5)Everything is gonna be
fine.
Il
tempo passa veloce da
quando sto con lui.
Non siamo una coppia di
quelle smielate, siamo una di quelle che continuano a punzecchiarsi e
poi fanno
pace, a ogni modo riusciamo a fare più scandalo persino di
Josie e Mark.
Boh.
Non mi interessa molto, mi
interessano di più le passeggiate e i lunghi pomeriggi
trascorsi con lui a
tentare di imparare a fare skate e baciarsi.
Mi interessano di più le
serate trascorse a guardare film abbracciati e quelle al Soma a sentire
i
gruppi che piacciono a lui e a farmi una cultura sul punk e sullo skate
punk.
Ha anche tentato di
trascinarmi alle prove della band – trovando in me una
vittima consenziente –
ma la presenza di Mark e quella saltuaria di Josie le hanno rovinate.
Così io e Tom abbiamo
convenuto a malincuore che è meglio che io non mi presenti
alle prove dei
blink.
Stupido Mark! Da quando mi
sono messa con Tom mi odia e io non so perché e non si
accorge che Tom ci sta
male. Dal divorzio dei suoi Mark è diventato la figura di
riferimento di Tom –
quasi come un padre – e lo fa soffrire vederlo comportarsi
così, senza contare
che vedendo il mio malumore inizia a pensare cose che non dovrebbe.
Del tipo che io non lo
voglia, che stia con lui solo per fare un dispetto a Mark, che non lo
ami.
Mi maledico perché non
sono capace di fare la persona dolce e perché sono stata
cotta dell’Hoppus e
lui lo sa e maledico Mark.
In ogni caso Natale è
ormai alle porte, siamo all’otto di dicembre e io –
come da tradizione – inizio
a decorare la casa, poi farò l’albero.
Sono l’unica in famiglia a interessarsi di queste cose, i
miei sono troppo
impegnati con il lavoro e forse troppo disincantati per crederci.
Sto appendendo un festone
in salotto – in precario equilibrio su una delle sedie
– quando suona il
campanello e io cado a terra rovinosamente.
Porca puttana! Devo essermi
presa una storta alla caviglia perché fa un male boia!
Sento dei rumori: qualcuno
si è precipitato dentro casa mia.
Quel qualcuno è l’ultimo
che mi aspetto di vedere: è Mark Hoppus in persona.
Dal mio personale e basso
punto di vista vedo la sua faccia preoccupata scrutarmi.
“Tutto bene, Jen?”
“No, credo di essermi
slogata una caviglia. Non riesco ad alzarmi.”
Lui scuote la testa e mi
dà una mano ad arrivare sul divano, lì appoggio
il mio piede – libero dalla
ciabatta e dal calzino – su un cuscino e tasto la caviglia.
È gonfia – fa male
– ma non sembra rotta: con una madre infermiera e un padre
dottore i rudimenti
del pronto soccorso non mi sono estranei.
“Mark, visto che sei qui,
mi faresti un favore?
Vai in bagno,
nell’armadietto in basso a destra c’è la
borsa del ghiaccio, la prenderesti e
la riempiresti?”
“Agli ordini, signorina
Jenkins.”
“Fai poco lo spiritoso. Se
sono caduta da quella sedia sfasciandomi una caviglia è
perché tu hai suonato
il campanello, quindi è tuo dovere rimediare.
Lui sogghigna e se ne va a
fare quello che gli ho chiesto.
Perché è qui?
Non mi sopporta, diventa
di malumore ogni volta che mi vede, perché si è
infilato nella tana del nemico?
Lo osservo andare in
cucina poco dopo e lo sento riempire la borsa di ghiaccio, poi arriva
reggendola in mano e me la porge. Il piacere che provo per il contatto
freddo
sulla mia caviglia malandata è incredibile: mi sembra di
stare meglio.
Ora posso occuparmi di lui
senza altri pensieri che mi disturbino.
“Come mai sei qui, Hoppus?
Pensavo non mi sopportassi da quando sono la ragazza di
DeLonge.”
Lui sembra arrossire.
“Ok, dopo questo potrai
insultarmi: pensavo che per lui fossi solo una scopata.
Mi sono sbagliato, passano
i mesi e voi siete effettivamente una coppia e lui non mi ha mai detto
niente
che mi facesse pensare a quello che ho detto prima.”
“Praticamente tu mi hai
tenuto il broncio solo per non ammettere che ti sei
sbagliato?”
