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Autore: ViolaNera    12/12/2012    3 recensioni
[Seguito diretto di "Something Hidden", per tutti coloro che si sono chiesti come sarebbe finita tra quei due.]
Non ci ha più pensato, davvero.
Non è rimasto fisso allo specchio del bagno, sfiorandosi il collo ed i bottoni della camicia, rimuginando su quanto fossero vivide le sensazioni di quel sogno che sembrava non avere mai fine.
La cosa peggiore non sono i baci; non più, dopo che la febbre è passata ed è tornato a ragionare lucidamente. Dopotutto, ogni cosa era finzione, ma...
Quella tazza.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Norvegia, Paesi Bassi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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[La storia precedente.]









Sono passate diverse settimane da quel giorno orribile e, per fortuna, non ha più avuto alcun genere di sogni più o meno imbarazzanti ed intimi che come protagonista volevano l'olandese.

Non ci ha più pensato, davvero.

Non è rimasto fisso allo specchio del bagno, sfiorandosi il collo ed i bottoni della camicia, rimuginando su quanto fossero vivide le sensazioni di quel sogno che sembrava non avere mai fine.

La cosa peggiore non sono i baci; non più, dopo che la febbre è passata ed è tornato a ragionare lucidamente. Dopotutto, ogni cosa era finzione, ma...

Quella tazza.

La stramaledetta tazza fatta col sembiante del musetto dolce di un coniglietto bianco. Un piccolo pensiero che non sarà costato niente, in termini economici, ma che lo ha fatto riflettere così a lungo da diventare matto, perché quella tazza esiste davvero.

È una brava persona, è gentile, bisogna conoscerlo meglio.

Parole di un Danimarca troppo stupido e buono per capire quanto quelle osservazioni lo infastidissero, anziché spingerlo a sforzarsi un po'.



Sulle prime Olanda non dice niente, limitandosi a fissare il norvegese come fosse un normalissimo pezzo d'arredamento apparso per magia davanti alla porta di casa. Se è sorpreso non lo lascia vedere molto, a parte forse un lieve inarcarsi di sopracciglia.

Le sue occhiate -inutile dirlo- irritano moltissimo l'ospite, il quale medita seriamente, per almeno cinque o sei volte, di andarsene senza emettere un suono.

«Vuoi entrare?», gli chiede, infilando con noncuranza un pollice nella tasca dei jeans strappati. Jeans che Norvegia fissa con discreto disappunto, censurando una dozzina di battute su adulti che giocano a fare i ribelli adolescenti.

«No, mi godo il design della porta», ribatte piattamente.

«Sei simpatico come ricordavo», sussurra l'olandese, facendosi da parte e lasciandolo finalmente mettere piede in casa.

Non la osserva più di tanto, anche se non può fare a meno di notare quanto tutto sia perfettamente in ordine, e c'è un profumo, insistente come se ormai le pareti ne fossero impregnate, di tabacco dolce e speziato.

«Sei fortunato. Se avessi suonato cinque minuti dopo non avrei sentito.»

Lo guarda e si accorge che tira fuori dalla tasca posteriore una piccola paletta dal manico arancione.

«Coltivavi erba?»

«È solo così che mi vedi?»

Rispondere ad una domanda con una domanda, cosa c'è di più irritante? A parte Danimarca che canta a squarciagola mentre fa il bagno con le sue amate paperelle.

Anche la prontezza nel ribattere è fastidiosa, per Norvegia, perché ha sempre creduto di essere il principe assoluto in quel settore.

Apre la bocca per replicare, ma l'olandese non attende. Gli fa cenno di seguirlo e lo accompagna in cucina, dove, senza informarsi se voglia qualcosa, in men che non si dica inizia a preparargli il caffè.

Norvegia si fissa le scarpe, andando a sedersi al tavolo della cucina, a disagio e fuori posto.

È una brava persona, è gentile, basta dargli un'occasione.

«Io...», comincia, schiarendosi la voce.

