Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: LadyTargaryen    09/12/2012    4 recensioni
Lui è un orso, lei è un drago. Lui è solo un cavaliere, lei è e sarà regina. Un amore impossibile, taciuto, in cui crogiolarsi in segreto. Jorah lo sa. Eppure, guardando l'orso emblema dei Mormont, ricorda qual era il loro motto. Ricorda il suo significato. Capisce che lei ha bisogno di lui. E lui di lei.
Ispirata all'episodio 2x07 di "Game of Thrones", quando Jorah cerca risposte da Qaithe.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jorah Mormont
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Here We Stand
 
 
 
 
 
 
Jorah si fermò senza fiato, arrestandosi in mezzo alla strada, sul selciato di ciottoli roventi di Qarth. Ansimò, i polmoni che pompavano frenetici, il respiro mozzo, i muscoli che urlavano invocando un attimo di riposo.
 
Per i Sette Inferni, era appena mattina. Come poteva già essere così caldo? 
 
Stancamente, si trascinò verso un porticato in ombra, alla disperata ricerca di un po’ di frescura. Si lasciò cadere a terra e abbandonò gli arti stanchi e appesantiti dall’armatura lungo i fianchi, lasciandoli cadere al suolo. Erano ore che batteva la città, perlustrando palmo a palmo ogni luogo, dai bazar alle osterie, nella speranza di trovarvi informazioni sui draghi. Ma niente, niente di niente.
 
Alle sue domande gli schiavi alzavano le spalle, i mercanti rispondevano sbuffando che per loro era solo una seccatura priva d’interesse…Ai Tredici non aveva neppure provato a rivolgere la parola. 
 
Non avevano detto nulla a Daenerys, principessa dell’antico sangue di Valyria, legittima Regina dei Sette Regni, perché avrebbero dovuto anche solo degnare di una mezza occhiata lui, un povero cavaliere in esilio, che nulla possedeva se non un’armatura male in arnese, una vecchia spada e i propri vestiti? 
 
Con un sospiro, si passò una mano sul viso per levare via quella leggera patina di sudore appiccicoso che vi s’era formata sopra. Si massaggiò gli occhi con pollice e indice, cercando di riflettere…Ma con quel caldo micidiale era impossibile.
 
Mai come in quei momenti, quando la calura si faceva insostenibile, quando il sudore gli inzuppava la tunica e annodava i capelli impolverati, desiderava essere a casa.
 
A casa sua, la sua Isola dell’Orso, nel palazzo dei Mormont.
 
Là, oltre mari e fiumi, aldilà di pianure e deserti, c’era la sua terra.  
 
Un corno di birra in mano, il fuoco che scoppiettava allegro nel camino e una bella tavolata nel salone, piena di gente vociante, di donne che ridevano, di bambini che gridavano e di quei cori da ubriachi cui tante volte da giovane si era unito, pestando i piedi e battendo i pugni per tenere il ritmo della canzone…
 
Era questo, per lui.  
 
Ricordò le sue cugine, Alysane, Lyra, Jorelle, che insistevano con la loro mamma per poter bere un corno di birra intero, da grandi. O Lyanna, che gironzolava tra gli adulti facendo loro mille dispetti, che si infilava sotto la tavola, mordendo negli stinchi tutti i presenti e rubando loro il pane o un cosciotto di cinghiale. O Dacey, la sua cugina preferita, che lo sfidava sempre a chi beveva di più…e che puntualmente finiva lunga stesa per terra.  
 
Le risate roboanti di zia Maege, che in quanto a battute sconce non aveva nulla da invidiare ad un soldato di fanteria.
 
La voce di suo padre che urlava l’ultima barzelletta sui Bruti per sovrastare il caotico vocio degli ospiti.
 
Eppure ancor meglio ricordava Lynesse, sua moglie.
 
Il suo sorriso tirato, di circostanza.
 
I suoi occhi tristi, i suoi costanti silenzi che nessuno notava.
 
Nessuno, a parte lui.
 
