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Autore: Neal C_    09/12/2012    2 recensioni
“Chi è Rebecca?”
Brian per poco non sgranò gli occhi ma mi riservò solo un piccolo guizzo di sorpresa prima di lasciarsi andare in una risata ironica che mi punse sul vivo.
Era ragionevole che io non sapessi niente di questa Rebecca, sarebbe stato ragionevole che Brian, con la pazienza e l’amabilità che lo contraddistingueva nei momenti in cui era di buon umore, mi spiegasse tranquillamente di chi stavamo parlando. Non potevo certo conoscere tutte le frequentazioni di Brian, una rockstar che vedeva più facce in un’ora di quante ne vedessi io in una giornata. Ma allora, se avevo ragione, perché ero arrossito come un peperone e mi vergognavo come un ladro?

[Questa storia è correlata a "Just a perfect man", one-shot prequel, ma è autonoma in quanto può essere letta come una storia a sé stante]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Liaisons dangereuses






Quel giorno il cancelletto era malchiuso,  semplicemente accostato, il martelletto della chiusura penzolava nel vuoto e la sua catenella ogni tanto sussultava quando un leggero colpo di vento si faceva sentire.
Mi sono sempre chiesto come, nella periferia di Londra, a migliaia di chilometri dal mare, in piena campagna, anzi per essere più precisi, in uno di quei quartieri residenziali per ricchi benestanti, potesse soffiare il vento. Da dove vengo io, nello Yorkshire, non c’è un alito.
Un altro segno di stranezza era la cassetta della posta, che straripava di lettere.
Helena non è certo quel tipo di persona che lascia marcire la corrispondenza in quella scatola di latta con la sciatteria di certe donne in carriera, super impegnate, certi fuoriclasse che non possono spendere neppure un minuto del loro prezioso tempo per la cura della casa.
No, non era da lei.  Doveva essere successo qualcosa che l’aveva distratta, che aveva sconvolto i suoi programmi, la sua prima giornata di ferie dopo più di sei mesi di intenso lavoro.
Con la chiave alla mano, percorsi il selciato fino alla porta di casa, fiero di poter ammirare il giardino che io stesso avevo rimesso a posto senza dover ricorrere al giardiniere che puntualmente veniva una volta al mese a dare una sistemata.
Era una tradizione consolidata, risaliva al tempo in cui Helena ed io ancora non ci conoscevamo.
In un anno che abbiamo convissuto non ho mai osato dire la mia ma guardavo spesso, con malinconia, l’erba tosata al millimetro come fosse una crudeltà.
Ho sempre amato il prato all’inglese*, un prato un po’ più selvaggio e campagnolo e vedendolo ridotto ad uno zerbino mi metteva tristezza.
Non ci misi molto a capire il perché di tutte quelle novità: in soggiorno trovai una giacca di pelle nera buttata sul bracciolo di un divano, un bicchiere di acqua prosciugato, abbandonato sul tavolino, un pacchetto di sigarette Wiston rosse a fargli compagnia, mezzo vuoto e senza accendino.
Dalla cucina delle voci, una bassa e pacata, l’altra acuta, nasale e concitata, si sovrapponevano e si accavallavano, ogni tanto quella più bassa, femminile e terribilmente paziente taceva e ascoltava i passi pesanti dell’interlocutore sul piastrellato.
“Cody si è accorto che qualcosa è cambiato, che mamma e papà non si amano più, che non siamo più una famiglia…”
“Helena, Cody è mio figlio! Certo che siamo una famiglia!”
”Ascoltami, non voglio dire che tu non sia suo padre. Voglio solo farti capire che ormai siamo una famiglia… diversa. Più ampia.
Non so come devo dirtelo, Brian, ma vorrei che Cody sapesse che può contare anche su Andrew quando ne ha bisogno! Così come può contare su Rebecca…”
Ci fu un attimo di silenzio e poi uno sbuffo da parte di lui. Per un momento mi sentii un intruso e mi chiesi se dovevo ascoltare di nascosto e poi, a discussione finita, fingere di essere appena tornato, ignaro di ogni cosa, o se dovevo intervenire e fare la mia parte.
In fondo quella discussione mi riguardava personalmente, o meglio riguardava il mio ruolo nella famiglia della mia donna.
“Lasciamo Rebecca fuori da questa storia, per piacere”  replicò aspro, Brian.
Mi avvicinai alla porta della cucina socchiusa e intravidi l’ex marito della mia donna accendersi una sigaretta con gesti bruschi e nervosi, scuotendo l’accendino più volte perché quello si decidesse ad accendere.  Vidi Helena sospirare profondamente e rispondere con un filo di voce, rassegnata:
“Certo, Brian.”
