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Autore: TheTsundere_Miharu    08/12/2012    1 recensioni
Gli piaceva farla infuriare. Non ne aveva mai compreso il motivo, ma facendole quegli scherzi lei si trasformava e lo trattava in modo diverso rispetto a come trattava gli altri.
Forse era sempre stato molto masochista, non lo capiva, ma gli piaceva quel loro rapporto conflittuale e complicato.
Si sentiva quasi speciale per lei, e neanche se ne accorgeva.
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{ Kogure/Haruna }
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Celia/Haruna, Scott/Yuuya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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― Note iniziali.

  Come già detto, non ho la connessione per questi giorni (sono a casa di mia nonna, ora sono a casa per prendere delle cose), e in quest'arco di tempo ho finito delle fic XD Ieri ho pubblicato la Nagumo/Hiroto, oggi vi sorprenderò(?). Dopo 5 o forse più mesi, ho finito l'Haruna/Kogure che non ho mai voluto pubblicare X°DDD (in realtà dovevo pubblicare la Taiichi ma mi manca una cosa per finirla e devono riferirmela sssh -?-)
So che non è una coppia amata e blablabla ma non mi pare di aver mai scritto su coppie amate :°D Tranne che sulla RanTaku. VIVA LE COPPIE ODIATE COME TUTTE LE MIE OTP YEAAAH--- Okay basta. Spero vi piaccia, fatemi sapere, ci tengo molto ;3 Bye bye.
P.s: ero in dubbio per l'età di Kogure perché non mi ricordo l'abbiano mai specificata ;___;" Quindi chiedo venia se ho sbagliato in quello.






_Attesa.



Kogure l’aveva incontrata quando aveva solo dieci anni.
A quei tempi, non sapeva nulla del mondo e non riusciva a fidarsi di nessuno, e non aveva mai avuto nessuna intenzione di provarci. 
Cosa gli importava degli altri? Non aveva bisogno di nessuno.
E proprio lei – quella specie di animale mascherato da ragazza – l’aveva cambiato radicalmente.
Se ci ripensava in quel momento, sembrava così buffo e strano.
 


«Sicura di essere una ragazza?»
«Ah?! Vorresti dire che sono poco femminile?!»
«Mi sembra sia così in fondo, no? Ushishishi~»
«Kogure-kun!»
Una serie di urla e schiamazzi, fiancheggiati da risate fin troppo chiassose.
Quella era una scena quotidiana, per loro.
E ogni volta, il minore doveva fuggire dalle sue grinfie – o da vari arnesi (magari anche pericolosi), nel caso ne avesse in mano – finché lei non lo acciuffava e gliene dava di santa ragione. O un'altra opzione era quella di nascondersi su un albero e aspettare minimo un paio d’ore prima che quella furia sbollisse la rabbia.
 




Gli piaceva farla infuriare. Non ne aveva mai compreso il motivo, ma facendole quegli scherzi lei si trasformava  e lo trattava in modo diverso rispetto a come trattava gli altri.
Forse era sempre stato molto masochista, non lo capiva, ma gli piaceva quel loro rapporto conflittuale e complicato.
Si sentiva quasi speciale per lei, e neanche se ne accorgeva.
Lei mostrava il suo vero carattere solo in sua presenza, e questo lo rendeva automaticamente diverso.
Amava quella cosa.
In fondo al suo cuore, voleva essere l’unico a conoscerla, come lei era l’unica checonosceva il vero Kogure Yuuya.
Ma in quegli anni tutto gli veniva automatico.



Un giorno, però, Kurimatsu  gli fece la fatidica domanda.
«Non è  che ti sei innamorato di lei?»
Ricordava quel momento maledettamente bene.
Ricordava come il suo solito sorriso burlone fosse scomparso, come i suoi occhi si fossero sgranati e il suo viso si fosse colorato di un rosso innaturale. Ricordava anche quanti battiti erano accelerati e come si fosse sentito impotente e debole.
Era tutto impresso nella sua mente dopo dieci anni di distanza.
«Figuriamoci!»
L’unica cosa uscita dalla sua bocca era stata quella, seguita da uno sbuffo. Era corso via, non riuscendo ad aggiungere altro.
Quello era imbarazzo? Vergogna? Cosa era?
Purtroppo in quel momento non l’aveva capito. Era solo un bambino, come avrebbe potuto?
 