Lo guardo incredula, lui
annuisce.
“Tu devi ringraziare Gesù
che non posso muovermi o ti avrei menato, non solo insultato, Hoppus!
Tom ci è rimasto di merda
per questo tuo atteggiamento!”
“Lo so e per questo oggi
mi sono deciso a venire da te. Volevo, voglio, chiederti scusa per
tutte le
volte in cui ti ho trattato male senza un motivo.
Non te lo meritavi, sia io
che Josie siamo molto dispiaciuti.”
“E allora perché la tua
dolce metà non è qui?”
“Jen, se accetti le nostre
scuse ti giuro che anche lei cambierà atteggiamento,
finalmente conoscerai il
suo lato migliore.”
Woah, mi sento onorata, ma
purtroppo o accetto le scuse di tutti e due o sarò io la
responsabile del
continuare di questa brutta situazione e questa brutta situazione deve
finire.
“Ok, scuse accettate,
Mark.
Possiamo provare a tornare
ad essere amici.”
Lui sorride felice.
“Come va con Tom?”
“Bene, se si esclude il
fatto che lui ha paura che io sia ancora innamorata di te, cosa che non
sta né
in cielo né in terra.
Non so cosa fare per
fargli capire che amo solo lui e nessun altro.”
Lui si gratta il mento
pensoso e fissa con attenzione – ma senza vederlo davvero
– il vaso di fiori
secchi che c’è in salotto.
“Prova con qualcosa di
eclatante. Io per diventare suo amico l’ho impressionato
salendo su un palo
della luce davanti a casa e rompendomi le anche.
Per due settimane ho
girato con le stampelle.”
Io sospiro, non muoio
dalla voglia di rompermi qualche arto.
“Grazie del consiglio.”
Parliamo per un altro po’,
poi lui se ne va e io rimugino sulle parole che mi ha detto. Cosa
potrei fare
per impressionarlo?
L’idea arriva
all’improvviso e qualcosa mi fa credere che sia quella giusta.
Bene, bene, bene.
Dovrò aspettare qualche
giorno per via del piede, ma ne varrà la pena.
Alla
sera – l’ennesima da sola – arriva Tom a
farmi visita. Non appena vede il piede
chiede cosa diavolo ho fatto, io gli dico che sono caduta mentre
appendevo un
festone, lui scuote la testa.
“Natale
non è poi una gran festa, non vale il rischio di rompersi un
piede.”
“Parla
per te o baciami, a te la scelta.”
Lui
mi mostra il suo famoso ghigno e mi attira a sé, dandomi un
bacio violento ed
impetuoso.
“Devo
dirti una cosa!”
Esclamiamo
insieme mentre ci stacchiamo, scoppiamo entrambi a ridere e lui mi fa
cenno di
parlare.
“Oggi
è venuto Mark da me e mi ha chiesto scusa, abbiamo fatto
pace.”
“Io
volevo dirti che Mark ha detto che puoi venire alle prove quando
vuoi.”
Io
sorrido.
“Bello!
Sono tanto felice, mi piace vederti suonare!”
“Ma
se come chitarrista faccio schifo.”
Lui
scuote le spalle.
“Io
non capisco niente di musica, ma vedo come ti trasformi quando suoni.
Ci metti
tutto te stesso e sei felice e mi piace vederti felice.
E
poi mi piace la vostra musica. Punto, signor DeLonge.”
Lui
ride.
“Ottima
argomentazione, signorina Jenkins. Si merita una ricompensa.”
Ci
baciamo ancora e finiamo per guardare un film insieme,
l’argomento Mark è
archiviato.
Rimaniamo
a lungo abbracciati anche dopo che il film è finito e lui
non ci prova. Non lo
fa mai e io non oso chiedergli perché, per non passare per
una troia malata di
sesso.
Non
capisco se lo fa per rispettarmi, per dimostrarmi che non è
come tutti gli altri
oppure è perché non mi trova attraente o se ha
paura che io ami ancora Mark.
Rimaniamo
in silenzio, lui gioca con i miei capelli, io disegno cerchi sul suo
petto.
“Sei
bella, Jen.”
Io
sto per dire qualcosa, ma lui prosegue.
“E
si è fatto tardi. Devo andare a casa o mia madre mi
ammazza.”
Ci salutiamo con un altro
bacio, poi lui se ne va e io ancora una volta mi chiedo
perché sia così cauto
nei miei confronti.