“Ma perché questa settimana?! Perché la settimana che io avevo prenotato una vacanza per me e per Cody?! Perché, con trecentosessantacinque giorni l’anno, avete scelto proprio quei fottuti sette giorni,  cristo santo!”
“Perché la settimana prossima abbiamo preso le ferie sia io che Andrew e Cody non ha scuola.
Non vogliamo rimandare ancora e non so quando tu sarai ancora disponibile con il nuovo tour e tutto il resto.”
Helena aveva appena finito di parlare quando feci il mio ingresso in cucina.
Non potevo origliare ancora o forse volevo semplicemente chiarire la situazione.
“Buongiorno amore”  mi avvicinai per schioccarle un veloce bacio sulla guancia, mentre quella, dopo un momento di iniziale sorpresa mi sorrideva, rilassata.
“Brian”  gli feci un cenno di saluto, appoggiando su una sedia la borsa da lavoro e togliendomi la giacca nera di quel completo che faceva tanto uomo d’affari.
“Andrew”  ricambiò lui, secco, mentre si avvicinava al tavolo e lasciava cadere la cenere della sigaretta nella tazzina da caffè ancora incrostata.
“Amore è rimasto del caffè, te lo riscaldo?”
“No grazie. Piuttosto… a cosa si deve questa riunione di famiglia?”  scherzai osservando la reazione di Brian che sbuffò, scrollando le spalle, risentito.
“Sei profetico; neanche a farlo apposta stavamo parlando di questo.”  Ritorse Molko sputando una nuvola di fumo che mi fece arricciare il naso.
Forse lo fece apposta. Di certo sapeva che odio il fumo e solitamente impedisco a chi mi sta intorno di appestare l’aria, fosse anche una semplice “innocua” sigaretta.
Ad ogni modo mi limitai ad allontanarmi da lui, verso la finestra e, senza neppure chiedere,  spalancai le ante perché entrasse un po’ d’aria pulita.
“Andy, ti ricordi quando parlavamo di portare Cody sulla neve?”
“Ah si, che idea carina.”
“Verrebbero anche Brian e Rebecca. Così magari Cody  potrà… abituarsi a tutti noi.”
Accolsi la notizia con un sorriso poco entusiasta e un’inquietudine inspiegabile.
Avevo la strana sensazione che sarebbe stato un esperimento disastroso, che la convivenza civile con Brian Molko non avrebbe mai funzionato.  Il mio sesto senso mi gridava a gran voce di oppormi all’utopia della famigliola felice che Helena prospettava.
Sapevo che stava parlando della settimana prossima, mi aveva già accennato di aver parlato con Alicia e Tim che ci avrebbero lasciato la casa mentre erano in vacanza alle Bahamas.
Tra l’altro io non ero mai stato sulla neve.
In campagna, dove ho vissuto fino a vent’anni fa, la neve era un odiato nemico che annunciava drammatici giorni di inattività, il gelo dei campi e la rovina delle piante da frutta.
Insomma non avevo mai contemplato la possibilità di andare a “divertirmi ” sulla neve.
Quando Helena mi aveva accennato la cosa avevo già pensato che avrei trovato qualche scusa per essere il meno presente possibile e non trovarmi a dover ammettere che non sapevo sciare.
Mi sentivo un po’ provinciale per questo quasi come se fossi il topo di campagna della situazione.
“Helena, io non ho mai detto che sarei venuto volentieri, tanto meno in compagnia di Rebecca.”  Aggiunse Brian con voce annoiata, tornando poi ad aspirare dal cilindro di tabacco che impugnava fra le dita, con piccoli gesti vezzosi, tremendamente femminili.  Questo devo ammetterlo aldilà del fastidio del fumo, guardare Brian impugnare una sigaretta era qualcosa di più unico che raro.
C’era una leggerezza in quel gesto, un’eleganza subdola, sfacciatamente provocatoria che riusciva a catalizzare l’attenzione degli spettatori sulle sue piccole mani avorio e poi sulle sue labbra rosee che lambivano il filtro bianco.  Ci si poteva godere ogni istante, come in uno di quei vecchi film degli anni trenta, lenti, con attori pacati e austeri pure nel momento massimo di azione.
Una misura nei movimenti che incantava come se quel gesto fosse stato a lungo studiato, provato e riprovato davanti ad uno specchio da un attore consumato.
Ancora una volta mi assalì  quell’inquietudine vaga che non seppi spiegarmene la ragione con la lucidità che mi contraddistingueva.
“Brian, per favore, è importante per Cody! È importante per noi. E per me.”  Concluse il diminuendo Helena, enfatizzando con un piccolo gesto, il pugno della destra stretto, le fragili dita avvolte l’una sull’altra per scaricare la tensione e frenare l’esasperazione.
“Ho detto che voglio Rebecca fuori da questa storia…”
