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Autore: Dorobestiola    08/12/2012    1 recensioni
Quando la vita ti ha tolto tutto, puoi desiderare solo di morire. E Sasori Akasuna, nemmeno vent’anni, si sente vecchio e svuotato. Non se la sente di andare avanti, e se è ancora vivo lo deve al suo “migliore amico”. E a tutti quei taglietti sulle braccia che si infligge con le lamette che in teoria usa per farsi la barba.
"Chiuse gli occhi e sorrise. Gli strinse la mano e rimasero così, fermi in un abbraccio che sfidava tempo, amore e morte.
Che andava contro il tutto stesso."
[Questa storia ha partecipato al Matrioska Multicontest indetto da Deidaradanna93 sul forum di EFP, piazzandosi quinta e aggiudicandosi il Premio Giuria]
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akasuna no Sasori , Deidara | Coppie: Sasori/Deidara
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Autrice: Silver Wings

Sezione: #16
Titolo: Vermiglio fiore proibito.
Sottotitolo: Il lieto fine è una bugia.
Tipologia: one shot
Rating: arancione
Personaggi principali: Akasuna no Sasori, Deidara.
Pairing: __
Genere: malinconico, drammatico, romantico.
AU: sì
Avvertimenti: tematiche delicate, OOC
Note dell’autore: prima fiction per il mio primo contest!!
Introduzione: quando la vita ti ha tolto tutto, puoi desiderare solo di morire. E Sasori Akasuna, nemmeno vent’anni, si sente vecchio e svuotato. Non se la sente di andare avanti, e se è ancora vivo lo deve al suo “migliore amico”. E a tutti quei taglietti sulle braccia che si infligge con le lamette che in teoria usa per farsi la barba.



 

Strinse le mani congelate. Le portò davanti al viso, ci alitò sopra e il suo respiro formò una compatta nuvoletta candida come la neve, che sparì lentamente dissolvendosi nell’aria.
Sasori Akasuna, diciannove anni compiuti da qualche mese, voleva morire.
Sparire, come la nuvoletta che il suo respiro aveva formato.
Dissolversi piano nell’aria, chiamare un serial killer e pagarlo per farsi pugnalare una, due, cento volte.
Sasori Akasuna, diciannove anni compiuti da poco, non aveva il coraggio che serivava per fare un cappio con una corda e stringerlo intorno al collo. Non aveva il coraggio che serviva per vivere e nemmeno quello necessario per morire.
Era un codardo.
Erano stati costretti a buttarlo fuori dalla facoltà a calci pochi minuti prima, lasciandolo sperduto in mezzo alla strada.
Dove sarebbe andato?
Il fallimento della piccola azienda dei suoi genitori e il conseguente crollo psicologico di suo padre aveva costretto i servizi sociali a mandarlo a vivere in mezzo alla strada, tra l’indifferenza generale.
Sua madre era morta solo due settimane prima.
Il capofamiglia, chiuso nel più vicino istituto di igiene mentale, non ne sapeva nulla – e forse era meglio così.
Adesso, il diciannovenne con i capelli scarlatti viveva nei bagni pubblici e dormiva sui tavoli delle tavole calde aperte, come dicevano i cartelli in colori sgargianti affissi sulle finestre, “24 h su 24”
Si incamminò verso quella più vicina.
C’era una leggera rassegnazione nel suo modo di essere, nel suo modo di fare; chiunque lo conoscesse diceva che era un ragazzo riservato, introverso. Quel genere di ragazzo da cui le madri dicono “Stai lontano!”
- Ehy, Sasori, dove vai?!
Una voce conosciuta lo fece girare.
Deidara, un suo compagno di classe, lo fissava sconcertato.
Dal cappello con la visiera girata di lato spuntava qualche ciuffo di capelli biondo oro. Teneva le mani letteralmente sprofondate nelle tasche del  felpone rosso. I jeans, calati praticamente fino a terra, impedivano di vedere chiaramente le scarpe, che sembravano quelle Blaser nuove, bianche e rosse,  che costavano all’incirca... più di quanto gli concedevano le sue esigue risorse.
- Non sono cazzi tuoi! – sbuffò il rosso, di cattivo umore.
Perché quel fottuto figlio di papà era fuori di casa a quell’ora?! Non che fosse una novità, ma credeva fosse in discoteca, com’era logico pensare.
- Invece sì!! Perché non sei a casa?!
Invece di rispondere, Sasori rigirò la frittata.
- E tu perché non sei con i tuoi amichetti?
- Il Pepole è chiuso. Stavo tornando a casa e ti ho visto qui, fine della storia. Ora tocca a te rispondere.
Sasori si girò verso una macchina arancione e fece finta di non aver sentito.
- Sono qui per il tuo stesso motivo  - rispose evasivo.
- Sì, certo. Non pigliarmi per il culo, rispondimi.
Il diciannovenne perse definitivamente la pazienza.
- Ma sono cazzi tuoi perché sono fuori alle nove e mezza?!
Non aspettò una risposta degna di questo nome e scappò via, nel più vicino bagno pubblico, a tagliarsi per lenire l’umiliazione.
 

