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Autore: Hikari93    15/12/2012    10 recensioni
ATTENZIONE: INCEST
Yugi e Atem sono due ragazzi normali, che conducono vite più o meno normali, che frequentano una scuola normale e che hanno amici/nemici del tutto anormali. E sono fratelli.
[Puzzleshipping (principalmente) - Puppyshipping - Thiefshipping - Apprenticeshipping]
ATTENZIONE! Qualora dimenticassi di scriverlo nel prossimo capitolo, avviso che mi sono informata - e forse avrei dovuto farlo prima xD - un po' sulla scuola giapponese. Per questo - lo spiegherò meglio quando pubblicherò il terzo capitolo - Yugi e Atem avranno due anni di differenza, e non tre come avevo scritto nel primo capitolo. Grazie!
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Un po' tutti, Yuugi Mouto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sei: Mana centric

 
 
 


 

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Qualche giorno dopo, quando la febbre mi fu scesa del tutto e fui in grado di usufruire soltanto di mezzo pacchetto di fazzoletti al giorno anziché tre confezioni, ritornai a scuola.
In quelle ore il cuore aveva martellato sempre con troppa forza, tanto che avevo cominciato a supporre che il dolore al petto che sentivo – dovuto, secondo il medico, agli sbalzi di temperatura – dipendesse dallo scontro del cuore, appunto, contro il torace.
Una delle mie solite idiozie.
Inoltre avevo tentato di prendere le distanze, o meglio di indirizzarmi nuovamente verso la giusta direzione, in modo da disinnamorarmi di mio fratello. Perché era qualcosa di malato e ingiusto, perché non c’entrava che ci fosse un sentimento profondo, sotto. Alla fine raramente contavano le emozioni, dato che venivano preferite le etichette, e il consequenziale loro rispetto. E, forse perché me ne ero convinto talmente tanto che mi sembrava vero, anche Atem si comportava in modo dissimile da prima. C’erano sempre i suoi sorrisi – nei quali mi riflettevo, sorridendo a mia volta –, e si mostrava anche preoccupato per me al punto giusto, come lo era sempre stato. Però… mah, probabilmente era soltanto una mia stupida convinzione. Meglio così.
Comunque, non appena entrai in classe - evitando miracolosamente qualche bulletto che mi avrebbe scambiato per un bersaglio mobile –, la reazione dei miei amici fu un po’ diversa da quella che mi sarei aspettato.
Beh, non ero stato ricoverato d’urgenza all’ospedale, tantomeno avevo rischiato la vita. Nessuno – immaginavo – mi aveva dato già per morto e sepolto, e sì, si era trattato soltanto di un’innocua influenza abbellita da qualche colpo di tosse ogni tanto e uno stranuto come sottofondo musicale. Tuttavia, mi sarei aspettato un bel sorrisone alla Jonouchi, oppure un abbraccio stritola ossa alla Mana… una canzoncina di buon auspicio, una… una cretinata qualsiasi da parte loro. E invece nulla. Niente di quello che mi ero immaginato – e a cui mi ero anche già preparato psicologicamente, raccomandandomi di sorridere bonario e attendere pazientemente che la smettessero di abbracciarmi e di preoccuparsi troppo per delle sciocchezze – stava accadendo.
Non fui in grado di interpretare i loro volti strani e tranquilli. Rimasi imbambolato per qualche secondo all’uscio della porta, le mani ancora serrate intorno alle spalline dello zaino, la bocca leggermente aperta per lo stupore. Mossi qualche passo in avanti solo quando un ragazzaccio alto il doppio di me - ehm, non che ci volesse molto, a onor del vero – mi spintonò per passare. Aveva dimenticato le buone maniere a casa, evidentemente, ma non mi appurai di farglielo notare.
Quando gli occhi di Jonouchi incontrarono i miei, attesi che spiccicasse qualcosa, che mostrasse di avermi notato.
E invece: «Hai visto che tranquillità? Malik non c’è» mi disse, ma si sentiva che era la prima stupidata – anche se vera – che gli era passata per la testa.
«Per caso è successo qualcosa in mia assenza?» domandai allora, anziché del consueto ed educato buongiorno.