«Ti è piaciuta la tazza?», lo interrompe, mettendogliene sotto il naso una normale, colma di un interessante liquido dal quale dipende in maniera vergognosa.

Si sente infiammare lentamente le guance e le mette le mani attorno, sfiorando involontariamente le sue dita che ci sono ancora vicine. Gli si avvita lo stomaco e la sensazione è la cosa più spiacevole che avrebbe mai potuto provare in sua presenza.

Per alcuni secondi tutto diventa nero, tanto da spaventarlo, e teme di essere leggibile come un diario dal lucchetto saltato.

«Volevo ringraziarti», butta fuori a fatica, veloce ma in tono calmo.

Olanda si arresta con la mano sul pacchetto di sigarette e lo lascia dov'è, voltandosi a guardare la testa bionda china sul tavolo. «Fai sul serio?»

Reprime un lamento infastidito, poi lo guarda negli occhi, ostentando tutta l'indifferenza del mondo.

«Quella dannata pioggia l'ho presa per colpa tua, sono stato male per colpa tua, ho dovuto subire i tormentati monologhi di Dan, le sue (tue) tisane e brodini per tre giorni (e di questo incolpo sempre te), ma mi hai portato a casa. Quel che è giusto è giusto.»

Si ferma, picchiettando con l'indice sulla tazza del caffè, se la porta alle labbra e conclude la spiegazione prima di bere un sorso. «Inoltre il regalo mi piace.»

Sente un leggero calore diffonderglisi nelle guance e si nasconde provvidenzialmente sorbendo la bevanda con estrema lentezza.

Olanda non si siede e lo scruta con espressione seria, accigliata.

«Lasciando perdere il fatto che non mi ritenga responsabile del tuo malanno, sei venuto sin qui per ringraziarmi per una tazza?»

Il caffè quasi gli va di traverso, ma resiste. Sì, è andato ad Amsterdam per quello. Missione compiuta? Evviva?

«Esattamente», mormora con dignità, finendo il caffè ed alzandosi lentamente.

Olanda lo osserva a lungo, rischiando di metterlo in serio disagio, ma, entrambi orgogliosi, si fissano senza battere ciglio per un lungo minuto. Infine, l'olandese fa un cenno con la mano ed esce dalla cucina.

«Vieni con me.»

Il suo cuore si stringe, così come lo stomaco. Non è che l'abbia detto in un tono particolarmente equivoco, ma si trova pur sempre in casa sua ed ha ancora addosso i rimasugli di quel lunghissimo sogno. Ce l'ha appiccicato come una pellicola sottile dalla quale è faticoso liberarsi.

Preme leggermente le mani contro il corpo, distraendosi con il tessuto morbido dei pantaloni, mentre un angolo della sua mente pensa che avrebbe dovuto telefonargli, mandargli un messaggio tramite Danimarca, oppure scrivergli una mail.

Quel confronto diretto è scomodo, visti i propri trascorsi onirici.

«Non vieni?»

Olanda è sulla soglia della cucina, a guardarlo con la mano sul fianco. «Credi che voglia portarti nella terrificante e fumosa Serra dei Drogati?»

Si muove per seguirlo, rigido, ottenendo un brontolio di approvazione. Niente serra, niente piante strane. Lo porta nel posto più meraviglioso del mondo.

Sgrana gli occhi, interessandosi.

«Siamo ancora a casa tua?»

Olanda sorride impercettibilmente con gli occhi. «Ti piace?»

È una stanza piuttosto grande, con due divani non troppo di lusso e tutto l'occorrente per prendersi cura di quelle amorevoli, bellissime, morbide ed assolutamente irresistibili creature.

Coniglietti.

Di ogni colore, di diverse razze, intenti a sonnecchiare, a rosicchiare qualcosa o a coccolarsi tra loro. Niente gabbie in vista, solo una calda e luminosa stanza d'appartamento nella quale sembrano, paradossalmente, inseriti meglio che in un prato.