*

 
Quando si svegliò si accorse di avere freddo. Il bagno della stazione, con le sue fastidiose luci a neon, gli si presentò davanti agli occhi sporco come sempre. In una mano stringeva ancora il rasoio, nell’altra aveva forse tenuto il fazzoletto sporco di sangue che ora giaceva vicino alle sue scarpe. Una linea sottile correva lungo tutto l’avambraccio sinistro, come una vena. Al vertice di essa, un taglietto ancora aperto.
Schiuse le labbra, schioccò la lingua e mise in tasca il rasoio.
Si abbassò le maniche della felpa, nascondendo le braccia piene di cicatrici.
Si sciacquò la bocca, fece un gargarismo e uscì dal bagno.
Si avviò a piedi verso l’Istituto di Arte. Erano ancora le sei, non c’era nessuno in giro. Giusto qualche vecchietto, uscito a fare la spesa di prima mattina. Il ragazzo si fermò, aiutò una signora a portare le buste davanti al portone. Aiutare la gente era piacevole.
Nessuno aveva dato una mano a lui, ma Sasori non era insensibile, no.
- Allora, stamattina mi darai una risposta?
Nemmeno si girò.
- Deidara, quando imparerai che non siamo amici?! Per me sei solo una rottura di palle.
- Tu non lo sei per me. Allora, mi rispondi?! Perché ieri eri fuori?
Sasori avrebbe tanto voluto girarsi e tirargli un pugno. Rompergli il naso e farlo scappare via piangendo come un ragazzina.
- Te l’ho già detto: non sono cazzi tuoi.
- E invece sì!
Il biondo cominciò a saltellargli intorno, rischiando di inciampare nei suoi stessi pantaloni.
- Eddai!! Rispondi! Rispondi! Rispondiii!!
Sasori, esasperato, si sforzò di ignorarlo.
- Lasciami stare.
Ma Deidara continuò a saltellargli intorno, fino alla facoltà.

*

 
- Akasuna, in presidenza.
Come sempre. Qualche cretino cominciava a fare ipotesi su dove vivesse e su quanto volesse sua madre per una notte. E finiva malmenato. Stavolta, il diciannovenne aveva scatenato la sua ira contro un primino avanti di un anno, che teneva ancora per il cappuccio della felpa.
- Ancora tu?! – fece il preside appena il rosso mise piede nel suo ufficio. Sasori si limitò a emettere un mugolio inarticolato a labbra chiuse per poi gettarsi (letteralmente) sulla poltrona foderata di velluto rosso posta davanti alla scrivania.
- Che hai fatto, stavolta?
- Il solito.
Sembrava la conversazione fra uno psichiatra al limite della sopportazione e il suo paziente.
- Akasuna... Devi imparare che qualche insulto contro i propri familiari non è la cosa più grave del mondo.
Sasori si alzò e sbatté una mano sul tavolo del preside, rovesciando un vaso di fiori e facendo cadere sul fianco una Vergine Maria.
- Voi non capite, signor preside!! Nessuno capisce! Le... le cicatrici che ho ingoiato, sono qui, e fanno male. Ho detto a me stesso, “Cosa sarà mai? Mi chiedono quanto prende mia madre in una notte!” . Ma alla lunga stanca. Alla lunga si cede, signor Preside.
Quell’ometto con i capelli grigi, alto poco più di un metro e un chewing-gum, invece lo capiva.
Sasori non l’aveva mai capito.
C’era una tacita domanda nei suoi occhi, e il rosso si sforzò di ignorarla.
- Con permesso – aggiunse alzandosi e uscendo dalla stanza.
 

