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Autore: Kyoya Ootori    04/12/2012    1 recensioni
"Se non ci fossero le donne gli uomini non nascerebbero. Senza di loro noi siamo un fallimento, Shikamaru."
"[...]Iniziò tutto quando la vidi per la prima volta ad un matrimonio del nostro clan; avevo sette anni, lei cinque, ma era molto più tosta di me, Yamanaka e Akimichi messi insieme. Eravamo parenti alla lontana, qualcosa del tipo cugini acquisiti di cugini acquisiti, ma a quel matrimonio era stato invitato tutto il clan, nessuno escluso. [...]"
A parlare è il padre di Shikamaru.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sweetie sweetie mum, Nara in love.

<< Se non ci fossero le donne gli uomini non nascerebbero. Senza loro noi siamo un fallimento, Shikamaru. >> 


So che, ancora oggi, risulta incomprensibile a te, così logico e razionale, il motivo per cui mi sposai con tua madre appena ne ebbi l’occasione. Non che io sia incline all’autolesionismo (ohibò, forse un pochettino), ma ho avuto le mie ragioni, e quando ogni giorno getto uno sguardo al passato, non riesco a pentirmi della mia scelta.
E, dato che tale padre tale figlio, non mi stupisco del fatto che tu, così logico e razionale, ti sia innamorato di un tipo come Ino, che è tale e quale a tua madre. Forse prima o poi tu ci arriverai, io non sono mai stato un genio come te, ho ben poche possibilità di capire qualcosa di complesso come l’amore.
 
Iniziò tutto quando la vidi per la prima volta ad un matrimonio del nostro clan; avevo sette anni, lei cinque, ma era molto più tosta di me, Yamanaka e Akimichi messi insieme. Eravamo parenti alla lontana, qualcosa del tipo cugini acquisiti di cugini acquisiti, ma a quel matrimonio era stato invitato tutto il clan, nessuno escluso. Le occasioni di interagire non furono poche, eravamo entrambi nel gruppo dei bambini, anche se io pensavo, stupidamente, di potermi sentire più grande perché fra tutti i cugini ero il più anziano, e così ci ritrovammo a giocare insieme.
<< Nascondino! >>
<< No, un, due, tre stella, ma la versione con gli shuriken! >>
Inarcai un sopracciglio, quella mocciosa sapeva maneggiare uno shuriken?
<< E in che cosa consiste? >> chiese un altro cugino.
<< Io conto sino a tre, girata verso un albero, e voi fate più passi che potete verso di me. Se quando mi volto becco qualcuno che si muove ancora, gli lancio uno shuriken, e lui dovrà deviarlo! Se ci riuscirà, potrà fare un passettino avanti. >>
Inutile dire che nessuno acconsentì ad un gioco talmente pericoloso (era  palese la sua netta superiorità nei nostri confronti, persino nei miei che ero più grande), ma per non sfigurare, io accettai.
La sua abilità era impressionante, contava così velocemente che si faceva appena in tempo a muovere un piede, se tutto andava bene. Al secondo passo starnutii, e uno shuriken mi sfiorò il collo, andando a conficcarsi nel tronco dietro di me.
<< EEEEH! Ma non mi sono mosso! >>
<< Hai starnutito, sbattendo le palpebre, allargando la bocca e arricciando il naso. Direi che ti sei mosso abbastanza! >> era così carina mentre mi rimbrottava, con le mani ai fianchi, ma decisi che l’avrei sposata solo quando un secondo shuriken mi tagliò una ciocca di capelli.

Nel corso degli anni non furono molte le occasioni per rincontrarla: mentre io mi rompevo un dente con Yamanaka e Akimichi, lei tiranneggiava il suo gruppetto; quando io entrai all’Accademia, i suoi genitori la obbligarono a frequentare un istituto femminile (ma rimase ugualmente un asso con gli shuriken, e imparò persino una o due tecnice sul controllo dell’ombra), e se io andavo in missione, lei era ad elaborare un piano per saltare le lezioni senza prendersi una nota. Sicuramente hai preso da lei la genialità, anche se di certo non il temperamento. Ogni tanto però la incontravo tornando a casa, e la osservavo in silenzio, mentre lei il più delle volte mi faceva una linguaccia. Era un mostriciattolo.

