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Autore: Fiorels    20/12/2012    8 recensioni
“Se domani finisse il mondo, da chi correresti? Se davvero fosse l’ultimo giorno della nostra vita, della vita di tutti, da chi andresti?
Se non ci fossero più primavere, se non cadesse più la neve, se tutto sparisse, se non potessi ascoltare canzoni d’amore, se non potessi più baciare, se non potessi più dire ciao.
Se non potessi più sorridere, con chi sorrideresti per l’ultima volta?”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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last



THE LAST DAY ON EARTH.
   
“Se domani finisse il mondo, da chi correresti? 
Se davvero fosse l’ultimo giorno della nostra vita, della vita di tutti, da chi andresti?
Se non ci fossero più primavere, se non cadesse più la neve, se tutto sparisse, 
se non potessi ascoltare canzoni d’amore, se non potessi più baciare, se non potessi più dire ciao.
Se non potessi più sorridere, con chi sorrideresti per l’ultima volta?”

 

 

 

(#1. The Album Leaf - The Light)
E se domani finisse il mondo, da chi correrei io?
Non avevo mai pensato di pormi davvero quella domanda e di dovermi trovare a darvi una risposta concreta, ma la vita è così, no? Si prende gioco di noi, ci stuzzica, ci provoca e alla fine tutti i suoi ostacoli non sono altro che piccoli scherzi, in attesa del round finale, quello in cui davvero devi affrontare te stesso e chiederti chi sei e cosa vuoi.
Ci sono persone che capiscono, o dicono di capire, tutto dalla vita mentre la stanno ancora vivendo; io penso che si prendano solo in giro. Non puoi capire tutto di qualcosa che non hai ancora assaporato in pieno. Come puoi parlare di un tutto che non hai ancora visto, né sentito, né toccato, né sfiorato…?
La verità è che davvero capisci tutto quando l’hai perso, quando dal tutto che era resta solo un vuoto, un enorme pugno nel petto, un buco nero nell’anima.
È solo in quel momento che ti rendi conto: di quello che hai avuto e poi perso, di quello che non hai fatto e avresti potuto o dovuto fare, delle occasioni mancate, dei momenti felici, del dolore che hai provato, delle lacrime che hai pianto, dei sorrisi che hai regalato, di quelli che hai sprecato per chi non li meritava, delle corse che non hai corso quando ne sarebbe valsa la pena, delle parole che non hai detto al momento giusto, delle lettere che non hai mai spedito, delle persone che non hai fermato, di quelle a cui non hai mai detto cosa provavi perché temevi un rifiuto. E allora?
Quale cazzo è l’importanza di questa vita se non dire alle persone che amiamo, che le amiamo?
E se ci respingono, chi se ne fotte; meglio un buco nel petto che un’illusione nel cuore, meglio rischiare che piangersi addosso. Le ferite passano, si curano, migliorano. I rimorsi sono sempre lì, insieme ai rimpianti.
È come quando vedi un film e hai la sensazione che vada a finire male, che non vada niente per il verso giusto, che non finisca come tu vorresti, e hai due possibilità: premi stop e vivi il tuo immaginario lieto fine o vai avanti e guardi fino alla fine, fino ai titoli di coda, fino all’ultima parola che esce sullo schermo per renderti conto che è davvero finita, ed è finita così.
Noi diciamo, parliamo, blateriamo, facciamo piani e progetti, ci creiamo propositi e propositi ogni anno che viene, ma non facciamo mai nulla; una volta ho sentito una bambina dire “Siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo”, e aveva ragione.
Ma cosa facciamo?
Siamo uno stop perpetuo, in bilico tra l’inizio e la fine.
Beh, ora siamo davvero alla fine e io voglio fare qualcosa: qualcosa per me stessa, qualcosa per la gente che muore portandosi tutti i propri segreti e i propri sentimenti mai espressi, qualcosa per chi scappa via dalla persona che ama perché “è meglio così”.
E se è vero che tutto si riduce all’ultima persona a cui pensi la notte, se è vero che è lì che è il tuo cuore, allora lo sto seguendo. Forse in ritardo, forse per nulla, ma lo sto seguendo.
Guardo fuori dal finestrino dell’aereo e ripenso a ciò che ho lasciato e a quello a cui sto andando incontro.
C’è un detto che recita “Non lasciare la strada vecchia per la nuova” o ancora “Sai cosa lasci ma non sai cosa trovi” e mi chiedo se sia davvero giusto.
Tecnicamente lo è. So molto di cosa ho lasciato e niente di quello che troverò, ma se questa ignoranza è il prezzo da pagare per aver trovato me stessa, che sia.
Voglio essere ignorante, voglio essere impavida, voglio smettere di avere paura, anche se dovessi morire in questo istante.
D’altronde non ha senso vivere per se stessi se nemmeno sai chi sei.
Me lo ripeteva sempre, lui.
Cerca te stessa, Kristen. Cerca te stessa e poi torna da me.
Ho ripensato a quelle parole ogni giorno della mia vita ma mai erano apparse così chiare come in quel momento; quel momento in cui sei messa con le spalle al muro e devi scegliere per forza altrimenti muori.
E ho cercato me stessa per così tanto tempo che l’unica cosa che posso chiedermi adesso è se sia troppo tardi.
