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Autore: Aleister Darcy    22/12/2012    0 recensioni
Domenica mattina, la meravigliosa domenica mattina in cui un dottore come me dovrebbe prendersi un meritato riposo invece di stare in ufficio. In quel dannato ufficio che puzza di medicina e malattia, due odori che a stento riesco a riconoscere e che alcuni giorni ritengo esattamente uguali.
I malati puzzano di medicine e le medicine puzzano di malattia, credo sia un ciclo ininterrotto riguardante lo star male e il curarsi per lo star male ancora.
Genere: Generale, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Domenica  mattina, la meravigliosa domenica mattina in cui un dottore come me  dovrebbe prendersi un meritato riposo invece di stare in ufficio. In  quel dannato ufficio che puzza di medicina e malattia, due odori che a  stento riesco a riconoscere e che alcuni giorni ritengo esattamente  uguali.
I malati puzzano di medicine e le medicine puzzano di  malattia, credo sia un ciclo ininterrotto riguardante lo star male e il  curarsi per lo star male ancora. Io nemmeno lo volevo fare il medico, il  mio sogno era quello di studiare criminologia e di combattere il mondo  del crimine, non per qualche spiccato senso di giustizia ma  semplicemente per distruggere una volta per tutte quella sciocca routine  che è la vita umana.
Comunque, come stavo dicendo, quella domenica  mattina l’odore del mio ufficio era insopportabile ed io me ne stavo  seduto alla mia scrivania con gli occhi arrossati dalla mancanza di  sonno a causa dei ripetuti litigi notturni con mia moglie. Controllavo  dei documenti che, a mio avviso, avevano solo l’utilità di farmi perdere  un mucchio di tempo ed anche un mucchio di soldi. La mia segretaria, la  deliziosa Nancy, se ne stava in sala d’attesa pronta a ricevere una  qualche chiamata. Era una donnina anziana ed era anche la persona più  giovane presente sulla faccia della terra. Scorrazzava tutto il giorno  in lungo e in largo per il mio studio, affaccendandosi in cose che non  erano nemmeno di sua competenza. “Qualcuno dovrà pur farle” diceva lei  con il suo sorriso rugoso e ottimista.
Ora attendeva che qualcuno  chiamasse per prendere qualche appuntamento, a dire il vero non ero  certo che fosse lì per questo motivo, di domenica mattina nessuno chiama  per prendere appuntamenti e a me piaceva pensare che togliesse ore al  suo meritato riposo solo e unicamente per portarmi una tacita compagnia  durante quelle disgustose mattinate.
La deliziosa Nancy, era il mio  angelo custode, qualsiasi cosa venisse fuori dalla mia bocca era  prontamente registrato dalla sua mente.
Quella mattina,  inaspettatamente, un uomo entrò nella sala d’attesa. Non fui in grado di  vederlo, la porta del mio ufficio era chiusa, ma lo sentii parlare  agitatamente con Nancy.
Posai rapidamente i documenti in un cassetto  e tentai di rendermi presentabile in attesa di un probabile paziente.  Nancy aprì la porta con un sorriso un po’ più tremolante del solito, mi  osservò per qualche secondo nell’attesa che ricambiassi il suo sguardo e  annuì con la testa. Ottimo, anche di domenica mattina.
<Fallo  pure entrare Nancy, che problema ha?> Sospirai mostrando tutta la mia  mancanza di volontà ma trovai subito l’attenzione necessaria per notare  un velo di terrore nello sguardo di Nancy.
<Dottore, è  armato.> Appena terminò la frase fu colpita dall’uomo che stava alle  sue spalle e cadde a terra. Nancy, che donna meravigliosa, nonostante il  pericolo non aveva perso il suo luminoso contegno. Urlai spaventato nel  vederla cadere a terra priva di sensi e scattai in piedi nel tentativo  di soccorrerla ma l’uomo, puntandomi contro la sua pistola, fece  irruzione nel mio ufficio.
<Lei è un dottore, vero?> L’uomo mi puntò la pistola alla testa fissandomi attentamente negli occhi.
Era un uomo sulla quarantina con dei capelli castano chiari e degli  occhi azzurri. La paura colpì duramente il mio stomaco ma tentai di  mantenere un contegno.
<Sì, sono un dottore, cosa desidera?> Un  barlume di speranza brillò negli occhi dell’uomo che sembrava privo di  qualsiasi controllo che rapidamente abbassò la pistola e mi porse la  mano.
<Piacere di conoscerla, mi serve aiuto.> Mi sorrise  amichevolmente e io decisi di stringere la sua mano sudata,  evidentemente era agitato anche lui. Con la pistola indicò la mia sedia e  capì che voleva che mi sedessi.
Lui si sedette davanti a me e cominciò a osservarmi in attesa di qualcosa.
<Mi dica, qual è il problema?> Balbettai questa frase nella  speranza di andare incontro alle sue esigenze e lo vidi sorridere mentre  si chinava in mia direzione.
<Vede dottore, il problema, sono le  mie reni, c’è qualcosa dentro, lo sento.> L’uomo bisbigliò la frase  come una spia che rivela informazioni segrete ad un suo collaboratore.
<Potrebbero essere calcoli renali, dovreb..> L’uomo scattò in piedi puntandomi nuovamente la pistola alla testa.
<Stronzate, i calcoli renali non si muovono, i calcoli renali non  parlano, giusto dottore? Giusto?> Il suo urlo disperato mi spaventò  ancora di più e mi limitai ad annuire.
<Vede dottore, la gente mi  crede pazzo, ma io lo sento chiaramente.> Si chinò nuovamente verso  di me per bisbigliare questa frase.
<Lei sente le sue reni?>
<Non sia stupido dottore, le reni non parlano, io sento ciò che c’è  dentro.> L’uomo sputò sul pavimento, indietreggiò di qualche passo  per poi iniziare un’accurata perlustrazione dello studio.
<Dottore, dov’è il suo stetoscopio?> Mi osservò con uno sguardo incuriosito.
<E’.. è qui, sulla scrivania.> Allungai la mano per afferrarlo ma l’uomo scattò in avanti e lo afferrò prima di me.
<Giusto, la scrivania, non guardo mai le scrivanie. Allora dottore,  provi.> Lo osservai senza comprendere la sua richiesta.
<Indossi questo schifo di stetoscopio e ascolti ciò che contengono le  mie reni.> Afferrai con mani tremanti lo stetoscopio e provai più  volte a “indossarlo” senza però riuscirci a causa della paura.
<Per quale motivo questi posti hanno sempre questo orribile  odore?> L’uomo era tornato nuovamente cordiale e amichevole dandomi  la possibilità di “indossare lo stetoscopio."
<Credo che siano le medicine.>
<No, lei crede sia colpa dei malati.> Lo osservai spaventato dopo  essere stato colto in fallo, lui mi sorrise e si voltò togliendosi la  maglietta.
<Coraggio, provi.> Mi avvicinai spaventato e cominciai ad ascoltare in silenzio.
<Voglio uscire da qui.> Una voce profonda parlò. Spaventato, mi  allontanai dall’uomo che rapidamente si vestì, afferrò la pistola e me  la puntò alla testa.
<Cosa era quella voce?> Cominciai a tremare inconsciamente, l’uomo sorrise, abbassò la pistola e si avvicinò.
<Lo sopporto da una vita, ascolto tutto ciò che dice e fa paura. Per  il mondo sono un pazzo, non voglio più esserlo, ora, lui, entrerà  dentro di lei ed io sarò libero.>

  
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