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Autore: 6PinkLady6    13/12/2012    1 recensioni
«Ritsu, mi stai ascoltando?»
Ci sono cose che non si possono decidere.
«Ti sembra logico sprecare soldi al telefono se non mi ascolti?»
Avvenimenti che non possono essere cambiati.
«Scusa, stavo ripensando a un’esperienza che vorrei non aver vissuto.»
Amicizie indissolubili.
«E’ la stessa che ti tormenta da un anno? Lo sai che puoi parlarmene, vero?»
Disposizioni che non possono essere ignorate.
«Sì, ma quest’anno abbiamo gli esami e non voglio distrarti coi miei problemi.»
«Siamo amiche, devi condividere con me i tuoi problemi. Un anno fa…» iniziò la mora.
«Non parliamone più, ti prego»
«No! Un anno fa quando sei scomparsa, io sono morta!»
«Ti ho già chiesto scusa…»
«Poi torni e ti comporti in modo strano. E quando ti chiedo cos’è accaduto, mi rispondi “niente”!»
«Voglio solo dimenticare?!»
«Non ti avranno stuprata?» chiese sottovoce.
«Ma che dici Sawa!»
Sensazioni che non possono essere ignorate.
«E’ solo che... mi sento vuota.»
Futuri incerti.
«Come se una parte di me fosse rimasta in quel dannato posto.»
Ribellioni che non possono essere contenute.
«Devo riappropriarmi della mia vita.»
Ci sono cose che non si possono dimenticare.
«Cosa intendi?»
«Non capisci?! Devo porre rimedio ai miei sbagli»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Rain'
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Sono terribilmente dispiaciuta per il ritardo, ma mi si era rotto il computer e ho dovuto comprare un nuovo alimentatore :P La storia è completa, spero vi piaccia. XD
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Tutto era come ricordava: la pioggia cadeva ininterrottamente e si tuffava nel mare che ricopriva interamente la superficie del pianeta, gli alberi diventavano ogni giorno più alti e gli arbusti erano alti come un giocatore di basket. Pensare che sotto tutta quell’acqua dove ora camminava, un tempo c’erano grandi distese fiorite e immensi campi coltivati; c’erano isole, laghi e cascate... Ora nulla di tutto ciò esisteva più. Il bellissimo pianeta che era Shinki, era stato spazzato via e ricoperto da tonnellate d’acqua; acqua caduta dal cielo a causa sua, per colpa dell’io interiore di Ritsu, del suo disgusto per la vita, per la sua vita. E la gente che abitava questo pianeta senza terra ne pagava le conseguenze.
Si guardò intorno per trovare un arbusto che avesse almeno una foglia “piccola” da poter usare come ombrello, ma non ne trovò. “Evidentemente” pensò, “le foglie crescono insieme ai fusti, visto che fino a un anno fa ce n’erano a bizzeffe”. In meno di cinque minuti era bagnata dalla testa ai piedi. Lì intorno era tutto tranquillo e si domandò se su Shinki regnasse già la pace; se così fosse stato il suo ritorno non avrebbe avuto alcun significato. Ritsu credeva seriamente che si stesse combattendo una sanguinosa guerra scoppiata a causa sua, ma evidentemente si sbagliava di grosso; non si sentivano scoppi d’arma da fuoco, spade incrociate o suoni di lotta, perciò pensò che, se c’era davvero una guerra in corso, le varie battaglie stessero avendo luogo in prossimità dei centri abitati.
Era buio pesto, il cielo era coperto dalle nuvole e non c’erano sentieri da seguire in mezzo a tutta quella vegetazione. Ben presto si accorse di essersi persa e decise di aspettare la luce del giorno per riprendere a camminare. Nonostante fosse tutta bagnata, le faceva impressione distendersi sull’acqua; quindi strappò una foglia grande più o meno come lei, la posò a terra e ci si rannicchiò sopra. Si addormentò pensando che presto avrebbe rivisto Huthor, ma il sogno che fece non fu altrettanto piacevole. Sognò che Sheen, la città dove abitava il suo amico, era stata bruciata e rasa al suolo, i cittadini che vi abitavano erano stati fatti prigionieri e lui ucciso davanti la folla. Quando si svegliò, aveva le palpitazioni e non riusciva a respirare. La pioggia era aumentata d’intensità e, sentendola cadere sul viso, rifletté che il sogno che aveva fatto era alquanto irreale, perché non si sarebbe mai potuto accendere un fuoco con tutta quell’acqua. Questo pensiero la sollevò, ma la fece sentire anche un’idiota per non averci pensato prima e per essersi lasciata sopraffare da un misero sogno. Si alzò e, vedendo la foglia dove aveva dormito piena d’acqua, capì che avrebbe fatto meglio a dormire per terra: tanto, acqua per acqua... Il sole era già sorto, pallido fra le nuvole, e gli uccelli uscivano dai nidi per salutarlo. Uno stormo di piccoli pennuti multicolore si fermò a osservare Ritsu e, riconoscendo la ragazza, le volarono intorno un paio di volte per poi andarsene canticchiando un dolce motivetto come regalo di bentornato.
