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Autore: RobTwili    22/12/2012    10 recensioni
OS missing moment ambientata durante il capitolo 15 della Long story You saved me .
Dal testo: «No, il mio regalo è solo per te, e tu non devi darmi niente; tu mi hai aiutata tanto a inserirmi qui, con loro. Questo è il regalo più bello che potessi farmi». Strinse la mia mano tra le sue e vedere il suo sguardo così sincero mentre diceva quelle parole mi fece emozionare tanto che la abbracciai, iniziando a piangere e non curandomi delle lacrime che stavano scendendo sulle mie guance.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Eagles don't gain honestly'
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AVEC
Questa OS fa parte della serie Eagles don’t gain honestlyed è un missing moment del capitolo 15 (All chickens come home to roost) della Long StoryYou saved me”. Per capire totalmente questa OS è necessario leggere la storia completa.
 
 



Ai fangirlamenti del sabato sera;
agli Eagles, che non mi lasciano mai;
a voi, che siete ancora qui, per loro.
Grazie e buone feste.
Rob.

 
 
«Svegliatevi, dormiglione» mormorò qualcuno, solleticandomi una guancia. Mugolai, voltandomi dall’altra parte per poter dormire ancora un po’. Avevo sonno, ero stanca e l’idea di alzarmi da quel letto caldo e comodo non mi piaceva per niente. «Aria, dai. Devi alzarti e preparare il pranzo. È Natale». Un soffio caldo sulla mia guancia e un bacio appena accennato al mio collo. «A proposito, buon Natale». Il bacio si ripeté, tanto che sentii le stesse labbra andare giù, verso la mia spalla, solleticandomi.
«Doll, no» mi lamentai, tirando il lenzuolo verso l’alto per scappare dalla sua tortura. Doveva essere l’alba; forse era appena tornato dalla notte fuori e io volevo solo dormire. Non ero riuscita a chiudere occhio nelle notti precedenti al pensiero della notizia che dovevamo dare a Ryan e ai ragazzi. Lexi mi era rimasta vicina, aveva sopportato i miei sbalzi d’umore dovuti alla tensione della notizia che avremmo dato quella sera; si era addirittura offerta di aiutarmi a cucinare la cena, pur di rimanere vicino a me per calmarmi.
«Su, fammi scartare il mio regalo di Natale». Un ghigno divertito mentre la sua mano fredda si intrufolava sotto alle coperte per torturarmi la schiena. Sussultai, scalciando e sperando di colpirlo, senza ovviamente riuscirci. «Attenta, che se fai male al piccoletto poi mi arrabbio». Con una gamba bloccò le mie, impedendomi di muovermi ancora; con la mano libera, invece, strinse la presa attorno ai miei polsi, intrappolandomi. «Piccola Aria, quando capirai che sono sempre più forte di te?». Mi scoprì il volto scostando le coperte e baciandomi il naso, sghignazzando quando cercai di liberarmi senza risultato.
Lui era sicuramente più forte di me, ma io sapevo come giocare sporco. «Jack…» mugolai, avvicinando il mio volto al suo e catturando le sue labbra tra i miei denti per stuzzicarlo. Lo sentii trattenere il respiro, sorpreso da quel gesto. Quando però delineai il suo labbro inferiore con la punta della mia lingua, le sue barriere cedettero; sentii la sua mano correre lungo il mio braccio per arrivare fino al mio volto che accarezzò gentilmente, quasi senza sfiorarmi. Mi misi a sedere, giocando con i suoi capelli tra le mie mani e sorridendo sulle sue labbra: avevo vinto, sapevo sempre come farlo cedere.
«Aria, no. Non possiamo». Mi allontanò, facendomi sedere sul letto e indietreggiando fino ad arrivare al bordo del materasso, dalla parte opposta alla mia. Perché aveva messo quella distanza tra di noi? Perché non potevano nemmeno fare l’amore? Probabilmente riuscì a leggere il mio sguardo, visto che sorrise, facendo increspare la cicatrice sulla sua guancia destra. «Non possiamo fargli del male, se la ferisco poi non me lo perdono» sghignazzò, appoggiando una mano sulla mia pancia piatta.
