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Autore: kiara_star    23/12/2012    16 recensioni
[Crossover | Magnus Martinsson (Wallander BBC); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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" La rabbia velocizza i miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che nessuno se lo ricordi.
[...]
«Polizia?» Sposta lo sguardo sul distintivo. «Non hai la faccia da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi occhi sono di nuovo su di me. "
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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Detective Martinsson Premessa: Siccome Magnus mi ha tormentato nell’ultima settimana (come ha fatto un po’ con tutte) ho deciso di scrivere una long con il bel riccio come protagonista.
Personaggi: Magnus Martinsson (Tom Hiddleston), Eric the Huntsman (Chris Hemsworth)
Ambientazione: Siamo a Ystad, ridente cittadina svedese, in cui Magnus lavora come detective della polizia. Qui, durante un’indagine, farà un incontro che gli scombussolerà la vita.
Note:
1. Questa storia sarà un crossover ambientato proprio nell’universo di Wallander (qui per le info), per cui il titolo è un rifacimento di quello dell’opera. Se avete visto il telefilm sarà più facile entrare nella storia, ma siccome Magnus non è un personaggio molto approfondito, anche chi non lo conosce può leggerla. Cercherò di renderla accessibile a tutti.


Disclaimer: Gli avvenimenti narrati in questa storia sono pura invenzione. I personaggi non mi appartengono e sono dei legittimi proprietari. Scritta senza scopo di lucro e senza vergogna.

Buona lettura
kiss kiss Chiara





Detective Martinsson






I. Il caso di Hedeskoga



Il telefono squilla.
Uno, due, tre.
Guardo Anne-Britt, ma ha gli occhi fissi sui documenti che regge fra le mani. Sa che la sto guardando.
Quattro.
Kurt sta parlando con Lisa riguardo al caso del giovane prete trovato morto davanti la chiesa di San Pietro. Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse al quinto squillo, ma nessuno sembra avermi sentito. Mi chiedo se non lo facciano di proposito. Mi chiedo cosa abbiano contro di me. Mi alzo seccato dalla sedia ed afferro la cornetta quando ormai l’ottavo squillo mi ha urtato i timpani insieme ai nervi.
«Martinsson» sospiro passandomi una mano sugli occhi. È Sven dell’obitorio con delle novità sul caso del prete. Chiede di Kurt, ovviamente. «È per te.» Gli allungo la cornetta e torno a domandarmi perché ce l’abbiano con me. Chi è che ce l’ha con me? Dio? I miei colleghi? Il destino?
Sono un detective preparato e ligio. So fare il mio lavoro. Amo il mio lavoro. Eppure mi hanno tenuto fuori dal caso più importante del momento.
Torno alla mia scrivania e mi accascio sulla sedia. Una matita fra le dita mi aiuta a scaricare lo stress. La faccio roteare e la mordicchio. La picchio ad intermittenza sul legno del tavolo e la faccio roteare ancora.
Sono le undici passate e sto ancora stilando questo noiosissimo rapporto da ieri sera.
È una giornata d’inferno come tutte le altre. Come ogni dannatissima giornata da ormai qualche periodo.
Non cerco il sangue, non sono uno di quegli psicotici agenti che attendono un caso inquietante per eccitarsi. Vorrei solo poter fare ciò che so fare meglio: il mio lavoro.
«C’è stato un furto ad Hedeskoga. Una villa di un’anziana donna.» Guardo il viso dell’agente appena entrato e prego intensamente. No, non voglio lavorare su uno stupidissimo caso di furto!
«Ci sono state aggressioni?» chiedo. Magari c’è qualcosa di interessante.
«No. Hanno solo portato via qualcosa di valore.» Non c’è nulla di interessante.
«Magnus, occupatene tu.» Mi ritrovo a stringere i denti. Dannazione, Lisa! Perché non posso lavorare sul caso dell’assassinio di San Pietro?
«Vado subito.» Ma non ho intenzione di fare scenate. Trattengo a malapena una smorfia e, presa la giacca dalla sedia, mi avvio verso la porta.
Guarda il lato positivo, Magnus, non sarai più costretto a rispondere al telefono!