Si rimise in cammino anche se non sapeva dove stava andando. Di tanto in tanto, un uccellino solitario, o uno stormo di uccelli grandi come pellicani, usciva allo scoperto per volarle accanto e farle compagnia per una decina di metri, poi volava lontano; e quando non era un volatile, era un qualche strano animale che faceva capolino dall’albero al quale era aggrappato.
Camminò quasi tutto il giorno, le gambe non la reggevano più, aveva dovuto abbandonare le scarpe da qualche parte verso l’ora di pranzo (o almeno credeva fosse intorno quell’ora), perché erano piene d’acqua, e stava morendo di fame. Si sarebbe mangiata di tutto: se solo un altro uccello le si fosse avvicinato, lo avrebbe scannato, spennato e mangiato con tutte le ossa; avrebbe perfino divorato una tavola piena solo di frutta e verdura – alimenti che non erano mai stati di suo gradimento, giorni in ospedale a parte. Si fermò per una sosta e si distese a terra. Gli occhi le si chiusero da soli e non aveva più la forza necessaria per rialzarsi. Credeva che sarebbe morta lì, senza aver scoperto se Huthor era vivo e che nessuno avrebbe mai saputo il motivo della sua morte, quando udì la voce sprezzante di una ragazza-regina che non avrebbe mai ammesso di esserle amica.
«Ero certa di trovarti qui intorno» disse un’adolescente dai lunghi riccioli biondi che le ricadevano ribelli lungo la schiena.
Era più alta di Ritsu, non aveva né ombrello né foglia per ripararsi dalla pioggia e il suo lungo vestito grigio a collo alto aveva la gonna strappata all’altezza delle ginocchia.
«Mìriel» sussurrò Ritsu sorridendo senza energia e cercando di tenere gli occhi aperti.
La regina si raggomitolò accanto alla sua testa e la guardò intensamente negli occhi.
«Sapevo che eri pazza, inaffidabile, incosciente, infelice, sfortunata, arida...»
Il sorriso sul volto di Ritsu scomparve lentamente man mano che sentiva le parole uscire dalla bocca della sua “amica”.
«... assassina, suicida, credulona, sognatrice, una ragazza che non si accontenta mai di quello che ha, ma che vede sempre prima il bicchiere mezzo pieno e che crede di non aver ancora trovato il suo posto nell’universo» concluse alzandosi. «Ma non credevo avessi un così pessimo senso dell’orientamento» disse, sorridendo, aiutando Ritsu a rimettersi in piedi.
La foresta era praticamente finita e, dietro gli ultimi due alberi e dieci arbusti, c’era Sheen. Mìriel mise un braccio intorno a Ritsu e s’incamminarono verso casa di Huthor.
«Che ci fai qui?» chiese Ritsu.
«Questo te lo dovrei chiedere io. Ti avevamo riportata al sicuro e tu torni qui?» chiese con sarcasmo. «Aspetta un attimo. Chi ti ha aperto lo specchio?»
«Eh eh» sorrise passandosi la mano dietro la testa. Poi disse seria: «Non lo so neanche io»
«Sei senza speranza.»
Lungo il breve tragitto che le separava dal “palazzo”, Mìriel ebbe giusto il tempo di fare un resoconto veloce degli ultimi sviluppi che riguardavano Shinki. Disse che, da quando l’avevano fatta tornare a casa, si erano create due alleanze che lottavano per “decidere” se uccidere o meno la Ragazza della Pioggia: la prima era quella fra il regno Humblehail, governato da Yujin Draghum – che un anno prima si era alleato con Huthor per uccidere Ritsu in modo da far smettere la pioggia, e il regno Waterspout - governato dal re Xefhil Tumble. La seconda alleanza era fra il regno Gloomy - governato da Mìriel, il regno Drosera - governato dalla regina Indìl O'Colour, e dalla moglie del re Yujin, Xalh'a. Curioso il fatto che tutti i sovrani dei cinque regni avessero più o meno la stessa età: Huthor e Mìriel adolescenti, Xefhil e Indìl ventenni, Yujin e la moglie trentenni. Ma la cosa che, più di tutte, preoccupò Ritsu fu il fatto che Mìriel non nominò neanche di sfuggita Huthor e che, quando provava a chiederle qualcosa a riguardo, trovava il modo di cambiare discorso.

I cittadini di Sheen sembravano essere aumentati, ma forse perché avevano scelto il regno Serene come base per l’alleanza “No Killing” e vi si erano trasferiti gli abitanti di Gloomy, Drosera e i seguaci della regina Xalh’a. Nessuno venne ad accoglierle come fecero con Huthor un anno addietro, e Ritsu ci rimase male; ma non poteva biasimarli: neanche lei avrebbe accolto a braccia aperte l’assassino del suo ex-futuro re.