Jonouchi e Mana scattarono su all’istante, all’apparenza tesi. Ci mancavano soltanto le goccioline di sudore a cascata ai lati della fronte. Li guardai con scetticismo, capendo che sì, era successo qualcosa. Ma che cosa, esattamente?
«Mi sembrate diversi dal solito» continuai, sperando di cavarne fuori qualcosa. Non per essere scortese, ma Jonouchi e Mana possedevano la bocca più larga dell’intero Giappone, e raramente un segreto rimaneva serrato tra i denti, se c’era. Anzi, raramente – cioè quasi mai – riuscivamo a tenerci vicendevolmente nascosto qualcosa. Bastava pressarli, poi avrebbero cantato come degli usignoli.
«Diversi?» trillò subito Mana.
«Chi noi?» le diede corda Jonouchi. «Ma no no, che dici, certo che no» ridacchiò, nervoso, cercando sempre più spesso lo sguardo della nostra amica, come se volesse trarne supporto.
«Ho trovato un po’ strano che non siate venuti a trovarmi in questi due giorni. Che non mi abbiate telefonato nemmeno, che non vi siate fatti sentire…» azzardai; in realtà non ero il tipo da accusare i miei amici se sparivano dalla circolazione per un po’ – non ero così… maniacale – tuttavia immaginavo che, se succedeva, doveva essere accaduto qualche fatto interessante, visto che di solito non si comportavano così. Magari, ipotizzai, avevano avuto un problema.
«Lezioni col professor Mahad. Sai com’è» rispose prontamente Mana, mentre Jonouchi – che per me era chiaro come un libro – cercava le parole giuste. Anzi, la scusa giusta, lo avevo capito.
«Io… ehm…»
«Questioni di cuore con Seto» intervenne sempre Mana, scattando in piedi e slanciandosi in avanti, sul banco. Sarebbe anche caduta se Jonouchi non l’avesse agguantata per la maglietta della divisa.
«Già» confermò frattanto che la tirava all’indietro.
«Va bene, allora» risposi, sorridendo loro. Sapevo che era una bugia e che sotto doveva esserci qualche altra cosa. Il problema dei miei due amici consisteva nella loro incapacità di mentire bene, anzi, di mentire e basta. Li scoprivo subito, sembrava che sul loro viso fosse scritto guarda che ti sto prendendo per i fondelli o che sulle loro teste apparisse un cartellone con su scritto sono un bugiardo. Fatto stava che si vedeva. Eccome.
«Ci… ci dispiace. Scusaci.» Era Jonouchi, con un sorrisone larghissimo. «Ma non l’abbiamo fatto apposta, davvero.»
«Basta che ora vada tuuuuutto benone.» Era Mana, che annuiva a se stessa. «Broncopolmoniti a parte, hai…» gettò un’occhiata a Jonouchi, «qualche novità da raccontarci? Non so, qualche news. E non partire con l’elenco degli starnuti che hai fatto. Non si può spettegolare sugli starnuti» chiarì, prima che aprissi bocca.
«Non sapevo che ti piacesse così tanto fare gossip. Su di me, poi.» Il sottoscritto viveva la vita più tranquilla che si potesse desiderare. Ultimamente, a causa dei miei sentimenti, era tutto tranne che noiosa, ma desideravo cancellare quelle mie emozioni. Non volevo nemmeno pensarci. Tanto, nasconderlo a Mana e Jonouchi sarebbe stato abbastanza semplice, visto che non avrebbero potuto insistere per farsi raccontare un avvenimento che non sospettavano minimamente.
«Sono sicurissima che tra le quattro mura di casa si possano vivere le avventure più significative, Yugi. A proposito, vi ho mai raccontato di quando una cimice si mimetizzò tra le mie lenzuola? Ci misi delle ore a rintracciarla, ma alla fine, ne uscii vincitrice. Non la trovi una grande avventura?»
Rimasi basito davanti alla capacità di Mana di cambiare argomento alla velocità della luce. Sbattei le palpebre qualche volta, mentre Jonouchi sembrava molto più interessato di me alla questione. «E com’è andata a finire, poi?» domandò. «Che fine ha fatto la cimice?»
Mana si alzò di nuovo in piedi, incrociò le braccia al petto, soddisfatta. «Grazie all’ausilio di un coraggioso fazzoletto, che si è offerto come vittima sacrificale, sono riuscita a buttarla fuori dalla finestra. Ma mi festeggerete dopo, eventualmente. Dicevamo, Yugi…»
E aveva riportato l’attenzione su di me. Non apprezzavo particolarmente essere al centro e farmi notare. Ero un tipo tranquillo, gradivo di più la lontananza da quei riflettori che i miei amici parevano volermi gettare addosso per forza. «Dicevamo?» chiesi, titubante.
