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Autore: Eryca    08/12/2012    6 recensioni
Era colpevole di aver donato tutta la sua anima alla musica.
Non c’era persona più colpevole di lei.
Era colpevole anche in quel momento, mentre tutti sapevano ciò che stava per accadere, ma nessuno aveva il coraggio di dire nulla o muovere anche solo un muscolo.
C’era musica nell’aria, lei la sentiva.
Loro la sentivano.
Vita.

****
C'è Anne, con i suoi demoni del passato e la sua maschera perenne. Ha un sogno.
C'è Davide, con la sua purezza d'animo. Ha un sogno.
C'è Matteo, con la sua spavalderia e il suo disinteresse. Ha un sogno.
C'è Riccardo, con le sue dipendenze, le sue paure e le sue bugie. Ha un sogno.
Un sogno.
Hanno tutti lo stesso sogno.
La musica.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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16.

Epilogo –

Sognando l’America

 

 

Don’t give up

‘Cause you have friends

Don’t give up

You’re not beaten yet

Don’t give up

I know you can make it good

 

Peter Gabriel – “Don’t give up”

 

 

 

 

 

Riccardo aveva sempre pensato agli addii come dei momenti in cui il cuore ti veniva strappato dal petto con una forza bruta incredibile. Si era sempre immaginato un’atmosfera tagliente, una canzone come “Wish you were here” dei Pink Floyd in sottofondo, mentre le lacrime cominciavano a scorrere come fiumi in piena.

Sì, questi erano gli addii che Ricca aveva sempre preso in considerazione: un’accozzaglia di cliché e stereotipi degni della peggiore commedia hollywoodiana.

Guardò ancora una volta il grosso tabellone che stava davanti a lui: Los Angeles. 19:20.

America.

Sognare l’America era una tradizione radicata nelle persone da secoli e secoli, fin dal momento in cui il Nuovo Continente era stato scoperto e le leggende misteriose su di esso avevano iniziato a viaggiare per chilometri e chilometri. L’America rappresentava quel luogo di rinascita in cui la gente avrebbe potuto riscattarsi, reinventarsi, ricrearsi completamente per risorgere una volta per tutte dalle proprie ceneri. L’America era un sogno lontano, quasi irraggiungibile.

E così, proprio come centinaia di altri uomini, Riccardo e Matteo avevano deciso di sognare l’America: si erano guardati negli occhi, mentre i cronisti li bombardavano di domande relative allo scioglimento dei Mad, e avevano capito di aver il disperato bisogno dell’America e di tutto ciò che essa rappresentava.

Alla fine avevano mollato, pensò Riccardo sconfortato. Aveva abbandonato, dopo alcuni ostacoli, la musica e il suo gruppo, senza farsi troppe domande, senza pensarci su due volte: era stata la scelta giusta? Non lo sapeva, Ricca, e probabilmente non avrebbe mai saputo rispondere a quel quesito esistenziali; tutto ciò che il suo torturato cuore gli stava domandando, ora, era di cercare un nuovo appiglio per poter ricominciare.

Il batterista si strinse nella sua felpa nera, il freddo dell’aeroporto lo faceva sentire ancora più insicuro, rendendogli impossibile pensare a qualcosa che non fosse gli errori commessi durante la sua carriera come musicista.

«Ragazzi, credo che sia ora di andare a fare il check-in» mormorò Anne, la voce bassa di chi non avrebbe veramente voluto dire ciò che ha appena pronunciato. Riccardo si rese conto che doveva essere un dolore immenso quello che Anne stava provando nel dover lasciare il suo migliore amico.

E fu allora che Ricca si voltò verso Davide.

Gli occhi del chitarrista sembravano aver perso ogni traccia di energia: spenti, vuoti; gli occhi di chi ha appena conosciuto una delusione immensa, di chi ha perso la cosa per cui ha sempre lottato e combattuto. Davi si era semplicemente spento, come uno di quei macchinari tecnologici che, con un semplice pulsante, puoi disattivare. Da quando aveva dovuto annunciare al pubblico, in un’intervista riservata a pochi giornalisti, il definitivo scioglimento dei Mad, il suo amico sembrava essersi trasformato in un’altra persona, la quale non conservava nulla di Davide, se non il ricordo.

Anne, per fortuna, le stava sempre vicino, senza mai lasciarlo solo, accudendolo come si faceva come i bambini piccoli e bisognosi e donandogli tutto l’affetto che sembrava bramare. Era diventata, Anne, una madre, un’amica, un’amante.

Ehi, Davide, amico mio. Dove sono finiti i sorrisi solari che riuscivi a strapparmi anche quando le nuvole riempivano il cielo in inverno?

Ehi, Davide, amico mio. Dov’è finito il tuo riso inconfondibile, quello di un mezzo bambino e per l’altra metà un demonio, che sembrava espandersi come una malattia e indurre tutto l’universo a ridere?

Dove sei? Dove sei, dove sei, dove sei, Davide, amico mio?