Poi improvvisamente chiesi, con un sospiro comprensivo che sfoderavo solo nei momenti più inopportuni. In quei momenti se mi fossi guardato allo specchio probabilmente mi sarei preso a schiaffi da solo.
“Chi è Rebecca?”
Brian per poco non sgranò gli occhi ma mi riservò solo un piccolo guizzo di sorpresa prima di lasciarsi andare in una risata ironica che mi punse sul vivo.
Era ragionevole che io non sapessi niente di questa Rebecca, sarebbe stato ragionevole che  Brian, con la pazienza e l’amabilità che lo contraddistingueva nei momenti in cui era di buon umore, mi spiegasse tranquillamente di chi stavamo parlando. Non potevo certo conoscere tutte le frequentazioni di Brian, una rockstar che vedeva più facce in un’ora di quante ne vedessi io in una giornata. Ma allora, se avevo ragione, perché ero arrossito come un peperone e mi vergognavo come un ladro?
“è la sua compagna.”   Spiegò brevemente Helena con voce sommessa ignorando totalmente il suo ex compagno.
Brian la sentì lo stesso e affondò la cicca mezza spenta nella tazzina di caffè, lasciandola a mollo in quel residuo di polvere e acqua scura.
“Non è la mia compagna.”
Mi parve un’osservazione stupida. Se non era la sua compagna allora chi era?  Da quando aveva paura di chiamare le cose con il loro nome?
Questo non era da Brian.  O forse era un Brian molto diverso da come l’avevo conosciuto.
In realtà, sarà stata al massimo la sesta volta in un anno che condividevo il mio spazio vitale con lui più a lungo dei cinque minuti canonici, buoni per i convenevoli e due saluti.
Forse stavo semplicemente scoprendo chi c’era dietro quel sorriso impeccabile e quella voce nasale e dolciastra sempre cerimoniosa.
“E quindi chi è?”  chiesi ancor più stupidamente.  Volevo a tutti i costi provocare in lui una reazione, capire anche solo un attimo come ragionava. Ero curioso come un ragazzino che esplora un insetto, osservandolo affascinato oltre la spessa superficie del vetro del barattolo sotto cui lo tenevo prigioniero.
“è la mia scopata”  ribattè lui e prese a studiarmi come se si aspettasse che io mi ritraessi scandalizzato come una donnetta puritana.  
Helena intervenne in quel confronto per sottrarmi ai suoi occhi indagatori.
Era incredibile come Helena riuscisse ad attrarre immediatamente l’attenzione di Brian.
Come se lui non potesse ignorarla, come se le riconoscesse una qualche autorità.
Non che lei potesse zittirlo ma sicuramente poteva osare interromperlo senza ricevere un’occhiata derisoria. Credo non volesse essere severa o bacchettona, eppure le sue parole mi suonarono come una predica:
“ Ed è  così che la presenterai a tuo figlio?”
“Oh no, per lui lei sarà la mia ‘amichetta’  ”  le rispose a tono, con un cinguettio che sapeva tanto di presa in giro e che, non so perché, le strappò un sorriso. Non me ne capacitavo.
Cosa c’era da sorridere?  Se era uno scherzo era di cattivo gusto!
“Ma il problema non si pone dal momento che non ho intenzione di portare Rebecca con me.
Penso che inviterò Stef e Dave” commentò sovrappensiero lanciando occhiate smaniose al tavolo, al bancone della cucina e infine ad ogni superficie piana , chiaramente alla ricerca di qualcosa.
“Ma non doveva essere una riunione di famiglia?  Cosa diamine c’entra… Stefan? ”
Sapevo davvero poco di Stefan. Non conoscevo nemmeno il cognome.
Sapevo a stento della sua esistenza da quando aveva telefonato, un giorno, per parlare con Helena, non so di che. Ricordo che questo episodio mi aveva ingelosito e avevo preteso di sapere almeno chi fosse, cosa facesse, se fosse un amico di famiglia e simili.
Ad ogni modo non vedevo alcuna connessione fra lui e la nostra settimana da famigliola felice.
Per non parlare di quell’altro, Dave , che non avevo mai sentito nominare.
“Stef è quanto di più vicino ci sia ad una famiglia per me.”  Concesse Brian,  pensoso,  poi commentò, irritante come sempre   “altrimenti sentiti  pure in diritto di invitare chi vuoi”
In quel momento trillò il suo telefono in salotto, cosa che lo costrinse ad allontanarsi pigramente dal tavolo della cucina a cui si appoggiava con i gomiti, uscendo dal nostro campo visivo.
Dopo qualche minuto di silenzio fra me ed Helena Brian annunciò ad alta voce che andava a prendere Cody a casa del suo amichetto.  
Poi, dopo il fruscio di una giacca, lo stridore della porta che si apriva e si chiudeva con un tonfo, pensai che ancora una volta questa decisione era rimandata al giorno dopo.
Non avremmo rivisto Brian prima di allora.