«Questo è-»

«Il Paradiso?», termina in tono divertito l'olandese, entrando nella stanza e chinandosi per prendere tra le mani una pallina di pelo bianca, con una macchia a forma di cuore dietro la schiena. È un ariete nano, la punta delle buffe orecchie abbassate di un tenue avana.

Gli si avvicina con quell'animaletto e glielo tende. «Lei è Nijntje, la mia donna», dichiara serio. «Puoi tenerla in braccio, è tenerissima anche con chi non conosce.»

Norvegia non se lo fa ripetere due volte, non ci prova neanche a fingere che non gli interessi. È una sua debolezza, ma Olanda ha una stanza piena di coniglietti adorabili, quindi anche lui, tecnicamente, ha una fissa per quegli animali.

Alza le braccia e prende la pallina di pelo, così piccola e morbida che con i due palmi la contiene quasi tutta. Se la avvicina al viso e si sente sciogliere qualcosa dentro mentre col suo musetto gli esplora la faccia, amichevole e curiosa.

«Da quando vivi con tutti questi conigli?», mormora, per una volta in vita sua interessato a qualcosa che riguardi il caro amico di Danimarca.

«Da sempre. Trovo che siano gli animali più dolci del mondo. Tu no?»

Annuisce, arrossendo e lasciando che la piccola gli si arrampichi sulla spalla e si appallottoli lì, zigando piano e con soddisfazione. Solleva la mano e la gratta tra le orecchie, amorevole come sa essere soltanto con loro e con i bambini molto piccoli. O con suo fratello.

«Sembra che tu le piaccia», osserva, mettendosi a coccolarla anche lui e scontrando le sue dita, di tanto in tanto, con quelle del norvegese.

Lo stomaco di Norvegia si avvita, sembra costringersi tutto in un punto ogni qualvolta capita. Coglie quei segni e si demoralizza, perché quella è la vita reale e lui non dovrebbe assolutamente sentirsi così.

Per lui.

«Certo», borbotta, ingoiando ogni forma di imbarazzo e sostenendo con inespressività completa il suo sguardo smeraldino.

Non sembra male, Olanda. Non visto così. Non sembra affatto male, come dice Dan.

È sicuramente colpa di quella stanza.

«Pare che alla fine qualcosa in comune ce l'abbiamo, mh», gli sussurra, in un tono non insinuante, non fastidioso, non trionfante. Normale, semplicemente deduttivo.

Norvegia annuisce ancora, colpito e sorpreso. «Come lo sapevi?»

«Cosa? Che ti piacciono i conigli?»

«E che mi dà fastidio il tuo fumo. Da quando sono qui non hai acceso una sola sigaretta. Sfiori il pacchetto che immagino tu abbia in tasca e lo ignori.»

«L'hai notato?»

Olanda fa un piccolo sorriso simile a una smorfia, ma non gli sta affatto male. «Diciamo che so osservare e ho un migliore amico che parla troppo. Spesso di te.»

«Quell'idiota», sbuffa, avvicinandosi a uno dei divani e sedendosi vicino ad altri due coniglietti che, quasi immediatamente, balzellano lì e gli si appallottolano contro la gamba in cerca di coccole.

«Lo sai che è innamorato di te, Nor?»

«Assurdità.»

Si avvicina e gli si siede accanto, ma ad una certa distanza. Norvegia cerca di non ripensare a quel sogno vivido, perché c'era un divano anche lì ed erano soli allo stesso modo. Ricorda persino la sensazione delle dita sotto la camicia, il suono che ha fatto la stoffa quando l'ha strappata e i bottoni si sono dispersi.

Coccola teneramente i due coniglietti, più la preferita dell'olandese che sembra averlo preso in simpatia, sforzandosi di spezzare quella sensazione di déjà-vu grazie alla loro presenza.

«Che cosa intendi fare con lui? Tiene a te da morire.»

Norvegia inarca un sopracciglio, infastidito dalla sua insistenza, e si mette a guardarlo con il viso appena voltato.