Spero che l’idea che ho avuto sblocchi un po’ la
situazione.
Ci vogliono tre giorni per
far tornare la mia caviglia normale.
Il terzo giorno – un
venerdì freddo di dicembre – dopo scuola vado a
casa di Tom e ci trovo la band
al gran completo, Josie compresa.
Ci salutiamo in modo un
po’ freddo, poi mi siedo accanto a lei. I ragazzi sono
impegnati con i loro
strumenti e non badano a noi.
“Ciao, Jenkins. Allora con
DeLonge è davvero una cosa seria?”
“Cosa pensavi che fosse?
Noi due che ci incontriamo ogni tanto per giocare a canasta?”
Lei ride.
“Tom ha il soprannome di
HotPants, con le ragazze non ci sta più di tanto.”
Io scrollo le spalle, la
cosa mi giunge nuova, ma in un certo senso mi rassicura.
“E tu? Passata la grande
paura?”
“Oh, sì. Non sei una
minaccia per me.”
“Sono troppo
insignificante, vero?”
Lei ride di gusto.
“Jenkins, jenkins,
Jenkins. Non è per quello. Non sei affatto brutta come
credi, non sei una
minaccia perché a Mark non piacciono le ragazze deboluccie
come te.”
Deboluccia io? Non mi
conosce.
“Chissà cosa ci ha visto
in me Tom?”
“Non so. Credo che siano
stati gli occhioni blu a fregarlo, a volte fai delle facce da cucciolo
spaventato e non te ne accorgi nemmeno e Tom è sensibile su
queste cose.
Sono il suo tallone
d’Achille, in fondo a tutti i ragazzi piace essere il
principe di qualche
ragazza.”
Io non dico nulla, credo
che Josie non mi conosca per niente e che dietro la facciata di ragazza
indipendente non ci sia altro che una piccola sputasentenze che lavora
per
pregiudizi.
Io decido di lasciarla
perdere e di godermi le prove dei blink. Tom dà il meglio di
sé, si trasforma
nel cazzone comico che tutti amano, che fa sorridere persino me e che
nasconde
il fatto che non sia una cima con la chitarra.
Adoro vederlo così.
È una cosa che non riesco
a spiegare, vederlo felice mi rende felice per contagio.
Le canzoni non parlano di
chi sa quali argomenti, ma per un pubblico adolescente sono perfette: parlano il
nostro stesso linguaggio
e affrontano i nostri stessi problemi.
Quando finisce di suonare
non gli lascio nemmeno appoggiare a terra la chitarra che gli salto in
braccio,
facendolo sorridere.
“Ehi, baby, lo so che sono
irresistibile, ma…”
Io strofino il naso contro
il suo.
“Scusa, ma sono felice di
vederti finalmente felice.”
Ci baciamo tra i fischi e
gli ululati di Mark e Scott.
“Ehi, non sapevo ti
chiamassero HotPants!”
Lui fa una strana smorfia
imbarazzata, come se quel soprannome sulle mie labbra non gli piacesse
molto.
“Beh sì.”
“Vieni a casa con me
dopo?”
“No, devo lavorare. Mi dispiace.”
Io gli accarezzo i
capelli.
“Non fa niente, è ok. Vai
pure.”
Vai, tranquillo, tesoro.
Mentre tu lavori io attuo il mio piano.
Finite le prove, una volta
smontato tutto, ci salutiamo tutti e io me ne vado per la mia strada,
diretta
verso il centro di Poway.
Vado dal fiorista in
piazza e ordino dodici rose rosse, lui mi guarda perplesso.
“Ai miei tempi erano i
ragazzi a regalare le rose alle ragazze. O
non sarai una di quelle?”
“Sono per il mio ragazzo.
E immagino che ai suoi tempi i fioristi non fossero così
indiscreti.”
Lui arrossisce e finisce
di confezionarle borbottando.
“Arrivederci!”
Lo saluto flautata.
Rientro a casa mia – vuota
come al solito - e
metto le rose in un
vaso e qualcosa in forno per la cena. Che vita triste! Ogni tanto mi
piacerebbe
vederli i miei.
All’improvviso le
decorazioni che ho messo con tanto sforzo non mi sembrano
più tanto belle, mi
sembrano un orpello – una decorazione inutile –
alla mia solitudine.