«Novità?»
Non avevo la più pallida idea di cosa Mana volesse sentirsi dire. Dove voleva arrivare? Certamente, se non avesse dimostrato un atteggiamento così strano dall’inizio di quella conversazione, non avrei interpretato male quella che appariva, all’apparenza, come semplice curiosità. Con gli anni, infatti, avevo imparato che Mana poteva essere anche molto pericolosa – strano a crederlo, considerando il suo faccino. Forse tutto questo era dovuto all’eccessiva vicinanza con Jonouchi in quei due giorni. Magari si erano influenzati negativamente a vicenda. Bah, o forse ero davvero io a farmi troppi problemi per una fesseria.
«Me ne sono rimasto a casa sotto le coperte» confessai alla fine, dopo aver rimuginato ancora sul cosa diamine vuoi sapere?, «anche volendo, non avrei potuto sapere nessuna novità. O news, come dici tu.»
«Esatto!» si agitò Mana, sorridendo serafica.
«Scusa, non ti seguo» ammisi, smarrito.
«E dentro casa? Come sta tuo nonno?» continuò lei. «Oppure la tua trisavola, tua madre, un tuo zio di quarto grado che non sai nemmeno di avere…»
La mascella toccò automaticamente terra. Da sola. Mana diventava sempre più uguale a una di quelle vecchiette che si trovano in giro e che conoscono gli affari di mezza città e che, per continuare la tradizione e informarsi al meglio, ti tartassano di domande sulla tua famiglia, ripescando parenti dal tuo albero genealogico che non hai mai sentito nominare. Ecco, dunque, Mana, la vecchietta impicciona della scuola.
«T-tutto bene in famiglia, grazie.»
«Oh, mi fa tanto piacere, sì sì. E… tuo fratello?»
Credei – sì, credei soltanto, perché non era possibile che la vedessi davvero – di notare una scintilla di sadica soddisfazione negli occhi della mia amica. Tuttavia, considerando che lei non poteva assolutamente sapere di me e della mia coscienza tormentata a causa di Atem, dedussi che no, no e poi no; era assolutamente impossibile che fosse arrivata a leggermi così tanto a fondo da scoprirlo. Oh Kamisama, non che io fossi mai riuscito a tenermi nascoste certe cose così bene – Mana se ne era già accorta che gongolavo, attribuendo la faccenda ad Anzu – però che fossi già un libro aperto mi pareva eccessivo.
«Atem sta bene. Come al solito. Studia. Poi, a volte, quando mamma non c’è, dà una mano in casa per il bene della schiena del nonno. Le solite cose» farfugliai velocemente. «Perché, ti serviva qualcosa da lui?»
Lei non la smetteva di sorridere, al massimo della felicità. «No, assolutamente. Era soltanto per sapere.»
«Va bene.»
Ma… per sapere che cosa? Mana e Atem erano molto legati, si erano sempre trovati bene insieme. Li avevo sempre visti solo e soltanto come amici, ma adesso mi spaventava un po’ l’idea che lei potesse… arrivare a provare qualcosa in più, per lui. Non che fosse la prima, anzi, però la potevo definire come la prima che lui considerasse importante – non importava se come amica o come altro, ma bastava sapere che teneva a lei come persona, come legame – e che, volendo, avrebbe potuto ricambiare.
Non volevo pensarci, mi rifiutavo.
Eppure, tutti gli indizi portavano a quello. O almeno era la cosa più lampante ed evidente, per me. Magari Mana non era venuta a trovarmi a causa di Atem, forse non voleva vederlo, forse… mah, non era nemmeno da lei, perché affrontava i problemi a viso aperto. E non era da lei nemmeno indagare, per così dire, sugli altri. Conoscendola, e conoscendo il suo legame con mio fratello, sarebbe andata lì e gli avrebbe chiesto di uscire; così, diretta.
Ma allora a cosa dovevo pensare? E se davvero Mana si fosse stata innamorata di Atem?
In cuor mio mi dicevo che, tra tante, al fianco di mio fratello – dato che per me lo stargli accanto sarebbe rimasto soltanto un bel sogno, una fantasia irrealizzabile –  avrei visto volentieri Mana. Un bel caratterino, una persona sincera e che gli voleva bene. Tutto sommato, avrei potuto imparare a convivere col dolore al petto, almeno fin quando non sarebbe scomparso da solo, con la medicina del tempo. O, al massimo, me ne sarei assuefatto.