Un giorno ci fu un altro grande matrimonio, e potei rivederla in vesti formali; aveva dodici anni, ed era stata costretta in un vestitino azzurrino che la rendeva, con la sua espressione scocciata, simpaticissima. Anche se ormai avevo quattordici anni, ci ritrovammo a giocare di nuovo a quel gioco infantile; benché ci togliessimo solo due anni, io ormai ero un ragazzo, lei una bambina. Capricciosa e molesta, per giunta.
<< Sei migliorata con gli shuriken? >> Ancora una volta ero l’unico a giocare con lei, il che mi permise di scambiare qualche parola fra una conta e l’altra.
<< Tantissimo! Potrei tagliarti quell’ananas che ti ritrovi in testa da un momento all’altro! >> Adorabilmente acida e scontrosa. Ripeto, figlio mio, in confronto a lei tu sei un santo.
<< Lo vedremo! >> Pensavo di avere una tecnica segreta con me, l’ultima volta mi era rimasta così impressa che nei mesi seguenti avevo riflettuto più volte su come fare per eludere la sua abilità con gli shuriken.
<< Un, due, tre … Stella! >>
Si voltò, ma io non avevo mosso un passo.
<< Un, due, tre, stella! >>
Mi ostinavo a restare immobile. Sbuffò.
<< Un, due, tre stella! >>
Si girò, e io le sorrisi, prendendola in giro con uno sguardo.
<< Insomma, perché non ti muovi?! Come faccio a lanciarti gli shuriken se stai fermo tutto il tempo! >>
Il suo tono di voce stonava terribilmente con l’aspetto grazioso che le conferiva il vestito.
Ma io avevo vinto.
Mi avvicinai al tronco, passo dopo passo, e lei ripeté i miei movimenti, stupefatta, venendomi incontro.
<< Ci sei cascata! >> esultai, mentre poggiavo il palmo della mano sul tronco.
<< Eri così impegnata a controllare i miei piedi che non ti sei accorta delle mie mani, e fra una conta e l’altra ho avuto tutto il tempo di posizionarle per la tecnica del controllo dell’ombra. >>
<< Così, quando me ne sono accorta, non ho potuto prendere gli shuriken … Ammetto che questa volta sei stato più furbo! Ti concedo di farmi la corte! >>
Quella fu la prima volta che mi lasciò seriamente attonito. La corte? Io non avevo mai rivelato a nessuno, tanto meno a lei, le mie intenzioni di sposarla.
<< Si vede lontano un miglio! Smettila di fare lo scemo e comincia a corteggiarmi prima che mi stanchi di te! >>
Era più un ordine che un suggerimento, fu così che sciolsi la tecnica, e lei ne approfittò subito per prendermi la mano e trascinarmi sino al rinfresco, convinta che io ormai fossi di sua proprietà.
<< Ma … Da quanto lo sai? >> le chiesi in un sussurro, rosso per l’imbarazzo che tutti ci stessero vedendo.
<< Da quando ti ho visto per la prima volta. >> e quello fu il primo sorriso che dedicò interamente a me.
 
Vedi, figliolo, tutto questo per dirti che qualsiasi discussione avrete tu e Ino, qualsiasi battibecco o problema, urla o sussurri, piatti rotti, scenate, pianti, urla … Se davanti al suo sorriso il cuore ti si scioglie, e ti dimentichi come ti chiami, o quanti anni hai, o che un giorno dovrai morire* … Allora ne vale la pena.
Ti voglio bene
Papà
 


Ripiegò il foglio e lo mise sotto il cuscino del figlio, conscio che prima o poi l’avrebbe trovato.
Il problema non fu tanto quando lo trovò lui, ma la moglie.
<< IO NON TIRANNEGGIO NESSUNO! E COSA È QUESTA STORIA DEL MOSTRICIATTOLO?! >>
Si era dimenticato che era proprio lei quella che gli cambiava le lenzuola.


*Se avete visto Midnight in Paris, allora potrete benissimo capire. Per chi non l'ha visto ... Lo veda, merita.
Grazie a tutti per aver letto, spero commenterete. Questa  è la mia prima fanfic su Naruto, e volevo che a parlare fosse qualcuno di diverso, e che parlasse di qualcosa di diverso.
Kyoya Ootori
   
 
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