Nemesi
Izaya boccheggiò più volte e colpì il
braccio della ‘bestia’ con il coltello,
ma non sembrava fargli male.
Shizuo non lo avrebbe mai fatto se Izaya non gli avesse mostrato di
possedere
la testa di Celty. Lo aveva fatto entrare nello studio al fine di
esibirla e
farlo arrabbiare: ci era riuscito benissimo.
Shizuo aveva visto il capo fragile e addormentato della
Dullahan e un fremito di rabbia era corso lungo la spina dorsale.
“Finché è nelle mie mani è
al sicuro”, gli aveva detto Izaya.
Cazzate.
Ciò che Izaya toccava cadeva in pezzi: Ikebukuro bruciava,
come la dannata scacchiera alle sue spalle.
Pazzia. Cattiveria.
Questo aveva pensato Shizuo guardando l’ufficio
dell’informatore, il suo ghigno e ‘lei’
addormentata tra le sue mani.
Con Shizuo in quelle condizioni,
Izaya non era riuscito a fuggire. Forse non ne
aveva nemmeno l’intenzione.
Tutto quello che Shizuo provava nei suoi confronti era odio.
Izaya Orihara era una fottuta ossessione.
Se avesse cancellato la sua esistenza, la sua vita sarebbe
stata migliore?
Un mostro rimane un
mostro, non diventa un eroe.
Se avesse distrutto lui e tutti i suoi piani, avrebbe
finalmente vissuto normalmente?
Normalmente no, ma in
modo tranquillo sì.
No, non lo avrebbe ucciso. Non oggi, almeno.
Nonostante il male recato a Celty e a tutti i fottuti
abitanti della città – e a lui stesso in prima
persona… Shizuo Heiwajima non
l’avrebbe ucciso. Per bontà. Per pietà.
Sapeva che Izaya era solo e che non
riempiva la sua vita con rapporti e persone reali, piuttosto con giochi
e bambole.
No, che diamine… Izaya non era solo. Izaya colmava la sua
esistenza con lui,
anche se in modo contorto e totalmente folle. Incomprensibile alla
mente umana.
E senza esserne mai sazio.
Izaya rimase immobile, sdraiato sotto Shizuo che ormai non forzava
più il collo
sottile.
Riprese pian piano a respirare e coprì il dolore con un
sorrisetto forzato.
Sapeva che Shizuo non l’avrebbe mai fatto, ma ci aveva
provato – per questo si era spinto a mostrargli la testa di
Celty.
Shizu-chan, perché hai esitato?
C’eri così vicino.”
Il ragazzo sotto di lui allungò le braccia e posò
le mani bianchissime sul volto
deformato dall’ira e dalla frustrazione.
Il ‘mostro di Ikebukuro’ si irrigidì
quando le dita sottili
dell’altro gli sfiorarono le guance e arrossì per
quel gesto che voleva sembrar
gentile –ma che non era altro che un modo di divertirsi di
Izaya.
Sapevo che mi avresti risparmiato, ma contavo comunque su di
te.”
“Che stai
dicendo?”, urlò, ringhiando sulle sue labbra
socchiuse.
“Volevo porre fine a tutto questo, dandoti la soddisfazione
di avermi
finalmente ucciso.
Ma allo stesso tempo avrei vinto io, condannando la tua vita con la mia
morte.”
Era disposto a morire pur di rovinare
la sua esistenza?
Loro non erano amici, ma erano comunque legati, anche se da
un rapporto ‘anormale’.
Per questo Shizuo aveva scelto di salvarlo da se stesso e il mostro che
era.
Io ho paura di morire, ma a volte sento di desiderarlo. Mi sento
attratto da un mistero grande quanto la vita nell'aldilà.
Non credi sia una cosa comune ad un essere umano?”
Dopo qualche secondo in silenzio, continuò:
“Le mie mani non sarebbero fatali.
Per questo toccava a te farlo. Avevi questa opportunità e
l’hai sprecata.
Complimenti, sei sempre più in gamba.”
Lo guardò attentamente, scorgendo un’espressione
bugiarda
che celava i sentimenti della verità espressa dalla bocca.
Non l’aveva affatto salvato: l’aveva condannato
-lasciandolo vivere.
Aveva vinto sulla pulce –gli stava facendo male con la sua
premura, ma la cosa non gli piaceva affatto.
Fanculo, fanculo, fanculo.
Si sentiva impotente: non poteva fare nulla che facesse del
bene a qualcuno.
Forse continuare quel gioco avrebbe tenuto Izaya appeso a un
filo tanto quanto Shizuo.
Ma l’informatore aveva capito benissimo, per questo scosse
il capo:
Tra loro era stato così fin dall’inizio
– ne erano sempre
stati consapevoli, ma non lo avevano mai espresso a parole.
Izaya alzò un po’ il capo e premette appena le
labbra sulle sue, come a
suggellare quella che sembrava una promessa.
E Shizuo arrossì, trovandosi in imbarazzo per quella
posizione, quegli occhi sottili così familiari e vicini, e
quella situazione
‘particolare’.
Si alzò in fretta e raccolse gli occhiali da terra,
indossandoli.
Alla fine, qualsiasi cosa che lo portasse a maturare,
riflettere, scoprire qualcosa di sé, era sempre quella
dannatissima pulce.
E ora gli aveva regalato una scarica piacevole in tutto il corpo con un
gesto
semplice e fottutamente provocatorio.
“No. ‘Nemesi’ è anche
‘castigo’ o
‘giustizia’.”
Era ‘nemesi’ – in tutti i suoi
significati - la sintesi del loro rapporto.
Shizuo non rispose e decise di andarsene.
Era ancora imbarazzato e gli occhi cadevano sulle labbra
dell’informatore - ora
chiuse.
Doveva andarsene o avrebbe perso il controllo in qualcosa di ancora
più
pericoloso e vergognoso della rabbia.