La casa di Huthor non era cambiata di una virgola, somigliava ancora alla sua solitaria villa sulla collina. Davanti la doppia porta con le maniglie in cristallo, le fu chiesto di ‘sbrigarsi ad aprire’, dato che Mìriel era impegnata a reggerla in piedi, ma non ne aveva il coraggio. Era arrivata su Shinki con l’idea di scoprire se Huthor fosse sopravvissuto, di abbracciarlo come aveva fatto lui prima di firmarsi la condanna a morte e di varcare nuovamente quella doppia porta. Si era preparata mentalmente per mesi, costringendosi a non piangere, a pensare positivo e a prendere il coraggio necessario per muovere il passo successivo. Ora doveva ricominciare da capo. Le lacrime si spingevano e facevano a botte per uscire, e lei dovette stringere i denti per tenerle a freno; le gambe le tremavano come mai prima d’allora – e non era a causa della fame o della stanchezza; la mano non voleva obbedire al comando più semplice e la mente era improvvisamente vuota. Aveva paura di scoprire un palazzo pieno di domestici, maggiordomi e regine che non aveva mai visto; temeva che, quell’unica presenza che la faceva sentire a casa e al sicuro, mancasse all’appello, o che quel cristallo che rivestiva l’interno della casa fosse diventato freddo in mancanza di un adeguato riscaldamento.
La pioggia diventò una tempesta e Mìriel lasciò la presa su Ritsu per rassicurarla e coccolarla come una madre è solita fare col figlio. La prese per mano e delicatamente aprì la porta. Vide Ritsu impallidire, tremare come una foglia, deglutire più volte e trattenere il respiro. Poi, come per magia, la pioggia cessò per cinque secondi e, in un batter d’occhio, Ritsu riacquistò il suo colorito, un grosso sorriso le illuminò il volto e nuova forza la fece correre verso la fonte di quell’inaspettata energia: Huthor.
Mìriel entrò e richiuse la porta dietro di sé, ci si appoggiò e rimase lì a guardare la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Huthor era seduto su uno dei tanti divani che riempivano il salone e stava discutendo con le regine Indìl e Xalh’a su quale fosse la tattica migliore per mandare a monte i piani dei nemici. Facevano un tale baccano che non si erano neppure accorti che era tornata. Era uno spettacolo guardare loro tre che urlavano in fondo al salotto e Ritsu provare a correre sul cristallo coi piedi bagnati. Fra lei e Huthor c’erano più o meno venti metri, ma la distanza sembrava non accorciarsi mai, era come correre su un tapis-roulant. A un certo punto, ha visto Ritsu fermarsi, diventare rossa dalla rabbia, prepararsi come fa un toro prima di partire all’attacco e... cadere. Si fece tutto il salone in scivolata fin sotto il divano dove stavano “amabilmente” discutendo i tre signori. Mìriel scoppiò a ridere e la servitù, che era occupata in cucina, accorse preoccupata per l’incolumità dei sovrani; ma la cosa più eclatante, che fece uscire lacrime dagli occhi aridi di Mìriel, fu Huthor con le gambe allargate, piegato in avanti, a guardare la testa che non era entrata nello spazio fra il divano e il pavimento, e Ritsu che lo guardava con un sorriso da ebete.
Xalh’a e Indìl si avvicinarono a Mìriel e cercarono di farle riprendere fiato.
«Quando sei tornata?» chiese la prima.
«E chi è quella ragazza?» fece la seconda.
Indìl aveva un vestito lungo di seta azzurra che metteva in risalto i suoi occhi grigi e si mimetizzava con la sua pelle candida, i lunghi capelli color faggio erano raccolti in una coda di cavallo, in modo da far vedere i pendenti di zaffiro che portava ai lobi, e le scarpe con dieci centimetri di tacco la snellivano e le davano un piccolo aiuto per sembrare alta quanto Mìriel. Xalh’a, invece, indossava dei bermuda cachi e una maglia militare; aveva la pelle abbronzata e i capelli corti, ricci e neri.
«Oh Dio, Dio. Uh... Non ho mai riso tanto in vita mia» riprese fiato Mìriel.
«Allora? Chi è?» chiese impaziente Indìl.
«È vero voi non la conoscete di persona. Vi presento la Ragazza della Pioggia»
«Lei?!» esclamarono in coro. «Non pensavo fosse una ragazzina» disse Indìl.
«Da come ne parlava mio marito, me la immaginavo diversa» disse l’altra.
Xalh’a fece per andare da Ritsu, ma Mìriel la fermò.
«Lasciala in pace ora. Pensava che Huthor fosse morto e deve essere stata una grande emozione per lei rivederlo vivo» disse Mìriel.
«Ok ok, ho capito. Lo farò a cena» acconsentì Xalh’a spingendo Indìl in un’altra stanza.

Huthor si alzò dal divano e afferrò Ritsu per i lunghi capelli, la trascinò sul pavimento facendola uscire da sotto il divano e poi la tirò in piedi.
«E lei che ci fa qui? E tu che ci fai qui?»
Chiese burbero, tenendola ancora per i capelli, rivolto prima a Mìriel – che sgattaiolò in una stanza adiacente al salotto, e poi a Ritsu. Quest’ultima aveva una faccia da “sono innocente fino a prova contraria” e Huthor non sapeva come comportarsi.