*

 
- Il laboratorio di plastiche è libero?
- No. Ci sono i ragazzi del terzo anno che stanno facendo pratica con le plastiche cotte.
- Quello di scultura?
- Secondo anno.
- Il tornio?
- Deidara.
Sasori avrebbe voluto urlare. Invece sbuffò soltanto.
- Ehy, Sasori... Mi sono sempre chiesto... Come mai nei registri della scuola non c’è scritto dove abiti?!
Il rosso mangiò con lo sguardo il ragazzo davanti a lui.
- Vai a cagare – disse candidamente, e corse in bagno.
 

*


Il sangue che usciva dal piccolo taglio che il diciannovenne si era appena causato era dello stesso colore dei suoi capelli: rosso.
Quella sfumatura scarlatta, un colore innaturale, e quel rasoio erano l’essenza di ciò che stava diventando.
“Cos’ho fatto?!” si chiedeva dopo essersi autoinflitto quel dolore.
Ma poi capiva di averlo fatto per il suo bene, e allora non faceva più male.
Anzi, vedere quel rivolo rosso colare giù lungo il suo braccio era quasi piacevole, dopo qualche tempo.
Ogni volta che sulla sua epidermide sbocciavano quei fiori vermigli fuori stagione, il suo tormento interiore trovavano una risposta. Che veniva cancellata in automatico pochi secondi dopo.
Bi-bip.
Dati persi.
E ciò lo costringeva a tagliarsi ancora, ancora e ancora.
Era un fottuto circolo vizioso.
Tanto, se fosse morto, nessuno avrebbe pianto.
 

*

 
- Che hai fatto, Sasori?
- Nulla.
- Vedi che troppe fanno perdere la vista, eh!! – sghignazzò una ragazza dandogli una gomitata.
- Perché lo sai? Forse il tuo ex è diventato cieco, dopo tutti i tuoi lavoretti? – ribatté lui con pungente ironia. Lei, mortificata, rimase zitta.
- E poi, che ne sai tu?! – riprese, - Non sappiamo nemmeno perché sei qui, visto che non sai disegnare nemmeno gli omini stilizzati e le plastiche cotte che fai si suicidano nel forno. Mia cugina di sette anni modella il Pongo meglio di te. E non venirmi a dire che fai arte astratta, perché tre linee non sono un quadro. Con permesso – disse alzandosi dal suo posto e uscendo dall’aula.
- Povera Miiko!! Che ti ha fatto?!
Deidara gli arrivò alle spalle.
- Fa la saputella dove non dovrebbe. Io non sono mica uno di quei ragazzi sfigati di quattordici anni che si chiudono in bagno per ammazzarsi di seghe.
Lo sguardo castano di Sasori rimase intrappolato fra gli occhi di Deidara e la sua frangetta bionda.
- Tu, io. Laboratorio di pittura. Adesso – mormorò il biondo in risposta.
 