Aspetto fino alle undici e
mezza, poi esco di casa per andare verso quella di Tom. Mi ci vuole un
po’ per
raggiungerla, ma so di essere in tempo per quando arriverà a
casa dal lavoro. A
dieci a mezzanotte lascio il mio mazzo sulla veranda dei DeLonge e poi
mi
nascondo in giardino, trepidante, chiedendomi che reazione
avrà Tom: gli
piaceranno o li troverà una grande cazzata?
Lo vedo arrivare dieci
minuti dopo con un’aria stanca e abbattuta, borbotta frasi a
mezza voce su
quanto il lavoro faccia schifo. Si fruga le tasche alla ricerca delle
chiavi
senza alzare il volto da terra, sale i due scalini del portico e le
vede.
Dalla mia postazione
riesco a vederlo in faccia, è perplesso e li raccoglie
rigirandoseli tra le
mani alla ricerca di un biglietto. Poi inizia a sorridere, trova il
biglietto e
lo legge, il suo sorriso si allarga ancora di più.
“Jen.”
Mormora con un tono neutro,
la voce leggermente incrinata.
Non riesco a trattenere un
verso indefinito e lui si gira verso di me, sgamando subito il mio
nascondiglio
in mezzo alle rose.
Io inizio ad agitarmi,
preparandomi mentalmente a scusarmi o a dire qualcosa che giustifichi
il mio
gesto da pazza, ma lui non mi lascia il tempo di parlare. Mi stritola
in un
abbraccio muto e appoggia la testa sulla mia spalla, lo sento sorridere
sul mio
collo.
Rimaniamo per un po’ così.
“Grazie, nessuno ha mai
fatto una cosa del genere per me.”
Io vorrei rispondere di
nuovo, ma al sua irruenza ha la meglio.
Alza il volto per poi
accarezzarmi dolcemente le guance – con la fronte appoggiata
alla mia – e
baciarmi con passione.
Le nostre lingue si
accarezzano, giocano. Le sue mani si infilano sotto la mia maglia e
accarezzano avidamente
la mia pelle.
Di solito a questo punto
qualcosa lo blocca, ma questa sera va avanti e io gli salto in braccio,
mentre
continuiamo a baciarci. Solo nelle rare pause noto che ha un sorriso
che va da
un orecchio all’altro e una luce diversa negli occhi.
Procediamo a gambero, lui
mi passa in qualche modo le chiavi ed entriamo. Ci pensa lui poi a
chiuderla
con un calcio che ci fa traballare e ridere allo stesso tempo.
Arriviamo al divano e lui
si avventa sul mio collo, riempiendolo di baci e succhiotti e facendomi
gemere
con le mani sepolte tra i suoi capelli. Glieli tiro persino un
po’, ma non
sembra importargli molto.
Io invece – dopo la mia
iniziale paralisi – gli tolgo la maglia, perdendomi un attimo
ad ammirare i
suoi addominali, cosa per la quale ride, e seguendo con le dita il
contorno del
tatuaggio.
“San Diego.”
“San Diego.”
“Bello.”
“Anche tu sei bella.”
Mi toglie la mano e mi
accarezza la pancia piano: ha una mano calda, grande e un po’
ruvida che mi fa
rabbrividire.
“Jen, mi vuoi?”
“No, l’hobby di denudarmi
davanti alle persone, così, a caso.”
“Sii seria, mi vuoi
davvero?”
Io lo faccio alzare
gentilmente, lo prendo per mano e lo porto in camera sua. Mi sento un
po’ in
imbarazzo mentre si stendo sul letto, invitandolo a raggiungermi, ma
credo sia
la cosa giusta.
Lui chiude la porta a
chiave e mi raggiunge, io gli accarezzo piano i capelli.
“Sì, ti voglio Thomas
DeLonge.”
Lui sorride e riprende a
baciarmi, questa volta è più deciso, ma riesce a
mantenere lo stesso una certa
dolcezza. Non mi stancherei mai di baciarlo.
In breve tempo il mio
reggiseno vola via e lui si dedica con passione alle mie tette: ci
gioca, le
bacia, le morde.
Io ormai ansimo e gemo
senza ritegno e non lo fermo nemmeno quando mi toglie i pantaloni e mi
accarezza piano le cosce.
“È la tua ultima occasione
per fermarmi.”
“Non voglio fermarti.
Voglio che la mia prima volta sia con te perché amo te. Te e
solo te.”
Lui sorride felice – quasi
timido, strano per uno come lui – e mi accarezza di nuovo la
pancia e poi
scende.
“Ora proverò a fare una
cosa, fermami se non vuoi.”