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» chiese sistemandole i capelli.
«Lo so, mi dispiace. Sarei dovuta tornare prima»
«Hai idea del pericolo che hai corso?» continuò lui senza ascoltarla. «Se ti avessero trovato prima Yujin o Xefhil, cos’avresti fatto?»
«Eh eh...» sorrise ingenua. «Beh, non è andata così, quindi...»
«Fortuna che Mìriel ti ha rintracciata immediatamente. Quella ragazza non sarà l’asso delle regine, ma ha una sorta di potere magico per trovarti» disse andandosi a rimettere seduto. «Ti ha detto in che situazione ci troviamo?»
«Mi ha solo raccontato  che ci sono come due team che combattono e che uno vuole uccidermi» disse avvicinandosi a una finestra. «Secondo me... tutto quello che dovete fare è dire che sono morta, nascondermi e finire questa stupida guerra»
«A te la pioggia ha dato al cervello. Hai presente l’altra volta, quando ti ho portata qui e raccontato la storia di Shinki?» chiese gentilmente.
«Certo!» affermò voltandosi.
«E dimmi: ti ricordi anche della leggenda?!» chiese alzando la voce e scattando in piedi.
«Oh...» esclamò Ritsu capendo dove voleva andare a parare.
«Non avrebbe alcun senso nasconderti quando il nemico sa già che sei qui!» sbraitò aprendo la porta d’entrata.
Fuori la pioggia si era indebolita, riducendosi a pioviggine; l’acqua era leggermente increspata e si avvertiva un refolo appena accennato. Uno stormo di uccelli pervinca entrò in casa a grande velocità e volò intorno a Ritsu per poi andarsene fischiando un ritmo vivace. Huthor richiuse la porta facendola sbattere e osservò Ritsu con aria di sfida, battendo il piede e con le braccia incrociate sul petto.
«Sì, ma non è detto che il nemico se ne sia accorto» disse cercando di trovare una scappatoia.
«E come credi ce ne siamo accorti noi
Ritsu cercò di pensare a un modo per controbattere, ma Huthor aveva ragione. Se n’erano sicuramente resi conto. Sapevano che la natura era cambiata, che gli animali si erano svegliati... che era tornata. Questa volta Yujin avrebbe avuto successo là dove aveva fallito l’ultima volta. Non avrebbe sbagliato di nuovo, non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno: l’avrebbe uccisa alla prima occasione. Non sarebbe dovuta tornare.
«Io volevo solo rendermi utile!» urlò Ritsu andandogli incontro. «Sono tornata per far smettere la pioggia... per farla andare via!»
«Ehi calmati» cercò di tranquillizzarla Huthor. «So che le tue intenzioni erano buone»
«Sono tornata per vendicare la tua morte! Sono tornata... Io credevo fossi morto! Quel giorno, quando mi hai abbracciata, ti avrei voluto dire tantissime cose... ma ero paralizzata. E poi tu... ho dato un bracciale a Mìriel dicendole di darlo a te, ma l’ultima cosa che ho visto prima che lo specchio si chiudesse...»
«Non devi più trattenerti» disse abbracciandola.
Ritsu fu colta di sorpresa. Non aveva mai pensato, neanche una volta, che Huthor potesse essere morto; o meglio... non voleva crederci. Invece, le era capitato più volte di sognare il momento del loro rincontro e non riusciva a capire perché si fosse messa a gridare in quel modo. Forse perché aveva compreso il reale pericolo che aveva corso, ed era improvvisamente grata a Mìriel per averla trovata prima degli altri? Aveva rievocato infine volte il primo e ultimo abbraccio che le aveva dato Huthor e il suo calore, pensando che non avrebbe mai più vissuto un’esperienza simile. E ora, fra le sue braccia, sentiva che un’enorme peso, che le soffocava il respiro da mesi, stesse evaporando. Una paura che non l’aveva mai abbandonata, finalmente stava morendo. Aveva raggiunto la porta che conduceva alla meta ambita da chiunque e l’aveva aperta. Era spaventata che qualunque cosa ci fosse stata dall’altra parte, l’avrebbe potuta ferire; ma l’aveva aperta comunque. Ora, era felice di aver trovato il coraggio di farlo, perché anche se la verità può far male, è sempre meglio di vivere nel dubbio e nel rimorso.
Si era promessa di non piangere - ecco perché aveva gridato. Ma dopo essersi accertata che Huthor era vivo e che si comportava come era sempre solito fare, le fu difficile riuscire a trattenere le lacrime – ecco perché aveva agito come una bambina un po’ idiota. E ora, dopo averle trattenute così a lungo, dopo aver riaperto lo scatolone colmo di ricordi ed emozioni dell’anno precedente, che aveva sigillato in fondo al cuore, fra le braccia forti e protettive di Huthor e premuta contro il suo petto robusto, non ce la faceva più. Gli strinse forte la maglietta e pianse tutte le lacrime di un anno. Lui le poggiò il mento sulla testa e iniziò a strofinarle dolcemente la schiena. Ritsu sentiva il suo respiro sui capelli e il suo battito cardiaco, e questo la rassicurò: era davvero vivo.