«Sei scemo, tu dall’alto hai una prospettiva distorta» scherzai, offendendolo. Mi piaceva prenderlo in giro, ferendo il suo ego maschile. Era così facile farlo arrabbiare che sarebbe potuto diventare il mio sport preferito, negli anni futuri.
«Ah è così? Allora forse non ricordi bene chi sono; io, dagli Dei dell’Olimpo, sono chiamato Jack Dollar Anaconda Smith. Sono famoso». Il suo sguardo soddisfatto mi fece ridere ancora di più, tanto che dovetti distendermi sul letto, tenendomi le mani sullo stomaco perché mi faceva male. «E chi osa ridere di me verrà punito dagli dei». Doll gattonò pericolosamente fino a me e ridendo in modo quasi pericoloso. Che cosa voleva fare? Non riuscii nemmeno a chiederlo, visto che le sue mani iniziarono a torturare i miei fianchi, facendomi il solletico.
«Doll, dai scemo» mi lamentai, scalciando per colpirlo. Sapeva prevedere tutte le mie mosse però, visto che si spostò facendomi colpire l’aria. «Smettila» urlai, sperando di fargli male, pizzicando il suo braccio. In risposta affondò i suoi denti sul mio collo, come se fosse stato un vampiro. «Basta, basta ti prego» sussurrai, cercando di riprendere fiato.
Jack smise immediatamente di torturarmi, sedendosi di fianco a me e sistemandomi una ciocca di capelli che ricadeva sulla mia guancia. «State bene?». La sua mano si posò di nuovo sulla mia pancia e annuii, facendo dei respiri profondi per riprendermi. «Devi fermarmi prima la prossima volta, fatico a ricordarmi che non siamo solo io e te e non voglio che succeda niente di male a…». Vidi il suo sguardo rivolto alla mia pancia e senza rendermene conto scoppiai a piangere notando quella scintilla nei suoi occhi: sembrava che stesse guardando qualcosa di bellissimo, quando in verità il suo sguardo fissava la maglia logora e deformata che usavo per dormire.
«Mi dispiace, non volevo incasinarti» mormorai tra le lacrime, abbracciandolo e sfogandomi sulla sua spalla; incurante delle mie lacrime che scendevano, bagnandogli la maglia bianca che portava.
«Aria… Aria, ehi» ridacchiò, sollevando il mio volto delicatamente e baciandomi le labbra. «Cosa stai dicendo? Cosa dovresti aver incasinato?». Non riusciva a smettere di sorridere, ma capivo che mi stava mentendo. Cercai di spiegargli ancora una volta che quel bambino avrebbe sicuramente causato problemi con i ragazzi; era la prima volta che qualcuno degli Eagles si trovava a fare i conti con una situazione del genere e nessuno di noi tre –perché ormai consideravo Lexi come una di famiglia –sapeva prevedere Ryan e le sue decisioni.
«Se dice che non possiamo tenerlo?» domandai, temendo la sua risposta. Sapevo che Dollar avrebbe rinunciato agli Eagles per me, ma non volevo che lo facesse; gli Eagles erano la sua famiglia e non avrei mai fatto scegliere a Jack tra me e loro. Lui aveva bisogno di entrambi, per questo temevo quello che avrebbero deciso.
«Vedrai che possiamo tenerlo, Ryan non farebbe qualcosa che può far star male uno dei suoi ragazzi. Ryan non è cattivo, e adesso è ancora più buono del solito. Andrà tutto bene». Cosa voleva dire con: «Adesso è ancora più buono del solito»? Che anche lui pensasse…
«Perché Ryan è più buono del solito?» chiesi, fingendo indifferenza. Se avessi spifferato i miei sospetti a Doll non sarebbe riuscito a tenere quella sua boccaccia chiusa e non volevo che tutto si rovinasse. Anche perché se solo avesse detto una parola, tutti avrebbero osservato con più attenzione quello che stava succedendo.