 
 
 

*   *   *

 
 
 

«Sono stata brava, Jonouchi, ammettilo. Scommetto che non ha sospettato di nulla.»
Mi grattai la testa, la spallina dello zaino scivolò fino al gomito quando riabbassai il braccio. «Mah, sì, non è andata malaccio. Solo che ha avuto una mezza faccia da funerale per tutta la mattina. Non so se te ne sei accorta.»
«Dici che è dovuta al fatto che non siamo andati a trovarlo a casa?» domandò lei.
Scossi le spalle. «Chissà.»
«In ogni caso, ci penseremo in un secondo o terzo momento. Più in là, per capirci. Sono altre le cose importanti adesso» e sogghignò. «Il primo passo del nostro piano è stato seguito alla lettera.»
«E quale pensi che sia la conclusione?» le domandai, mentre cercava in tasca il fatidico foglietto sopra al quale, in quegli ultimi due giorni, mi aveva costretto a tener la schiena piegata.
«Accidenti, ma dove sta?» brontolava, mentre, tra me e me, mi preparavo a maledirla se mai l’avesse smarrito. Con tutto il tempo che c’avevamo impiegato…
«Eccolo qua!» trillò su all’improvviso, tirandolo fuori a fatica dalla sacca dello zaino, quella in basso in avanti. «La conclusione, Jonouchi? E non ti pare ovvia?» domandò retorica. Poi si guardò alle spalle e ai lati, prima destra e poi sinistra, assicurandosi che nessuno ci stesse ascoltando.
Stavamo andando a casa sua, ed eravamo quasi arrivati. Fortunatamente, nessuno dei nostri compagni abitava da quelle parti, quindi, eccetto qualche vecchietto col cane, le strade erano quasi desolate.
«La prima parte del piano» riprese, «consisteva nello scoprire se Yugi fosse preso o meno da suo fratello. E a te che te ne pare?»
«Me ne pare che di Atem abbia detto soltanto che studia, fa anche la donnetta di casa e che le solite cose, per citare Yugi.»
Mana scosse la testa, desolata. Salì i tre scalini collegati alla porta di ingresso – quelli che, come ci aveva raccontato impavidamente, avevano messo a serio rischio le sue gambe in quelle mattinate in cui, per caso, la sveglia aveva dimenticato di suonare e di svegliarla – e, lottando di nuovo contro tasche e sacche, agguantò le chiavi di casa e fece scattare la serratura.
«Non capisci niente, tu. Seto ti sta influenzando» mi accusò, lanciando poi lo zaino a terra. Dalla potenza con cui quello le sfilò dalle mani, pensai che come minimo avrebbe fatto un fosso a terra. Ma niente; forse la casa di Mana era dura e resistente quanto la testa di chi l’abitava.
«No, ti prego. Quando comincerai a vedere in me degli veri atteggiamenti alla Kaiba, fammelo sapere» scherzai. Mica tanto, poi. In una coppia bastava un musone; poi, c’era la parte migliore, ovvero io.
Nel frattempo, la padrona di casa si era accomodata a capotavola, spostando il centrino con tanto di vaso di fiori un po’ più in dietro e stendendo il foglio di carta stropicciato – che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo. Lo guardava con attenzione. Stava rimuginando.