Si era prodigato in mille modi pur di renderla felice, industriandosi in tutte le maniere possibili. Lui aveva costruito la nave che li portava a Lannisport, inchiodandone ogni asse ed impeciandone ogni corda fino a spezzarsi la schiena. Lui aveva impegnato tutti i suoi averi, compreso il suo titolo, per avere più soldi con cui soddisfare le sue esigenze. Lui aveva venduto la sua stessa gente, bracconieri trovati nella sua terra, per lei.
 
E lei l’aveva tradito.
 
Se n’era andata, così, senza un preavviso.
 
Se n’era andata, e di sé non aveva lasciato che dolorosi ricordi.     
 
Perché quei ricordi, maledizione? Non aveva già sofferto abbastanza?
 
In verità, lo sapeva fin troppo bene. Era per lei: Daenerys.
 
Fin dal primo momento in cui l’aveva vista, gli aveva ricordato sua moglie, la sua Lynesse.
 
Forse perché era tanto più giovane di lui, forse perché aveva capelli tanto biondi da sembrare quasi bianchi…
 
No. Non doveva pensare a lei. Daenerys era un pensiero pericoloso, ammaliante. Un mare limpido e cristallino in cui tanto avrebbe voluto immergersi, nuotando in profondità per poi riemergerne, nuovo e pulito. Una casa calda e accogliente che sapeva di pace, di famiglia.
 
Una terra promessa in cui non avrebbe mai potuto mettere piede.  
 
Daenerys era la sua kalheesi, la sua regina…Eppure al contempo era più di questo.
 
Era la bambina, la ragazzina che aveva conosciuto a Pentos, piccola, indifesa, spaventata. Era la ragazza che aveva visto crescere a cavallo di una giumenta grigia, solcando assieme a lui il Grande Mare Dothraki, con cui aveva diviso i pasti e cui aveva rivelato tutta la propria vita, come non aveva mai fatto con nessuno. Era la donna che aveva visto bruciare e risorgere.
 
La stessa donna di cui si era perdutamente innamorato, che desiderava con tanta forza e intensità da stare male.
 
La stessa che aveva tradito, vendendo la sua vita, tutti i suoi segreti, agli uomini dell’Usurpatore.
 
L’aveva salvata dall’avvelenatore a Vaes Dothrak, ma ancora non riusciva a perdonarselo, a perdonarsi di aver tradito la fiducia dell’unica persona cara che gli restava.
 
Per quanto si ripetesse che il suo era solo un affetto paterno, un desiderio semplicemente protettivo, sapeva fin troppo bene dove stava la verità.
 
Era in quel groppo in gola che gli si formava al solo incrociare il suo sguardo, in quei sogni inconfessabili che popolavano le sue notti agitate, in quella voglia insopprimibile di stringerla forte e di baciarla fino a saziarsi di lei.
 
Ma non avrebbe mai potuto averla. Lei era una principessa, una regina, la legittima erede del Trono di Spade. Mentre lui…
 
Abbassò gli occhi, e involontariamente il suo sguardo incontrò l’orso nero dei Mormont, ricamato sulla sua tunica ormai sdrucita e consunta che vestiva sopra la corazza e la cotta di maglia.
 
L’orso era minaccioso, fiero, ruggente.
 
“Ricordati chi sei.”
 
E d’improvviso gli tornarono alla mente quelle parole che portava da sempre con sé : “Qui ci ergiamo”…
 

 
 
 
 
 
 
 
“Alta la guardia, Jorah!”
 
Il ragazzino ansima, grondando sudore. Abbassa per un attimo la sua arma per detergersi la fronte e riprendere fiato. Suo padre Jeor sta di fronte a lui, una lama da torneo, spuntata e senza filo come la sua, in mano. Sono ore che s’inseguono, menando fendenti da spaccare costole e frantumare femori, rincorrendosi nel cortile d’addestramento.
 
Jorah è giovane, eppure picchia già come un fabbro. A undici anni scarsi è già mezza spanna più alto dei suoi coetanei, e più robusto della maggior parte di loro. E’ grande e grosso, sempre in movimento, sempre accaldato e coperto di sporco, il corpo sempre segnato da lividi e cicatrici.
 
