Film > Sherlock Holmes
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Autore: carelesslove    18/12/2012    2 recensioni
– se è uno scherzo non è divertente.
- Uno scherzo? –fece interdetto.
- Ho parlato nel sonno? – gli chiesi
Mi guardò inebetito, ed era assolutamente l’espressione che meno gli si addiceva visto il suo acume e la sua intelligenza, noti a tutti. In effetti non gli avrei fatto il torto di crederlo così insensibile se non fossi stato preso completamente alla sprovvista da quell’asserzione.
Mi fissò a lungo, in silenzio - Buonanotte John
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Holmes, quale pensi che sia il compito di un medico?- domandai soprappensiero guardando la condensa del mio fiato contro il vetro. Avevo la fronte appoggiata alla superficie gelida della finestra e tra le mani la ceramica bollente della tazza, creava uno strano contrasto.
Dopo qualche istante lo sentii rispondere – non è propriamente il mio campo ma...bhè, curare i malati, suppongo. –qualche attimo ancora e proseguì - Perché ?
Non mi stupii neanche del fatto che, per una volta, invece di dedurre i miei pensieri si era limitato a domandarmeli.
- E quando ciò non è possibile? – ribattei in un sussurro, proponendogli il problema da una diversa prospettiva.
Sentii il fruscio del giornale che veniva abbandonato sulle ginocchia e percepii il suo sguardo posarsi su di me; non saprei dire come lo sapessi, dandogli la schiena potevo solo immaginarlo, ma percepivo distintamente i suoi occhi sfiorarmi le spalle in una impalpabile carezza.
- Cercare di alleviare la sofferenza. Temo non ci sia alternativa, in quel caso – rispose dopo qualche tempo. Aveva abbandonato il suo solito tono enfatico e assunto uno più lieve, pensieroso.
Sospirai senza voltarmi, continuando a guardare il via vai giù in strada.
- A volte non ne sono sicuro. Non so se sia sempre possibile.
Il detective tacque così a lungo che non mi aspettavo ormai risposta alcuna, quando lo sentii chiamare il mio nome.
Non mi voltai e lo sentii chiedere – vuoi parlarne?
- Di cosa?
- Del tuo paziente.
- Non c’è molto da dire.
- Forse ti farebbe bene.
Rimasi qualche tempo a fissare i lampioni di Baker Street, senza realmente vederli, oltre il vetro. Mi portai la tazza alle labbra e mi sentii riscaldare la faccia dal vapore, la stessa sensazione che provai quando ne ingoiai un sorso.
- Il sig. Wilson, si chiama John, come me, (è sempre stato motivo di scherzo tra noi) ,è un mio paziente, ma è diventato anche un amico negli anni. Non gli resta molto da vivere e mi ha fatto una richiesta
Non lo sentii commentare così continuai
- Sua moglie non sa ancora niente e lui vorrebbe tenerla all’oscuro, mi ha chiesto di mantenere il segreto.
Sentii Holmes prendere un respiro e cambiare posizione sulla poltrona, cercando probabilmente di raccogliere i pensieri e le parole – e tu cosa hai intenzione di fare?
- Conosco la moglie bene quanto lui, è una persona così buona e gentile, meriterebbe di sapere… ma mi sento in obbligo verso il mio paziente, il mio dovere professionale…
- Non pensi che sia la cosa giusta, in fondo?
Mi voltai di scatto verso di lui, e qualche goccia di thè traboccò, versandosi sul pavimento.
- Tu pensi questo?
- Cosa penso io non conta.
- Se io fossi sua moglie vorrei sapere, mi sentirei tradita se scoprissi un simile segreto.
- Se lo sapesse il suo atteggiamento verso il marito cambierebbe, nulla sarebbe più lo stesso, le sue azioni non sarebbero più genuine ma dietro di esse ci sarebbe lo spettro della malattia.
A quelle parole mi accalorai - Dovrebbe saperlo. Cercherebbe di godere appieno di ogni momento, passare più tempo possibile con lui, finchè ancora può farlo.
- Se dovesse succedere a me, io vorrei saperlo.-terminai risoluto.
- Watson
- Holmes – lo bloccai, cercando di controllare il tono – quando ti ho visto cadere, io… in quel momento ho desiderato solo che mi fosse concesso più tempo…
Lo vidi socchiudere gli occhi, ironia del destino, in un imitazione quasi identica del gesto che aveva fatto prima di lasciarsi cadere. Ogni volta che ne parlavo il senso di colpa gli si poteva leggere in faccia, a far compagnia alle rughe precoci di cui era la causa principale.
- Ho pensato che non era giusto. Avrei voluto saperlo in anticipo, come avrei voluto essere informato del fatto che eri vivo.
Non tentò di guardarmi negli occhi, sebbene io cercassi in ogni modo di evitare il suo sguardo ero sicuro che anche lui temesse di incrociare il mio. Quando mi arrischiai a lanciargli un occhiata, lo colsi ad osservarmi in tralice. Quello era un argomento su cui, di comune accordo, evitavamo di soffermarci, da molto tempo ormai. Era stato trattato al principio, senza lasciare nulla di indiscusso, non senza che ciò causasse sofferenza ulteriore ; per questo motivo non veniva mai risollevato, ci giravamo intorno come a una mina inesplosa.