«Entro, ti lavo la schiena.»
«C-cos-?!»
La ragazza era entrata nella stanza senza la minima vergogna.
«Ti lavo la schiena.»
Se non ricordava male, erano stati più o meno due giorni dopo quell’avvenimento.
Kogure, di tanto in tanto, si fermava dalla ragazza, e che lei gli lavasse la schiena non era di certo una novità.
Ma quella volta fu diverso.
Lei insisteva da morire e quindi – anche se non avrebbe voluto – l’aveva lasciata fare.
Mentre lei strofinava – sempre con quella sua energia inconfondibile che lui apprezzava moltissimo  – Kogure preferiva tenere la testa bassa, cercando di rimanere concentrato nel fissare i propri piedini nudi che ciondolavano distrattamente, e stringeva forte l’asciugamano che si era stretto in vita per coprire le sue “parti dove non batteva il sole”, come se dovesse proteggerle da chissà quale pericolo.
Per la prima volta si sentiva in imbarazzo – era difficile ammetterlo anche a sé stesso, in quegli anni – di fronte a lei.
A quei tempi, no, non capiva cosa stava succedendo in quel suo cuoricino infantile.
Probabilmente sarebbe stato meglio per lui capire prima.





 
«Kogure! Abbiamo sentito che esci con una carina delle superiori… non ce lo saremmo mai aspettato da una mammoletta come te!»
«Cosa? Cosa state dicendo?»
«Della tua ragazza, ovvio! Otonashi, giusto?»
«Non è la mia ragazza!»
«Ah? E noi che ne eravamo così sicuri…»

Quella conversazione era avvenuta quando aveva quattordici anni.
In quel periodo era anche cresciuto, ma veniva spesso sbeffeggiato perché rimaneva comunque il più basso fra quelli del suo anno.
Fu proprio durante quel periodo che aprì gli occhi.
Non ricordava esattamente quando successe, ma per lui fu difficile accettarlo.
Il suo stupido orgoglio gli negò quel sentimento fino a distruggerlo.
E quando riuscì ad accettarlo, ormai era convinto di non avere la minima speranza.
Forse, se non si fosse abbattuto fin dalla partenza, qualcosa sarebbe andato nel migliore dei modi.
Invece, un giorno, tutto sprofondò.


«Kogure-kun! Invece di fantasticare stammi ad ascoltare!»
Lui sospirò, scocciato, scansando lo sguardo da quello stupido libro di matematica.
Non che odiasse quella materia, ma non era neanche così interessante.
E in quel momento era l’ultima cosa a cui riusciva a pensare.
Lei aggrottò le sopracciglia, infastidita.
La stava facendo arrabbiare, e la cosa non gli dispiaceva. Almeno così avrebbero perso tempo, e forse lui si sarebbe fatto coraggio in qualche modo.
Che idiota che era. In fondo doveva dirle la cosa più semplice del mondo. Doveva regalargli solo una stupida cosetta insignificante. Ma era ancora lì, a fissarla lamentarsi di quanto lui dovesse impegnarsi nello studio, con l’intero corpo che tremava per chissà quale motivo.

Sentiva di aver sbagliato nell’averci anche solo provato. Non doveva spendere i suoi risparmi per una cosa del genere. Non avrebbe neanche dovuto pensare di… dichiararsi. Sentiva di aver preso la scelta sbagliata.
«Kogure-kun! Ascoltami per una buona volta!»
Aprì un occhio, giusto per sbirciare e considerare l’ipotesi della fuga.
Si ritrovò con il suo viso – da quando era diventata così bella? – a pochi centimetri di distanza. I loro nasi quasi si sfioravano.
Quando si è innamorati si può sentire il cuore vibrare solo per uno sguardo?
Kogure non lo sapeva, ma era quello che aveva provato.
Era troppo, troppo vicina.
Sentì il viso bruciare, ardere fino alla punta delle sue buffe orecchie.
Immobilizzato dall’imbarazzo, continuava a fissarla dritta negli occhi, senza mai distogliere  lo sguardo, come anche lei stava facendo.
«Scusa se ti aiuto, e ascolto sempre le tue lagne, eh!»
Avrebbe anche potuto baciarla, se solo ne avesse avuto il coraggio.
Invece, quella frase, innescò l’effetto opposto. Il peggiore degli effetti.

«Beh, nessuno ti ha mai chiesto nulla! Non ti ho mai chiesto di ascoltare le mie lagne! Hai sempre ficcato il naso dove non dovevi, fin da quando ci siamo conosciuti, e l’hai sempre fatto da sola! A dire la verità, ogni giorno diventi sempre più insopportabile!»
Non era quello che sarebbe dovuto uscire dalle sue labbra.
Se non fossero stati così vicini, probabilmente avrebbe continuato a ripetersi che si stava solamente sbagliando.
Ma dagli occhi blu della ragazza – sgranati dallo stupore – scappò una lacrima.
Non l’aveva mai, mai vista piangere.
Lei, così forte, determinata, non aveva mai abbassato la testa, non aveva mai singhiozzato.
E in un attimo la vide spezzarsi davanti ai suoi occhi.
Le sue gambe si mossero da sole, senza dar retta a quel cuore che fino a un attimo fa stava battendo così disperatamente, cercando di urlare quei sentimenti prigionieri dell’orgoglio.
Lo fecero girare, uscire di corsa dalla stanza, e successivamente dalla casa.
Non sapeva neanche che direzione prendere, era confuso, smarrito, spaventato.