*******************



Riposi i vestiti da lavoro ben ripiegati su di una sedia, in camera, e decisi di farmi una bella doccia calda. 
A Londra, di questi tempi, tirava ancora aria invernale, benché ci si aspettava che sarebbe giunta la primavera, a fine marzo.
In più io sono un tipo freddoloso che non disdegna quasi mai una bevanda o un bagno caldo.
Tra me e me pregustavo già una serata con Helena tutta per me.
Mi sentivo in vena di romanticherie, volevo stringerla e sussurrarle parole dolci , accarezzandole una guancia morbida e rosea con la mia solita premura.
Lasciai la manopola dell’acqua aperta finché la vasca non fu riempita e  ci versai dentro bagnoschiuma e sali marini da bagno.
Mi spogliai completamente e mi infila nella vasca abbandonandomi con un brivido alla carezza tiepida dell’acqua schiumosa.
Prima di andare a vivere a Londra anche quest’usanza mi era sconosciuta.
Oggi mi chiedo come abbia potuto vivere senza.
Chiusi gli occhi per un attimo e poco dopo mi parve di avvertire lo sgradevole odore di un bastoncino di incenso che fumava lavanda.
Mi risollevai a malincuore mentre le acque intorno a me si agitavano e vidi entrare lei avvolta in un asciugamano, i capelli sulle spalle, sciolti dallo chignon in cui spesso erano costretti e con un lamento attirai la sua attenzione:    “Helen! Cos’è questa puzza?”
Lei mi osservò mentre io tornavo ad adagiarmi sulla superficie concava della vasca e mormorò in tono burbero, con un mezzo sorriso:      “Credo che ci sia un conflitto di interessi in atto.”  
Sbuffai, strofinando il naso con due dita e poi chiesi speranzoso, e perché no, con una punta di malizia:    “Perché non mi raggiungi qui?”
Lei fece finta di pensarci, sedendosi accanto a me, sull’orlo della vasca;
mi sussurrò qualcosa nell’orecchio, con dolcezza come il fruscio indiscreto del vento che sibila negli orecchi, quasi subdolo.
Io mi protesi in avanti per incontrare le sue labbra carnose, un fiorente bocciolo che si schiudeva sotto i colpetti gentili della mia lingua che saettava cercando la sua avidamente.
“Aspetta…”  appoggiò entrambe le mani sulle mie spalle, allontanando il viso dal mio.
Non riuscii a reprimere un mugolio contrariato e accavallai le gambe, rigido, strofinandomi contro la vasca da bagno.  
“… fammi spegnere l’incenso. O forse ti sei abituato al fumo?”    si prese gioco di me lei lanciando un’occhiata divertita  alle mie gambe che si intrecciavano fra loro.
Era bastato poco e già fremevo mentre il mio corpo si risvegliava e un calore bruciante risaliva dal basso ventre.
Quel colloquio con Brian mi aveva stancato, era stato l’ennesimo impiccio di una giornata di lavoro che si trascinava lentamente dalle otto di questa mattina.
Sospirai, cercando di calmare i bollenti spiriti e frenare la voluttà e l’istinto di toccarmi.
Quella stanchezza era cosa ben diversa dalla spossatezza che ti fiacca nell’animo e nello spirito.
Ero improvvisamente stanco di aspettare, quando avevo sperato a lungo in questo momento, fra una telefonata, un  incontro di lavoro, un telegramma da New York, un pranzo d’affari e tante carte da firmare.
Affondai la testa nell’acqua e accarezzai la manopola dell’acqua fredda meditando di abbassare la temperatura corporea che era rapidamente salita mentre nella mia mente si affollavano fantasie e immagini di lei.
Non osai raffreddare troppo l’acqua della vasca, temevo che l’avrebbe fatta rabbrividire e quasi non mi accorsi di quanto rapidamente ella fosse scivolata fuori dall’asciugamano, lasciandolo ripiegato e in ordine sul ripiano di marmo del lavandino, di fianco alla vasca.
Me la ritrovai in grembo, fra le gambe, con i capelli umidi appoggiati sul mio petto mentre accarezzava qualche pelo ribelle che stava ricrescendo dopo la cera.
“Domani vado dall’estetista, prenoto anche per te?”
Sentii solo l’eco di quella domanda che mi rimbalzò in testa solo per un attimo: sentivo il peso delle sue curve sulla mia pancia e sulle mie cosce, sentivo la sua pelle bagnata strusciare contro la mia virilità, messa sull’attenti.
Presi a baciarle il collo, sforzandomi di farlo il più dolcemente possibile.
Sono un cavaliere a letto. Cerco di contenermi e mi controllo fino alla paranoia, voglio che niente vada storto.
Ma mentre cercavo di girarla, stuzzicandole la base del collo con la lingua e facendo pressione sul suo fianco perché accettasse di soccombere al mio peso e invertire le posizioni, lei sembrava prendere le distanze appiattendosi contro la fredda ceramica della vasca, dandomi sollievo e lasciandomi profondamente insoddisfatto.
“Cosa ne pensi di Brian?”
Brontolai, ferito, mentre prendevo fiato, respirando pesantemente come un bagnante che è scampato all’affogamento.  Non potevo credere che stesse menzionando Brian - o anche semplicemente che ci stesse pensando! – in questo momento.