«Su, su. Brava, vedrai che dopo ti sentirai meglio» sussurrò Huthor. «Mi dispiace» disse dopo un attimo di esitazione.
Stava per riaprire bocca, quando ci fu un botto. La porta della stanza accanto si spalancò facendo cadere a terra tre nobili signore.
«Non è come sembra» disse Mìriel rialzandosi.
«Infatti...» continuò Xalh’a. «Indìl ti spiegherà cos’è successo» si affrettò a dire, alzando la regina dal pavimento e usandola come fosse uno scudo.
«Io?!» chiese cercando aiuto dalle sue amiche. «Beh, vedi... Stavamo uscendo, ma la porta non si apriva!» urlò cercando gli occhi di Huthor per vedere se se la fosse bevuta, ma nel salotto non c’era più nessuno.
Mìriel lo vide accompagnare Ritsu in una camera da letto al piano di sopra, così gli chiese se avrebbero cenato – dato che ormai era quasi pronto, ma non le rispose. Era sicuramente deluso dal loro comportamento infantile. La regina tornò dalle amiche, le guardò severa e le schiaffeggiò facendo la paternale.

Huthor andò a prendere dei vestiti dalla camera di Mìriel e li posò sul letto dove stava riposando una Ritsu ancora piangente.
«Sicura di voler dormire con quei vestiti bagnati?» le chiese sedendosi ai piedi del letto.
Ritsu non rispose, annuì solamente.
«Senti, mi dispiace di averti fatta preoccupare. La verità è che non mi è mai passato per la mente che potessi credermi morto, o che ti fossi girata prima che lo specchio si chiudesse. Mi dispiace» disse.
Accorgendosi che si era addormentata, aggiunse sottovoce: «Non potrò mai perdonarmi per quello che ho fatto; finché respirerò, sarò tormentato dai sensi di colpa. Averti condotta qui con l’inganno, con l’intenzione di ucciderti in pubblico, essermi alleato con Yujin, averti messo in pericolo... l’unica cosa che potevo fare era sacrificarmi per metterti in salvo. Sarei dovuto morire, non merito di vivere. Quando ti ho conosciuta, mi ero preparato un discorso su cui avevo sudato sette camicie per convincerti a seguirmi, ero anche pronto a usare la forza. Poi tu... mi hai smontato e ricostruito da zero. Più tempo passavo con te, più capivo che quello che stavo facendo era sbagliato, e che Mìriel aveva ragione a dire che doveva esserci un altro modo per far smettere la pioggia, che non c’era bisogno di sacrificare nessuno... nemmeno colei che le ha dato inizio.»
Si alzò per prendere una coperta dall’armadio e coprì Ritsu.
«Sono felice di riaverti qui, accanto a me» sussurrò.
S’inginocchiò accanto a dove stava dormendo Ritsu e posò la testa sul materasso, in modo da poterla osservare mentre dormiva. Vide una lacrima attraversarle silenziosamente la guancia e gliela asciugò delicatamente.
«Quando ti ho vista incastrata sotto il divano, con quel sorriso stupido, avrei voluto ridere, piangere e gridare di gioia… ma non ho potuto non pensare al pericolo che avevi corso. Se ti avessero trovata prima di Mìriel, sarei morto» confessò.
Si alzò, baciò Ritsu sulla fronte e lasciò la stanza. Era felice di aver finalmente dato sfogo ai sentimenti che gli erano rimasti in gola per tanto tempo e che erano maturati durante un anno di solitudine. Aveva finalmente trovato il coraggio di farli uscire di bocca perché Ritsu stava dormendo e non aveva sentito niente, altrimenti sarebbero rimasti sepolti in fondo alla sua anima per l’eternità. Quello che però non sapeva e che non avrebbe mai saputo era che, appena richiuse la porta alle sue spalle, Ritsu aprì gli occhi lucidi per un attimo e poi si addormentò.

La mattina dopo Huthor scese per fare colazione, ma non c’era nessuno a fargli compagnia né a servirlo: la giornata era iniziata male. Rinunciò a mangiare e seguì un frastuono, che prima non aveva notato, che lo condusse in una delle tante camere al pian terreno dove erano riuniti tutti i domestici e le regine; stavano gridando e facendo il tifo per qualcuno. Si fece strada tra la folla e vide Ritsu e Mìriel combattere con delle spade di legno. Il duello terminò con la vittoria della regina e Ritsu chiese la rivincita, ma solo dopo una pausa. Quando vide Huthor, si obbligò a comportarsi come sempre, anche se sarebbe stato difficile dopo quello che aveva sentito la sera precedente.
«Che diamine stai facendo?» le chiese.
«Mi alleno, così imparo a difendermi e potrò combattere con voi» disse con un sorriso a trentadue denti.
Era sicura che Huthor avrebbe replicato dicendo che era troppo pericoloso per lei e che sarebbe dovuta restare a casa, ma lui replicò in ben altro modo.