Riccardo avrebbe voluto afferrarlo per le spalle e scuoterlo, sperando di risvegliarlo da quello stato di catalessi nel quale sembrava essere caduto. Ma come poteva infierire su Davi quando era stato proprio lui ad ucciderlo? Sì, Riccardo sapeva di essere colpevole; era consapevole di essere stato la causa del crepacuore del suo amico perché, se lui e Matteo non avessero abbandonato i Mad, ora Davide avrebbe avuto ancora la voglia di illuminare il mondo con la sua energia.

Ed è per questo, amico mio, che devo partire per sognare l’America.

Si rendeva conto, ora, che gli addii che su cui aveva sempre fantastico erano irreali, dei semplici ghirigori romanzati, dei quadri ben dipinti ma assolutamente astratti.

Un addio non stava nel numero di lacrime che venivano versate e nemmeno significava un abbraccio disperato, no: era di più, molto di più.

Un addio era la fine di un ciclo e l’inizio di una nuova fase.

Addio non era semplicemente morte, dolore, sconfitta, perdita, ma anche la voglia di tentare di nuovo, riscoperta, rinascita, speranza.

Sì, perché era proprio speranza quel ronzio che Riccardo continuava a sentire dentro il suo corpo: nonostante fosse affogato nella melma, avesse toccato l’apice per poi ridiscendere nell’anonimato, il batterista aveva ancora voglia di combattere, di riprovare, perché la vita, in fondo, altro non era che porte che si sbattevano in faccia e altre che, invece, si aprivano.

E lui non aveva nessuna intenzione di fermarsi.

Diede la carta d’identità e il biglietto alla signorina che, con educazione esemplare, gli chiese di appoggiare il bagaglio sul tappetino rullante. Ricca guardò la sua valigia sparire dietro una fila di strisce in plastica, pensando che l’avrebbe ritrovata in un altro continente.

America.

Non avrebbe mai potuto scoprire se ciò che lui e Matteo stavano per fare era una pazzia oppure il giusto cambiamento. Era sicuro, però, che dovevano di nuovo imparare a sognare.

 

E questo gli bastava, perché Riccardo, Riccardo non si sarebbe mai arreso.

 

 

****

 

 

 

Riccardo e Matteo è un calcolo perfetto che dà come risultato Amore.

Era questo ciò che Matte pensava mentre si avvicinava al Gate d'imbarco che avrebbero dovuto prendere per salire sull’aereo. Aveva dovuto attendere anni prima di sentirsi finalmente completato, compreso e amato; poi era arrivato quel ragazzo strano con i capelli verdi e l’animo tormentato, che aveva deciso di impadronirsi del suo cuore senza chiederlo due volte. E ora stava per andare a vivere in America con lui.

Verso il Nulla.

Andare verso il Nulla era una cosa che Matteo sapeva fare alla perfezione, quindi non si preoccupava troppo di cosa lo avrebbe atteso: se fossero rimasti in Italia i media avrebbero continuato a rendergli la vita un inferno, tra interviste e foto di paparazzi. Anne e Davide si tenevano per mano, uniti come mai prima d’allora, in attesa del fatidico saluto che tutti sapevano sarebbe arrivato. Matteo aveva cercato di rimandare il più possibile il momento dell’addio, ma ora, in fila per imbarcarsi, non poteva più fingere di avere ancora del tempo a disposizione.

«Beh, è ora di salutarsi...» concluse spostando il peso da una gamba all’altra, le mani in tasca.

Dio, Matteo trattieniti. Nessuna tragedia greca, per favore.

Anne era stata per più di cinque anni la sua migliore amica, la sua unica confidente, la ragazza che lo aveva sostenuto sempre e comunque, nonostante tutto il resto del mondo fosse contro di lui, anche quando faceva uno dei suoi errori tremendi... Lei era sempre lì, pronta a tendergli una mano e ad aiutarlo a rimettersi in piedi. Anne era stata il suo unico punto di riferimento. E ora come poteva semplicemente stringerle la mano e mormorarle un “Arrivederci”?

Prima ancora che potesse pronunciare una sola parola si ritrovò le braccia di Anne al collo, le sue labbra sul suo collo e il suo corpo aderito al suo.

Ehi, Anne, amica mia. Non ti sto lasciando, piccola bambina. La nostra storia non ha qua il suo epilogo, questo è solo uno di quei climax che devono accadere.

Ehi, Anne, bambina mia. Sei la stella polare della mia vita, quando avrò bisogno di un aiuto chiamerò il tuo nome e tu correrai, perché è questo che sai fare meglio.

Ehi, Anne, mio piccolo amore. Il mio umile cuore ti chiede perdono, sanguina e piange, spera che tu non sia troppo delusa.

Ehi, Anne, mia dolce bambina. Mia piccola, piccola, piccola amica.

E, nonostante si fosse ripromesso di non piangere, Matteo si abbandonò alle lacrime non appena sentì la sua migliore amica fare lo stesso, mentre lo stringeva forte a sé, quasi a non volerlo lasciare.

