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Autore: Ale666ia    19/12/2012    2 recensioni
Tratto da miliardi di storie che vanno a finire tutte allo stesso modo, ogni secondo di ogni minuto di ogni giorno di ogni anno che passa.
Un racconto che spero faccia riflettere e, perché no, cambiare qualcuno.
(N.B. Sono consapevole di non aver illustrato per filo e per segno, con correttezza, ogni singolo passaggio di tutto il processo che ho trattato all'interno della storia.)
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Come ogni mattina, Allevatore si sveglia.
Fa colazione con una tazza di latte e biscotti (o se ne ha voglia con del pane intinto negli avanzi della cena del giorno precedente). Una volta finito, ripone la tazza nel lavandino dove la sciacqua brevemente. La appende ad uno dei ganci che pendono dalle mensole in modo che si asciughi facendo scolare l'acqua in eccesso sul lavandino. Va in bagno, fa quello che sente il bisogno di fare. Infine si veste (ora che è arrivato l'inverno indossa un pesante giaccone grigio) ed imbocca la porta, pronto per un'altra giornata di duro lavoro.

Arriva allo stabilimento quando il sole non è ancora sorto. Armeggia per un po' con le chiavi della porta principale e finalmente riesce ad inserirle nella serratura. Con un giro di polso entra dentro e la luce artificiale lo investe. I suoi occhi bruciano, ancora abituati al buio del mattino. Li strizza. I neon hanno continuato a lavorare per tutta la notte, facendo la guardia alla merce incatenata.
Quando finalmente si abitua al cambio di luce schiaccia senza neanche guardarlo un pulsante posizionato sul muro freddo. Dall'alto del soffitto scendono delle pirofile rigonfie di mangime che viene scaricato nei trogoli.

Il rumore che producono le granaglie è piacevole alle orecchie. Le bestie si avvicinano con apatia alla mangiatoia in un tintinnio d catene e cominciano a masticare. Nel capannone si diffonde un rumore di molari che, roteando, riducono in poltiglia i cereali addizionati di vitamine e sali minerali. Non vedono mai la luce del sole, quindi c'è della vitamina D nel pastone. Le granaglie sono asettiche, quindi è stata aggiunta loro della vitamina B12. Non conducono una vita normale e quindi hanno bisogno di supplementi artificiali per lievitare di peso ma, al tempo stesso, devono mantenere un'ombra di fittizia salute.

Il lavoro di Allevatore è questo: mantenere il trogolo colmo fino all'orlo. In più deve fare un giro all'interno di ogni capannone per controllare se alcune bestie non sono riuscite a passare la nottata. Se si tratta di cuccioli li getta all'interno di alcuni cassonetti. Se sono adulti, con l'aiuto di un muletto o di un bob cat li getta all'intero di una fossa scavata nel terreno. A volte non sono morti. Hanno ancora qualche spasmo muscolare, roteano un po' gli occhi (hanno paura e soffrono), ma non importa.
Gli ordini sono ordini. E poi sarebbero morti in ogni caso.

Fa il giro di controllo. Come sempre, i più grandi non lo degnano di uno sguardo. Fissano un punto imprecisato del vuoto, masticando con aria stupida il loro cibo. Alcuni hanno conservato un po' di quell'indole combattiva che li caratterizza e cercano di caricarlo, roteano le loro braccia nell'inutile tentativo di afferrarlo, incuranti di essere incatenati. Allevatore li ignora.
Poi arriva ai box con i cuccioli, e questi tentano di ritrarsi spaventati. Rimane davanti a loro mentre li osserva scappare inutilmente. Tremano, hanno gli occhi spalancati e l'adrenalina che scorre in ogni parte del corpo. Sorride brevemente, poi passa oltre.