«Non lo so, ultimamente è più permissivo con tutti, lo vedi anche tu. Nessuno di noi dice nulla perché non vogliamo farglielo notare, ma l’altro giorno parlando con Sick e Brandon ci siamo accorti che ultimamente è meno rigido e scassa palle del solito. Però tu adesso dovresti alzarti, perché la Doc ti aspetta all’appartamento e sono sicuro che è già in piedi». Un nuovo bacio dato a fior di labbra e concluso prima ancora che potessi ricambiarlo. «Andiamo, è Natale». Jack tese la sua mano, per aiutarmi ad alzarmi. «Ti aiuto a fare una doccia?». Ammiccò verso di me, schivando il pugno che cercai di dargli sullo stomaco. «Se è un no allora ti aspetto qui, mentre la fai». Mi diede un bacio tra i capelli, distendendosi con uno sbuffo sopra al mio letto.
Speravo davvero che quella doccia potesse calmare i miei nervi, perché non riuscivo a rilassarmi. Chissà che avrebbe detto Ryan; chissà se quel bimbo sarebbe stato accettato da tutti o meno. Quando uscii dal bagno trovai Jack addormentato sul letto: le mani intrecciate dietro al capo e le gambe a penzoloni. Sorrisi avvicinandomi a lui e scostandogli un ciuffo di capelli dal viso, senza svegliarlo. «Ci vediamo dopo. Ti amo» sussurrai, sfiorando con le mie labbra la sua fronte, prima di scendere lentamente dal letto per uscire.
Sapevo che di lì a poco Ryan l’avrebbe chiamato per svolgere qualche compito; un paio di minuti di riposo non gli avrebbero di certo fatto male.
Arrivai a casa dei ragazzi e trovai Lexi sul pianerottolo con due buste della spesa ai suoi piedi e un altro paio tra le braccia. Era così comica da vedere che non riuscii a smettere di ridere fino a quando non arrivai di fianco a lei che cercò di calciarmi il sedere, senza far cadere nulla.
«Apri quella porta, ti sto aspettando da cinque minuti e pesano» si lamentò, saltellando per non perdere la melanzana che stava uscendo da una busta. La aiutai, prendendone una e liberandola da quel peso; poi, stupendola, abbassai la maniglia della porta, entrando. «Perché è aperta? Perché non me l’hai detto prima?» strillò, entrando dentro al 3B e mettendo subito la busta sopra alla tavola sgombra.
«Non te l’avevano detto che lasciavano la porta aperta perché potessimo entrare?». Ero sicura che Jack l’avesse avvertita, a meno che qualcuno non gli avesse ordinato di non farlo. Forse era quello il motivo per cui mi aveva spinta a scendere dal letto per andare da Lexi. «Si saranno dimenticati di dirtelo, come al solito. Lo sai come sono, uomini». Minimizzai tutto con un’alzata di spalle ed entrai, guardandomi attorno: i ragazzi non c’erano, probabilmente erano già usciti mentre ero per strada, sapevo che non perdevano tempo nemmeno il giorno di Natale.
Iniziammo a sistemare tutte le decorazioni e a preparare la cena in silenzio perché stranamente quel giorno non riuscivamo a instaurare una conversazione. Sapevo che era colpa mia, ma non riuscivo davvero a dire qualcosa di sensato, impaurita com’ero. Quando finimmo di sistemare tutto e non riuscii più a trattenermi, chiesi a Lexi di starmi vicino durante l’annuncio; cercai anche di non far vedere le lacrime che mi stavano scendendo, soprattutto perché non volevo rendere Lexi triste proprio il giorno di Natale.
Notai la neve e, dopo averglielo detto, la vidi correre fuori senza nemmeno vestirsi; aveva talmente fretta che si era scontrata con i ragazzi, uscendo.