Mentre le baciavo il collo, mentre mi scioglievo sentendola fra le mie gambe, mentre volevo solo seppellirla sotto di me e farla mia, contando ogni singolo gemito che si sarebbe lasciata sfuggire la sua bocca, paffuta e rosea come una tenera guancia infantile, mentre io vivevo tutto questo, lei pensava a Brian.
“Non ci penso. Perché dovrei pensare a Brian mentre faccio sesso con te?”  ribattei, brusco.
Non avrei dovuto mostrarmi così seccato. Adesso avrebbe pensato…
“Sei geloso?”  
Ecco appunto. Non riescii nemmeno a smentirla.
Come potevo dirle che quell’uomo mi metteva una strana soggezione? Che mi infastidiva la sua continua presenza?
Era terribilmente invadente e onnipresente in ogni gesto di Cody, in ogni richiamo di Helena, era una presenza implicita che sembrava permeare quella casa come uno spettro maligno.
“Senti, Helena, perché non ci trasferiamo?”
“Che cosa?”
“Voglio comprare una casa mia.”
Vidi che mi guardava perplessa. Non capiva. Come avrebbe potuto?
In fondo non era lei la seconda scelta. Non era lei il “nuovo” compagno. Lei per me è la prima, metaforicamente parlando – si capisce –  .
Le ho dedicato tutto me stesso, per me non esiste nessun altra.
E so che anche per lei sarebbe lo stesso se non fosse per la presenza di lui che rovina sempre tutto.
Lei mi ama, con tutta sé stessa, ma non riesco a sentirmi l’unico e il solo.  Sono l’eterno secondo.
“Cos’ha che non va questa? È casa mia.”
“Non è casa tua.”
“Cosa?”
“Non è solo casa tua. E casa vostra.”
“Vostra?”
“Di te e lui”
era turbata. Potevo vedere le sue sottili, scure sopracciglia inarcarsi, le linee del viso che si avvallavano con quella sua adorabile fossetta che le deturpa il mento,era buffa e straordinariamente bella, persino mentre mi guardava con una profonda inquietudine negli occhi.
“Andrew, per piacere, piantala di dire sciocchezze.
Io e Brian ci siamo lasciati da più di un anno e non hai nessun motivo per pensare che questa casa sia più sua di quanto non sia tua.”
Non è vero. Lo sapeva e non lo voleva ammettere. O forse semplicemente non lo voleva vedere.
Feci cadere il discorso. Non avevo voglia di litigare ma mi era anche passata la voglia di fare sesso.
In realtà non avevo voglia di niente ed era abbastanza triste che una cosa del genere potesse deprimere i miei appetiti sessuali con grande facilità.
Mi strinsi a lei e poi mi distaccai accarezzandole per un attimo il volto distante; non mi prestava attenzione, aveva lo sguardo fisso sul muro, sulle piastrelle avorio del bagno o forse sul pannello di legno dove sono riposte le mille bottigliette magiche, shampoo, balsamo, bagnoschiuma, crema idratante, sali da bagno, aromi naturali ed effetti speciali per annaffiare l’acqua di spumose schiume.
Volevo costringerla a guardarmi, seguii la linea del collo e affondai sempre di più nell’acqua, nelle clavicole sporgenti, adoro quella cassa toracica così stretta, pizzicai i seni con malizia, e sentivo i suoi capezzoli rispondere con solerzia al calore della mia mano.
La palpavo con movimenti circolari e avvolgenti ma lei apparve quasi infastidita dai miei gesti amorevoli e si ritrasse di nuovo offrendomi il fianco e la spalla dura su cui appoggia il collo cignesco, accartocciato contro l’osso mentre il suo sguardo mi trapassò da parte a parte.
“Volevo sapere cosa ne pensavi di questa settimana di vacanza con Brian…”
Avevo gli occhi liquidi, la bocca arida in fondo e la saliva che si raggrumava ai lati, sarebbe colata giù se non fosse stata impedita dalla lingua e dal muro dei denti, l’acqua mi bolliva intorno e mi sentii pulsare come un vulcano che sta per esplodere e non ne potevp più di sentir parlare di Brian.
“Io…” ingoiai la saliva, la mia gola non era più tanto secca ma la voce che ne uscii continuava ad essere rauca e raschiosa come la ghiaia  “penso…che sia una buona idea…”
Non fu soddisfatta della mia risposta, non potetti fare a meno di giustificarmi:
“non possiamo parlarne…dopo?”  le lanciai uno sguardo significativo.
Scosse la testa. Io infilai giocosamente la mano sotto la sua ascella pizzicandole i peletti, residuo di una cera di qualche tempo fa che aveva bisogno di essere ripassata e con le mani sotto le ascelle la sollevai come si fa con un bambino piccolo, esultando come un papà giocondo e lei reagii con una risatina divertita che mi rilassò.
La appoggiai con delicatezza nella pancia della vasca da bagno e calai su di lei mordicchiandole a turno i capezzoli intirizziti dal freddo che protestavano per essere stati esposti all’aria esterna.
“Io spero…che con Brian… vada tutto bene…che a Cody piacerà…”  mormorò con voce carezzevole e finalmente ansimante Helena mentre la mia lingua scendeva a tradimento a corteggiare la peluria scura, appena sotto quel raggrinzito buco che chiamano ombelico.