Io inizio ad avere un po’
paura – normale, essendo la prima volta – e
annuisco.
Piano introduce un dito
nella mia femminilità, mi irrigidisco d’istinto e
lui mi accarezza il volto e
strofina il suo naso contro il mio.
“Tranquillizzati, non farà
male.
Ti fidi di me?”
Io annuisco e cerco di
calmarmi e ci riesco anche perché lui inizia a riempirmi di
piccoli baci.
Poi lo sento muoversi lì
dentro, non credevo fosse così piacevole!
Lui sorride e aumenta le
dita: ora provo solo piacere.
Mossa dopo mossa arrivo al
primo orgasmo della mia vita: è
come se
mi scoppiasse una bomba nella testa perché vedo tante lucine
e mi sento
incredibilmente bene.
“Wow!”
Mormoro senza fiato.
Lui mi bacia piano e sento
che si sta togliendo i pantaloni.
“Jen, vuoi?”
“Sì.”
Lui si toglie anche i
boxer, è già bello eccitato e sembra ehm..grande.
“Non farmi male.”
Lui annuisce, trattenendo
una risata e si mette il preservativo.
Io sospiro, distogliendo
lo sguardo, mi sembra di spiare. Lui si stende su di me poco dopo, a
giudicare
da quello che preme sulla mia coscia non ho sbagliato la mia diagnosi.
Lui prende le mie mani e
le porta ai lati della testa e mi accarezza le guance dolcemente,
strofinando
di nuovo il suo naso contro il mio: inizio ad amare questo gesto,
sembra un gatto
quando lo fa.
“Adesso entro, se ti
faccio male stringimi le mani.”
Io annuisco, lui entra in
me con una prima spinta decisa, mi fa talmente male che non riesco a
fare
quello che mi ha detto e lui spinge ancora.
Questa volta gli stritolo
la mano, con le lacrime agli occhi. Lui se ne accorge e le asciuga
dispiaciuto
e mortificato.
“Scusa, io non volevo. Io
non sono abituato.
Non voglio farti del male,
vuoi che continui?”
“Sì, ma piano. Ti prego.”
Lui entra più piano e
intanto cerca di coccolarmi e farfugliare parole di scusa nello stesso
momento.
Questa volta sento un misto di piacere e dolore: ho smesso di essere
vergine.
Una volta trovato il
nostro ritmo – fatto di spinte lunghe e dolci –
penso che questa sia la strada
per il paradiso. Gemo ed ansimo senza ritegno e lui fa lo stesso.
Arriviamo insieme
all’orgasmo e questa volta non vedo solo le stelle, vedo
l’intera galassia.
Sono così imbambolata da
non accorgermi che lui si è alzato ed ha buttato via il
preservativo e poi mi
ha attirato sul suo petto.
Me ne accorgo solo quando
sento una mano timida accarezzarmi i capelli e una coperta sulle mie
spalle
nude.
“Te ne sei pentita?”
“Ma sei fuori?
Assolutamente no! Era così
che sognavo la mia prima volta, con un ragazzo che amavo!”
“Ma ti ho fatto male…”
“E poi mi hai dato un
orgasmo meraviglioso.”
Arrossisco.
“Forse avresti voluto
farlo con Mark, lui …”
Gli metto un dito sulla
bocca e appoggio i gomiti sul suo petto.
“Non me ne frega niente di
come potrebbe essere Mark a letto, sei tu il mio ragazzo, quello che
amo e… mi
piace come sei a letto.”
Arrossisco del tutto e mi
blocco, ma lui sorride lo stesso e io mi stendo di nuovo.
Lui gioca con i miei
capelli, io mi diverto a seguire le linee del suo tatuaggio.
“Perché non mi hai detto
che ti chiamano HotPants?”
Lui arrossisce
leggermente.
"Beh, ecco perché non
volevo che pensassi che ti volessi solo scopare e perché eri
l’unica a non
conoscerlo e mi piaceva. Le ragazze che lo conoscono hanno due
atteggiamenti: o
vogliono solo scopare oppure ne sono troppo spaventate e non mi credono
quando
faccio sul serio.
Adesso che lo sai credi
ancora che io faccia sul serio?”
Sotto questa luce e alle
parole di prima capisco perché non abbia voluto approfondire
più di tanto la
nostra conoscenza carnale e ne sono onorata.
“Certo che ti credo, in
questi mesi sei stato solo con me e mi hai rispettata.