Ripenso agli ultimi anni della mia vita, anni senza di lui, anni passati a chiedermi cosa sarebbe stato diverso se avessi avuto il coraggio di cadere con lui dentro quel burrone, se avessi avuto la forza di prenderlo per mano e imboccare la strada più difficile, se avessi avuto la consapevolezza che l’amavo già allora.
Ma ero piccola e troppo spaventata per prendere una decisione, troppo presa da lui per buttarmici davvero dentro, troppo terrorizzata all’idea di rimanere scottata o farmi male o rompermi il cuore.
Così gli avevo semplicemente detto di no. Lo avevo guardato negli occhi e gli avevo detto che non me la sentivo, non ancora almeno.
Il suo ultimatum non aveva avuto l’effetto sperato e il flop che il film era stato non aveva fatto altro che accumularsi ai segni che puntavano tutti alla stessa direzione, quella che portava a un cartello enorme su cui sembrava essere scritto “Non ne vale la pena. Meglio così.”
Così, alla fine del 2008 ci eravamo separati, eravamo andati avanti, ognuno per la sua strada, senza più sapere nulla l’uno sull’altra, con in rubrica un numero di telefono che probabilmente non è nemmeno più quello giusto.
In fondo, è così che si fanno gli errori più grandi della vita, dopo tutto: la paura. È quella che ti blocca e non ti fa andare avanti.
Essere più coraggiosi, meno orgogliosi, meno fragili e dire quello che davvero proviamo invece di tirarci indietro, ci renderebbe forse meno umani?
No, ora l’ho capito.
Meglio tardi che mai, sorrido amara a me stessa chinando la testa contro il finestrino dell’aereo.
Vedo il suo viso, ovunque.
Riascolto le nostre conversazione in quelle della gente che si chiede che ne sarà di noi.
Quante volte ce lo eravamo chiesto anche noi stessi quattro anni prima.
Sento chiamare il suo nome e mi volto nella fragile speranza che, per qualche strano scherzo del destino che con noi si è sempre divertito, anche lui sia lì, su quell’aereo con me, ma non c’è e io torno a concentrarmi alla stretta al cuore che sento ogni volta che penso alla possibilità di averlo davvero accanto a me.
E penso alla mia famiglia, ai loro volti quando troveranno la lettera che ho lasciato sul letto, e posso solo sperare che capiscano e siano felici per me; per quanto macabro, triste e osceno possa essere il pensiero, posso solo sperare che muoiano felici come lo sono io, adesso, dopo tanto tempo.
Ho lasciato Los Angeles senza avvisare nessuno, se non me stessa. L’ho lasciata che ancora la gente camminava per strada, qualcuno correva, altri erano semplicemente seduti sul ciglio del marciapiede come ad aspettare che la terra li inghiottisse e ponesse fine a tutte le sofferenze del mondo.
(#2. Roger Subirana - Between worlds)
Forse, chi non ha nulla da perdere, ne è anche sollevato. Chi ha sofferto come un cane senza ricevere mai compassione starà pensando “Era ora che toccasse anche a voi”, ma la verità è che tutti abbiamo da perdere qualcosa. L’unico pensiero che mi consola è che perderemo insieme. Per una volta in questa vita, saremo davvero uniti da un unico sentimento che accumunerà ogni singola anima del mondo: la paura di perdere qualcuno.
Che possa essere la persona amata, un cane o se stessi, sarà l’unica cosa che ci legherà al nostro finalmente comune destino.
Uno scossone mi ridesta dai miei pensieri proprio quando si iniziano a intravedere le luci fioche della città di New York, così spenta rispetto alle altre volte in cui mi era capitato di atterrarvi di notte e inizio a credere che quella sarà la mia ultima tappa e che questo sia l’ultimo aereo su cui sia riuscita a salire all’ultimo momento.
Tutto ciò che, in effetti, illumina la città e che noto man mano che ci avviciniamo sempre di più, sono bolle di fuoco e fiamme. Diverse nubi di fumo coprono parti della città dandomi un senso di soffocamento già da ora.
L’aereo continua a ballare durante la discesa e, nonostante le urla spaventate dei passeggeri e quelle degli altoparlanti che cercano di calmarli, non riesco a concentrare il pensiero sulla consapevolezza che sto per morire, ma sulla delusione che provo perché lo farò senza che lui lo sappia, senza averlo rivisto un’ultima volta, senza avergli detto quello che provo.
L‘atterraggio si può dire che avvenga quasi per miracolo. Si sente la terra mancare sotto le ruote dell’aereo che si muove e salta più volte rispetto a un solito atterraggio. Ho chiuso il finestrino, tengo la testa bassa cercando di non pensare ai pianti delle persone accanto a me.
Non voglio sapere cosa troverò fuori di qui prima di trovarmelo sotto gli occhi.
E pensare che fino a pochi giorni prima ridevamo tutti al pensiero della fine del mondo; beh, la fine del mondo è davvero qui e ci ha fottuti in pieno e ora ci fa piangere, correre di qua e di là e saltare sul primo aereo che da Los Angeles ti porti a Londra.
Ma quando le porte si aprono e mi trovo davanti l’inquietante e devastante inferno che è diventato il JFK Airport, so con certezza che a Londra non ci arriverò mai.