In tarda mattinata arriva Camionista. Allevatore lo saluta raggiante, gli mostra il carico che dovrà trasportare oggi, cioè quelli che hanno raggiunto il peso massimo. Bestie così grosse che a malapena riescono a stare in piedi, con i loro lardelli flosci bene in vista. Al consumatore piacciono così. Allevatore viene aiutato da altri suoi dipendenti a creare un corridoio con delle lamine di compensato che parte dal capannone e arriva al camion di Camionista. Aprono le gabbie e le bestie, le merci, si precipitano goffamente al di fuori di esse, pensando di avere la libertà a portata di mano.
Illuse.

Finiscono tutte all'interno del camion, pressate l'una contro l'altra. C'è già chi è caduto a terra e sta morendo schiacciato dal peso degli altri che lo calpestano, pazzi di paura e compressi in un ambiente sconosciuto, buio, tetro. Ci sono delle piccole fessure attraverso le quali riescono a vedere poco o niente di quello che accade fuori. È freddo, un freddo che penetra nelle ossa. Vedono Allevatore e Camionista stringersi la mano, darsi una pacca sulle spalle. Poi tutto comincia a muoversi, e il terrore si impossessa di loro: urlano, cadono, qualcuno si rompe le ossa del bacino, le costole.

Il viaggio procede in maniera relativamente tranquilla. Ogni tanto Camionista si ferma per una sosta all'autogrill dove mangia qualche panino comprato per 2 o 3 soldi. Le bestie cominciano a lamentarsi: hanno fame, hanno sete, hanno ancora un po' di paura nonostante si siano abituate abbastanza a quella sconosciuta ed inusuale situazione. Camionista si accorge che uno di loro ha infilato un braccio tra le fessure per l'aria e non riesce più a ritirarlo all'interno. Sbuffa spazientito: si può essere più idioti? Adesso dovrà guidare per le strade con l'arto di uno di quelli che penzola nel vuoto.

Finalmente Camionista è arrivato a destinazione. I dipendenti di Macellaio aiutano a posizionare per bene il suo camion, in modo che quando la rampa verrà calata le bestie si dirigeranno direttamente nel corridoio della morte. E, detto fatto, dopo pochi minuti sono tutti in fila lungo le alte balaustre di ferro. O per lo meno, quasi tutti. Si accorgono che quello col braccio incastrato è rimasto nel camion. Prendono una sega e glielo tranciano tra strilli insopportabili e schizzi di sangue. Sviene. Camionista si scusa con Macellaio per il disguido, poi mette in moto il camion e se ne va.

Dipendente li spinge lungo il corridoio, li punzecchia, incute loro paura. Con chi si rifiuta di camminare ricorre al pungolo elettrico: sobbalzano, strillano e schizzano verso la morte. Il tutto mentre nell'aria aleggia l'odore della pelle bruciata. E il terrore puro. E il sangue rosso. Dipendente ormai non ci fa più caso a queste cose: lui è solito giocare con le viscere delle bestie. Prende le loro teste mozzate e le indossa come se fossero grottesche maschere realistiche. In questo momento è arrivato al numero 269: può leggere il suo numero sul cartellino che Allevatore gli ha attaccato all'orecchio.

269 aspetta nervosamente. È solo, le porte si sono chiuse dietro di lui e non riesce più a vedere il resto dei suoi compagni. Non vuole oltrepassare la porta che gli si para di fronte. Sente dei rumori strani. Oscuri. Metallici. E loro sghignazzano. Tonfi sordi. Ha paura, è terrorizzato. Si aggrappa con le mani alle balaustre ma Dipendente gli rifila una scossa elettrica che lo fa urlare dal dolore. Si gira intorno, cerca disperatamente una via di fuga. Non ce ne sono. Poi, uno sparo.
E gli occhi vitrei senza vita di 268, il numero davanti a lui.