 «Beh, non vedo cosa ci sia di male, in fin dei conti anche Mìriel e le altre partecipano alle battaglie, se così si possono chiamare. Certo che, siccome ora sei qui, diventeranno più sanguinose e tutti punteranno a te cercando di farti fuori alla prima occasione; ma se sei decisa, allora va bene.»
Si allontanò, e Ritsu notò un dettaglio che le era sfuggito il giorno prima: Huthor indossava un bracciale azzurro in vetro smerigliato, quello che lei aveva affidato a Mìriel pregandola di darlo a lui. Il cuore le si riempì di gioia e si chiese se lo avesse sempre avuto con sé dal giorno in cui lo aveva ricevuto, proprio come lei aveva fatto col gemello. Mìriel la stava chiamando avvertendola che la pausa era finita, ma Ritsu la ignorò e si mise a osservare il bracciale che portava al polso. Huthor le sbucò alle spalle e le afferrò il braccio che aveva portato davanti il viso. Le fece uno strano effetto vedere i due bracciali su polsi differenti, ma vicini.
«Se non lo avessi deciso tu, ti avrei obbligata a combattere. Se combattono i sovrani, non vedo perché tu non lo debba fare, dato che sei la causa della guerra» disse con tono di sfida. «E poi preferisco averti sott’occhio; non voglio che, mentre noi siamo fuori ad ammazzare un po’ di gente, qualcuno venga qui ad ammazzare te» le sussurrò in un orecchio, facendola arrossire.
Le andò davanti e se la caricò sulle spalle come fosse un sacco di farina.
«Noi andiamo a allenarci!» gridò, in modo che tutti potessero sentirlo, incamminandosi verso la “stanza del tesoro”.
«Salvatemi! Sono troppo giovane per morire!» implorò Ritsu. «Mìriel, ricordami per ciò che ero, non credere mai alle storie che ti verranno raccontate! Ricordami come ragazza pura qual’ero!» gridò prima che la porta nascosta nel muro si richiudesse, lasciandola sola con Huthor in una stanza senza finestre e illuminata solo da una piantana messa in un angolo.

«La vuoi smettere di gridare» disse Huthor mettendola a terra. Si avvicinò al centro della camera, dove era esposto un turchese grande come il palmo di una mano. «Penso sia ora di vedere se la leggenda è vera» disse rimuovendo la copertura in vetro.
«Quella secondo la quale quel turchese è una mia lacrima e, al mio tocco, si trasformerà in una spada?» chiese con una nota di sarcasmo nella voce.
«Proprio così.»
Prese il gioiello e lo lanciò a Ritsu, che lo afferrò al volo. Nelle sue mani, la gemma brillò un attimo, ma poi tornò normale.
«Visto? Non succede niente.»
Non fece in tempo a finire la frase, che il turchese s’illuminò di una luce accecante e costrinse entrambi a coprirsi gli occhi. Quando li riaprirono, fra le mani di Ritsu non c’era più un gioiello, ma una spada alta come lei e larga circa venti centimetri, con un turchese incastonato nell’elsa.
«Mamma mia, quanto pesa» disse Ritsu cercando di alzare la punta da terra. «Che fai, non riesci più a parlare?» chiese, vedendo che Huthor era rimasto scioccato. «Tu eri il primo a non crederci, vero?»
«No, cioè… non pensavo fosse questo il… così grande.»
«Sì, ok. Io però non ce la faccio più» disse lasciando cadere la spada a terra. «Un altro po’ e mi usciva l’ernia! È mai possibile che nulla in questo mondo è della misura giusta?»
Huthor andò a raccogliere la spada, ma appena la toccò prese la scossa e la lasciò di scatto.
«A quanto pare non posso toccarla. Dai prendila, così ti insegno a usarla.»
Ritsu fece come le era stato detto e impugnò la spada. Huthor le andò dietro e posò le mani sopra le sue correggendone la posizione, poi l’aiutò a sollevare la lama dal pavimento in cristallo e iniziò a spiegarle le basi della scherma.
«Huthor, cos’hai? Sei strano» disse Ritsu sentendo che gli stavano sudando le mani, anche se erano fredde come il ghiaccio, e che gli tremava la voce.
«Accidenti...» disse andandosi a mettere seduto sulla poltrona accanto la piantana. «Non posso nasconderti niente» aggiunse passandosi una mano fra i capelli. «Nell’arco di tempo in cui non ci sei stata, ho riflettuto a lungo. Ho anche chiesto consiglio a Mìriel, e sono giunto ad una conclusione: ti avrei detto tutto al tuo ritorno. Solo che... non pensavo tornassi così presto. Non sono ancora pronto, mi ci vuole più tempo per prepararmi. Dall’altra parte, però, ho paura che se ci impiego troppo, il momento della separazione arrivi all’improvviso come l’ultima volta e...»
Ritsu poggiò la spada accanto la poltrona, si accovacciò ai suoi piedi e gli afferrò le mani, incoraggiandolo a parlare.
«Hai presente la storia di Shinki?» chiese Huthor.