«Le californiane hanno qualcosa di strano» borbottò Ryan, scuotendo la testa mentre entrava in casa. Strano che notasse il bizzarro comportamento di Lexi, visto che l’aveva appena rimproverata di essere uscita solo con la t-shirt. Lui, che non si curava di nessuno che non avesse un flag rosso in tasca, lui che aveva sempre trattato Lexi come una di noi, parlandole di quello che succedeva dentro al 3B, come se lei dovesse sapere tutto.
«Non hanno tette? Sono elastiche a letto? Che hanno di strano?» sogghignò Sick, entrando nell’appartamento e sedendosi di fianco a Ryan sul divano. Dollar si avvicinò a me, circondandomi la pancia con le mani e baciandomi una guancia mentre il suo petto si appoggiava alla mia schiena, regalandomi un brivido.
Sentii le sue labbra posarsi sul mio orecchio, intimandomi di stare tranquilla, ma fui distratta da Ryan che spiego che Lexi non era normale perché una persona sana di mente non sarebbe mai uscita senza giubbotto, con la neve.
Non appena Lexi, infreddolita, rientrò in casa, i ragazzi iniziarono a prenderla in giro. Un po’ mi faceva pena: amavo la neve e ogni volta che la vedevo capivo che anche Hunts Point poteva essere magica sotto quel manto bianco; doveva essere strano per lei che non l’aveva mai vista, trovarsi i fiocchi bianchi che ti accarezzavano la pelle, sciogliendosi su di te.
Una volta arrivate in cucina, Lexi tentò di rassicurarmi di nuovo, bevendo un bicchiere di vino per brindare al Natale. Stranamente era rilassata, come non la vedevo da tempo; sembrava che in qualche modo si fosse abituata ai ragazzi, alle loro battute, al loro essere pericolosi ma allo stesso tempo protettivi. Lexi era una di noi, ormai; tutti noi la consideravamo non solo come la nostra vicina, ma come un’amica.
Durante la cena di Natale era usanza, per i ragazzi, mangiare tutti assieme, Gonna Be esclusi. Non avevo mai capito perché, ma ogni Eagles cenava con noi, come una vera famiglia. Era un’usanza che aveva istituito Ryan ed ero quasi sicura che fosse per far capire ai ragazzi che gli Eagles erano come una famiglia, la loro nuova famiglia.
«Io ho lasciato il mio regalo per te di là» mormorò Lexi al mio fianco, bevendo un sorso di vino. La guardai stupita: non credevo che mi avesse fatto un regalo; noi non facevamo mai regali. Cosa avrei potuto dirle, visto che non avevo niente per ricambiare?
«Io… Lexi io non… non lo facciamo di solito e…» balbettai, cercando di scusarmi. Ero a disagio, se ne accorse anche Jack, di fianco a me che strinse il suo braccio attorno alle spalle con un po’ più di forza, come se volesse farmi coraggio. Vidi Lexi sorridere e scuotere la testa, divertita da quello che le avevo appena detto.
«No, il mio regalo è solo per te, e tu non devi darmi niente; tu mi hai aiutata tanto a inserirmi qui, con loro. Questo è il regalo più bello che potessi farmi». Strinse la mia mano tra le sue e vedere il suo sguardo così sincero mentre diceva quelle parole mi fece emozionare tanto che la abbracciai, iniziando a piangere e non curandomi delle lacrime che stavano scendendo sulle mie guance. Maledetti ormoni che mi facevano assomigliare a una fontana. Dovevo assolutamente ringraziarla in qualche modo, magari potevo comprarle qualche vestito carino che la aiutasse ad attirare l’attenzione su di lei. Chissà se…
«Forza che parte la scena lesbo. Spostatevi tutti ragazzi, inizia lo spettacolo. Chiameremo questo film… Un Natale… scottante. Doll, vai a prendere la telecamera; Ryan tu ti occuperai della fotografia. Io giro il video. Forza! Ragazze aspettate a baciarvi, partiamo dall’abbraccio e poi vi guardate con passione. Lexi, tu prendi l’iniziativa ma fingiti titubante. Aria, tu fai la sorpresa all’inizio ma poi vai giù di lingua, mi raccomando. Mettetevi sul divano, anzi no. Abbracciatevi qui poi…». Stava per spiegare per bene cosa avremmo dovuto fare –come se avessimo veramente dato ascolto a lui –quando Ryan lo interruppe.
