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Autore: LucreziaPo    23/12/2012    5 recensioni
Questa storia inizia alcuni mesi dopo la fine dell'ottava stagione di House M.D. House e Wilson hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle, finché una cura non convince Wilson a partire...
Finirà per rendersi conto di ciò che ha sempre avuto dinanzi ai suoi occhi e che non ha mai avuto il coraggio di ammettere a sè stesso...
Ovviamente Hilson!
Spero vi piaccia!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson | Coppie: Greg House/James Wilson
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Sorseggiò la sua birra per un attimo, lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

Fissava il prato dinanzi a sé, quel luogo immerso nel verde, colmo di alberi, fiori...Era un mondo completamente diverso rispetto a quello cui erano abituati, ma James Wilson respirò quell'aria pura con un sorriso.

Sentiva lo sguardo su di sé di House, che lo scrutava come se tentasse di leggere i suoi pensieri.

Lanciò uno sguardo al cielo sgombro di nuvole e tornò a stendersi sull'erba.

“Lo farò.”

House sussultò, posando lo sguardo su di lui.

Wilson fissava il cielo, sereno, i capelli castani arruffati, un sorriso un po' stanco sulle labbra.

“Credevo avessi smesso di curarti e deciso di godere ciò che ti rimane, facendo follie e sesso a tre.”continuò House.

“Sei stato tu a propormi la cura. Cosa...”

“Credevo non avresti accettato.”

House lo fissava, incuriosito.

Come mai aveva cambiato idea?

“Sei incredibile.”borbottò Wilson, ma stava sorridendo.

“Se lo fai per un puro desiderio di sopravvivenza, credo sarebbe stato meglio farlo un mese e mezzo fa, invece di andartene in giro per il mondo a bere mojito.

E se lo fai per...”

“House, sta' zitto e smettila di psicanalizzarmi. Ho detto che voglio solo provare questa cura. Fine della discussione.”lo zittì, vedendo che stava per ribattere.

Non aveva la minima voglia di rispondere al perché avesse deciso di cambiare idea.

A dirla tutta non sapeva neanche per chi lo stava facendo.

Accettò la mano dell'amico per rialzarsi, ma non disse nulla neanche durante il tragitto verso il loro rifugio.

Salito nella loro stanza, l'unica stanza da letto in tutta la casa, lanciò uno sguardo al paesaggio attorno a loro.

La baita era immersa nella natura, nella calma, lontano da tutto e da tutti.

Wilson abbozzò un sorriso triste.

Avrebbe voluto restare lì per sempre, in quella solitaria città del Maryland, tra i boschi e lontano dal mondo intero.

Ma non poteva, né doveva.

Sentì la nausea coglierlo improvvisamente e House gli porse la bacinella, cogliendo il suo gemito.

L'osservò vomitare anche l'anima, scosso da sussulti, mentre lo guardava, incapace di fare null'altro, se non aspettare che stesse meglio.

Si sentiva impotente ed era frustrante.

“Toast imburrato. Ecco cosa hai mangiato a colazione. Almeno credo che quello sia pane...”

“S-sei disgustoso.”biascicò Wilson, senza neanche prendersela troppo per le analisi che House faceva del suo vomito.

Era diventato una sorta di assurdo rituale, cercare di indovinare cosa l'altro avesse mangiato dal suo colore.

“Ed il sapore continua a non essere migliore quando torna su.”ribatté, crollando sul letto.

Si sentiva esausto, come se avesse corso per una maratona.

“Tutti mentono. Ed alcuni nascondono ai loro amici cosa hanno in mente di fare.”

“Ho intenzione di vivere.”pensò Wilson, ma dirlo sarebbe stato superfluo.

House lo sapeva.

Sapeva sempre ogni cosa.

“Se vuoi andare in Giamaica per una nuova passione per l'ornitologia mi sta bene. Ti ci vedo in tenuta da esploratore a cercare nuove specie. Ma la cura...”

“Potrebbe funzionare.”

House lo guardò.

Avevano passato quasi due mesi andando da una zona all'altra, senza mai fermarsi, dormendo in macchina, in motel di quart'ordine, inseguendo questo o quell'altro spettacolo da vedere.