***************
 




Note

* Al contrario di ciò che normalmente si pensa, quando si parla di prato all’inglese non ci si riferisce a quei bei giardini senza neanche un filo d’erba fuori posto, tipico dei giardini rinascimentali, ma di un prato un po’ selvaggio, con l’erba alta, e meno curata, ma più “esotica”, con piante di diversa provenienza, dai cactus alle magnolie , e disposizione varia, tutt’altro che regolare.




Angolo dell’autrice
Sono tornata con Andrew.
Semplicemente amo il suo punto di vista, mi lascia la possibilità di raccontare una storia, di intervallarla con quel tocco di introspezione che guasta sempre (ma che si annida ovunque e non può essere lasciata fuori da ospite indesiderata qual’è)  e darmi l’occasione di scrivere dei miei beniamini. 
Volevo solo precisare che l'etichetta "AU" non è proprio esatta. 
Il racconto non è assolutamente estraneo al contesto reale ma diciamo che quest'ultimo è meno "storico" e specifico del solito.
Un avvertimento: questa storia avrà dei ritmi molto lenti.
Maledico me stessa perché non mi sarei dovuta imbarcare in un’altra impresa di questo genere quindi preparatevi a perdonarmi di tutto e di più. 
Il titolo è tratto dal romanzo di Chaderlos de laclos - letteralmente "le relazioni pericolose" - da cui è stato tratto il film con Michel Pfeiffer e John Malkovic.
Dimenticavo il solito mantra: non li conosco, non loro non conoscono me, è tutto falsissimo, e sicuramente loro stessi sconfesserebbero tutto questo se mai capitasse loro di leggere il racconto (notare il periodo dell'impossibilità ù.ù)

Neal C.

 
  
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