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Autore: Ariju    05/12/2012    1 recensioni
Dalla storia:
"Quella notte, dopo anni, piansi.
Piansi, perché avevo capito di aver perso la persona che amavo senza saperlo.
Piansi perché avevo capito di aver perso me stesso, di essermi ridotto in qualcosa che non si può chiamare un uomo.
La guerra è qualcosa per cui vale la pena di morire."
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AZZURRO COME LA MORTE

Ero seduto sul bordo della mia branda a contemplare la pioggia, quel giorno, sotto la grande tenda che ci faceva da dormitorio.

Una tarda serata come molte, quell’autunno, e me ne stavo a guardare l’evoluzione delle pozzanghere che per tutta la giornata si erano allargate per il campo.

Il malinconico filo dei miei pensieri fu rotto solo dal mio compagno Hank, che mi rivolse la parola in tono languido: -James, vecchio mio, non startene tutto il giorno a quell’apertura! Sai cosa si dice in giro? Che domani arriverà un nuovo sergente alla nostra divisione...-

-Mmmm...-mugugnai senza prestare particolare attenzione alle sue parole. Gli feci capire di voler tornare alla mia solitudine, ma il ragazzo continuò: -E non ti ho detto ancora nulla, James! Si dice che combatta con noi nelle prime file e che sia una donna!-

Finì il suo breve racconto lanciandomi un’occhiata ed io non potei fare a meno di ricambiare, stupito.

Insomma, era già abbastanza raro sentire di una donna soldato, e sapere che questa era e sergente e combatteva nelle prime file era un caso unico nel suo genere.

Quando fu l’ora di spegnere tutte le luci, rimasi a lungo a rimuginare su quanto Hank, un giovane polacco della mia età, aveva detto...

L’indomani si presentava come una giornata poco promettente: il cielo era così scuro che pareva ancora notte fonda e la pioggia scosciante copriva tutte le nostre voci.

Ci tirarono giù dalle branda prima del solito e ci fecero allineare contro la parete del dormitorio, in attesa di qualcosa.

E in effetti, subito dopo che fu sceso il silenzio tra noi, entrarono dalla porta tre persone vestite di scuro.

Tutti trattennero il fiato alla vista del generale e dei suoi accompagnatori.

Una delle due figure, probabilmente un ufficiale di alto rango, passò a noi del tutto inosservato, alla vista della donna che stava alla destra del generale.

Era giovane e piuttosto bella: portava i capelli nerissimi rasati molto corti, ed il viso bianco era contornato da un sottile mento e da due occhi bellissimi, che parevano dello stesso colore del ghiaccio fuso.

Grazie al giubbetto di pelle nera attillato e ai pantaloni militari stretti in vita, potei osservare la sua corporatura affusolata e muscolosa al tempo stesso.

Non feci nemmeno in tempo ad osservarla un secondo in più, poiché il generale aveva preso a parlare: -Soldati, vi presento il vostro nuovo sergente...- e detto questo, indicò la ragazza al suo fianco.

-Lei sarà la vostra guida sul campo di battaglia per il prossimo anno. È stata riconosciuta come combattente di eccezionali doti, e dovete obbedire a lei, come obbedireste a me -. Finito di parlare, il generale e l’altro uomo lasciarono il nostro alloggio.

Tutrtavia, nessuno osò fiatare e tutti rimasero impietriti sull’attenti, finchè la donna, avvicinatasi a noi, concesse il riposo.

-Bene. Io sono il vostro nuovo sergente, il sergente Koer -. sotto lo sguardo di trenta soldati, il sergente Koer ci squadrò da capo a piedi, fino a quando ordinò: - E ora, andate! Avrete qualcosa da fare, immagino... -

Mentre mi dirigevo al deposito armi, dove mi cambiai, pensai a come Koer aveva saputo tenere a bada trenta cani rognosi come noi con qualche parola...incredibile!

Arrivai al piccolo edificio quadrato in cemento grigio, ed entrai per prendere tutto l’equipaggiamento.

Mentre stavo prendendo il tutto, qualcuno alle mie spalle si avvicinò schiarendosi la voce.

Subito mi voltai e mi misi sull’attenti nel vedere la donna di prima.

-Combatti nella prima fila, soldato? - mi chiese, con il tono duro quasi quanto il suo sguardo.

-Sissignora - risposi, guardando quelle strane iridi.

-Bene, come ti chiami? - domandò ancora, allacciandosi il giubbotto mimetico.