Fu lui a rompere il silenzo - Se fosse possibile…desidereresti sapere il giorno della tua morte?
- Io..- balbettai, un brivido mi percorse la schiena – no. Ma non è la stessa cosa.
Lo vidi alzarsi e venire lentamente verso di me, fermandosi al mio fianco, guardando fuori.
- La felicità è nel godere del presente, il domani non conta. Bisognerebbe tenerlo sempre a mente, qualsiasi siano le circostanze.
- Se dovesse succedere a te, io vorrei …
Mi avvolse un braccio intorno alle spalle, tirandomi leggermente verso di sé, in un gesto di intimità così raro per lui... persino quando giacevamo insieme.
Sospirò.
- Mai stato meglio, amico mio. Sono in splendida forma, come sempre.- sorrise, facendo sfoggio della sua consueta modestia - E in ogni caso penso che saresti il primo a saperlo. Come potrei ingannare un medico?
Alla parola ingannare mi irrigidii e lui dovette accorgersene – inoltre ho promesso di non mentirti più.
Dopodichè domandò - Tu invece cosa farai?.
Lo guardai incerto.
- per il tuo paziente sei disposto a farlo? - proseguì
- Se è il modo che ho per alleviare la sua sofferenza…
- Dicendoglielo non eviteresti comunque il dolore alla moglie. Inoltre John Wilson potrà decidere lui stesso di parlargliene, quando riterrà opportuno, se la ama credo che lo farà.
Posai la tazza sul davanzale e mi accucciai contro la spalla di Holmes che mi cinse la vita. Lo sentii prendere la tazza e bere un sorso.
- Thè nero. Con molto zucchero, come piace a me. Tu però lo prendi amaro di solito. - osservò
- Oggi no – un po’ di dolcezza per scacciare l’amarezza di questa giornata, pensai – comunque l’avevo fatto per te, al solito l’hai rifiutato e allora l’ho bevuto io.
Si lecco le labbra, poi si sporse verso le mie, posandovi un bacio leggero.
- E’ perfetto.
Gli sorrisi. Poi mi venne in mente una cosa e gliene domandai - Ieri notte mi sono alzato a bere un sorso d'acqua e ti ho sentito lamentarti nel sonno, sembravi agitato. Va tutto bene?
- Era solo un incubo. Nulla di cui preoccuparsi.
- Sognavi quella notte nel Reichenbeck? - chiesi con un fil di voce.
Si voltò per non incrociare il mio sguardo
- Da quando sono tornato a vivere qui, e anche prima, non ho mai sognato quella notte. Tranne un paio di volte, forse. A parte quelle di solito non sogno di annegare nelle cascate, cercando di nuotare per salvarmi. Di solito mi trovo in questa stanza, seduto alla mia poltrona, davanti alla tua vuota. Una poltrona vuota di fronte a me e non riesco a ricordare la tua voce e l’esatto colore dei tuoi occhi. -
Quel sogno era stato per me la realtà nei tre anni in cui Holmes era stato dato per morto. E tutt'ora era uno dei miei incubi ricorrenti, esclusa la questione dell'Afghanistan. Chiusi gli occhi e scossi la testa. Mi infuriai. Come poteva essere una cosa simile... – se è uno scherzo non è divertente.
- Uno scherzo? –fece interdetto.
- Mi hai sentito parlare nel sonno? – gli chiesi.
Mi guardò inebetito, ed era assolutamente l’espressione che meno gli si addiceva visto il suo acume e la sua intelligenza, noti a tutti. In effetti non gli avrei fatto il torto di crederlo così insensibile se non fossi stato preso completamente alla sprovvista da quell’asserzione.
Mi fissò a lungo, in silenzio, poi abbassò lo sguardo, chinando il capo - Buonanotte John – disse, allontanandosi da me.
- Aspetta.- lo bloccai per un braccio.
Fu allora che consapevolizzai veramente quanto anche lui dovesse aver sofferto per la mia lontananza. Ero io quello sopravvissuto e lui l’amico morto per cui avevo pianto; ma in realtà lui era vivo come me in quei tre anni e con un peso sul cuore difficile da portare, sapendo di aver tradito la mia fiducia, di non meritare le parole di lode e di rispetto che avevo scritto in suo onore tra le lacrime, e che lo avrei rifiutato una volta saputa la verità sul suo conto.
Lo chiesi senza guardalo in faccia, appena udibile – resta a dormire con me stanotte – nonostante fossimo amanti, ormai da due anni, non avevamo mai passato la notte nello stesso letto, ci separavamo per andare a dormire ognuno nel proprio.
Subito sembrò stupito, poi mi fissò inclinando la testa di lato - Va bene, in quale delle nostre camere preferisci appartarti?
L’espressione 'appartarti' mi fece sorridere e lo guidai verso la mia stanza, la più 'appartata' della casa. Il passato e il futuro non avevano importanza e persino il tempo sembrò fermarsi quella notte, la nostra prima notte insieme.
 
 
 
Nda: non so perché ho deciso di pubblicarla. Boh. E’ uno sclero che mi è venuto qualche settimana fa studiando antropologia (che noia). … Ho pensato di pubblicarla sul fandom della bbc, per non ammorbare più qui con ff angstose, ma non calzava molto-.- ….
 
 

  
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