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Autore: gloriabarilaro    08/12/2012    2 recensioni
‹‹Sei un caso perso, Breel. Vatti a cambiare, per te la lezione è finita.›› ordinò con voce atona, prima di voltarsi e allontanarsi da lei.
‹‹M-ma io...›› Breel cercò di protestare, ma quando la donna si voltò nuovamente ricevette solo un’occhiata infuocata. Cacciò dentro le lacrime, e si costrinse a non farle uscire finché non fu fuori dal palco, dalle quinte, al sicuro nel suo camerino. Non le fece scendere neanche quando, uscendo, sentì Mrs. Dawenly sussurrare: ‹‹Che fallimento di ragazza›› seguita dalla risata generale delle sue compagne. 
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piccola one shoot su justin, scritta in un momento di depressione. E dedicata a una persona speciale.
Spero vi piaccia.
Glo. 
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It's too cold outside
for angels to fly,
to fly, to fly,
angels to die.

-Ed Sheeran,The A Team

Cadere faceva sempre male. Ma non tanto per il dolore alle caviglie che, caduta dopo caduta, divenivano sempre più deboli e le facevano un male atroce: era più per la consapevolezza che si sentiva bruciare dentro, quella consapevolezza che aveva di non potercela fare, di essere troppo distratta e incapace per stare su quelle punte rosa confetto.
Non osò muoversi di un centimetro mentre sentiva i passi della maestra di ballo che avanzava verso di lei, forse anche perché non ci riusciva. Forse aveva ricevuto il colpo di grazia, forse stavolta si era davvero fatta male.
‹‹Breel›› tuonò la donna nel momento in cui i suoi piedi apparvero nel suo raggio di vista. Alzò lo sguardo, piano, fino ad incontrare l’espressione severa di Mrs. Dawenly sul viso pieno di terra e contornato dalle ciocche ordinate dei capelli castani e lisci. All’apparenza, quella donna poteva anche sembrare dolce vulnerabile, aperta e sorridente, ma se si trattava di danza, della sua vita, diventava un demonio.
‹‹S-s-sì?›› balbettò Breel; ma anche prima che avesse aperto bocca, Mrs. Dawenly stava già scuotendo la testa contrariata.
‹‹Sei un caso perso, Breel. Vatti a cambiare, per te la lezione è finita.›› ordinò con voce atona, prima di voltarsi e allontanarsi da lei.
‹‹M-ma io...›› Breel cercò di protestare, ma quando la donna si voltò nuovamente ricevette solo un’occhiata infuocata. Cacciò dentro le lacrime, e si costrinse a non farle uscire finché non fu fuori dal palco, dalle quinte, al sicuro nel suo camerino. Non le fece scendere neanche quando, uscendo, sentì Mrs. Dawenly sussurrare: ‹‹Che fallimento di ragazza›› seguita dalla risata generale delle sue compagne.
Lasciò che le lacrime le bagnassero le ginocchia mentre si slacciava le scarpette poco dopo, singhiozzando in silenzio.
 
Faceva freddo quella sera, i fiocchi di neve cadevano fitti sulla strada e sul marciapiede che percorreva mentre tornava a casa: si posavano sulla punta del suo naso rosso a causa della temperatura bassa, tra i buchi del maglioncino troppo leggero, sciogliendosi sulla sua pelle, si incastonavano come piccoli diamanti tra le ciocche corvine dei suoi capelli e sulle sue lunghe ciglia.
Tremava sempre di più. A ogni passo che faceva, si sentiva un brivido correrle lungo la schiena, così violento da scuoterla costringerla a tenersi a una panchina o un lampione lì vicino per non cadere.
Non si sentiva più le dita delle mani quando arrivò a casa. Entrò tremando nell’ingresso, ma l’atmosfera lì dentro non era poi tanto più calda di quella che c’era fuori: sentì la schiena irrigidirsi quando, affacciandosi alla cucina, scorse i suoi genitori cenare in silenzio, senza di lei:l’unico rumore percepibile erano le stoviglie contro piatti, ma anche quello era moderato. Li salutò con voce tremante, rimanendo ferma sulla soglia della porta, piena di nervosismo. Odiava incontrarli subito dopo aver pianto. Lo odiava, per il fatto che loro non se ne accorgevano mai.
Sua madre, infatti, si voltò verso di lei come se la sua voce fosse uscita dalla sua bocca limpida e allegra. ‹‹Vuoi mangiare, Breel?›› le chiese con l’insopportabile tono di voce atono che usava sempre quando le parlava. Breel sentì  un nuovo brivido scuoterle la schiena nel sentirlo. Scosse la testa, certa che a loro non sarebbe cambiato nulla vederla seduta a tavola o meno. ‹‹Vado a dormire, sono stanca›› aggiunse, scivolando via senza attendere una risposta. Una risposta che, lo sapeva per certo, non sarebbe mai arrivata.
Corse in camera, combattendo contro il dolore alle caviglie che era sempre più atroce, ad ogni passo. Si rifugiò nel suo bagno e si chiuse la porta alle spalle, per poi poggiarsi ad essa e scivolare giù sul pavimento, fino a sentire la superficie fredda a contatto con la pelle.
Con la guancia contro le piastrelle bianche, scoppiò a piangere, stavolta senza limitarsi, concedendosi di singhiozzare quanto voleva, per sentirsi più libera.
Ma più le lacrime scendevano, più stava male. Forse fu per questo che prese quella lametta, la strinse tra le dita, e l’affondò nella pelle.
 