Mai un aereo si è svuotato più velocemente e con più tanta confusione come in quel momento. Mi chiedo cosa abbia intenzione di fare tutta questa gente, se abbiano chi li aspetta, se abbiano un modo per andare dai loro cari, se stiano solo cercando di volare da un posto all’altro per fuggire alla morte e all’apocalisse.
Ho quasi pena per loro. Sono così in ansia, avidi della loro meta, senza sapere se la raggiungeranno mai.
La mia anima, invece, è già in pace e l’unica cosa che mi fa muovere d’istinto è una crepa che si fa spazio lungo la pista iniziando a dividerla a metà.
Inizio a correre, giusto per seguire la massa, e mi trovo nel terminal dell’aeroporto ma non riesco a riconoscere né capire dove mi trovi esattamente.
C’è troppa gente, troppo caos, troppo rumore, troppi respiri tutti insieme, troppe urla… c’è troppo di tutto.
Mi guardo in giro e alzo lo sguardo giusto in tempo per vedere gli schermi che annunciano che ogni volo è stato cancellato, un secondo prima che i monitor si spengano definitivamente. L’aeroporto è ancora illuminato ma le luci bianche cigolano e ballano come quelle di una discoteca e so che non resisteranno ancora molto prima di lasciarci all’illuminazione delle spie di emergenza.
Stringo le labbra in un sorriso amaro, incurante dell’inferno attorno a me, ma felice di averci almeno provato.
Lui non lo saprà mai ma, in fondo, tra non molto saremo morti entrambi, tutti, dovunque siamo.
Avrei semplicemente voluto vederlo un’ultima volta, essere insieme un’ultima volta.
Ma ho girato troppi film per credere che anche la vita possa esserne uno.
La vita non è come nei film. Non c’è nessun estraneo che ti sorride in metropolitana, nessun migliore amico abbandonato dopo le elementari e ritrovato al college, nessun sconosciuto pronto a prenderti la mano e fermarti prima che possa buttarti giù da un grattacielo; non ci sono odio e amore uno dietro l’altro, non ci sono corse sotto la pioggia e telefonate di persone ormai dimenticate da tempo. Non ci sono salti da un treno in corsa, voli lasciati andare all’ultimo momento, o navi che affondano insieme ad un amore segreto.
Eppure arriva. Arriva quel momento in cui la folla si apre davanti a te e la vedi: la persona che ami, quella per cui stai correndo durante l’ultimo giorno sulla terra, quella con cui vuoi condividere l’ultimo sorriso mentre il mondo finisce e pensi “Non ho capito un cazzo della vita fino ad ora.”
E davvero non ho capito niente, niente ha avuto senso fino a questo momento in cui mi chiedo se sono sveglia o sto sognando, se sono già morta senza accorgermene e sono finita in paradiso con lui, se sia solo qualcuno che gli somiglia moltissimo, o se – sfioro la possibilità con il pugno di speranza che ancora mi è rimasto in mano – è davvero lui, lì, a cinquanta metri da me, che mi fissa con quella che, immagino, sia la mia stessa espressione.
Ci guardiamo per un minuto infinito, anche se il tempo è prezioso e, insieme, iniziamo a camminare l’uno verso l’altra, proprio come una perfetta epica scena da commedia romantica americana; forse andiamo anche a rallenty, chissà. So che mi sembra di aver camminato una vita intera prima di poter sentire di nuovo il suo odore a due passi da me e gettarmi tra le sue braccia.
Trema, come me, insieme a me. Stiamo tremando come due fragili foglie esposte al vento freddo delle regioni polari ci reggiamo così saldamente l’uno all’altro che niente potrebbe staccarci adesso se non la nostra stessa volontà.
Ho voglia di piangere, ho voglia di alzare gli occhi per assicurarmi che sia effettivamente lui e che non abbia preso una svista ma non riesco a farlo. Non riesco a lasciar andare nemmeno un centimetro di quel contatto, ma quando sento la sua voce sussurrare il mio nome all’orecchio, ogni minima paura mi abbandona e so per certo che è lui perché nessun altro al mondo l’ha mai pronunciato così dolcemente, come solo lui faceva.
È un suono così melodioso che mi fa rabbrividire e mi porta a stringerlo ancora di più, così tanto da far male anche a me.
«Kristen…» sussurra ancora. «Dio, quanto ti ho cercata…»
E so benissimo cosa vuole dire, so bene che quelle parole significano che tutta la sua vita l’ha vissuta in funzione di questo momento perfetto in cui sarei stata di nuovo tra le sue braccia, con me stessa.
«Rob…» riesco finalmente a sussurrare anche io, contro il suo petto, ma con voce così flebile che non sono nemmeno sicura che mi abbia sentito.
Lui cerca di lasciarmi andare ma gli ci vuole un po’ prima che io mi stacchi.
Quando riesce a guardarmi in viso, lo afferra tra le sue mani e prende ad accarezzarlo come alla ricerca di ferite o dei segni del tempo che mi hanno fatta crescere, cambiare, capire.
«Cosa… cosa ci fai qui?» la sua voce trepida.
«Io… venivo da te» la mia trema. «E… e tu?»
Mi guarda con gli occhi più innamorati che gli abbia mai visto in mesi passati insieme, anni fa. «Anche io venivo da te. Dove altro sarei potuto andare?»
Porto le mani sulle sue, poi sul suo viso, poi di nuovo sulle sue mani per intrecciarle alle mie, e di nuovo al suo viso e ad ogni parte del suo corpo, giusto per essere sicuro che sia tutto intero lì con me.