Avevano visto il rotolo di spago più grande del mondo e quello più piccolo, la casa a forma di scarpa di Pennysilvania, il Grand Canyon (che era stato uno spettacolo, che li aveva spinti a dormire in una tenda per tutto il loro tempo di soggiorno e che House aveva maledetto con tutte le sue forze temendo che succedesse qualcosa a Wilson nel mezzo del nulla...), il ponte di Brooklyn, il Golden Gate Bridge...

Wilson l'aveva convinto/costretto a venire in Italia con lui, perché voleva vedere il Colosseo.

Erano rimasti a Roma quasi una settimana intera, bighellonando in giro per musei, che House trovava noiosi, statue, costruzioni antiche come i Fori Romani, per poi trascinarlo ancora a Venezia, in Grecia ed in mille altri posti, dando sfogo a qualsiasi desiderio gli venisse in mente.

Era stato un viaggio incredibile, una fuga lontano dal mondo intero.

Wilson era stato bene, per la maggior parte del tempo.

E poi c'erano stati quegli attimi acuti di dolore, che l'avevano costretto a letto a vomitare anche l'anima, a digrignare i denti per la sofferenza e contro i quali nessun monumento antico, o hot dog da 100 chili avrebbero potuto distrarlo.

Ed in quelle situazioni House rimaneva accanto a lui, di solito parlando di cose stupide e senza senso, con solo scopo di distrarlo o divertirlo.

Ma mai, neanche una volta, Wilson aveva accennato a riprendere le cure.

Se da una parte House l'avrebbe preso volentieri a pugni per una scelta così sconsiderata, capiva la sua paura di passare il resto della sua vita in uno squallido ospedale.

Inoltre, era una sua scelta e non sarebbe stato giusto ostacolare i suoi desideri.

Sfogliò distrattamente i dati che aveva stampato, prima che la linea internet desse forfait ed aggrottò le sopracciglia.

In cuor suo non avrebbe mai smesso di tentare di salvargli la vita.

Non voleva che morisse, non aveva nessuna intenzione di perderlo.

Egoisticamente era ben consapevole che senza di lui non sarebbe riuscito ad andare avanti.

E questo lo sapevano entrambi.

Per questo ogni tanto suggeriva qualche nuova idea, o cura, come quell'ultima.

E mai si sarebbe aspettato di vedere Wilson rispondere “lo farò” visto e considerando che aveva ignorato le sue ultime 15 idee.

Ma il suo amico non aveva intenzione di rispondere al perché avesse deciso di provare la cura, rifiutandosi di lasciarsi psicanalizzare da House.

Per quanto in precedenza House avrebbe bellamente ignorato e scavalcato le sue reticenze, portandolo all'esasperazione ed infine all'agognata verità, Wilson era capacissimo di rimanersene zitto a lungo, ignorando le sue proteste o fingendo di dormire od irritandosi.

E da quando s'era ammalato House aveva tentato di evitare ogni ulteriore motivo di stress.

Sì, si stava decisamente rammollendo.


Decidere di andare in Giamaica comportava, ovviamente, un volo aereo ed i relativi controlli.

E visto che House era legalmente morto, Wilson tenne il fiato sospeso quando gli addetti al check in osservarono la sua falsa carta d'identità ed il passaporto e diedero finalmente il biglietto ad un certo Richard Collins.

“Richard Collins? Perché hai...”

“Ssh!”

House si guardò in giro con aria, circospetta, trascinando Wilson e valigie in avanti.

Wilson alzò gli occhi al cielo, sospirando.

“Non c'è nessuno che ci segue, Hou...Collins. Ti chiamerò Collins, ma smettila di fare l'agente in missione segreta.”

La storia sulla nuova vita e la nuova identità aveva entusiasmato entrambi.

Era stato divertente trovare qualcuno che potesse creare una nuova identità, fornire nuovi documenti (e l'avevano trovato in uno squallido tugurio di Manhattan, da cui House aveva cacciato Wilson costringendolo a rimanere in albergo perché temeva chissà quali infezioni...), nuove carte di credito, dopo aver svuotato il conto corrente di House (cosa che aveva fatto prima di venir dichiarato ufficialmente morto) e ricominciare tutto dall'inizio.