“Justin, io… Non ce l’ho fatta. Scusami. Chiamami appena puoi.”
 
I tagli bruciavano più del solito. Le lacrime non si decidevano a fermarsi. E poi c’era Justin, che non rispondeva. L’aveva abbandonata anche lui? Era davvero sola, stavolta? Non riusciva a pensarci.
In fondo, se non avesse avuto più voglia di sentirla, aveva tutta la ragione di questo mondo. L’aveva deluso, aveva rotto una loro promessa, perché sarebbe dovuto tornare da lei?
Si alzò dal letto, raggiunse la finestra inciampando qua e là nel disordine della stanza, fino a riuscire ad affacciarsi ad essa.
La neve scendeva dolce sulle case, la strada, gli alberi. Il paesaggio imbiancato la calmò per un poco, ma non del tutto. L’agitazione diminuì, mai pensieri negativi rimasero lo steso nella sua mente, inevitabili.
‹‹Justin, Justin, dove sei?›› Sussurrò ai fiocchi di neve, poggiando il palmo della mano e la fronte al vetro.
Si sentiva sola, si sentiva inutile.
Si sentiva stupida, si sentiva incompresa.
Si sentiva male, ma lì con lei non c’era nessuno. E non ci sarebbe mai stato.
Si staccò dal vetro, e andò di nuovo nel bagno, di nuovo inciampando nel disordine che non riusciva a vedere a causa del buio. Aprì l’armadietto a specchio, e frugò tra i flaconcini di farmaci. Ne prese uno che si differenziava dagli altri perché aveva un che di particolare: era più alto degli altri, e molto più semplice, senza scritte all’esterno. Per semplice che era, attirava l’attenzione.
Lo aveva sempre tenuto nascosto tra i farmaci per l’asma e per l’altra moltitudine di problemi che aveva il suo corpo, nel caso un giorno il suo contenuto sarebbe tornato utile.
E quella sera, sentiva che lo era.
Aprì la confezione con una mano tremante: chinò indietro la testa, e ingoiò alcune pasticche. Non le contò, lo fece senza pensare.
E poi posò il tutto, con ordine, come non aveva mai sentito il bisogno di fare prima, prima di tornare a stendersi sul letto.
 
Il cellulare le vibrò vicino all’orecchio; si lasciò scappare un gemito: proprio ora che quello che aveva preso iniziava a fare effetto, proprio ora che si sentiva finalmente libera, qualcuno la stava trascinando alla realtà, con una semplice… telefonata.
Ma quando riuscì a prendere il telefono e lottò contro lo stordimento per riaprire gli occhi e vide quel nome sullo schermo, le si gelò il sangue nelle vene, che fluiva sempre più a fatica.
Justin la stava chiamando.
Justin la stava cercando.
E lei… Lei…
 
‹‹Ehi, Breel, ci sei?››
‹‹Sssiii…›› biascicò lei. No, non poteva crollare ora. Doveva resistere, almeno per un’altro po’...
‹‹Sonno?›› la voce di Justin era divertita, riusciva ad immaginarlo sorridere, quegli occhi color caramello sorridere con lui. Assentì con un filo di voce, mentre gli occhi le si chiudevano. Justin, dall’altra parte, rise e continuò a parlare. Breel lasciò che la sua voce cullasse i suoi pensieri confusi. 
 