*

 
- Che minchia vuoi? Se è per quella cosa di stamattina, non ti risponderò mai. E non sei il mio migliore amico. Chiarito tutto?
Appoggiò le spalle al muro. Dopo di esse, anche la sua schiena trovò un appoggio contro quella superficie bianca e piatta, la cui parte alta era ricoperta di mensole.
Chiuse gli occhi, sorrise e attese una risposta.
Che non arrivò.
Deidara aprì la finestra, lasciò entrare l’inverno in quella stanza, lasciò cadere il cielo plumbeo sul pavimento lucidato a specchio.
- Sai, aspettavo questo momento da un po’ .
- Aspettavi di aprire la finestra in mia presenza?!
- No!! Pezzo di coglione, non hai capito nulla.
La sensazione gelida sul petto di Sasori fu interrotta dal calore di un altro corpo.
Una lingua sfiorò la sua, si infiltrò nella sua bocca inesperta, violò quelle labbra vergini.
Due mani incatenarono i suoi polsi come manette, una gamba si infilò fra le sue.
L’abbozzo di un bacio passionale, uno di quei baci che portano alla follia.
Il bacio che precede le mani sotto i vestiti.
E Sasori le sentì.
Sentì le dita di Deidara infiltrarsi nella sua felpa senza permesso, le sentì violare i suoi spazi.
La felpa, la canottiera, i jeans.
Lo sentì mugolare.
Sasori si staccò senza troppe cerimonie e toccò la tasca sinistra, quella in cui teneva il rasoio.
Deidara si portò l’indice destro alle labbra e succhiò via la goccia di sangue che era fuoriuscita dalla sua epidermide lacerata.
- Sasori... Cos’era?!
- Il mio rasoio, che altro?! Stamattina mi sono fatto la barba – rispose evasivo.
- Non ci credo.
- E allora non crederci.
Il biondo tornò davanti a lui e gli alzò le maniche.
- E questi come te li sei fatti?!
Sasori lasciò vagare lo sguardo sulle sue braccia distrutte.
Il braccio sinistro, molto più devastato della sua controparte destra, era una intrico di cicatrici bianche posate quasi per sbaglio su un incarnato ancor più pallido. Il taglio aperto di poco prima e quello che si era inflitto nel bagno della stazione spiccavano rossi, come una rosa appena fiorita nella neve.
- Dei...
Questi sono affari miei, avrebbe voluto dire.
Ma dopo quel bacio, non sapeva dove trovare il coraggio necessario per sbattergli in facci la verità.
Il suo piccolo cuore fragile tremò, riprese a battere veramente dopo tutto quel tempo, tra ragnatele di sentimenti morti e rose taglienti come lamette.
- Rispondi, bastardo!! Cosa sono?!
Sasori si abbassò le maniche e rise nervoso, girandosi verso il lato opposto.
- Sono caduto.
- Caduto sulle lamette?! Con le maniche alzati?!
- E tu che ne sai?
Deidara gli prese i polsi e li strinse.
Il taglio meno recente cominciò a bruciargli.
- Promettimi che non lo farai mai più! Promettimelo!!
Il rosso si staccò e fece due passi camminando all’indietro, verso la porta.
- Dei... Tu non capisci...
- Invece sì! Sasori, tu...
- NO!! Invece non capisci, non puoi capire!! Non posso prometterti che non mi taglierò più perché non posso concederlo nemmeno a me stesso!! E sai perché?! Perché quando mi taglio sto bene. Quando mi taglio il mondo si fa meno doloroso, perché quel dolore ce l’ho messo io e lo patisce solo il sottoscritto.
Non disse tutta la verità ma andava bene ugualmente.
- Sasori.
Quel sussurro fece crollare le sue difese.
Lubrificò i suoi occhi con delle futili gocce di pianto.
Le sue ginocchia cedettero e cade a terra, trascinando con lui anche Deidara.
- Io non volevo essere questo...
Anche se stava palesemente fingendo, non importava.
Deidara sorrise.
Sasori posò la testa sul suo petto.
- Shhh...
- IO NON VOLEVO ESSERE QUESTO!!
Sasori singhiozzò. Il petto cominciò a fargli male davvero.
Stava prendendo in giro l’unica persona a cui poteva ancora appigliarsi.
Una mano gli scompigliò i capelli e lui si ritrasse bruscamente, turbato.
Perché il suo corpo stava bruciando?