Era stato un nuovo inizio per House e Wilson, che desideravano lasciarsi tutto alle spalle.

Wilson aveva trovato difficile dire addio a tutto quello che era la sua vita, anche se voleva disperatamente farlo.

I sensi di colpa l'avevano inizialmente tormentato quando s'era rifiutato per giorni di rispondere alle chiamate dei suoi genitori, della Cuddy, di Foreman e degli altri medici suoi colleghi.

Era stato in bilico tra il rispondere e lasciarsi convincere a tornare a casa e riprendere le cure e lanciare il telefono fuori dal finestrino dell'auto.

Dilemma che House aveva risolto, dopo una notte in cui il telefono di Wilson non aveva fatto altro che squillare e vibrare ed aveva gettato l'aggeggio nel water, ponendo fine ai tormenti di Wilson ed alle notti insonni di entrambi.

La cosa di cui Wilson era più che certo era che, se House si fosse trovato al suo posto e senza di lui, probabilmente avrebbe fatto qualcosa di molto stupido ed auto-lesionista.

House era abituato a gestire il dolore, ma non significava che lo sopportasse.

Lui era abituato a tenere tutti alla larga ed a stare da solo.

Ma non era mai realmente solo.

Wilson era sempre stato al suo fianco, anche quando non s'erano rivolti la parola per mesi, anche quando House era finito in prigione.

Wilson sapeva che House avrebbe fatto qualcosa di molto stupido ed auto-distruttivo se lui...quando lui sarebbe morto.

E non poteva evitare di sentirsi responsabile per lui.

Foreman, in fondo, aveva avuto ragione.

Wilson era responsabile per House, sapeva che il suo migliore amico aveva bisogno di lui.

Ed era ben consapevole di quanto ciò era reciproco.

Aveva visto House affrontare la sua malattia in mille modi diversi.

Non era mai stato il tipo di persona che diceva “mi dispiace” e piangeva sulla sua spalla.

Ma aveva reagito alla malattia di Wilson urlando contro Taub, cercando di strangolare un paziente e fingendosi morto.

E chiudendosi a riccio.

Era questa la reazione che Wilson aveva visto negli ultimi tempi.

Coglieva lo sguardo di House su di sé, silenzioso come una carezza, ma carico di paura e timore.

L'aveva visto rimanere accanto a lui, sostenerlo quando stava male, stuzzicandolo quando stava bene, vegliando su di lui quando dormiva (e Wilson lo ritrovava seduto accanto al suo letto, le occhiaie profonde ed un ghigno stanco sul volto) e lottando silenziosamente al suo fianco, sempre accompagnato dalle sue battute sarcastiche e menefreghiste che nascondevano la sua vera paura.

Quindi glielo doveva.

Doveva lottare, se non per sé stesso, ma per House, perché non poteva rischiare di perderlo.


“Non ricordavo che soffrissi di mal di aereo.”

House fissava il finestrino senza realmente vederlo, sentendo lo sguardo su di sé dell'amico.

“Sto bene. Rimettiti a dormire.”biascicò.

L'aereo era immerso nella penombra, il cielo attorno a loro era nerissimo e puntellato di stelle.

Era uno spettacolo, ma House era troppo focalizzato su altro per pensarci.

Poi Wilson capì.

“Non è l'aereo. È la gamba, giusto?”

Era da una manciata di minuti che lo vedeva digrignare i denti e fissare il finestrino, senza realmente vederlo.

“House...”

“Sto bene!”sbottò a voce un po' troppo alta, richiamando l'attenzione di un hostess che lo zittì.

Wilson sospirò e frugò nella borsa, porgendogli la confezione di Vicodin.

Da quando erano in viaggio quelle erano state le unici antidolorifici che avevano portato con sé, dividendoli in caso di necessità.

House scosse il capo.

“Non fare l'idiota. Prendilo.”

House scosse il capo ancora una volta, mentre il dolore gli artigliava la carne.

Non poteva prendere il Vicodin.