La strada per Hedeskoga è una striscia di desolazione. Le case si possono contare sulla punta delle dita e nessuna di esse sembra viva. È una bella zona, ma non certo la più popolata di Ystad. Mi lascio sfuggire un lungo sospiro mentre giro verso il viale della casa. In un posto come questo è normale che i ladri facciano festa.
Ci sono due agenti che non conosco. Parcheggio e mi avvicino ad uno di loro, mentre l’altro è intento a parlare con una donna. Sarà di certo la vittima del furto. Faccio domande di routine per sapere a che punto sono.
«Sono entrati dalla porta sul retro. È stata forzata.»
«Cosa hanno preso?» Ispeziono con gli occhi l’esterno.
«I gioielli, un paio di oggetti d’argento e circa 6000 corone.» 6000 corone? Magro bottino. Magro caso.
«La scientifica ha trovato qualcosa?»
«Niente. Non ci sono impronte. Forse indossavano dei guanti.» Annuisco «Dice di non aver sentito nulla. Si è accorta del furto solo stamattina.» Avrei dovuto essere con Kurt a San Pietro ed invece sono qui a dare la caccia ad un ladro di galline!
«Grazie.» Almeno gli agenti mi sembrano preparati. Mi passo una mano fra i capelli e mi avvicino alla donna.
Amanda Fustern, 73 anni, vedova. Statura bassa e tarchiata, capelli grigi raccolti in un ordinato chignon, occhiali da vista con catenina rossa, vestito a stampe floreali di dubbio gusto. Parla animatamente gesticolando con le mani. È agitata e dovrò comportarmi di conseguenza.
«Signora Fustern, sono il Detective Martinsson.» Le mostro il distintivo con tono gentile e la vedo annuire. Faccio un cenno al giovane in divisa e lui si allontana verso il collega. «Signora, mi racconti cosa è successo.» Mi ripete le stesse cose che ho già saputo dall’agente, ma entrare in contatto con la vittima è fondamentale. Annuisco ad ogni informazione.
«Era di mia nonna. Magari non era di valore, ma era un oggetto carissimo per me.» Ha le lacrime agli occhi.
«Faremo del nostro meglio, signora. Non si preoccupi.» Una mano a coprirsi la bocca ed annuisce.
Se non ci sono impronte non credo riusciremo a trovare i ladri. Non abbiamo una descrizione, ed il misero valore della refurtiva ci renderà le cose ancora più difficili. L’unica strada potrebbe essere qualche traccia lasciata sul terreno: segni di pneumatici, mozziconi di sigarette.

Mi volto a guardare la zona. Non ci sono case, a parte una piccola villetta ad un centinaio di metri. Difficilmente ci saranno testimoni. Mi spiace per la signora Fustern, ma sarà meglio che si rassegni all’idea che la collana di sua nonna è perduta.
«Sono sicura che sia stato lui!» Mi volto a guardarla ed aggrotto le sopracciglia. Un sospettato? Beh, è un inizio.
«A chi si riferisce?» Indica la casa che stavo guardando prima.
«Non mi è piaciuto dall’inizio. Sono certa che sia stato lui.»
«Crede che sia stato il suo vicino a derubarla?» Annuisce. «Le ha dato già qualche fastidio?»
«No, direi di no.»
«Mi parli di lui: è sposato? Che lavoro fa?»
«Non ne ho idea. Non so neanche come si chiami.» Perfetto! Proprio un ottimo indizio. «Ma non mi piace!» Ed ora dovrei andare in giro ad arrestare la gente in base al piacere di una vecchia signora con pessimi gusti di moda. Poggio le mani sui fianchi sospirando. Giornata davvero d’inferno.

