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Autore: Legar    20/12/2012    5 recensioni
La vista del tuo corpo senza vita, esangue, immobile, mi uccide. […]
Il tuo corpo sarà la mia tomba.
Afferro l’arma e la uso senza esitazione contro il mio cuore, portando a compimento ciò che tu hai sempre fatto figurativamente, respingendomi ogni volta che ti confessavo il mio amore.

[Seconda classificata a "The Only King - Contest su Stephen King" indetto da GalanaOnira sul forum di EFP.]
[Seconda classificata a "2012 contest" indetto da cami_country dreamer sul forum di EFP.]
[Settima classificata al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite)" indetto da GaiaBessie sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Corvonero, Helena Corvonero
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Time cannot erase'
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My immortal
 

La vista del tuo corpo senza vita, esangue, immobile, mi uccide.
La furia che ha guidato la mia mano colpevole contro di te diventa dolore, infinito e intenso; i tuoi continui rifiuti erano nulla in confronto a questa sofferenza che mi distrugge l’anima e offusca la mia mente.
L’angoscia consuma ogni forza che mi è rimasta; le mie ginocchia si piegano e cado anch’io sul suolo del bosco. Non ci si rialza in piedi attaccandosi ai lacci dei propri stivali, per quanto forte si possa tirare, e io resto a terra, più vicino a te, ma ancora così distante.
Le lacrime sono ormai troppe perché possa trattenerle ed è con la vista annebbiata che cerco e raggiungo le tue mani. Sono fredde, gelide di morte, ma le tengo e le stringo tra le mie, per riscaldarle, per fingere che tutto questo non sia vero; che tu sia ancora qui con me, a guardarmi con un sorriso altezzoso dietro un muro di indifferenza. Quelle stesse mani che ti hanno assassinata sono il solo contatto che mi permetto di avere con te, ancora una volta indegno di avere qualcosa di più.
Il dolore è troppo reale e mi rendo conto che i miei sforzi di reprimerlo sono vani: con le mani ancora strette nelle tue, mi accascio sul tuo petto immobile. Mi sporco del tuo sangue, ed è la cosa più intima che abbiamo mai condiviso. Voglio il tuo sangue su di me, perché possa sempre rimembrare il delitto che, folle, ho commesso.
Resterei in questa fredda stretta per sempre, venerandoti, reliquia di tutto ciò che ho avuto di più caro al mondo e che ho perso, ma il pensiero della lama dell’arma che ho usato attraversa la mia mente, squarciando il torpore, e vi alberga insistentemente. Il pugnale che ho osato impiegare per mettere fine alla tua esistenza è ora fermo accanto ai nostri corpi abbracciati, malvagia immagine di tutto ciò che ci tiene lontani, nonostante non siamo mai stati così vicini. Lo guardo, scrutando l’unica speranza che mi resta per un’esistenza sopportabile.
Quando infine mi rendo conto che sono osservato, distolgo lentamente lo sguardo dall’arma macchiata del tuo sangue: sei tu, sei tornata! Se fosse un’allucinazione, la mia mente ti ricorderebbe nel fiore della tua vita, quando un colorito sano dipingeva le tue guance e il tuo viso d’angelo ospitava un sorriso superbo. Quando mi hai conquistato, a dispetto del mio cuore freddo, che non aveva mai conosciuto sentimenti amorosi, che non ne conoscerà mai più se non per te. Invece sei pallida, congelata nell’ultimo istante della tua vita mortale, e la trasparenza della tua figura denuncia la tua nuova condizione: sei tornata per farmi del male, perché io non dimentichi mai ciò che ho fatto, eterno simbolo della mia colpa.
La tua sola vista mi basta per decidere e la risoluzione è un miraggio di felicità in un deserto di sofferenza.

Il tuo corpo sarà la mia tomba.
Afferro l’arma e la uso senza esitazione contro il mio cuore, portando a compimento ciò che tu hai sempre fatto figurativamente, respingendomi ogni volta che ti confessavo il mio amore.
Muoio accanto al tuo corpo, in un ultimo abbraccio, col viso rivolto verso il tuo fantasma, il tuo volto l’ultima cosa che vedo prima della fine. Mi fissi con odio, cancellando, come hai sempre fatto, tutte le mie speranze di stare con te. Continui a rifiutarmi anche in una vita in cui saremo sempre soli e sempre insieme, perché io non ti lascerò mai per dimostrarti il mio sentimento malato e tu mi seguirai sempre per scongiurare che io dimentichi la mia colpa.
Inizio la mia non-vita, rifiutando la pace eterna della morte e aggrappandomi alle catene di amore e peccato che mi legano a te: neanche in questa esistenza saremo insieme come vorrei, ma è l’unico modo che mi rimane per stare con te per l’eternità, pur sofferente, reo, condannato all’infelicità.
La tua sola vista è tutto ciò a cui ho sempre potuto, posso e potrò aspirare.
Perseguitami, mia Helena.


 




______________
NdA: Il titolo è quello di una canzone del gruppo Evanescence.
Non ci si rialza in piedi attaccandosi ai lacci dei propri stivali, per quanto forte si possa tirare è una citazione di Stephen King.
La storia è ovviamente ambientata nella foresta dell’Albania dove il Barone Sanguinario uccise Helena Corvonero, subito dopo il suddetto omicidio. Ho cercato di spiegare, oltre ai suoi pensieri e sentimenti, anche l’origine dell’aspetto esteriore del fantasma: è quindi ricoperto di sangue, perché si è sporcato di quello di Helena, abbracciandola, e porta le catene, perché rappresentano per lui il legame che lo spinge a tornare tra i vivi (e dunque questa metafora, uno dei suoi ultimi pensieri, si realizza nel suo aspetto di fantasma). Inoltre ho voluto che il Barone vedesse il fantasma di Helena (non abbiamo tempistiche riguardo la formazione dei fantasmi dopo la loro morte, in questo caso ho fatto tornare Helena quasi immediatamente) sia per dargli motivazioni per il suicidio sia perché ho pensato fosse questo il modo in cui Helena viene a sapere delle dinamiche del decesso del Barone (che racconterà poi a Harry Potter nel settimo libro): mi pare poco probabile un successivo confronto dei due fantasmi sull’accaduto.

   
 
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