-James Kent, signora -

-D’accordo, fammi strada, allora, soldato kent.- ordinò ancora, ed io ubbidii, uscendo sotto la pioggia.

 

Eravamo sdraiati nel fango ormai da parecchie ore, senza aver visto miglioramenti di tempo, e procedevamo alla grande.

Tra una raffica e l’altra, ebbi modo di osservare quella donna prodigio che combatteva.

Ogni volta che avanzavamo di qualche metro, io ed i miei compagni strisciavamo nel pantano con difficoltà, mentre lei pareva avanzare senza alcuna fatica. E poi, nonostante la pioggia fittissima che impediva la visuale, il sergente Koer aveva una mira precisissima.

Non una sola pallottola delle sue andava sprecata, e per ognuna di esse potevamo stare certi che qualche nemico sarebbe stramazzato al suolo.

Più volte, infatti, avevamo potuto intravedere oltre la linea nemica, esili figure che si accasciavano sotto i suoi colpi.

 

Quel giorno guadagnammo davvero parecchi metri della cosiddetta “terra di nessuno”, e tutti noi potemmo tirare un sospiro di sollievo solo quando fummo ne grande tendone davanti ad una ciotola fumante.

Io, come facevo sempre da qualche tempo a questa parte, preferii tenermi in disparte. Prima di arruolarmi, ero un ragazzo assolutamente socievole e scherzoso, sempre in compagnia di amici o belle ragazze, ma la guerra aveva rotto qualcosa in me.

Oramai, non sapevo neppure per cosa combattevo. Lo facevo e basta, consapevole del velo di morte che mi portavo sempre appresso e che mi aveva cambiato.

Ora amavo la solitudine, e con essa la riflessione.

Ad ogni modo, tenendomi in disparte rispetto agli altri, potei constatare che nel dormitorio non si parlava d’altro che della nuova arrivata.

Continuai ad ascoltare i loro commenti con lo sguardo fisso sulla mia cena, finché non sentii il silenzio calare improvvisamente.

Alzando gli occhi, vidi il sergente Koer ferma sulla soglia. Con il suo consueto tono distaccato e freddo, riuscì ancora ad incantare tutti gli uomini presenti: - Soldati. Prego, state seduti, vorrei solo dirvi qualche breve parola. Credo che voi ttutti siate degli ottimi soldati, da quanto ho potuto vedere oggi. Voglio complimentarmi con voi... - finì di parlare permettendoci di continuare a mangiare, poi, con mio sommo stupore, si avvicinò a me.

- Buonasera, soldato Kent – salutò con aria indecifrabile e, sotto lo sguardo di tutti i presenti, si sedette vicino al mio posto.

- Buonasera a lei, sergente Koer. Prego, mi chiami James -

Mentre, di nuovo, il vociare dei soldati si alzava nella tenda, il sergente Koer si fece portare una ciotola con della minestra ed un cucchiaio, poi entrambi riprendemmo a mangiare placidamente.

Tuttavia, non potevo fare a meno di sentirmi a disagio, avvolto in quel silenzio, ed in qualche modo, fui sollevato quando lei mi fece una domanda: -Perché combatti, James?-.

Quella domanda mi lasciò un po' incerto, soprattutto perché solitamente, nessun ufficiale ci rivolgeva domande di questo tipo. Eppure, oltre all’incertezza, quello sguardo mi provocava anche un dolce senso di calore e sicurezza, così decisi di sfogarmi: -Io...ormai non lo so più. Mi sono arruolato quattro anni fa. Allora, pensavo che fosse una cosa onorevole e giusta combattere per la propria nazione, ma ora...ora capisco che non c’è nulla di giusto in una guerra, al di là del motivo per cui essa è combattuta – conclusi.

-Io penso – disse lei – che combattere in guerra, in qualunque guerra, sia qualcosa per cui vale la pena di morire -

Mentre ripensavo, sconcertato ed esterrefatto al senso delle sue parole, una domanda mi affiorò sulle labbra, ma lei riuscì a decifrarla prima ancora che la pronunciassi: - Ti stai chiedendo allora per cosa combatto, non è così?-

Annuii piano, e la sergente continuò – Beh, io non ho più nulla per cui vivere... -

Dopo aver pronunciato, con una punta di amarezza, questa frase, si alzò e senza proferire parola, si diresse verso la sua tenda personale.

 

Tutte le sere da quel giorno, tornammo spesso sull’argomento, parlando nel dormitorio.

Lei restava sempre chiusa in sé stessa, con quello sguardo freddo e vuoto sempre fisso a guardare chissà cosa, ma potei comunque apprendere molte cose su di lei (ad esempio che aveva ventisette anni e che si chiamava Samantha).