Ispeziono l’interno della casa. È modesta ma ordinata. Non ci sono sfregi, a parte gli oggetti mancanti, e non c’è nulla ad occhio che mi indichi una qualche pista da seguire. I ladri sono stati bravi a non lasciare tracce. Almeno per il momento. Non mi resta che partire dall’unica cosa che posseggo: il pregiudizio di questa donna.
Mentre esco dalla casa, il cellulare squilla.
«Come va ad Hedeskoga?» È Anne-Britt.
«Non credo che li beccheremo. Hanno preso qualche gioiello ed un po’ di soldi. Nulla di gran valore.» Attraverso la strada per dirigermi verso l’abitazione di questo vicino. Ho deciso di farmela a piedi, così avrò modo di borbottare in santa pace contro la sfortuna che mi perseguita.
«Quando hai finito, vieni in centrale. Lisa deve parlarti.»
«Riguarda San Pietro?» Fa' che sia così! Fa' che sia così! Fa' che sia così!
«No, è sul rapporto che dovevi consegnare ieri.»
Magnus, fattene una ragione: ti odiano!
«Ok, appena ho fatto, torno.» Attacco e mi lascio sfuggire un’imprecazione.
Chi è che gli ha salvato la vita? Chi è che ha sparato a quel figlio di puttana prima che uccidesse sua figlia? Io, Magnus Martinsson! Sono stato io a salvargli la pelle! E lui come mi ringrazia? Lasciandomi fuori! Kurt Wallander, sei un vero bastardo!
La rabbia velocizza i miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che nessuno se lo ricordi.
Una Ford blu scuro è parcheggiata davanti alla porta del garage. Sembra che sia in casa. Bene, almeno chiuderò questa faccenda alla svelta.
Suono il campanello cercando di leggere il nome dalla cassetta della posta, ma non trovo nulla. Risuono ancora verificando la presenza di qualcuno al di là della staccionata, ma non c’è anima viva. Potrebbero essere sul retro. Il cancelletto di legno è aperto, così lo spingo ed entro.
Percorro il breve tratto fino alle scale e picchio le nocche sul legno.
«Sono della polizia.» Cerco di farmi sentire, ma la casa sembra vuota. Busso nuovamente. «Polizia. Aprite!» Trascorrono altri secondi di silenzio. Forse davvero non c’è nessuno.
Mi volto sul punto di andarmene, quando sento un rumore provenire dal retro. Cerco di prestare attenzione e lo avverto più nitidamente. Un rumore secco ad intervalli. Scendo i pochi pioli e mi avvicino alla fonte di quel suono che cresce di intensità ad ogni mio passo. Ho ormai fiancheggiato la casa, quando riesco a riconoscerne la natura: colpo d’accetta. Ne ho la certezza quando svolto l’angolo e vedo la figura di un uomo intento a spaccare a metà un ciocco di legno.

Alto, molto alto. Coda di cavallo bruna che gli ricade sul collo sudato. Braccia scolpire. Spalle scolpite. Fisico scolpito. Riesco a notarlo perché indossa solo una canotta di cotone bianco su un paio di jeans.
Fa freddo oggi. È ottobre e fa freddo. Io indosso camicia, pullover e giacca, e se non fosse per l’accumulo eccessivo di stress degli ultimi minuti, potrei sentire ancora freddo. Ma quest’uomo indossa solo una misera canotta completamente zuppa che gli si è quasi attaccata alla pelle. Pelle dal colore ambrato.

Non si deve essere accorto di me, perché prende un altro ceppo e lo trancia con un solo colpo. Rimango in silenzio ad osservare i suoi gesti. Non conosco il suo viso, eppure posso dire che è un uomo che mette soggezione. Sarà la stazza, sarà la faccenda del freddo, sarà la fermezza con cui maneggia l’ascia, non so dirlo, ma posso affermare con facilità che mi sento inquieto.
Mi volto di spalle chiedendomi se non sia meglio tornare in un altro momento, ma un nuovo colpo di accetta mi costringe a portare lo sguardo su di lui.

Magnus, che stai facendo lì imbambolato? Sei un poliziotto, giusto? Stai rompendo le palle a tutti -coscienza compresa- su questo punto, ed ora non riesci a schiodarti da quella parete? Cos’è, ti sei incantato a guardare i muscoli di questo tizio?
Mi sento arrossire. Quel pensiero mi ha agitato ulteriormente.
Passo le dita fra i ricci e mi faccio forza. Devo parlare con quest’uomo e chiarire la faccenda del furto.
«Mi scusi.» Tengo la voce ferma ed il tono deciso, ma quando lui si volta, mi chiedo se avrò ancora abbastanza fermezza per continuare.
«E tu chi sei? Che ci fai in casa mia?» La sua voce rispecchia il suo fisico. Forte, possente. Sul viso una barba incolta e qualche ciocca scura che gli ricade sulla fronte. Occhi che sono due fari azzurri.
La mia impressione era corretta: quest’uomo mette in soggezione. Mi mette terribilmente ed inspiegabilmente in soggezione.