«Se permetti, nel frattempo mi accomodo» le dissi, e mi spaparanzai su una sedia lì di fianco, distendendo – maleducatamente, sì – le gambe e sotto il tavolo e le braccia. Mi esibii anche in un sonoro e lunghissimo sbadiglio; uno dei migliori.
«Anziché perdere tempo, perché non vieni qui? Non sai che due teste geniali funzionano meglio di una sola?»
La adocchiai di sbieco, fissandola da sopra al braccio su cui mi ero appoggiato – ovvero stravaccato come se fossi appena tornato dalla guerra – con la fronte. Probabilmente Seto mi stava davvero infettando, dato che qualcosa dentro di me – la mia parte da Kaiba acquisito? –  si imponeva di ricordarmi che né io e né Mana avevamo qualcosa di geniale nella nostra mente.
Piuff.
Scacciai il pensiero molto velocemente. Figurarsi, tsk.
«Dai, spara. Che hai in mente?» chiesi, lasciandomi il beneficio del dubbio: me ne sarei pentito?
«Dunque. Per adesso, abbiamo capito che quei due sono cotti l’uno a puntino. Su Yugi, abbiamo appurato oggi» continuò, sebbene per il sottoscritto fossero ancora sconosciute le parole da cui Mana avrebbe acquisito questa sicurezza. Comunque, annuii per rispetto(?). «E su Atem non ci sono dubbi. L’abbiamo colto in flagrante, più chiaro di così si muore.»
Beh, su questo concordavo al cento per cento.
«E adesso che hai intenzione di fare?» le chiesi.
«Cosa faremo, vorrai dire» puntualizzò lei, immischiandomi ancora una volta in quei suoi piani.
«Okay okay, cosa faremo.»
Silenzio. Forse si era inceppata?
«Jonouchi, ma non trovi che siano proprio carini insieme? Guardali!» E si spinse in avanti, come se riuscisse a guardare aldilà della parete. Mi sembrava una creatura sovrannaturale. Sotto sotto mi faceva quasi impressione. «Sono così teneri, insieme. Fluffosi, direi. Non trovi? E poi hanno quasi la stessa altezza! Senza contare che ho sempre pensato che Yugi dovesse essere uke, in una coppia. Cioè, è sempre stato ovvio, una di quelle cose indiscutibili. E che fortuna che ha avuto! Te lo immagini uke con… Anzu, magari?»
Rimasi un tantino scioccato, e lei con me, visto che tacque.
«Okay, basta fangirleggiare» decretò, e fui concorde, limitandomi ad annuire. Un altro segnale di imminente trasformazione in uno pseudo Kaiba? Stavo cominciando a preoccuparmi sul serio. Per mia (s)fortuna, la presenza di Mana lì e del suo piano ingegnoso mi distrassero. «E il prossimo passo, allora?» domandai quindi, impaziente.
«Mi pare logico. Dobbiamo cercare di capire se sanno
Sbattei le palpebre. «Se sanno… cosa, esattamente?»
«Se hanno scoperto di amarsi reciprocamente, ovvio. Se aspetti che quei due si dichiarino… possiamo attendere finché Seto non diventi un poveraccio di strada e tu un ricco miliardario.»
«Cosa che non accadrà mai» le diedi corda.
«Esattamente. Quindi entreremo in scena noi e li… spintoneremo uno verso l’altro. Facile facile. Possiamo anche dire che è fatta.»
C’era qualcosa di strano in quelle parole. E se me n’ero accorto io – ehi, da quando mi buttavo così giù?
«Mana, ma con il tuo li spintoneremo uno verso l’altro, non intenderai mica di sping-»