«È per questo che mi facevi quelle stupide domande, l'altra settimana? Volevi sapere cosa provassi per Danmark?»

«Non c'è nulla di sbagliato in questo.»

«Sono affari miei, ovviamente è molto sbagliato.»

«È mio amico e non voglio che tu gli faccia del male.»

«Perché non te lo prendi tu, allora.» Lo provoca deliberatamente, con quell'insinuazione, ma non si aspetta il suo sguardo severo e la risposta secca, brutale.

«È quello che farò.»

Danimarca e Olanda...? Non ci ha mai pensato, non seriamente.

Lancia un'occhiata alle ciocche sparate per aria e si dice che sarebbe proprio un bel duo, quello: la coppia dai capelli stupidi, da riconoscere da dietro anche a distanza. Sibila qualcosa e si porta un coniglietto davanti al naso.

«Meraviglioso, mi trovi favorevole. Potrei anche aiutarti se in cambio mi facessi coccolare questi coniglietti una volta a settimana.»

Olanda fa un piccolo sorriso storto e si sfilaccia il jeans strappato sulla coscia.

«Sei un tipo che si accontenta di poco.»

«No, sono un gran romantico e tifo per la vostra storia», dice in maniera piatta.

Olanda si volta, piazza il gomito sullo schienale e lascia che il palmo della mano gli sostenga il peso della testa inclinata. «Non ti importerebbe proprio?»

Il norvegese si china e raccoglie altri animaletti, portandoli sul divano e mettendoseli in grembo, come se progettasse di farsi ricoprire da loro e sparire alla sua vista.

«Hai frainteso la sua adorazione per me», sussurra dopo un po', innervosito, sforzandosi di guardarlo in faccia più a lungo possibile. «Siamo una famiglia, ognuno di noi è il pezzo unico di un grande puzzle. Dipendiamo gli uni dagli altri e l'unica cosa che interessi a Dan è di potermi stare vicino. Non confondere questo con l'amore.»

Sembra pensare alle sue parole, soppesarle, poi si avvicina un po' e allunga l'altra mano per accarezzare la schiena di uno dei coniglietti. Sono così piccoli e la sua mano è tanto larga che basta poco per dispensare coccole a quasi tutti, finendo ancora per incontrare le dita gelide di un norvegese sull'orlo del collasso emotivo.

«Non me n'ero mai accorto», mormora, quasi sovrappensiero. «I tuoi occhi non sono blu. Sono sempre stato convinto che fossero blu, invece, ora che li guardo da vicino, mi accorgo che sono... indaco?»

Il cuore comincia a battergli così forte che si chiede se sia mai successo, prima, ad eccezione di qualche battaglia ormai sepolta dal tempo. Come può fargli appunti del genere? Che senso ha mettersi a parlare del colore dei suoi occhi?

«Non avevo mai avuto l'occasione di guardarti bene. È una scoperta interessante», continua, catturando un coniglietto e portandoselo sul petto, per poi lasciare che gli si arrampichi su per la spalla.

Lo aiuta tenendogli il palmo sul sederotto, sorridendo con uno sguardo laterale alla bestiola. Un sorriso ed uno sguardo dolce che Norvegia non si perde, ma può finalmente respirare di nuovo con calma, perché non ha più le sue dita caldissime vicino alle proprie.

«Ci siamo già guardati negli occhi, Ned. Quando si parla con qualcuno è buona creanza farlo, quindi se sei improvvisamente guarito dal tuo daltonismo posso solo farti le congratulazioni. Fai finta abbia applaudito.»

Non è questo quello che vorrebbe dirgli; probabilmente non dovrebbe dire nulla e basta.

«I tuoi occhi sono spesso socchiusi ed annoiati», insiste l'uomo, il quale, dopo essersi assicurato dell'equilibrio raggiunto dal coniglietto in spalla, torna a concentrarsi completamente sull'ospite. «Anche quel giorno sotto la pioggia non riuscivo veramente a vederli. Oggi invece ti sto guardando e vedo indaco.»