Ferite di guerra, le chiama orgoglioso il ragazzino, quando di ritorno da ogni allenamento le mostra al padre come prova del suo impegno.
 
Diventare un guerriero, un cavaliere, è tutto ciò che sogna: ogni giorno, infatti, che piova o splenda il sole, che nevichi o che soffino venti da tifone lui è là, la sua spada in mano, a gambe larghe, in guardia contro l’avversario di turno.
 
Spesso, anzi quasi sempre, l’avversario è Jeor, suo padre.
 
“Muovi le gambe, muovile! Non ti hanno inchiodato al terreno, ragazzo!!”
 
Jorah ammira infinitamente suo padre. E’ forte, è saggio, sa maneggiare ogni tipo di arma, dalla daga al mazzafrusto. Soprattutto, lo ama profondamente, ed è sempre pronto a giocare con lui “agli orsi”, il loro gioco.
 
Padre e figlio si girano attorno, squadrandosi. Jeor mena un colpo alla clavicola, Jorah lo devia inclinando lo scudo. L’uomo tenta un fendente alle ginocchia, ma il ragazzino lo evita con un balzo, mentre in contemporanea mira al torace con un diagonale. Jeor sogghigna, evitandolo, e d’improvviso abbassa la spada.
 
“Pausa, pausa. Abbi pietà di un povero vecchio.“
 
Jorah non fa in tempo ad abbassare anche lui l’arma che, buttati scudo e spada alle ortiche, suo padre gli è addosso.
 
“Ahahahaha! Basta padre, basta! ”
 
Il piccolo ride, rotolandosi nella polvere assieme al genitore, mentre questi ringhia minaccioso come l’orso che portano sulla tunica, simbolo della loro Casata. Finalmente si fermano, con Jorah a cavalcioni dell’uomo. Jeor lo guarda sorridendo, poi lo solleva da sé e si rimette in piedi.
 
“Mai distrarsi, Jorah. Il nemico è proprio da sconfitto che tira i colpi peggiori. Hai capito ?“
“Sì. Mai distrarsi.”
“Bravissimo. Ed ora, ci prendiamo una pausa, che dici?”
 
Si siedono all’ombra di un abete, passandosi la borraccia dell’acqua per dissetarsi. Jorah si toglie la casacca per contemplare i nuovi lividi guadagnati, e non rimane certamente insoddisfatto: il suo torace, infatti, è un’unica distesa di giallo e viola, come se gli avessero spalmato del colore sul petto. Eppure il ragazzino sorride, tutto fiero.
 
“Sono stato bravo, padre?”
“Certo, Jorah.“ replica suo padre, con una pacca sulla spalla “Sei più bravo di com’ero io  alla tua età!”
“ Un giorno diventerò un guerriero?” domanda il figlioletto, guardando il padre con occhi pieni di speranza.
“Diventerai un grande guerriero, un grande e fierissimo Mormont.”
“E darò la caccia ai Bruti! E anche agli uomini di Ferro! Li ucciderò tutti!” esclama Jorah, alzandosi in piedi ad infilzare un avversario invisibile. 
 
Jeor sospira, rattristato dal fatto che suo figlio, a soli undici anni, conosce già la parola guerra, la parola battaglia. E la parola sangue. Scuote il capo accennando un sorriso.
 
“Un orso non uccide per divertimento.” gli dice, mentre con un braccio lo tira senza mezzi termini di nuovo a sedere. “Un orso non attacca senza motivo. Se combatte, è per difesa.” Jorah lo guarda un po’ stranito, rimettendosi la casacca.
 
“Per difesa?”
“Esatto, figliolo. Noi Mormont siamo alfieri degli Stark, uomini del grande Nord. Noi combattiamo da generazioni gli uomini delle Isole di Ferro, respingiamo i Bruti da secoli. Ma tutto ciò che facciamo, non è soltanto per noi: è per chi amiamo.”
“Non capisco.”
 