«Ah. Riguarda quello allora»
«Che c’è?» chiese, ignaro delle aspettative di Ritsu. «Sembri delusa»
«No, niente. Shinki? Certo, la ricordo» disse cercando di sorridere.
«C’è una parte che non ti ho detto, e credo che la dovresti sentire»
«Ok, ti ascolto» disse sedendosi per terra senza lasciare le mani fredde di Huthor.
«Non molto tempo fa, prima che io nascessi, c’erano sei regni e non cinque. Il nome del sesto era Hopeful e, ogni anno, il re organizzava un raduno al suo palazzo con i sovrani degli altri regni. Chiamava a sé cinque uccelli e affidava loro l’importante compito di comunicare agli altri re la data che aveva scelto. Mio padre mi disse che le sue riunioni si trasformavano in feste spettacolari dove si mangiava, beveva, danzava... Mi raccontò di un raduno in particolare che non poté mai dimenticare. In quell’occasione, il re di Hopeful vi fece partecipare gli abitanti della capitale, chiamò danzatrici esperte, lui stesso si mise a suonare il pianoforte e la moglie lo accompagnò con la sua voce soave» disse abbandonandosi sullo schienale. «Avevano dato inizio a quelle riunioni con lo scopo di esporre la situazione del proprio regno per potersi aiutare là dove ce ne fosse stato bisogno, ma ben presto si trasformarono in festività ricorrenti. La regina di Hopeful era famosa per la sua voce, ma era derisa e temuta per aver il terribile potere di influire sulle stagioni di Shinki. Al suo tocco, un bocciolo fioriva e al suo fischio, uno stormo affluiva. Agli occhi dei bambini era una maga, ma a quelli dei più grandi era un fenomeno da baraccone. La gente che non la conosceva bisbigliava il suo nome fra le via affollate delle città e il marito cercava di non farlo giungere alle sue orecchie. Poi... la catastrofe. La regina si ammalò e non le furono dati più di due anni di tempo prima che la malattia la mandasse ko. Il male interiore che aveva era inarrestabile e si riversò sulle stagioni. La gente iniziò a evitarla e ad avere paura di lei, persino gli abitanti del suo stesso regno iniziarono a emigrare. Hopeful divenne un regno grigio.»
Huthor lasciò le mani di Ritsu e si alzò, iniziando a camminare intorno all’espositore.
«La regina, però, aveva uno spirito forte e non si arrese. Appena prima di morire riuscì a mettere al mondo una splendida bambina che rimase senza nome né patria, né famiglia. Questa bambina aveva ereditato il potere della madre»
«Cosa stai cercando di dire...» chiese Ritsu non capendo più nulla.
«Ancora in fasce, aveva il potere inconscio di far mutare le stagioni. Ma il suo potere andava ben oltre quello della madre. Era come se Shinki stesso comprendesse la sofferenza della neonata rimasta senza genitrice e destinata ad essere odiata da tutti, e avesse deciso di legarsi a lei.» Si fermò un attimo per guardare Ritsu negli occhi. «Non ci volle molto prima che i sovrani degli altri regni si accorsero che il tempo era cambiato, che gli animali erano diventato silenziosi e che la pioggia non cessava da troppi giorni. I cinque regni si coalizzarono e, con mio padre come guida, iniziarono i preparativi per far visita al re di Hopeful e salutare sua figlia. Ma la natura era contro di loro e gli uccelli lo avvisarono dell’imminente pericolo. Lui giurò che avrebbe protetto la figlia anche a costo della vita, ma sapeva che su Shinki non aveva la minima speranza di farla sopravvivere; così aprì il passaggio per la Terra e posò la neonata davanti la porta della casa più vicina. Quando fece ritorno al suo regno, c’erano gli altri ad aspettarlo e fecero sparire dai libri di storia un ipotetico sesto regno. Io so tutto questo perché mio padre, prima di morire, si è voluto pulire la coscienza e ha pensato che bastasse raccontarmi la vera storia di Shinki.» S’inginocchiò davanti Ritsu e le mise le mani sulle spalle. «Quella bambina eri tu» si limitò a dire.
Ritsu non sapeva come reagire a ciò che aveva appena sentito; poi tutto le fu chiaro.
«Io ti adoro!» gridò alzandosi e abbracciandolo con energia. «Cosa aspettavi a dirmelo, che invecchiassi?» chiese iniziando a girare nella stanza. «Anni della mia vita sprecati a farmi domande, e tu te ne stavi qui... con la risposta! A saperlo prima...»
«Cosa? Tu... tu non sei arrabbiata?»
«E di cosa? Sono arrabbiata che tu non me lo abbia detto prima!» esclamò additandolo.
«Io credevo che ti saresti imbestialita per ciò che hanno fatto al tuo regno, ai tuoi genitori. Credevo avresti urlato, pianto... In realtà non so cosa mi aspettavo che facessi, ma di certo non ti immaginavo sorridente»
«È vero. Dovrei essere arrabbiata per quello che hanno fatto a casa mia» disse seria. «Oddio, non riesco a credere di averlo detto!»
«Lo so, fa strano anche a me dire che questa è casa tua.»