Fa un piccolo sorriso, davvero microscopico, tanto che Norvegia crede di esserselo immaginato.


Lo riaccompagna alla porta dopo avergli fatto smarrire la cognizione del tempo. Il cielo si sta scurendo e Norvegia deve prendere un aereo per tornare a casa, ma staccarsi dalle soffici e dolci creature è stata un'impresa.

Come si congeda da lui, ora?

Una parte del norvegese vorrebbe scusarsi per essere sempre così scorbutico e freddo, l'altra gli sta sibilando di chiudere il becco e di non pensarci neppure, perché è solo fedele alla propria natura.

Si volta e se lo trova quasi addosso.

Sgrana gli occhi e stringe le labbra, il respiro mozzato dall'incredibile vicinanza.

L'olandese è chino su di lui, per un lunghissimo momento la punta del naso di Norvegia sfiora le sue labbra.

«Ned», esala, la voce sottile e la schiena premuta contro la porta.

«Avevi qualcosa tra i capelli.»

Il tono di Olanda è così intenso da fargli provare quasi dolore fisico.

Lo osserva allontanarsi da lui e tornare dritto, un piccolo pelucco di polvere stretto tra due dita. «Sarà stato qualcuno dei miei piccoli.»

Vorrebbe darsi un colpo al centro del petto ed uno in testa: il primo per far riprendere piena funzionalità a cuore e polmoni, il secondo per chiamare a raccolta il senno. Che sia finito sulla Luna? Gli serve un carro? Un ippogrifo?

«Ho un problema, Nor.»

Oh, beh, sapessi io come me la sto passando...

«Non sai come chiedermi un prestito per comprarti dei pantaloni decenti?»

Ha preso tempo per pensare, con quella frecciata, perché ora gli chiederà perché ha passato buona parte del suo tempo a fissargli le labbra e lui non sa cosa rispondere.

Gli dirà: volevi assicurarti della loro forma come io ho fatto con il colore dei tuoi occhi, oppure volevi semplicemente baciarmi? Ti chiedi come sarebbe nella vita reale?

Olanda si guarda un attimo le gambe con fare truce. «A me sembrano normali.» Torna a piantargli gli occhi in faccia e si porta le mani ai fianchi. «Il problema è che non so come salutarti, perché per la prima volta da quando ti conosco sono stato bene insieme a te.»

«Un ciao e grazie di essere passato sarà sufficiente”, commenta placido.

«Sono sorpreso di ritrovarmi a pensare al fatto che Dan abbia ragione su di te. Non credevo avrei mai dato credito a quelle parole senza fine spese per tessere le tue lodi.»

«Tranquillo, io ancora non credo a quelle su di te.»

Sfiora la porta alle spalle cercando di ritrarsi, perché ha l'impressione che lui si avvicini. Non è così, è colpa della sua altezza, della prospettiva... Olanda non ha motivo di avanzare. Non lo abbraccerà come fa sempre con Danimarca, non gli scompiglierà i capelli. Deve solo respirare e contare i secondi che lo separano dalle scale là dietro. Deve smetterla di guardarlo, deve girargli la schiena ed uscire.

«Per rivederti in maniera pacifica come oggi devo farti un altro regalo?»

Il norvegese si aggrappa alla propria capacità di non apparire sorpreso, ma mentalmente sente la mascella arrivargli al petto. Vuole rivederlo? E perché il cuore ha ricominciato ad assordarlo?

«Perché? Non hai paura che ti sottragga un coniglietto alla volta? Potrei già averne uno sotto il cappotto.»

L'uomo sorride senza muovere le labbra. È una luce diversa che gli appare negli occhi e, a tal proposito, Norvegia sta pensando che non siano proprio verdi. Non crede di aver mai visto in natura un colore così ammaliante.

Ammaliante?

Ha la febbre di nuovo, è una ricaduta. Garantito.