‹‹Quindi… L’hai fatto ancora.›› mormorò abbattuto il ragazzo. Si sentiva quanto si sforzasse pronunciare quelle parole mantenendo una calma apparente, almeno nella voce. Breel si sentì ancora più male. Come, come aveva potuto fargli questo? …
 
‹‹Mi riprometti che non lo rifarai?››
‹‹Justin, io non sono sicura di quello che mi succederà domani, come posso prometterti una cosa del genere?›› le costò molta fatica pronunciare quella farese così lunga, ma in fondo era quello che pensava. Si asciugò il sudore sulla fronte con il dorso della mano, accorgendosi di quanto improvvisamente avesse caldo.
Justin si lasciò sfuggire una risatina amara dall’altra parte, e Breel riuscì ad immaginarselo perfettamente, a passarsi le dita tra le ciocche di capelli spettinati. ‹‹È la stessa cosa che mi avevi detto quella volta…››
‹‹Io non  posso promettere, Justin. Non so mantenere le promesse.›› mugugnò, ritirandosi le ginocchia al petto. L’agonia era sempre meno sopportabile…
 
‹‹Quanto vorrei essere lì con te, Breel›› la sua voce era ridotta a un sussurro. La ragazza sorrise, a occhi chiusi.
‹‹Anche io vorrei che tu fossi qui…›› 
 
‹‹Ti amo.›› ebbe il coraggio di sussurrare, non completamente lucida, interrompendo il ragazzo mentre parlava. Lui sospirò, pieno di amarezza.
‹‹Lo so. E… anche io.››
Peccato che non fosse lo stesso amore che lei provava per lui. O forse lo era, ma era attutito dalla paura della distanza… Chi lo poteva sapere?
 
Era ora. Lo sentiva. La stavano chiamando, impazienti.
 
‹‹Quando tu sorriderai, sorriderò anche io. Quando ti piangerai, Breel, lo farò anche io. Faremo tutto. Assieme.›› sussurrò il ragazzo.
‹‹Non fare così, Justin…›› protestò la ragazza.
‹‹Shh. Tu ascoltami. Andrà tutto bene…››
 
‹‹E se io morissi?›› gli chiese di punto in bianco. Un brivido le corse lungo la schiena. Era troppo tardi quando si accorse che, in realtà, non lo voleva sapere. Justin si bloccò nuovamente. Stranamente non era irritato dalle sue continue interruzioni, anzi, sembrava non aspettasse altro.
‹‹Beh. Anche io morirei con te. Tutto assieme, te l’ho promesso…››
 
‹‹Breel, ma mi stai ascoltando?››
‹‹…››
‹‹Breel?››
‹‹Jus…Justi…››
‹‹Ho capito, hai sonno. Vai a dormire, ne hai bisogno.››
‹‹…››
‹‹Buonanotte, Breel››
Dall’altro capo non ci fu una risposta.
Tuu tu tu tu tu.
 

Come poteva sapere quel ragazzo che quella sarebbe stata l’ultima buonanotte che avrebbe potuto augurarle?
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Eccomi qui con questa ff tristissima, scritta in un momento di depressione. L'ho scrittacosì, di getto, perchè avevo bisogno di sfogarmi. E scrivere mi è sembrato il modo migliore.
La farò breve: questa os non è solo uno sfogo, ma è anche dedicata a una persona che mi ha aiutato a uscire dal mio momento buio, ed è anche per scusarmi con le mie lettrici.
La mia ff su Justin, 'You Can Believe In Me' è stata interrotta bruscamente. Vi spiego:siccomelastoriaè basata sullacoppia di Jelena ec'erano state quelleincomprensioni tra i due, ho temuto per un attimo di doverla cancellare. Ma ora è tutto apposto, presto l'aggiornerò.
Per chi non sapesse di quale ff sto parlando è questa, vi lascio il link così potete passarci:




Ne approfitto per ringraziare tutte le mie lettrici/lettori fidate/fidati, senza di voi non sarei qui,grazie davvero.
Grazie anche a chi segue/ricorda/preferisce/recensisce le mie storie, grazie,grazie davvero.
Perfavore, lasciatemi una recensione, vorrei il vostro parere perchè la os non mi convince.
Baci,Glo.


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