Ritsu afferrò la spada e si rimise a camminare freneticamente.
«Ora capisco perché mi sentivo sempre fuori dal mondo, come se quello non fosse il mio posto! Ora è tutto così chiaro... L’anno scorso quando mi hai portato qui, in qualche parte nel mio cuore, lo sapevo già di aver trovato casa. Mi sentivo in pace con me stessa e mi rispecchiavo così tanto in ciò che mi circondava... Aspetta! Sono una regina?!» continuò agitando pericolosamente la spada che ora le sembrava leggera come una piuma.
«Beh, non esattamente; il tuo regno è stato distrutto. E attenta con quella lama!» urlò cercando di strappargliela di mano. Non ci riuscì, inciamparono ciascuno nei piedi dell’altro e caddero a terra, il volto di Huthor pochi centimetri sopra quello di Ritsu.
«Io abito qui, voglio vivere per sempre qui» sussurrò coprendosi gli occhi con le mani, «ma devo tornare a Melbourne, a casa...» disse iniziando a piangere.
Huthor non poteva vederla in lacrime, gli si stringeva il cuore, avrebbe fatto qualunque cosa pur di non vederla in quello stato. Una per volta, tolse le mani dagli occhi di Ritsu e la guardò cercando di farsi venire in mente qualcosa che la potesse aiutare. Fece per parlare, ma poi cambiò idea. Lentamente, iniziò ad avvicinarsi al viso della ragazza, lei divenne rossa come un peperone e...
«E se portassimo la tua “casa” qui?» le domandò in un orecchio. «Sì! È un’idea stupenda!» esclamò alzandosi e uscendo dalla stanza.
Ritsu rimase qualche secondo immobile ancora sdraiata a terra non capendo quello che era successo, poi si alzò, prese la spada e raggiunse Huthor.
Il salotto era deserto e un miscuglio di voci risuonava dal piano di sopra. Iniziò a salire le scale, ma tornò indietro accorgendosi che la porta era aperta; non era la porta in sé che le interessava, bensì ciò che c’era fuori: un’enorme folla che guardava il cielo e che, quando vide Ritsu, impazzì letteralmente. Lei chiuse di corsa la porta lasciandoli fuori e andò alla finestra. Il vento muoveva le foglie degli alberi e creava piccole onde sul suolo, la pioggia si era ridotta a poche gocce e s’iniziava a intravedere il sole. Aprì la finestra per sentire il vento sulla pelle e un uccellino rosso entrò in tutta fretta e andò al piano di sopra; quando tornò giù era seguito da Huthor e le altre regine.
«Che succede?» chiese preoccupata.
«Rinunciano alla guerra» rispose Huthor.
«Vorrei ben vedere!»esclamò Xalh'a. «Non c’è più nulla per cui combattere»
«Come hai fatto a far smettere la pioggia?» chiese Mìriel.
«È un segreto» s’intromise Huthor facendo l’occhiolino a Ritsu.

«Sei pronta? È un passo importante»
«Chissà come la prenderanno» disse emozionata.
«Io ho ancora il discorso dell’anno scorso se le cose dovessero andar male»
«Non ce ne sarà bisogno, Sawa sa già sa tutto. Portiamo anche lei, vero?»
«E anche la sua famiglia se vuole. Fammi un po’ vedere tu come apri lo specchio d’acqua»
«Ma quando posso dire di essere una regina?» chiese facendosi uscire una lacrima.
«Quando mi sposerai» le sussurrò.
La lacrima si trasformò in un cristallo che esplose e divenne un sottile velo di sapone. Huthor si allontanò di corsa, ma Ritsu rimase pietrificata lì dov’era.
«Cos’hai detto?» chiese appena prima che il velo esplodesse scaraventandola a terra: il sapone era diventato acqua.
Huthor l’aiutò a rialzarsi e la mise davanti lo specchio, le posò le mani sulle spalle e le chiese: «Cosa vedi?»
Ritsu non capiva il significato di quella domanda, la risposta era così ovvia.
«Noi due e... la luce abbagliante del sole» rispose sorridendo. «Perché vedo il sole se ci sono ancora le nuvole e la terra è ancora sommersa?»
«Ci vorrà del tempo prima che le acque si ritirino e la terra riemerga, ma la pazienza non ci manca» disse mettendosi fra lei e lo specchio, e porgendole la mano. «Andiamo?»
«Aspetta» rispose Ritsu afferrando quella mano più grande della sua e prendendo la spada con l’altra; si avvicinarono allo strato d’acqua e Ritsu vi conficcò in mezzo la spada: in questo modo lo specchio sarebbe rimasto aperto. «Andiamo» disse attraversando la porta che portava al suo giardino mano nella mano con Huthor. «Senti, cos’era quella storia del...»
«Niente, stavo solo scherzando»
«Come stavi scherzando?!»
«Ma se vuoi essere chiamata regina, allora non vedo nessun altro modo...»
«Eh... Allora... Vuol dire che... Non era uno scherzo!!»
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Fatemi sapere cosa ne pensate. BaCi... e alla prossima storia XD
  
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