«Devo perquisirti per stare sicuro?», sussurra, ma senza fare alcun cenno di toccarlo.

È una fortuna, perché la nazione nordica non sa quanto autocontrollo gli sia rimasto, a furia di perdersi in quegli inutili pensieri.

«Sei in grado di rispondere ad una domanda senza porne un'altra?», ribatte con un sospiro, ostentando irritazione ed incrociando le braccia per difesa.

«Se mi si fanno le domande giuste. Sono un tipo diretto.»

Norvegia inarca un sopracciglio, appoggiandosi così forte alla porta da ringraziare si apra verso l'interno, evitandogli possibili cadute.

«Perché vorresti che tornassi?», gli chiede allora, sforzandosi di non sembrare così interessato alla risposta, ma fremendo di agitazione.

Lo osserva, però non resta in silenzio a lungo, non tanto, comunque, da farglielo pesare come un macigno di disagio.

«Sono stato inaspettatamente bene, come ti ho detto.»

Norvegia continua a scrutarlo in maniera piatta, come aspettandosi altro. Altro che arriva dopo una manciata di secondi, scanditi da respiri lentissimi.

«Credo che tu possa piacermi, Lukas.»

Qualcosa si spezza e i suoni si azzerano.

Al nordico sembra di essere finito improvvisamente in una stanza piena di nebbia, dove l'unica cosa da guardare, l'unica che abbia un senso, sono quegli occhi di un verde che non ha riscontro nel mondo che conosce.

Oppure c'è, quel colore, è impossibile che non esista da alcuna parte oltre che in lui. Come il viola di Eirik, come quello di Tino, come il turchese di Berwald: l'unicità di ogni colore è che appartiene ai loro volti e lo stesso è per quel verde, non deve stupirsi.

Nella fitta nebbia che lo avvolge, nell'assenza di stimoli sensoriali quasi totale, si chiede se non sia appena svenuto o stia facendo un altro sogno.

«Sei reale questa volta?» Lo mormora con labbra insensibili, la voce inudibile.

Credo che tu possa piacermi, Lukas.

Il nome proprio, il nome umano che gli ha dato Danimarca nei tempi più moderni, diverso da quello che usava da giovane, è un nome che gli è molto caro. Sentirlo pronunciare da lui gli fa percepire le gambe instabili e detesta capire che non è solamente attrazione fisica.

È stato bene anche lui, quel giorno.

Olanda non ha fumato, non ha fatto discorsi senza senso, non sembra un idiota, ha passato ore ad accarezzare coniglietti insieme a lui e a sorridere in quel modo particolare. Doveva sforzarsi per non finirgli troppo vicino, tanto si sentiva attratto.

Attratto? Sì, è il termine giusto.

È attratto, contro ogni logica, contro ogni convinzione di sempre, da un uomo che ha avuto sotto gli occhi da troppo tempo e che non conosce per niente.

Ha bisogno di sentire quanto sia vero. A costo di lasciarlo sconvolto, a costo di dovergli dare in seguito una botta in testa e cancellargli la memoria con minacce terribili.

Deve sentirlo. Allunga la mano, se lo tira addosso ed è una vera sorpresa quando l'olandese -Jan- non fa niente per opporre resistenza.

Gli finisce contro e restano labbra contro labbra, senza una parola, senza un sussulto, senza muoversi oltre.

Norvegia deglutisce a vuoto, la mano stretta a pugno poco sotto lo scollo della sua maglietta nera. «Che cosa succede se lo faccio?», gli chiede e si chiede a voce alta, abbastanza fermo da non far trapelare tutta l'incertezza, la paura e la confusione che sta provando.

Olanda preme le mani sulla porta, raddrizza la schiena e inclina la testa, restando a portata di bacio.

«Succede quello che vogliamo entrambi.»

Alza lo sguardo al suo: non vede bugie, non vede prese in giro, non vede ironia. Non vede neppure un desiderio sconfinato, ma quello va bene, l'avrebbe terrorizzato.