Sarai sempre HotPants, ma
solo io ne usufruirò… Giusto?”
“Giusto.”
Mi dà un bacio in fronte.
“Rimani tutta la notte.”
“Vorrei, ma alle quattro
dovrai riportarmi a casa, altrimenti chi li sente i miei.”
“Va bene così.”
Punta la sveglia e torniamo
ad abbracciarci.
Questa è la notte più
bella della mia vita.
Sono
passati molti anni da
quella notte, che è stata solo la prima di tante altre.
Negli anni abbiamo
litigato spesso – quel “i need a girl that i can
train” non
l’ho digerito tanto bene – ma è stato
anche il ragazzo che ho sposato e che mi ha donato i due esseri umani a
cui
tengo di più oltre a lui: Ava e Jonas.
Sono stati anni pieni di
tour – quando la band doveva sfondare e quando ha sfondato
– e di canzoni.
Con Mark ho fatto pace,
forse perché ha mollato Josie e per anni ha cercato una
ragazza che facesse per
lui. Josie è la famosa ragazza che non voleva che Mark
dedicasse troppo tempo
ai blink e che gli ha posto un aut-aut da cui è uscita
perdente.
Succede.
Se decidi di metterti con
un musicista devi avere ben chiaro che è come stare con un
bigamo, la musica
sarà sempre la sua seconda moglie.
In ogni caso non ha
comunque niente di cui lamentarsi la ragazza: Mark le ha pagato un
tributo di
valore inestimabile con la canzone che porta il suo nome. Ora la Josie
che gli
porta cibo di Sombrero solo così, perché le va, o
che lo porta a casa quando è
troppo ubriaco per guidare è nell’immaginario dei
fans dei blink. Così come lo
è quella “All the small things” che mi
è stata dedicata da Tom.
Gli anni non sono sempre
stati facili, quando Tom ha iniziato a prendere le medicine per la
schiena e a
litigare pesantemente con Mark è stato come prendere parte a
una guerra.
Fortunatamente alcune
guerre finiscono in un armistizio che diventa pace armata e poi pace e
basta.
“Jen, ehi Jen!”
La voce di Tom mi riporta
alla realtà, siamo davanti alla casa londinese di Mark.
Visto che dopodomani
partiremo per il tour europeo Skye – la moglie di Mark, che
è una bravissima
persona – ha proposto questa cena per rinfrescare i rapporti.
“Arrivo Tom, stavo
pensando. Jonas, dammi la mano o vuoi stare un braccio al
papà?”
Lui tende la sua manina
verso di me, ha una predilezione per me e Ava invece per il padre,
infatti si
fa accompagnare da lui.
La vedo un po’ eccitata,
rivedrà dopo tanto tempo Jack – che adora
– e Landon – per cui ha una mezza
cotta. Tom non ne sa niente o sarebbe capace di mandarla in un
convento: è un
padre tenero, ma anche geloso.
Tom suona il campanello ed
è Skye a farci gli onori di casa, esauriti quelli tra Tom,
Travis e Mark è
tutto un giro di pacche sulle spalle e battute.
Mark mi fa un cenno,
Travis mi abbraccia.
Adoro Travis, è un tipo
taciturno, ma è anche un buon amico – il mio
migliore amico – ed è il collante
che tiene insieme quei due pazzi. È stato fondamentale per
il ritorno dei blink
e dell’amicizia tra Mark e Tom.
Jonas mi tirà una mano.
“Mamma, posso giocare con
Alabama?”
“Vai e divertiti.”
Io e Travis guardiamo loro
due e poi i più grandi, Ava ricopre di attenzioni Landon che
accetta con quella
nonchalance mezzo menefreghista tipica del padre e Jack li guarda
imbronciato.
Se il mio istinto non mi
tradisce, se questa situazione continuerà a protrarsi per
altri due o tre anni
scoppierà di nuovo la guerra. L’occhiata che ci
scambiamo io e Trav indica che
come lo so io, lo sa anche lui.
Per ora non fa niente, mi
godo questa pace sedendomi a tavola e chiacchierando con gli altri.
Se non avessi accettato di
declassificare Tom da rischio biologico a persona degna di stima non
avrei
tutto questo.
Grazie Tom e in fondo
fondo fondo grazie Josie.
Angolo di Layla.
Grazie a MatyOtaku e _redyragenadlove per le recensioni.
Grazie a: MatyOtaku e a A_Delonge182 per averla messa tra le seguite.