Infine le fermo sulle sue labbra e lascio che i miei occhi ondeggino tra la sua bocca e i suoi occhi prima di alzarmi sulle punte e baciarlo.
La sue braccia mi stringono in vita per poi salire alla nuca e insinuarsi tra i miei capelli, mentre le mia mani si alternano dal viso al collo, ai capelli, alle mani, a tutto.
Ci stacchiamo solo per riprendere fiato e stringerci ancora, ma quando voglio posare di nuovo le mie labbra sulle sue, un boato assurdo proveniente da fuori ci scuote inevitabilmente, l’intera vetrata che separa l’interno dall’esterno va in frantumi ed è di nuovo il caos, è di nuovo l’inferno.
Il paradiso all’inferno, per me.
Ormai posso anche morire in questo momento e sarebbe la morte più dolce del mondo perché sarebbe tra le sue braccia.
«Andiamo!» esclama, e io mi aggrappo a lui e lo seguo senza nemmeno pensarci, finalmente senza paura.
Rob mi stringe la vita mentre inizia a correre tra la gente, in cerca di… non so cosa, in realtà.
Io non ho bisogno di cercare altro. Ho già trovato quello di cui avevo bisogno e non mi serve altro se non sentire la sua stretta sulla mia vita.
Sento la terrà tremare potentemente sotto di noi, la scale di fronte ai nostri occhi iniziano a crollare e lui fa appena in tempo a tirarmi via e imprigionarmi tra una trave e il suo corpo. China il viso e sento il suo respiro affannato sul mio collo, prima che alzi gli occhi e mi fissi con estrema intensità.
Non riesco nemmeno a concedermi il lusso di una sua carezza perché quando la sua mano è a un centimetro dallo sfiorare il mio viso, la scossa si addensa rendendo impossibile ignorarla, anche con le migliori intenzioni di morire sotto le macerie.
È istinto di sopravvivenza, non se ne può fare a meno.
Le mura iniziano a crollare, i vetri rimasti vanno in frantumi, il pavimento inizia ad alzarsi ed aprirsi sotto i nostri piedi.
«Dobbiamo andare via da qui!» urla Rob e ancora una volta lo seguo senza esitazioni quando afferra la mia mano a prende a correre di nuovo, verso la prima via d’uscita disponibile.
Siamo appena usciti attraverso una delle vetrate ormai rotte quando l’edificio, in tutta la sua imminenza, inizia a sgretolarsi, come fosse fatto di creta, fino a cadere totalmente a terra e alzare un enorme nuvolone di polvere che resterà lì per molto tempo.
Io e Rob, increduli e provati, guardiamo la scena da lontano. Sono stretta tra le sue braccia e osservo la fine del mondo avverarsi a un passo da me.
«Vieni» ancora una volta è Rob a parlare e impormi di camminare perché, fosse per me, sarei già morta da un quarto d’ora buono.
La terra non si è ancora stabilizzata. La scossa principale è terminata ma si riesce a sentire la debolezza sotto le scarpe, l’insicurezza nel camminare, il terrore che il terreno possa aprirsi e mangiarti da un secondo all’altro.
Non ci sono mezzi di trasporto funzionanti in giro e, anche se ve ne fossero, le strade sono diventate ormai impraticabili in quella minuscola parte di mondo; non abbiamo molta scelta se non quella di dirigerci alla torretta di controllo a qualche centinaio di metri da noi.
Quando siamo dentro, non siamo soli ma con almeno una decina di persone, alcune da sole, altre riunite in gruppi di due o tre.
Ci guardiamo tutti negli occhi, consci che saremo le ultime persone le vedremo.
Rob mi afferra la vita e mi stringe a sé, senza guardarmi. Io allungo una mano al suo petto e stringo forte il suo giubbino in un pugno.
Senza dire nulla mi trascina con sé e mi ritrovo a salire le scale che portano a quello che deve essere il centro di controllo o roba del genere.
Tecnicamente sarebbe pericoloso essere qui in una situazione del genere, ma ormai ogni dispositivo elettronico è fuori uso quindi di certo non moriremo fulminati dall’elettricità.
«Volevo stare da solo con te» sussurra Rob quando siamo al centro della stanza.
Mi volto in un secondo e diventiamo una cosa sola mentre le sue braccia mi tirano leggermente su e io mi stringo a lui più forte che posso.
«È tutto così assurdo…» dico quando, non so quanto tempo dopo, siamo seduti a terra. Io tra le sue gambe e lui con le braccia attorno alla mia vita e la testa china nell’incavo del mio collo.
«Magari stiamo sognando. Magari tra poco ci sveglieremo e si rivelerà essere solo un orribile incubo.»
«Se questo è un incubo, non voglio svegliarmi. Non senza di te. Non se volesse dire non essere qui con te e non svegliarmi tra le tue braccia.»
Mi da un dolce bacio tra i capelli. «Non dobbiamo pensarci adesso, sai. Se stiamo sognando, si vedrà.»
Sorrido. «Intanto è un gran bel sogno.»
«Già, la fine del mondo, direi.»
Sorrido ancora, ironicamente divertita dalla leggerezza con cui stiamo affrontando la fine.
Come possiamo essere consci della nostra morte imminente eppure essere così tranquilli?
«Non pensavo che le avrei riviste più, queste…» Rob ha abbassato la spallina della maglia lasciando la mia spalla nuda sotto la sua bocca.
«Cosa?»
«Queste lentiggini che hai qui. Le ho sempre adorate. Non pensavo che le avrei riviste un’ultima volta.»