Sono entrambi uomini di poche parole, tranquilli e controllati. Sente che stanno ingaggiando una lotta silenziosa, rimanendo così vicini senza che nessuno dei due compia il primo passo. Oppure l'ha già fatto lui, afferrandolo in quel modo e tirandoselo contro? Non ne è sicuro.

Il corpo formicola, ma tutta l'eccitazione è concentrata in un punto ed è il suo cervello. È lì che si origina il dolore peggiore, che si sente tendere all'inverosimile verso la sua bocca senza riuscire davvero a colmare la distanza, come se corresse in un corridoio senza fine.

«Sono diretto e anche impaziente», sussurra Olanda, sfiorandolo con un respiro leggero prima di baciarlo, giunto per primo al limite dell'attesa.

Norvegia si aspetta di tutto e non si aspetta niente.

Crede che il suo corpo reagirà per allontanarlo, perché non possono bastare una tazza, un comportamento gentile ed un pomeriggio pieno d'intesa, per fargli volere quell'uomo. Non bastano sogni senza senso portati da una febbre ridicola.

Ma alla fine le sue reazioni sono più sincere dei ragionamenti contorti e si ritrova capacissimo di ricambiare, di accogliere la sua lingua, di meravigliarsi per il sapore fantasma di nicotina che sembra la cosa più naturale e bella del mondo.

Il modo in cui lo bacia, sicuro e dolce, spazza via ogni dubbio, ogni senso di assurdità.

Non è andato lì per quel motivo, ma è talmente felice di sentirselo contro il corpo che potrebbe anche chiedergli di non farlo partire, di tenerlo in casa come uno di quei coniglietti.

No, forse non si umilierebbe in quel modo, ma può sicuramente perdere altro tempo così, sciogliendo la presa alla sua maglietta per cercarlo e chiuderlo in una specie di abbraccio sulla schiena.

Il suono delle labbra che si trovano continuamente scatena in lui una produzione eccessiva di ormoni della felicità, dandogli un senso di appagamento pari a cinque tazze di caffè. Schiocchi lenti, per nulla imbarazzanti.

Olanda bacia benissimo e questa non è una sorpresa.

Che gli piaccia da morire è la sorpresa.

Geme qualcosa in fondo alla gola e prova un sottile piacere nel sentirlo mugolare allo stesso modo, forse anche più perso di quanto non sia lui.

Apprezza che non cerchi un contatto ulteriore, che sembri bastargli un bacio lunghissimo e sentito; che non tenti, in poche parole, di spogliarlo, toccarlo o portarselo a letto come quello del sogno, troppo insistente e provocante.

Anche quella è una sorpresa ed è estremamente rilassante.

Apre maggiormente la bocca guidato dalla sua mano sul viso e sente la nuca picchiare contro la porta alle sue spalle. Le dita dell'olandese che gli toccano il viso scivolano in basso fermandosi al collo, passando dietro per trattenerlo. Gli solleva il mento col pollice puntato sotto e si separa di poco, gli occhi chiusi ed il respiro pesante.

«Sai di buono.»

Norvegia sente di diventare una pallina di rossore ad un commento del genere. Non può replicare nulla, nulla di sensato o di non acido; preferisce zittirsi e tendersi verso di lui per tentativi, godendosi quell'espressione che non ha mai visto prima.

Le fronti si appoggiano una contro l'altra e Olanda sospira, cercando di ricatturarlo.

«Aspetta.»

Non sa come abbia potuto dirlo, come sia riuscito a mandare in pausa le cellule che si tengono per mano e lottano insieme per riavvicinarlo a lui.

«Credevo volessi Dan.»

Qualcosa che non avrebbe voluto dire in un momento del genere, ma che lo disturba da ore. Se deve lasciarsi baciare in quel modo tenero e profondo, se deve amoreggiare con quel tipo dai capelli impossibili, deve sapere fino a che punto gli sta dando una parte di sé e quando sia lecito ritirarsi.