“Cosa ho fatto?”

Quasi non respirava più, l’ossigeno stava rapidamente sparendo, ma lui non riusciva a pensare neanche a quello. Avrebbe solo voluto cadere a terra, per poi non rialzarsi mai più.

“L’ho persa. L’ho persa per sempre.”

Quel giorno aveva sentito il mondo finire ed implodere.
Ricordava ancora chiaramente sulla sua pelle come tutto gli sembrasse spaventoso.
 
 





In quel momento, si era accorto di quanto Haruna fosse stata importante per lui.
Lei lo aveva cambiato, lo aveva ascoltato e sempre sostenuto. Lei, che non era mai stata costretta a stargli accanto, che avrebbe potuto abbandonarlo in qualsiasi momento, non l’aveva mai fatto, l’aveva sopportato per tutto quel tempo senza chiedere nulla in cambio.
E lui aveva buttato tutto all’aria.
Non l’avrebbe più "rivista". Mai più, mai più.
Non avrebbe più potuto farle qualche scherzo, ridacchiarle alle spalle o alzarle la gonna per dispetto.
Non avrebbe più potuto nascondersi solo per poterla ammirare sorridere con persone che non erano lui, impegnarsi in tutto ciò che faceva, urlare ai membri della squadra che erano pronti degli onigiri.
Non avrebbe potuto, e per lui quella era la fine.
 
Dopo tutti quegli anni non aveva mai smesso di pensare a quell’avvenimento.
E a quanto le sue giornate si fossero svuotate da quell’esatto momento.
Certo, gli capitava di incontrarla – e neanche così di rado – ma tutto era stato stravolto.
L’unico contatto che avevano era un debole saluto, e un sorriso tirato e per niente familiare.
Nessuna risata, nessuna mini-rissa, nulla di nulla.
Gli sembrava di vivere in un lungo, interminabile incubo.
E venne il giorno in cui finì anche lui la scuola, e venne introdotto nel mondo degli adulti e delle responsabilità. Oltre a Hiroto e qualche altro amico, era rimasto totalmente solo.
Solo, già.
Si impegnò e trovò una stanza in affitto – doveva ringraziare Aki per quello –, un lavoro in una buona azienda e si creò la sua bella reputazione.
Una vita normale, serena.
Ma la mancanza del suo brandello di cuore perduto era troppo soffocante per non essere notata.
 
 
 
 





Finché, un giorno, tutto sembrò tornare alla normalità.
Non c'era un vero motivo, semplicemente lei gli sorrise e cominciò a parlargli.


«Sei cresciuto?»
«Mpf, non prendermi in giro, sei sempre più alta di me... e più forzuta.»
«Beh, in fondo hai sempre sostenuto che io fossi più "uomo" di te. Forse hai ragione.»
Mise un broncio finto – si poteva quasi definire adorabile – ma non era realmente offesa. Ormai aveva imparato a controllare i suoi istinti omicidi nei confronti dell’altro.
«Finalmente l’hai ammesso!»
Ridacchiò Kogure, sorseggiando il suo caffè amaro.
Sicuramente sarebbe stato innamorato di lei anche se fosse stata un ragazzo, pensò.
Era strano, ma almeno era sincero con sé stesso, una volta tanto.
Era bello sentirsi di nuovo così vicino a lei.



Sospirò senza motivo, mentre imboccava la strada per tornare a casa.
Era piuttosto triste vivere da solo – d’accordo, c’erano i membri della sua squadra nella stessa struttura, ma ehi, non è la stessa cosa – in un piccola stanza affittata per pochi yen al mese.
Avrebbe fatto di tutto per risparmiare qualche soldo e comprare una casa tutta sua.
Anche se avrebbe voluto sostituire quel “sua” con “loro”.
Voleva andare a vivere con lei.
Ridacchiò da solo, pensandoci. Era un idiota.
Ancora continuava a sperare in quello, dopo tutto quello che era successo.
Istintivamente mise una mano nella sua valigetta da lavoro, toccando un piccolo contenitore.
Un giorno sarebbe riuscito a darle quell’anello.
Ma doveva aspettare ancora un po’.
  
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