Quelle parole bastano a darmi molte risposte e dar voce a pensieri che non avrei più potuto tacere.
Ora o mai più, nel vero senso del detto.
(#3. Jonsi - Sun)
«Rob, io…» mi volto verso di lui per guardarlo meglio in faccia. «Io volevo dirti che mi dispiace» inizio, con voce tremante. «Mi dispiace di averti preso in giro, mi dispiace di averti lasciato in bilico così tanto tempo prima di scegliere, e mi dispiace di aver scelto male. Mi dispiace di non essermi data una svegliata, che tu non mi abbia dato due schiaffi, mi dispiace di non averti corso dietro quando avrei dovuto farlo. Mi dispiace di non averti cercato, di averti lasciato andare così, senza lottare. Mi dispiace di non aver seguito il cuore quando ogni sua parte mi conduceva a te.»
Ecco, l'ho detto: quello che mi sono tenuta dentro per anni, e l'ho fatto guardandolo negli occhi lucidi e mi dispiace più che di ogni altra cosa di essere stata così stupida e non averlo fatto prima perché… perché dire a qualcuno che lo ami è la cosa più semplice del mondo e dopo ti senti subito bene; non importa quale sarà la sua reazione perché vale il senso di immenso che ti riempie anima e corpo, totalmente, come se avessi appena scoperto il segreto della vita.
«Kristen…» la sua voce rauca mi riporta indietro di quattro anni, quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta, la mia prima volta, e un groppo alla gola mi rende impossibile emettere una sola sillaba. «Anche io ho le mie colpe. Avrei dovuto insistere, avrei dovuto darti tempo, farti capire cosa provavi davvero invece di metterti alle strette e costringerti a scegliere. Avrei dovuto tornare indietro e dire che non importava, che ti avrei aspettata quando saresti stata pronta, quando avresti capito cosa volevi…»
«L’hai fatto.»
Sorride. «Sì, è vero. Ma le parole sono parole. Volano via presto, si dimenticano col tempo se non sono nero su bianco.»
«Io le ricordo. Le ho sempre ricordate. Ero semplicemente troppo codarda per venire a bussare alla tua porta… E ora è tardi, ora è la fine e…»
«Hey!» mi alza il viso con un dito sotto il mio mento e avvicina la sua fronte alla mia. «Siamo qui ora. E finché siamo qui insieme, non è mai tardi.Fine e inizio non hanno più tempo. Non è la fine. È il nostro inizio…ed è esattamente dove vorrei essere alla fine di tutto: all’inizio con te.»
I suoi occhi scivolano su di me e non posso fare a meno di chiedermi quanto manchi per l’alba.
Restiamo a fissarci per un tempo indefinibile, un immenso che dura tutta una vita; un solo minuto così e non riesco più a parlare.
Passiamo le ore successive a stringerci, baciarci, parlare, scherzare, piangere e ridere.
Un oceano di emozioni si alza in un’onda anomala che mi travolge come niente e nessuno è riuscito a fare negli ultimi anni, continua a tenermi stretta e vicina più di come possa ricordarmi in vita mia e per la prima volta non ho paura di addormentarmi e vedere l’ultimo pensiero della notte svanire insieme ai miei sogni. Il mio ultimo pensiero è lì, ormai.
Manca poco più di un minuto alla mezzanotte, poco più di una manciata di secondi prima di entrare nel 21 dicembre 2012, ma noi continuiamo a parlare come se nulla fosse, semplicemente di noi.
«Hai mai pensato a come sarebbero andate le cose se… se fosse andato tutto diversamente?» gli chiedo curiosa di sentire la risposta a una delle domande che mi hanno maggiormente tormentato negli ultimi tempi.
«Oh, sì, ci ho pensato molto spesso.»
«E…?»
Sospira ma sento l’ombra di un suo sorriso sul viso non appena lo china sulla mia guancia per lasciarvi un bacio delicato. «E non lo so. Magari avremmo avuto una famiglia, una casa, dei cani o magari non saremmo durati due anni, chi lo sa. Ma so che, qualunque cosa sarebbe successa, saremmo stati come qui, comunque insieme.» Fa una pausa per avvertire le mie mani che stringono forti le sue perché lo penso anche io.
«Come fai a saperlo?» chiedo, genuinamente curiosa di conoscere la sua di risposta.
«Credevi davvero che mi sarei perso una fine del mondo con te?» scherza, strappandomi un sorriso, per poi diventare serio e carezzarmi il viso con gentilezza. «Dovevo esserci per la fine del mondo, solo per amarti di più…»
Una lacrima calda scende rapida sul viso e non faccio nulla per bloccarla, così come lui non blocca la sua. Abbiamo bisogno di vederle, quelle lacrime tenute nascoste per troppo tempo.
«Qualunque forza ci dividerà…»
«…sarà la stessa che ci riporterà insieme» completo la sua frase.
«Esatto, amore mio. Esatto…»
Chiudiamo entrambi gli occhi, mi lascio cullare dalla sua voce che mi sussurra la nostra canzone all’orecchio e nessuno dei due si accorge delle forti e abbaglianti luci fuori provenienti dal fuoco che prende sempre più spazio o delle stelle che esplodono sopra di noi finché la terra non riprende a tremare, ma non importa.
Noi continuiamo a stringerci, totalmente indisturbati, perché quando la fine ci raggiungerà, ci prenderà finalmente insieme e vivremo, vivremo, vivremo…
Abbiamo vinto noi; noi che ci guardiamo e sorridiamo insieme per l’ultima volta.