Non se serviva anche a Wilson.

L'aveva visto raggomitolarsi su un fianco e gemere dal dolore, stringendo così forte i denti da farsi male e quelle dannate pillole erano state l'unico modo per calmargli il dolore.

Non era semplice procurarsi morfina terapeutica e dato che stavano tenendo il profilo basso (visto che House era legalmente morto e finire sui giornali per furto e spaccio di droga non era l'ideale...) non poteva sprecarle.

“Un whiskey.”chiese ad un hostess che passava, che gli riservò un'occhiata indagatrice prima di eseguire la sua richiesta.

Sentì l'alcool lenire in misura minore il dolore, ma quella era la sua unica alternativa.

Wilson l'osservò bere, a denti stretti, la mano artigliata sulla gamba ferita, gli occhi chiusi.

“Perché?”chiese dopo un lungo attimo di silenzio.

House non lo guardava.

“Se lo stai facendo per me...”

House sbuffò.

“Per chi diavolo credi lo stia facendo, altrimenti?”sbottò, nervoso.

“Non farlo.”disse Wilson, ma sapeva che le parole era inutili.

House era testardo ed incapace di esprimere i suoi sentimenti.

Wilson sapeva benissimo come tutta quella situazione lo stesse facendo soffrire come non mai, ma non era capace di parlarne.

Non voleva forzare House ad affrontare la sua malattia, perché non era disposto a farlo neanche lui.

Era fuggito lontano, aveva cercato di dimenticare ogni cosa, credendo che, non pensandoci, tutto sarebbe andato bene.

Ma non era così.

E doveva prendere in mano la situazione.


“Sarebbe questo?”

House alzò lo sguardo verso l'edificio di fronte a loro.

“Clinica Rocker. È l'unica qui sull'isola. In bocca al lupo.”

Il tassista li lasciò all'ingresso, sgommando via.

“In bocca al lupo? Ma dove accidenti mi hai portato?”

Quello sembrava tutto fuorché un'ospedale od una clinica sperimentale.

Sembrava più che altro un albergo di lusso a cinque stelle.

Era un edificio con almeno una ventina di piani, circondato da giardini e piscine ed affacciato sull'Oceano.

“Davvero, dove mi hai portato, H...Richard?”

House controllò nuovamente l'indirizzo sulla mail.

“E' questo.”

“Sembra più un hotel che un posto dove far esperimenti su malati terminali.”

House alzò gli occhi al cielo.

“Smettila.”

“Magari è un bel posto dove morire.”fece Wilson e prima che House potesse ribattere afferrò il trolley ed avanzò, guardandosi intorno.

Effettivamente quel posto era l'ultima cosa che s'aspettava.

Non aveva mai visto una clinica sperimentale, ma quella era decisamente...bizzarra.

Vide alcune persone con indosso camici che indicavano medici e pazienti, ma non sembrava affatto un'ospedale.

“Desidera?”

La donna alla reception lanciò uno sguardo ai nuovi arrivati.

Era molto carina, sulla trentina e sorrideva loro.

“Abbiamo un appuntamento con il dr Johnson.”rispose House, giocherellando con il suo bastone.

“Nome?”

“Wilson.”

“D'accordo. Il dottore vi riceverà tra un minuto.”disse la donna, dopo aver controllato il nome su un registro online.

House le lanciò un altro sguardo.

“Carina.”ammiccò a Wilson.

“Non sono qui per fare conquiste.”

Wilson lanciò uno sguardo alle pareti verde chiaro, alla fontana nell'atrio ed ai pazienti che camminavano avanti ed indietro, con indosso vestaglie, o camici od abiti normali, ma tutti con il bracciale identificativo.

“Stai bene?”

House notò il suo sguardo.

“No, è solo...strano.”

“Possiamo andarcene, se vuoi.”

Per quanto curioso fosse, House notò lo sguardo spaesato di Wilson.

“Mi hai fatto una promessa, ricordalo.”disse Wilson, senza guardarlo, concentrandosi sulla finestra che dava sul giardino in fiore e poi sull'acqua.

“Sì, la ricordo.”

Wilson annuì.