Una sera, però, stanco dei suoi ostinati silenzi, non riuscii più a contenermi e sbottai: - Samantha, ma non è possibile che tu non abbia proprio più nulla per cui vale la pena di lottare! Sei una donna giovane, bella e intelligente, costruisciti una vita tua, che ancora sei in tempo! -

Mi accorsi troppo tardi di quanto avevo veramente osato insinuare, e lcon e due parole che seguirono, capii d’aver gettato al vento quei tre mesi di confidenze e rivelazioni.

-Soldato Kent, non le permetto di parlare in questo modo ad un suo ufficiale, se lo rifarà, sarò costretta a denunciarla al generale! -

Quella sera, se n’era andata subito dopo, stringendosi nella sua giacca di pelle nera lucida, e non si era più fatta vedere da noi, se non sul campo di battaglia.

Quindici giorni dopo, vincemmo la guerra.

Era stata una giornata limpida e fresca, e nessun avversario fu risparmiato dalle nostre sibilanti pallottole che, grazie all’allenamento del nuovo sergente, erano divenute precise e infallibili.

La resa nemica arrivò nel pomeriggio, e noi tutti (fatta eccezione di Samantha) ballammo e cantammo fino a che il buio invernale ci avvolse nella sua gelida morsa.

Stanco di bere e di stare nella confusione, decisi di dirigermi verso l’alloggio di colei che ci aveva guidati con estrema maestria alla vittoria, con l’intenzione di riconciliarmi con lei.

Quando arrivai all’entrata della sua tenda, entrai cauto, ma mi bloccai davanti allo spettacolo che mi si presentava agli occhi.

Alla pallida luce di una lampada elettrica, giaceva immobile il suo freddo corpo.

Dal torace le uscivano fiotti incontrollabili di sangue, e nelle due mani stringeva ancora la pistola e un pezzo di carta macchiato di rosso.

Non cercai di salvarla, poiché sapevo che sarebbe stato inutile, ma presi invece la lettera che stringeva tra le nocche bianche e presi a leggere.

 

James Kent

Ho scritto questa lettera a te, James, perché volevo e sapevo che saresti stato tu a trovare il mio corpo, oggi.

Ti chiederai il motivo di questo mio gesto, ed io sono disposta a dirtelo, a patto che le mie parole muoiano con me. Mi fido di te più di qualunque altro, James, e forse mi sono anche un po' innamorata di te, ma nel mio animo c’è ormai così tanta crudeltà che è impossibile cambiare quello che sono stata per tutto questo tempo. Ti chiedo solo che altri non mi vedano così, così debole ed esposta.

Ho deciso di uccidermi dopo una lunghissima riflessione, da cui ho tratto le mie conclusioni.

Io non ho paura della morte, lo sai, ma bensì della vita. Ho paura di essere felice, di affezionarmi a qualcosa, per terrore che mi venga portato via quello che più amo. No n è forse vero che “se non hai nulla, non hai nulla da perdere” ?

Oggi abbiamo vinto la guerra, già, dopo mesi di ferite, delusioni o piccole vittorie, abbiamo vinto. Ma a cosa è servito? Tra qualche anno, proprio qui potrebbe scoppiare un nuovo conflitto, e milioni di altri si stanno combattendo in questo secondo. In questo momento ci sono persone che vengono ferite, vengono uccise, o perdono tutto ciò che hanno di più caro. E dall’altra parte ci sarà sempre qualcuno che vincerà...

Oggi abbiamo vinto la guerra. Oggi AVETE vinto la guerra.

Io ho perso la mia.

Samantha Koer

Quella notte, dopo anni, piansi.

Piansi, perché avevo capito di aver perso la persona che amavo senza saperlo.

Piansi perché avevo capito di aver perso me stesso, di essermi ridotto in qualcosa che non si può chiamare un uomo.

La guerra è qualcosa per cui vale la pena di morire.

 

Con il viso impastato di lacrime amare, mi avvicinai al suo viso e le guardai gli occhi. Non erano più grigi, non erano più freddi e duri.

Erano azzurri, azzurri di morte.




NOTE: non so se vi può piacere questo storia, dico solamente che l'ho scritta tutto d'un fiato, dopo aver ascoltato un telegiornale qualche tempo fa....
La dedico ad una persona speciale, anche se non legge queste storie, perchè è stata questa persona a insegnarmi quasi tutto quello che so, e che ora è in difficoltà. Ti voglio bene.

 

  
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