Jeor posa un dito sul petto del figlio, proprio sull’orso nero che è il loro stemma.
 
“Ricordi il nostro motto, Jorah?”
“ ‘ Qui ci ergiamo ’.”
“Esatto. Possiamo non essere ricchi come i Lannister, o potenti come i Baratheon…Ma noi siamo una lama del Nord, uno scudo degli Stark. E ancora prima, lo siamo per la nostra famiglia, per la nostra patria. Noi ci ergiamo per le persone che ci sono care.”
 
Jorah lo fissa in silenzio, ascoltandolo come non ha mai fatto prima.
 
“Un orso” continua suo padre “difende la sua compagna, i suoi cuccioli, il suo territorio e la sua tana. Un orso non vive in branco, ma è fedele a chi ama, fino alla morte.” L’uomo gli accarezza i capelli, guardandolo dritto negli occhi. “Ricordalo sempre, figlio mio: un orso non è un orso, se non ha qualcuno da difendere. Ricordati sempre chi sei.”  

 
 
 
 
 
 
 
 
Jorah riapre gli occhi, la vista offuscata dall’afa.
 
E’ passata una vita, più di trent’anni, da allora…E allora perchè quel ricordo è ancora così vivido?
 
Non vede suo padre da prima del suo esilio, non gli ha mai neppure detto addio. Non sa come sta, se è ancora vivo, nulla. 
 
Per la maggior parte del Continente Occidentale lui, Jorah Mormont, il cavaliere esiliato, il traditore, non è che un nome scritto in piccolo sul grande libro della vita; un nome che il tempo prima o poi finirà per cancellare.
 
Sua zia, le sue cugine, i suoi nipoti, suo padre, sono ormai lontani da troppo tempo.
 
L’Isola dell’Orso, la sua casa, è distante; solo in sogno può sperare di rivederla: i suoi boschi folti, le sue colline dai pendii dolci, i piccoli torrenti, la sua terra all’apparenza dura e improduttiva che eppure sa dare così tanto a chi sa imparare ad amarla…
 
Non ha più nulla di tutto ciò.  
 
No, non è vero. Ha ancora qualcosa a cui aggrapparsi: Daenerys, la sua piccola regina.
 
“Ricordati chi sei”.
 
Può essere un traditore, può essere un esiliato.
 
Ma è e resta un guerriero, un Mormont.
 
Un orso.
 
Un uomo che ha ancora qualcosa da fare, da dare.
 
E soprattutto qualcuno da proteggere. 
 
Si alza in piedi, animato da una nuova energia.
 
Ora sa dove cercare: Daenerys ha bisogno di lui, e lui di lei. Non può deluderla.
 
Ora sa cosa deve fare.
 
 

 
 
 
 
 
FINE  

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’Autrice:   Salve! Conoscete per caso la canzone “Suona il corno” cantata da Zucchero, OST di “Spirit Cavallo Selvaggio” ? No ? Beh, se volete saperlo, m’ha fatto da sottofondo mentre scrivevo. Trovo che si addica…Voi che dite :D ? Comunque, veniamo a noi.
 
Jorah. Io lo adoro. Adoro quest’uomo ancora prima di vederlo interpretato da Iain (slurp!!) Glen (gran g****o, fra parentesi *-*), nonostante tutto non riesco a fare meno di amarlo. Perché? Amore per il Nord, probabilmente XD. Per la sua gente burbera, dura, spaccona e quant’altro dir si voglia, ma con un grande, grandissimo cuore. Gente che per altro mi ricorda un po’ la mia. E Dany…”Amore” a prima vista (o a prima lettura). E Jorah e Dany…Sarebbe lunga da spiegare.  Io stravedo per loro, e spero che Zio Martin mi accontenti. Sarebbe il coronamento di un sogno.
 
Ora vi lascio…E voi lasciate anche solo due righe di commento eh, ci conto °-< !!!
PS: A proposito…”Here we stand” è il motto dei Mormont in lingua originale =)
 
 
#Raky94  
 
 
 
 
      
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
     
 
  
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