269 impazzisce. Sa cosa gli aspetta non appena varcherà la soglia di quel box pieno di sangue. Cerca di sfuggire ai pungoli elettrici che Dipendente gli mette continuamente addosso, tenta di resistere al dolore, ma è più forte di lui: schizza all'interno del box, in un tentativo patetico di sfuggire al pungolo per consegnarsi tra le braccia del pugnale. Ma non vuole morire. Urla ancora, urla quando Dipendente gli punta la pistola sulla fronte, strilla quando il proiettile captivo gli perfora un occhio. E, sanguinante, urla quando il dipendente prende bene la mira e gli spacca il cervello a metà.

Macellaio prende 269, ormai morto, per le gambe. Afferra un uncino e glielo conficca all'interno dei talloni in modo che rimanga sospeso in aria. Per prima cosa, gli taglia la gola. Il sangue scorre ovunque. Lo fa rotolare all'interno di una vasca piena d'acqua bollente. Tiratolo fuori, ogni pelo presente sulla sua pelle se n'è andato, è completamente glabro. Incide dei tagli sulle caviglie e lo scuoia. Solleva ogni lembo di pelle per staccarlo tramite delle lame affilate dalla carne. Una volta ridotto ad un sacco di muscoli, 269 viene passato al reparto smembramento. Ed è il turno di 270.

Sezionatore opera in una stanza piena di cadaveri. Il suo compito è quello di tagliarli in parti che poi saranno vendute in ogni mercato, supermercato, bottega o macelleria della regione. Lavora minuziosamente, considera il suo compito una vera e propria arte. Ma a volte si ritrova con l'avere a che fare con delle parti carnee malate. Tumori, infezioni, cancri. E si permette di lasciare qualche piccolo sbaffo nelle sue tele, inserendo delle piccole, minuscole imperfezioni cancerogene all'interno dei suoi altrimenti perfetti pezzi d'autore. Una volta finito di dividere metodicamente 269, inserisce le sue spoglie all'interno di una gelida cella frigorifera.

Poi 269 viene lasciato nelle mani di Camionista, che questa volta viene a prenderlo con un camion per il trasporto di alimenti. Camionista lo scarica a sua volta al magazzino del supermercato. E in men che non si dica, 269 si ritrova su di un lindo e pulito bancone dedicato alla vendita di prodotti carnei. Non c'è più traccia della sua storia fatta di dolore e paura. Non c'è più il sangue, né il macello. C'è solo un pezzo di carne rossa adagiato all'interno di una vaschetta di polistirolo bianco, coperto da un telo di plastica lucida e ben tirata.

Poi si avvicina Moglie al bancone. Ha aspettato tantissimo tempo prima che arrivasse il suo turno. È molto felice che nessuno le abbia rubato quel pezzo di carne. Lo aveva adocchiato da lontano: sembrava decisamente succulento, rosso al punto giusto. E non si era sbagliata. Dipendente del Banco Carne le chiede che cosa desidera. E mentre Moglie depone all'interno del proprio carrello quel pezzo di carne di prima scelta, lei elenca allegramente la lista delle cose che avrebbe desiderato comprare. Una volta terminato il tutto, si dirige alla cassa, paga tramite una carta di credito ed esce dal supermercato sorridente.

Moglie torna a casa. È riuscita a ritagliare parte del suo tempo per riuscire a cucinare, almeno una volta, qualcosa di più sostanzioso di una porzione di patatine fritte per la sua famiglia. È una donna impegnata, lei, e trovare qualche ora per i suoi cari è quasi un miracolo. Si mette subito addosso una pratica tenuta casalinga e comincia ad armeggiare con i fornelli. Accende il gas, posiziona la griglia, tira fuori la carne, la adagia su di essa e attende che linee scure si disegnino sul marrone chiaro del crudo, freddo pezzo di carne in via di cottura.

«Non mi stancherò mai di ripeterlo, cara: è stata una cena ottima.»
«Caro, così mi fai arrossire!»
«Dico sul serio. Che carne era?»
Mentre sparecchia la tavola, Moglie sorride a Marito.
«Umana.»
«Dovresti comprarla più spesso. Decisamente. Ah, te l'ho detto che mi hanno aumentato lo stipendio?»

  
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