Esperimento davhk, di cui è Kankuro a fare le spese.
Di balocchi e di coltelli
C’era una volta in cui il bimbo, felice, giocava con le
sue marionette.
C’era una volta in cui il bimbo, ignaro, imparava come si
uccide.
Bambolina bambolina…
Al piccolo Kankuro il papà aveva regalato un pupazzo. Il
giocattolo era nuovo, avvolto in carta viola, e profumava di legno e di stoffa.
Kankuro si esercitava coi fili di chakra, e giocava con il pupazzo.
Aveva imparato che se fletteva pollice e mignolo, il
pupazzo gli correva incontro. Invece muovendo il dito medio poteva fargli fare
di sì con la testa, o con l’indice farlo salutare. Se apriva la manina paffuta
di colpo uscivano i kunai, e se poi la richiudeva, quelli finivano tutti sul
muro.
Si divertiva a giocarci, e il muro si riempiva pian piano
di tagli.
Che bel gioco, che
bel gioco!
Kankuro era però molto triste. Il papà gli aveva regalato
la bambola ma non passavano mai un po’ di tempo
insieme, e lui voleva fargli vedere come ormai manovrava bene quel regalo. Il
papà invece era sempre indaffarato; e la mamma non c’era più e la sorellona
doveva badare al nuovo fratellino.
[E a te chi ci bada?]
Così Kankuro passava tutto il giorno col pupazzo, ci
andava a scuola, ci giocava il pomeriggio e ci si addormentava la sera.
[In assenza di baci dolci o sussurri della
buonanotte]
La notte un raggio di luna cadeva, dalle tende che
restavano sempre spalancate, dritto sul letto di Kankuro, tra le piccole mani
-ma non più tanto piccole- che stringevano il pupazzo. La pallida luce
accompagnava i sogni del bambino e marcava i tratti del viso della bambola.
Folle ghigno,
maschera grottesca
Dopo qualche anno Kankuro già si faceva le marionette da
solo, poteva passare giorni impegnato in una nuova
creazione. Nella sua stanza si era allestito un laboratorio di tutto punto: in
un angolo teneva degli scatoloni con i vari materiali, al muro erano appesi
tutti gli strumenti, proprio sopra un tavolo da lavoro. Lì lavorava con
impegno, e le sue bambole miglioravano di giorno in giorno.
Gli piaceva poi far vedere i suoi progressi.
Appena ne finiva una correva dal
padre con un grande sorriso, a chiedergli un parere sulla nuova marionetta; poi
correva da Baki-sensei, con un livido fresco su una guancia e un sorriso un po’
meno grande; poi dopo che il maestro gli aveva detto di andarsene perché era
indaffarato con Gaara trotterellava dalla sorella. Le porgeva il pupazzo e aspettava
titubante un giudizio: lei lo teneva tra le mani e dopo averlo osservato un po’
gli faceva un commento carino, o gli diceva quanto era migliorato. E infine gli
rivolgeva sempre un sorriso…
…amaro
[Ripensandoci, non è che ti piacesse poi tanto]
Kankuro si è allenato ogni giorno, ha preso confidenza con
le sue marionette e se ne prende cura. Quasi le tratta
come amiche… di sicuro è più abituato a stare con loro che con altra gente.
È con loro che passa la sua giornata, con loro si sfoga di
tutto e con loro ha imparato ad avere fiducia in sé stesso.
Hai visto cosa si
prova
ad avere il controllo completo su
qualcuno
deciderne vita e morte,
sia che siano bambole
sia che siano persone che conoscevi.
Inebriante, vero?
*
- Ma perché ti ostini a chiamarle così? -
- In che senso? -
- Sì, insomma… sono armi. Non ti fa strano chiamarle bambole?
-
- …no. -
---
Che dire? A me l’aria di mare fa venire strani pensieri…
._.
Uh, lo so che le marionette di Kankuro sono state fatte da
Sasori, ma suppongo che pure lui sappia fare qualcosa di elementare, no?
Chiamiamola licenza poetica. :3
Will