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Beh, non so bene cosa dire... Probabilmente questa è l'ultima cosa che, singolarmente almeno, scrivo su Robert e Kristen; è tempo di andare avanti e staccarsi un pò da tutto questo, sento che è giusto così, proprio come sentivo che fosse giusto scrivere questa anche perché l'idea mi balenava nella testa già da tempo ma non avrei potuto postarla in un giorno diverso.
Non so se si sia capito bene quello che è sucesso qui, soprattutto nel passato... Io mi sono mantenuta piuttosto vaga perché altrimenti avrei perso il ritmo. Se non fosse chiaro, in pratica ho immaginato che Twilight fosse stato un flop, quindi senza seguito, che Kristen fosse stata troppo indecisa e che Rob l'avesse quindi messa alle strette con un ultimatum dopo la premiere di Twilight e prima di fare ritorno in Inghilterra.
Ovviamente non penso che srebbe mai successa una cosa simile; sono sicura che se anche il film fosse andato male, lei lo avrebbe comunque raggiunte quel gennaio del 2009, non avrebbero rinunciato e avrebbero trovato una via, come fanno da sempre d'altronde....
Se due persone sono destinate a stare insieme, si ritroveranno sempre, anche se fosse l'ultimo giorno sulla terra. Ecco un pò la morale di questa shot. E io sono sempre stata convinta che quei due si sarebbero trovati in ogni caso, prima o poi, con o senza Twilight...