«Dacci un taglio». Un ordine come quando voleva davvero che i ragazzi lo ascoltassero. Quando non era Ryan, ma l’O.G. degli Eagles tutti i ragazzi sapevano che bisognava ascoltarlo e che non era il caso di andare contro di lui. Per questo Sick smise di dare ordini e si zittì, abbassando il capo, colpevole.
Trattenni a stento una risata, guardando Lexi di fianco a me che continuava a ridere con una mano davanti alle labbra per cercare di non farsi vedere; tentò anche di soffocare le risa con un po’di vino ma con scarsi risultati.
«Vedi? Questo è un tipico Natale a casa degli Eagles: ordini, cretinate, risate e pacche sulle spalle. Ti aspettavi qualcosa di diverso?» domandai, giocando con la mano di Jack, ancora sopra alla mia spalla. Non l’aveva mai abbandonata; non mi aveva mai lasciata, perché lui c’era, sempre.
«Forse qualche pistola e qualche proiettile, niente di più» scherzò Lexi, liquidando la domanda con un’alzata di spalle. Quella sua allegria mi contagiò, rilassando per qualche secondo i miei nervi tesi. Dovevo non pensare a quello che sarebbe accaduto di lì a poco e rilassarmi; avevo bisogno di divertirmi in quella giornata.
Quando finimmo di cenare sentii la mano di Jack stringersi attorno alla mia spalla per farmi coraggio; sapevo che era il momento. «Lo facciamo ora?» sussurrò, aspettando una mia risposta. Annuii solamente, troppo emozionata per rispondere. Le mie mani tremavano e avevo un groppo in gola che stava diventando grosso come una montagna.
Avevo bisogno di Lexi per qualche minuto, prima. Mi alzai quindi dalla sedia fulminandola con lo sguardo perché stava di nuovo bevendo del vino e urtandola con la mano per avere la sua attenzione. «Lexi, mi aiuti a portare i piatti in cucina?». Non ammettevo un no come risposta, assolutamente. La vidi alzarsi e seguirmi, così, dopo un respiro profondo le spiegai che era giunto il momento di fare l’annuncio.
Mi fece l’occhiolino, augurandomi buona fortuna. Se solo non fossi stata così tesa, avrei dovuto preoccuparmi per lei e per la quantità di vino che aveva bevuto, ma non era decisamente il momento. Dopo, ci avrei pensato dopo aver detto a tutti gli Eagles che io e Dollar aspettavamo un bambino.

 
 
 
Lo so, voi vi aspettavate quel benedetto Ryan pov della sera in cui Lexi si ubriaca, vero? Ebbene, mi sa che vi ho fregate, involontariamente. Quel pov –che comunque è già scritto dalla prima all’ultima parola –ho deciso che lo posterò in un giorno particolare (non sto qui a dirvi quale sia, perché non ne ho la minima idea, visto che non dipende da me, ma dai numeri) e quindi ho pensato di regalarvi una OS su qualcosa che avevo descritto sommariamente.
Mi sono infatti accorta che il capitolo 15 di You saved me aveva questo salto temporale durante la cena. Mi sono fermata esattamente in questo momento solo perché sapete quello che accade dopo e quindi non aveva senso continuare con un Aria pov.
La scelta del suo pov è semplicemente dovuta alla sua capacità di vedere oltre, come vi ho sempre detto. Così si è scoperto –cosa che non si era mai vista così bene –che anche Aria shippava Lexian.
Niente, spero non sia stata una delusione colossale, in tal caso mi dispiace.
Come sempre se volete potete iscrivervi al gruppo: NERDS’ CORNER dove ci sono novità sulle storie e altre cose.
Io vi ringrazio per essere tornate dagli Eagles e da me e vi auguro un BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO.
Rob.
   
 
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