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Autore: Narcis    10/12/2012    0 recensioni
Non avevo mai avuto nessun uomo prima di lui.
Lo incontrai un giorno nella foresta, sotto l’ombra dei grandi e lussureggianti alberi.
Mi si avvicinò ed io lo guardai negli occhi.
Fu un istante.
Gli sorrisi gentile; lui mi sorrise a sua volta, timido, quasi impacciato; invaso e sopraffatto dalla mia effimera bellezza.
“Le tue labbra sono come boccioli di rosa”.
«They call me The Wild Rose
But my name was Elisa Day.»

[ Storia ispirata alla canzone "Where The Wild Roses Grow" di Nick Cave & The Bad Seeds e Kylie Minogue. ]
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« They call me The Wild Rose
But my name was Elisa Day. »

 
 
 
 
 
 
Non avevo mai avuto nessun uomo prima di lui.
 
 
Lo incontrai un giorno nella foresta, sotto l’ombra dei grandi e lussureggianti alberi.
Mi si avvicinò ed io lo guardai negli occhi.
Fu un istante.
 
 
Gli sorrisi gentile; lui mi sorrise a sua volta, timido, quasi impacciato; invaso e sopraffatto dalla mia effimera bellezza.
 
 
 
“Le tue labbra sono come boccioli di rosa”, mi disse; frase sentita ma non scontata. Fu il primo vero contatto.
Io me le sfiorai con due dita ed abbassai il capo, imbarazzata, mentre lui si avvicinò a me. Quando rialzai gli occhi lo vidi sorridere dolcemente, intenerito.
“Ti ringrazio…” risposi a mia volta con un filo di voce, strozzato dalla timidezza e dalla paura di poter dire qualcosa di sbagliato.
 
 
“Cosa ci fai qui tutta sola?” mi chiese, ed io esitai a rispondere.
“Respiro.”, dissi io, guardandomi intorno con fare sfuggente, alludendo alla freschezza dell’aria del posto.
“Come ti chiami?”
“Elisa. Elisa Day.”
“Abiti qui vicino?” continuò, il suo modo sempre gentile e benevolo. Non sembrava una cattiva persona.
“Sì, poco più in là”. Alzai un braccio ed indicai un punto lontano, non ben definito, in mezzo all’orizzonte coperto da un’infinita moltitudine di tronchi d’albero.
“La tua casa è in mezzo alla foresta?”
“Sì.”
“Come le rose più scarlatte e preziose.”, fu un’altra sua allusione alle rose. Nel mentre mi porse una mano. Io gliela strinsi ed annuì, anche se in realtà non avevo capito bene.
 
 
 
 
 
 

« They call me The Wild Rose
But my name was Elisa Day. »

 
 
 
 
 
 
Per qualche motivo avevo paura mentre ci dirigevamo verso la mia casetta, il mio rifugio in mezzo alla foresta, l’unico posto in cui mi sentivo davvero sicura. Nel momento in cui lui vi mise piede mi sentì scoperta, nuda. Qualcuno aveva violato il mio nido, per questo tremavo come un uccellino spaurito.
 
 
Le mie sicurezze si erano trasformate in cupi turbamenti.
Forse lui percepì il mio spavento.
 
 
Si chiuse la porta dietro le spalle e si diresse da me a passo svelto, mi abbracciò e mi strinse a sé.
Io rimasi rigida, in un primo momento non seppi proprio cosa fare.
 
 
Al primo sguardo che ebbi con lui mi sembrò subito una persona buona, ma la mia paura scacciò via il pensiero benevolo, lasciando spazio ad avverse nubi di insicurezza, impotenza, debolezza.
Ma lui mi prese, mi abbracciò, mi tranquillizzò.
 
 
Piansi; alcune lacrime scesero giù dal mio viso, macchiando il legno chiaro del pavimento con chiazze più scure, che scomparvero l’una dopo l’altra, piano piano.
 
 
Mi strinse ancora, il suo mento sopra la mia testa. “Profumi di rose”, sussurrò dolcemente.
Mi lasciò andare dopo un po’ e con le dita, morbide e delicate, mi asciugò le lacrime.
Buono, gentile, mi sorrise.
Capì che lui era quello giusto.
 
 
 
 
 
 

« They call me The Wild Rose
But my name was Elisa Day. »

 
 
 
 
 
 
Il giorno dopo qualcuno bussò alla mia porta, di pomeriggio.
 
 
Mi alzai dal letto dove ero intenta a leggere Lord Randal, che posai sul comodino.
Andai ad aprire, non rimasi sorpresa. Era lui.
Aveva una rosa rossa tra due dita.
 