C’erano amicizie che duravano per sempre, nonostante la distanza, nonostante i litigi, nonostante le delusioni, nonostante le circostanze: Matteo ed Anne non si sarebbe mai divisi, mai, perché i loro cuori sarebbero sempre stati legati. Per sempre.

«Devo andare, piccola Anne...» riuscì a mormorare tra un singhiozzo e l’altro. Sciolse quell’abbraccio – no, Annie, non mi lasciare – e notò con stupore che anche Davide e Riccardo si stavano stringendo con la forza che solo due uomini sapevano usare.

L’amicizia è una forza indistruttibile.

«Chiamateci quando arrivate!» iniziò la cantante, la voce spezzata e il tono di una mamma preoccupata «E ricordatevi di installare Skype, voglio sentirvi almeno una volta al giorno! E per le vacanze tornate qua! E poi...» non riuscì a continuare, perché un nuovo flusso di lacrime le impedirono di far uscire la voce. Davide le mise un braccio intorno alle spalle e le baciò la testa dolcemente, come si fa con i bambini piccoli. Matteo non osò avvicinarsi di nuovo alla ragazza, altrimenti non sarebbe stato più capace di lasciarla.

«Tranquilla, Annie. Non spariremo.»

La ragazza prese a fare segno di andarsene con la mano, mentre nascondeva il viso sul petto di Davi, anche lui con gli occhi lucidi ed umidi.

Arrivederci, Annie, bambina mia. Tornerò, ma per ora conserva il ricordo dei tempi andati, tieni stretto il profumo del nostro ultimo abbraccio. Tornerò, bambina mia.

Ricca afferrò la mano di Matte e, insieme, passarono il nastro che li divideva dai loro amici. Il cuore che palpitava, il moro si fermò a salutare ancora una volta la sua Annie, lo stato d’animo a terra. Non pensava che gli avrebbe fatto così male separarsi da quella piccola ragazzina selvaggia e tutto ciò che lei aveva significato per lui.

«Non voltarti più, piccolo...» lo consigliò Riccardo tenero che, a sua volta, stava soffrendo la perdita di Davide.

Era sconvolgente come, ogni volta, condividessero le stesse emozioni e si capissero alla perfezione, senza il bisogno di fare troppe domande: bastava guardarsi negli occhi e ci si poteva rispecchiare nel compagno.

Continuarono a camminare attraverso il corridoio rialzato che li avrebbe condotti all’aereo, le mani intrecciate, i destini in comune, mentre una parte importante di loro rimaneva in aeroporto, insieme ai loro amici. Le lacrime continuavano a rigare le guance di Matteo, nonostante egli si stesse sforzando di bloccarle, perché doveva essere forte, doveva esserlo, dannazione!

«Buongiorno e benvenuti.» Li accolse gentilmente una hostess in divisa blu, il sorriso cordiale stampato sul volto truccato. Matteo non diede il minimo segno di vita, Riccardo rispose al sorriso per poi farsi spazio tra le file di sedili in cerca del loro posto.

«Eccoli.»

Si sedettero, Matteo rigorosamente vicino al finestrino, e rimasero in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri.

Annie, piccola mia, già mi manchi.

Forse stavano commettendo l’errore più grande della loro vita, forse avrebbero dovuto continuare a suonare con i Mad e lottare per i loro diritti; eppure, Matte sentiva che non avrebbero potuto fare in un altro modo: avevano bisogno di nuovi orizzonti.

 

Quando l’aereo decollò, Matteo sentì di aver lasciato a terra un pezzo di sé stesso, un pezzo che non poteva continuare a portarsi dietro, ma che doveva perdere, come la paura. E se per trovare ciò che stava cercando fin da bambino avrebbe dovuto volare fino in America, allora tutto quello avrebbe avuto un senso.

«Cosa ne sarà di noi, Matte?»

Non aveva una risposta a quella domanda, Matteo.

Ma per il momento, gli bastava guardare al futuro.

 

****

 

 

Siamo giunti all’Epilogo di questa storia.

Davide ad Anne rimangono a Torino, quindi, mentre Riccardo e Matteo volano verso un futuro ignoto. Probabilmente mi sembrerà ambiguo, ma è stato scritto appositamente in questo modo, perché volevo lasciare lo spazio per immaginarsi cosa sarebbe successo dopo.

 

Ora passiamo ai ringraziamenti (ne ho davvero molti da fare).

Voglio ringraziare di cuore la mia amica Vì (grandiosa autrice su efp: Lavisvampita) che mi ha corretto ogni singolo capitolo di questa storia, aiutandomi e sostenendomi. Grazie. <3

Ringrazio anche Aniasolary, Postergirl e Miliko Akiko Chan che hanno letto tutti i capitoli, seguendomi e sostenendomi anche quando quasi nessuno leggeva!

Ed infine, grazie a chiunque abbia letto questa storia, l’abbia recensita o inserita tra le Scelte, le Ricordate o le Preferite.

Spero che questa storia vi abbia coinvolti almeno un po’ e vi abbia aiutati a sognare.

 

Un caloroso abbraccio,

la vostra Eryca.

   
 
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