*
 

Nel silenzio dell’aula di pittura, Sasori e Deidara capirono.
Capirono che l’amore è una cosa seria.
Capirono che in tutti quei mesi in cui si erano presi a parolacce non avevano fatto altro che avvicinarsi inconsapevolmente l’un l’atro.
Capirono che, nonostante fossero due maschi, due ragazzi completamente diversi, tra loro era nato l’amore.
Capirono che scopare con un taglio sanguinante sul braccio fa molto, molto male.
Capirono che i sentimenti vanno ricambiati, perché assecondare è troppo poco.
Capirono che un amore a senso unico muore subito.
Capirono che senza vasellina fa molto, molto male.
Capirono che fare l’amore durante la prima nevicata dell’inverno con la finestra aperta non è mai una buona idea, per quanto possa essere romantico.

*


Si chiuse in bagno e tirò fuori il rasoio.
Quella era l’ultima volta.
L’ultima, l’ultimissima volta, poi non si sarebbe più tagliato, l’aveva promesso a lui stesso e a Deidara.
Posò le lamette sulla pelle, chiuse gli occhi.
Lasciò alla sua mano la libertà di sfregiarsi quanto voleva.
Un lieve gemito sfuggì dalle sue labbra socchiuse.
All’improvviso, sentì un dolore acuto provenire dal braccio.
Spalancò gli occhi e vide solo rosso.
Le forze lo abbandonarono, cadde a terra.
Stava morendo?!
Tuttavia era piacevole...

*

 
Deidara entrò in bagno. Avvertiva l’urgente bisogno di vomitare e svuotare la vescica.
Bere tequila di nascosto prima di venire a scuola non era stata un’idea brillante.
Chissà dov’era Sasori... Non lo vedeva dalla sera prima.
La scena che lo accolse entrando in bagno distrusse ogni cosa. Il mondo collassò davanti a lui, si depixelò paino, come se stesse giocando a Minecraft.
Sasori, seduto a terra, con la schiena contro il muro, con gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro.
In una mano, stringeva mollemente il rasoio.
L’altra stringeva un fazzoletto pieno di liquido vermiglio.
Il braccio sinistro era ricoperto da una sottile coltre rossa.
Il suo incarnato, già pallido, si era schiarito. Adesso era pallido come la cera che amava modellare.
- Sa... Sasori?
Si chinò.
Lo scosse per la spalla.
Cercò il battito sul polso.
No, no, no!! Non tu, non adesso!!
- Avanti... Alzati...
Le lamette caddero a terra, tintinnando sul pavimento di piastrelle grigie sbrecciate.
Le luci al neon si spensero per qualche secondo, per un battito di ciglia.
Era chiaro, lampante.
Una verità crudele messa a nudo.
Il bagno sprofondò nel silenzio e Deidara si dimenticò di respirare.
- Alzati, pezzo di coglione!!
Gli tirò uno schiaffo.
La pelle che la sua mano toccò era fredda come la solitudine.
Chiuse gli occhi per soffocare le lacrime, ma una si staccò e cadde a terra, sfracellandosi.
Morendo.
Si girò a guardare la sua finta anima gemella.
Posò le labbra su quelle screpolate del ragazzo, ma
quel freddo non sparì.
-Sa... Sasori...
Quell’assenza di rumori sembrava prenderlo in giro.
Posò la testa in grembo al rosso, sulla felpa.
Lui ormai se n’era andato, quello era un corpo, un cadavere, un fottuto involucro vuoto.
Fine.
Dead end.
Fin.
Chiuse gli occhi e sorrise. Gli strinse la mano e rimasero così, fermi in un abbraccio che sfidava tempo, amore e morte.
Che andava contro il tutto stesso.
Non si sarebbe mai più alzato, se necessario.

*FINE*

   
 
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