«Ehm... » Mi schiarisco la voce afferrando il distintivo dalla tasca. Meglio chiarire subito prima che mi ritrovi con quell’ascia conficcata da qualche parte. «Magnus Martinsson. Polizia di Ystad.» Mi avvicino per mostrarglielo. Più passi faccio verso di lui, più la mia inquietudine cresce. Quando ormai gli sono di fronte, mi chiedo se sia normale avere il battito così accelerato.
Maledizione, Magnus, datti un cavolo di contegno!

«Polizia?» Sposta lo sguardo sul distintivo e gliene sono grato. «Non hai la faccia da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi occhi sono di nuovo su di me.
È indubbiamente un bell’uomo. Molto bello, forse troppo. Mi verrebbe da dire che rasenta la perfezione, e la mia autostima subisce una battuta d’arresto dietro l’altra.

«Ieri sera la sua vicina ha subito un furto.» Inizio rimettendo in tasca il distintivo «Ha sentito qualcosa?» Mi ascolta corrucciando la fronte ed i suoi occhi diventano sottili linee di ghiaccio.
«Quella vecchia? E che le hanno rubato, la simpatia?» ridacchia allontanandosi per prendere un altro pezzo di legno. Lo ripone sul ciocco più grande e lo trancia a metà. Il colpo secco mi fa sussultare. I miei nervi sono tesi come corde di violino e non capisco perché. Sarà tutto lo stress che ho accumulato in questi giorni. È colpa di Kurt e del suo continuo non apprezzarmi, è colpa delle mie eccessive elucubrazioni mentali! È colpa di questo, e non certo dell’individuo di fronte a me di cui ancora non so il nome.
«Sulla cassetta non c’è il nome.» Gli faccio notare puntando il pollice alle mie spalle. Mi guarda distrattamente e continua il suo lavoro.
«Mi sono trasferito da poco.» E giù un altro colpo.
«Le spiace dirmi il suo nome?» Prendo il blocchetto con la penna ed attendo che colpisca un altro ceppo.
«Eric.» Si limita a sospirare asciugandosi la fronte con il dorso della mano. Annuisco e scrivo.
«”Eric” e?» Solo quando rialzo gli occhi mi accorgo che mi guarda con uno sorriso sghembo. «Il suo cognome.» Insisto cercando di non cedere alla strana agitazione che si è nuovamente impossessata di me.
Andiamo, Magnus, come diavolo hai fatto a diventare detective se non riesci neanche a sostenere lo sguardo di un uomo?
Non ne ho idea! Gli anni di accademia e l’esperienza sul campo sono totalmente svaniti dalla mia mente. Restano solo pensieri che risuonano psichedelici. Riflessioni contorte e considerazioni di morale opinabile.
«Sicuro che sei un poliziotto?» chiede ancora sorridente. Mi ritrovo ad aggrottare la fronte confuso.
«Vuole rivedere il distintivo?» Mi porto una mano alla tasca pensando che forse non ha letto bene e vuole ricontrollare. Ma lui scuote la testa tornando a fare il lavoro che aveva interrotto.
«Non ho mai visto un poliziotto con quei ricci.» Ride e mi sento avvampare.
I miei capelli. Ha appena fatto apprezzamenti sui miei capelli.
Che hanno di sbagliato i miei capelli? Perché tutti ce l’hanno con i miei capelli?

«Ehm...» Sono grato che sia occupato ad affettare altri poveri ceppi, perché così non ha modo di vedere il rossore imbarazzante comparso sulle mie guance.
Mi gratto il mento leggendo gli appunti che ho scritto. Cerco di ritrovare una degna lucidità, ma la sua risata mi risuona ancora in testa.

«Huntsman.» Alzo gli occhi. «Eric Huntsman.» Sorride ancora, e quel sorriso è più tagliente della lama della sua ascia.

















Continua...






  
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