Giochi di Ruolo > Vampiri: la masquerade
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Autore: hYpNo_ShInE    10/07/2007    1 recensioni
Russia, seconda metà del '900. La neve cade repentoria; Nina sente freddo, per l'ultima volta nella sua vita. Poi si lancia. Piccola storia per cui ho preso ispirazione da un gioco.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'abbraccio
L’abbraccio



L’aria intrisa di neve le sferzava la faccia con cattiveria, ghignando della sua muta rassegnazione. Non aveva esitato un attimo a lasciarsi cadere, le spalle rivolte al suolo per poter guardare ancora una volta negli occhi il suo giustiziere, per poterlo accusare ancora, e renderlo definitivamente consapevole della sua colpa.
Era stato forse quando aveva teso le dita curiose alle ombre, credendo di vederle agitarsi con foga, chiamandola; quando le lacrime che fino a poco prima le avevano terso il volto si erano placate, e il dolore che la consumava era svanito, soffiato via dall’aria gelida della Russia; sì, in quel momento un uomo finemente vestito, l’enorme corporatura dietro la giacca firmata, la aveva afferrata per una spalla, staccandola con violenza da quello strano contatto con la notte.
Si erano fissati negli occhi, per un lungo istante; lei aveva rivisto le dita ruvide che si premevano sul collo di sua madre, le stesse che si erano serrate intorno alla lama che aveva definitivamente distrutto la sua famiglia. Cercava lei, così aveva detto, molto tempo prima. Cercava una bimba di appena sei anni, forse senza sapere neanche lui il motivo.
Era stato informato, forse in via del tutto istigatrice, dell’attenzione che da un po’ di tempo si era concentrata sulla piccola mortale, che pareva via via esser circondata da una maggiore quantità di buio; antichi rancori lo avevano riarso, e nella definitiva certezza che un nemico di vecchia data aveva deciso di dar forza al suo sangue, aveva capito che non gli doveva lasciare il tempo di selezionare un candidato adeguato. Individuata la vittima, non gli restava che cancellarla.
Eppure, no, no; qualcosa era andato storto. Nella sua dannata arroganza, la bimba aveva lasciato stare la disperazione per far posto alla rabbia, motrice della sua salvezza, che le avevano permesso non solo di fuggire, ma di far sì che molti anni passassero prima di esser di nuovo individuata. Una giovane donna, che sapeva leggere nelle rughe del mondo solo distruzione e dolore, perennemente afflitta dalla prova della perseveranza; l’animo temprato a sopravvivere a ogni contraccolpo morale, gli occhi devastati dalle lacrime, unico sfogo di quella sua infinita pena.
Voleva ucciderla, e guardare il sangue che si portava via ogni cosa, lasciando solo l’agonia; le aveva già strappato quell’ultima scintilla, abbandonandola a una sofferenza senza fine: un uomo a cui forse sarebbe potuta esser legata per sempre giaceva poco più in là, tra le macerie, in un misto di bianco e porpora.
E proprio nel momento in cui sarebbe potuta crollare, ecco che in suo soccorso erano giunte le fredde e remote tenebre; le era bastato guardarle incupirsi, diventare tangibili, per sentire di nuovo la forza scorrerle nelle vene, come lava liquida che scivolava tra le sue labbra e le inondava la gola. Forse se le avesse toccate, non ci sarebbe stato modo di impedire che ne diventasse parte.
Ma l’uomo l’aveva spostata di peso, rendendola partecipe della gravosa situazione in cui si trovava; e dopo quel lungo sguardo, carico di rimorsi, lei si era rimessa in piedi decisa, i pugni serrati lungo i fianchi.
-Bah, voi Ventrue, tutti uguali-.
Una voce, dall’angolo più buio del magazzino, emerse, dipingendo di furia gli occhi dell’uomo che si stagliava di fronte alla ragazza.
-Vai Nina. Scappa-.
Quelle parole erano state pronunciate con una calma innaturale, cariche di certezze e portatrici di dubbi. Eppure lei sapeva che non c’era altra via, doveva ascoltarle. Nell’esatto istante in cui quell’angolo recondito parve attirare maggiormente l’attenzione del suo aggressore, scattò verso le scale, lanciandosi in una disperata corsa verso l’alto, in cui il conto dei piani andava perdendosi nelle grida che, più in basso si facevano sempre più vicine.
“Mi sta seguendo. Mi sta seguendo, dannazione”.
Il tempo cambiò la sua unità, allungandosi e contraendosi nei pianerottoli identici, i gradini ripetuti e forse già percorsi poco prima; fu l’aria fredda che le sbatté in faccia quando finalmente spalancò la porta che dava sul tetto a restituirle la consapevolezza dello scorrere immutabile dei giorni.
Da dentro l’edificio giungevano i suoni di un inseguimento furioso; si guardò intorno allarmata, e si rese conto che l’unica via di fuga era il precipizio.
Si diresse al parapetto improvvisamente quieta. La sua volontà le imponeva di non consegnarsi; se la morte doveva arrivare proprio quel giorno, per lo meno non doveva esser portata dallo stesso individuo che aveva sterminato ogni cosa cara aveva al mondo.
Si arrampicò sul muretto, e guardò in basso. I fiocchi di neve turbinavano quasi gioiosi, e l’asfalto della strada svaniva in una bruma biancastra. Tirò un profondo respiro, assaporando gli odori taglienti della sua terra, quindi si voltò proprio quando il suo inseguitore sorpassò la porta.
E si lasciò cadere.
Fissò i propri occhi dentro quelli dell’uomo, un istante infinito in una dimensione sconosciuta, in cui le sue accuse tagliavano le pupille dell’altro, dilatandole di orrore e sorpresa. E quando l’ultima immagine dell’assassino dei suoi genitori le giunse al cervello, un sorriso rassegnato le comparì in volto: due tentacoli d’ombra lo trapassavano, uno al cuore e l’altro al collo, facendolo boccheggiare mentre il sangue sgusciava via in flutti gioiosi, dipingendo di vermiglio la tela ghiacciata della neve.
Le ombre che la avevano sempre accompagnate in tutta la sua vita, da quando, quella notte di tanto tempo addietro, aveva visto i corpi esanime dei suoi parenti giacere ai piedi di uno sconosciuto, vestito in maniera impeccabile.
-Dannato Ventrue- sibilò, prima che la caduta si impossessasse di lei.