«Pochi e semplici passi. Io dietro uno, tu dietro l’altro, aspettiamo che siano vicini, poggiamo le mani dietro la loro schiena – e completamente, mi raccomando! – e li spingiamo.»
Proprio come temevo; Mana a volte prendeva le cose troppo alla lettera. Ne sorrisi poco convinto.
«Senti un po’» le suggerii, e dai suoi occhioni spalancati intuii che apprezzava un mio intervento diretto nella questione, «che ne dici se indagassimo come abbiamo fatto oggi? Insomma, senza spingerli così presto; sai, certe cosa vanno fatte con calma… almeno credo.»
E poi, conoscendo Mana, avrebbe potuto anche costringerli – sì, letteralmente, magari facendoli testa e testa; lei era minuta, ma non che Yugi e Atem fossero chissà quanto muscolosi – davanti a tutti. E non tutti, però, avevano una concezione dell’amore così libera come la nostra. Yugi e Atem erano pur sempre due fratelli, e una loro relazione alla luce del Sole non sarebbe stata vista benissimo da tutti.
Io c’ero già passato da tutte queste paranoie, anche se la questione differiva. Quando… sì, quando Seto si era accorto di amarmi. Non io, lui. Vabbé, insieme, l’avevamo capito insieme
In ogni caso, anche io mi ero posto qualche domanda, un po’ – ma poco – mi ero anche preoccupato del pensiero altrui. Ma alla fine, piuff, chissene. Non sapevo fin quanto fosse lecito condannare un sentimento, alla fine non me la sentivo nemmeno di farlo. E Mana, anche se non aveva affrontato una situazione del genere, sembrava essere del mio stesso parere.
Ma che ragazzo sensibile e giudizioso, che ero. Commozione.
«Quando la smetti di occupare mezza pagina soltanto per i tuoi pensieri, posso continuare» sbottò Mana.
«Vai vai, come se non fosse successo nulla» le dissi.
Oh, adorabili retroscena. Ma ritornando a noi…
«Con calma è un altro modo di dire interrogatorio?» gorgheggiò allegra. «Perché mi sono divertita da matti a far svalvolare il cervellino di Yugi. Quindi è così che faremo, eh? Eh?»
Ci pensai un po’, ponderando le scelte. Da un lato, avevo una Mana saltellante che mi quasi mi implorava di accontentarla e mi crocifiggere di nuovo Yugi. D’altra parte, mi ritrovavo il mio migliore amico, il mio piccolo e adorato tappetto, che Mana avrebbe sicuramente messo in difficoltà con chissà quali pazze e strambe domande – era imprevedibile, lei. Se ne sarebbe vergognato, forse non voleva parlarne… ma…
«Va bene, Mana. Che interrogatorio sia.»
Sotto sotto avrebbe divertito e incuriosito anche me. Sempre perché ero una persona sensibile e giudiziosa.

 
 
 
 












 
E’ un po’ più corto di quelli che scrivo di solito per questa fanfiction, ma mettere altro sarebbe stato superfluo. Volevo proprio finire qui. Speriamo che il prossimo esca più lungo, che dirvi. XD
Il titolo del capitolo mi sembrava appropriato: qua fa tutto Mana, anche nel PoV di Yugi. XD
 
Comunque, ringrazio: chi legge e commenta, chi preferisce(15), ricorda(2) e segue(16). Grazie. ^.^

   
 
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