Alcune note:
1. Spero avvero che abbiate letto il capitolo con le canzoni perchè secondo me ci stavano davvero bene ç_ç Anche se il titolo e l'ispirazione sono nate da un'altra canzone, "Last day on earth" di Kate Miller Heidke.
2. La citazione iniziale non è farina del mio sacco, per questo è tra virgolette. L'ho vista in giro ma non sono riuscita a trovare l'autore.
3. La citazione "Siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo" invece esiste davvero e l'ha davvero detta una bambina. Per la precisione Severn Suzuki, in un discorso alle Nazioni Unite nel 1992. Se non l'avete mai visto, ve lo consiglio davvero. Vi lascio il link.
4. Io e Cloe abbiamo iniziato la solita mini-ff natalizia, passateci se vi va -> "Hope never leaves"

Okay, penso sia tutto... lol
Ringrazio Riy per aver fatto da cavia e avermi rassicurato sul postare! <3
E ringrazio tutte le persone che hanno contribuito a rendere questo 2012 diverso e migliore del previsto...
Loro sanno chi sono...
E ringrazio chiunque legga questa roba... lol
Avrei dovuto postarla domani ma se davvero finisse il mondo, poi me la sarei presa troppo a male... AHAHA e poi devo laurearmi un secondo quindi non so se avrei avuto tempo hahaha
I know, I know... Laurearsi il giorno della fine del mondo!? o_o Ancora non so se esserne lusingata o prenderla come un insulto...  -.-'
Aaaaaanyway, i Maya stev'n for e cap, secondo me u.u
Quindi ci sentiamo! LOL
*mo arriva un fulmine e mi ammazza AHAHAHA*

Beh, niente...
Buon Natale e Buone feste a tutti! <3

Un bacio!
Fio xx




   
 
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