Lame di vento le tagliavano i capelli in ciocche scomposte, e i piccoli fiocchi le colpivano la schiena come punture d’ago; i suoi occhi osservavano il cielo grigio farsi sempre più distante e sfocato, mentre i rumori non riuscivano più a raggiungerla, a parte un sussurro indistinto mischiato al fischio del vento.
-…ancora… solo un po’ più in basso…-
-Sto arrivando- fece in tempo a rispondere lei, prima che divenne consapevole di quanto vicino fosse il suolo.
Fu questione di secondi; la sua pelle percepì la solidità dell’asfalto svanire dentro l’ombra che la avvolse; in un primo momento credé di aver perso i sensi, ma impiegò poco a capire che quel buio non era dovuto alle palpebre serrate (che invece restavano aperte a guardare il cielo divenuto notturno) ma alla solidità della tenebra che la aveva salvata dalla morte.
Un sorriso trasparì stanco, ma ad ogni modo felice, quando riconobbe le armi artefici della morte del suo perseguitatore; i tentacoli d’ombra che avevano strappato l’opportunità a un uomo di trascinarla in qualcosa che era tutt’altro che buio.
-Sei stata brava ad arrivare fin qui- le disse una voce maschile. La stessa che la aveva raggiunta dall’angolo, nel magazzino.
-Mi hai seguita fin qui, in basso?-.
-No, sei tu che hai seguito me- rispose –E comunque, se per te questo è “basso”, allora hai ancora molto da imparare-.
Nina strizzò gli occhi, incuriosita.
-Cosa devo imparare?-.
-Ah!- le disse la voce –Davvero tante cose. Ovviamente, solo nel caso in cui tu abbia deciso di restare con quelle ombre che ti hanno accudito fin ora-.
In silenzio, continuava a restare sospesa per aria, appoggiata su una nube di oscurità, finché l’uomo non parlò di nuovo.
-Vuoi venire con me?-.
-Dove?- chiese, esitante.
-A casa, Nina. In fondo all’abisso-.
Attese un attimo, poi si rigirò in quelle tenebre a fissare ciò che c’era dietro di lei.
-Sì- disse, come chi ha sempre saputo qual era la cosa giusta da fare.
Dopo un attimo, la netta sensazione che qualcosa le stesse toccando il collo la colpì più forte del gelo; e, in un attimo, riaprì gli occhi su una nuova esistenza.
  
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