«Stavo controllando quanto foste legati dal tuo punto di vista», gli risponde, riaprendo gli occhi e prendendo a sfiorargli il mento con il polpastrello.

«Perché volevi assicurarti che io e te non fossimo rivali», continua Norvegia, cercando di capire, di non ascoltare la voce interiore che gli sta suggerendo l'altra eventualità, la meno probabile, la più incredibile.

Se Olanda è davvero un tipo diretto glielo dirà, deve soltanto aspettare e riuscire a non baciarlo di nuovo finché non l'avrà fatto. Semplicissimo, certo, ma è meglio che chiuda gli occhi, prima di bloccarlo contro la porta al suo posto e prendersi altri centinaia di baci tremendamente voluti.

«Lui era il mio rivale», rivela, dando piena realizzazione ai suoi più oscuri desideri, qualcosa di nascosto ed inagibile persino a se stesso, accessibile solamente all'indifesa psiche lasciata in balia di sonno o malessere.

«Ho sempre avuto gli occhi su di te.»

«Basta così, ho capito.»

Non lo mette a tacere perché non voglia ascoltare, ma è imbarazzante. Troppo intimo, troppo intenso, affrontare quel qualcosa che viene rivelato all'improvviso.

Inoltre non regge più il suo sguardo.

«Impaziente come me», commenta divertito, avvicinandosi ancora e baciandolo solo sulle labbra, senza tentare di approfondire come prima. «Tornerai, Lukas?»

Si lascia baciare, immobile come una statua, ma è caldissimo e di tanto in tanto la sua bocca non risponde ai comandi, ricambia i piccoli baci e li trasforma in deboli morsi, rabbrividendo quando gli sfiora la gola con la punta delle dita.

«Ci sono i coniglietti, quindi sì.»

È una risposta sterile, colma di un assenso timoroso e timido, ma l'altro capisce che c'entra anche lui in quel sì, che condivide il desiderio di vedersi ancora, che non tornerebbe soltanto per coccolare gli animaletti.

«Non ti offende il mio modo di parlare?» Norvegia solleva il mento, costringendolo a distanziarsi un pochino andando all'indietro.

«Sto iniziando a capire cosa vuoi dire veramente, quindi no, Lukas.»

«Non ti illudere di capirmi così bene», bofonchia, assottigliando lo sguardo, la nebbia che torna ad infittirsi nel momento in cui si sente stringere. «E perché ora mi chiami Lukas?»

«E perché tu non mi chiami Jan?»

Domanda con domanda, è proprio irritante e quel che è peggio è che lo lascia senza parole. Non può accadere, non deve succedere ad uno come lui, allenato al botta-e-risposta.

«Jan.»

Lo dice e non scoppia nessuna bomba, le finestre non esplodono, il tetto non crolla. Il cuore continua a galoppare, aggiungendo ulteriori battiti al minuto, e Olanda sembra apprezzare il modo in cui l'ha pronunciato, offrendogli uno sguardo senza precedenti, ma non è la fine del mondo e sono ancora in piedi, appiccicati.

«Spero di sentirlo spesso d'ora in poi», commenta.

Si sforza di non fuggire, di non mandarlo via, di non lasciarlo lì con frasi che servirebbero solamente a rovinare quel giorno, a perderlo totalmente per proteggere il proprio ego. Si sforza di ascoltarsi e di essere onesto, riconoscendo l'effetto di quelle parole su di lui, accettando di non voler tornare ad Oslo con la stessa fretta di prima.

Non può parlare di amore, ma prova dei sentimenti.

Forti, deboli o appena scoperti, nascenti o sepolti da anni, non lo sa.

Ci sono e li sente, per il momento potrebbe lasciarsi convincere che sia infatuazione?

Dimentica ogni altro ragionamento nel momento in cui è lui stesso a baciarlo di nuovo, senza averlo deciso, smarrendosi completamente.

   
 
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