lascio volentieri alla volenterosa J.K. Bowling che ne detiene tutti i diritti.

E benché mi frutterebbero parecchio come clown, niente da fare: nonostante questa fanfiction, rimango povera in canna.

   
 
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