 
Fiore rosso, scarlatto, perfetto, dai soffici quanto delicati petali; fiore la cui piena bellezza però dura poco, forse due o tre giorni.
 
 
Gli sorrisi, mi sentì felice, il mio cuore sembrò essere scaldato da una strana e piacevole fiamma, tiepida, che non scotta, a differenza delle mie guance, che parevano andare a fuoco.
Lo feci entrare, mi porse la rosa ed io mi apprestai a metterla in un lungo e sottile vaso di vetro riempito d’acqua preso dalla cucina.
Andai in camera, lo trovai seduto sul bordo del mio letto a guardare fuori dalla finestra con sorriso ed occhi da bambino, meravigliato dalla possibile vista di qualche animaletto nel bosco. Mi venne da sorridere e poggiai il vaso sul comodino, accanto al libro di prima, sedendomi accanto a lui.
 
 
Parlammo un po’ del più e del meno, ma non troppo. A nessuno dei due piacevano troppo le parole.
 
 
“Sai dove le rose crescono così scarlatte, dolci e libere?”, domandò lui all’improvviso, fissando il fiore sul comodino, facendomi intendere che avesse già una risposta.
“No.”, risposi io, sdraiata a pancia in su sul letto, con le gambe sporgenti dal bordo su cui era seduto lui.
Si girò in parte, così da riuscire a guardarmi in volto. “Se ti mostro le rose, mi seguirai?”
“Sì.”
 
 
 
 
 
 

« They call me The Wild Rose
But my name was Elisa Day. »

 
 
 
 
 
 
Il terzo giorno arrivò presto.
Ci eravamo dati appuntamento davanti a casa mia, lui venne all’ora giusta.
Mi prese per mano, esibì un sorriso, mi portò con sé.
 
 

Camminammo nel bosco, l’erba fresca mi solleticava le caviglie ad ogni passo che facevo ed il vestito mi svolazzava ad ogni minima folata di vento, seguendo il soffio di quest’ultimo come un achenio leggero e silenzioso.
 
 
Giungemmo ad un fiume a me ignoto. Mi indicò degli arbusti vicino alla riva. Uno stupendo rovo di rose scarlatte cresceva indisturbato, inviolato e splendente.
Rimasi stupefatta. Mi girai verso di lui e lo guardai negli occhi, non seppi cosa dire sul momento, la meraviglia era troppo grande.
 
 
 
Ci sdraiammo sull’erba fresca e leggermente umida, vicini, mano nella mano. Solo un raggio di luce passava attraverso le folte chiome degli alberi sopra di noi, infrangendosi sulla superficie dell’acqua.
Girammo il capo entrambi. Mi guardò, io guardai lui. Raddrizzò la schiena, mettendosi a sedere sull’erba, sporgendosi su di me, che ero ancora supina. Si avvicinò ancora, mi baciò. Fu un’emozione unica, che non provai mai più.
Per la prima volta mi sentì libera, amata, viva.
 
 
 
 
 
 

« They call me The Wild Rose
But my name was Elisa Day. »

 
 
 
 
 
 
Passò qualche istante, mi sentì leggera come il petalo di un fiore delicato.
Si staccò da me, avrei voluto che non finisse mai.
Lo guardai negli occhi, lui mi guardò ancora a sua volta, sorridendo.
Disse qualcosa, ma io non riuscì a capire le sue parole sussurrate.
 
 
“Tutte le cose belle devono morire.”
 
 
L’ultima cosa che vidi fu la sua mano, chiusa a pugno, sopra di me. Stringeva un sasso appuntito.
 
 
 
Mi trascinò per terra, fino all’argine. Mi fece adagiare sul letto del fiume. Il vestito bianco diventò quasi trasparente, mentre l’acqua in prossimità della mia testa divenne rossa; rossa come i petali delle rose a pochi metri da me, ancora nella loro piena bellezza, che sarebbe sfiorita da lì a pochi giorni.
 
 
Lui si diresse verso il suddetto rovo. Colse un fiore, tornò da me, si piegò sulle ginocchia.
Mi adagiò la rosa tra i denti.
Mostrò ai miei occhi l’ennesimo sorriso prima di abbassarmi le palpebre, coprendomi con la sua solita delicatezza il mio ultimo sguardo, spaurito ed interrogativo, destinato a rimanere sempre immobile ed eguale.
Premette sul mio petto, una piccola spinta; venni trasportata dalla corrente del fiume.
 
 
 
 
Mi chiamano La Rosa Selvatica, ma il mio nome era Elisa Day.
 
 
 
  
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