Si sentiva strano nel dover realmente affrontare il dr Johnson e parlare del suo futuro.

“Chi di voi è il signor Wilson?”

Un uomo sulla cinquantina si fece avanti, osservandoli.

Indossava un camicie bianco, sotto al quale portava jeans e maglietta di Bon Jovi.

“Lui.”

House indicò Wilson con la punta del bastone.

“E' un piacere. Io sono il Dr Everett Johnson. E lei è...”

“Richard Collins.”

House accettò la mano del dottore solo dopo che Wilson gli ebbe dato una gomitata nello stomaco.

Era ancora strano usare quel nuovo nome.

O fingersi educato quando cercava una nuova cura per Wilson.

“Seguitemi. Potete lasciare le vostre valigie all'ingresso e prenderle dopo, in caso la cura non vi interessi. Per chi di voi è?”

House si sentì immediatamente proiettato nel passato.

Quel tipo sembrava proprio un tipico insegnante che faceva domande e spiegava ogni cosa.

E dopo aver detto a Wilson qualche frase di circostanza (ed House si morse la lingua per non ribattere a tono per l'ovvietà della cosa) lo sentì parlare e descrivere la clinica in ogni suo aspetto.

“E' un edificio che fu fondato oltre 100 anni fa, nel 1798 da John Ricker. Ovviamente oggi è uno dei primi del settore della ricerca e della sperimentazione. Ci sono venticinque piani in tutto.

I primi 16 sono occupati da settori dell'ospedale, della ricerca e da camere operatorie, i restanti dagli alloggi dei pazienti. Ci sono circa 120 appartamenti.”

“Appartamenti? I pazienti vivono qui in pianta stabile?”

Johnson lanciò una breve occhiata a Wilson, annuendo, prima di riprendere il suo discorso.

“Tutti quelli che si sottopongono alla sperimentazione devono essere tenuti sono strettissima osservazione. E poiché molti vengono da altri Paesi abbiamo preferito creare alloggi per loro e chi li accompagna, come suo marito in questo caso.”

House sussultò.

Marito?

Ma che marito?

“Sono suo amico.”sbottò ed il dottore chinò lo sguardo, un po' a disagio.

“Scusate. Credevo...di solito i pazienti vengono qui accompagnati da familiari. Ho dato per scontato...”

“Parli della cura.”lo incitò House.

“E' una cura molto efficace. Non si usano né chemio né radioterapia qui. Stiamo brevettando l'uso dell'ipilimumab, che è un farmaco che colpisce il tumore e stimola il sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule cancerose.

Può essere preso sotto forma di pillole, ma di solito si inietta per endovena. Fa parte dell'immunoterapia, che mira a risvegliare la risposta del sistema immunitario.

Nel depliant ci sono scritte tutte le componenti ed i principi attivi del farmaco.

È in grado di contrastare qualsiasi tipo di tumore.”

Il dottore li condusse per lunghi corridoi illuminati dal Sole, sale operatorie, stanze vuote ed accoglienti, le varie sale della terapia, dove pazienti sedevano da soli od in compagnia alle prese con questa fantomatica medicina.

I risultati erano ottimi, House l'aveva letto sulla ricerca che aveva trovato ed il dottore stesso gliel'aveva confermato per e-mail.

Ma non voleva gettare Wilson nella bocca del leone senza aver controllato ogni piccola sfaccettatura di quella cura.

Aveva fatto una promessa, dopotutto.

“Come mai questo posto sembra un albergo?”chiese Wilson d'un tratto, dopo che il dottore ebbe mostrato loro il giardino sul retro.

C'erano altalene, panchine, gazebi immersi nel Sole.

“Lo era. Lo è stato per un certo tempo, poi decidemmo di trasformarlo in una clinica.

Vogliamo che i nostri pazienti si sentano a proprio agio, qui e che non ci sia l'impressione di stare in un ospedale o...”

“Di venire trattati come cavie.”finì House per lui, ricevendo un'occhiataccia.

Wilson sospirò.

House e la sua boccaccia.

“Signor Collins, qui abbiamo la massima cura dei nostri pazienti. Vengono qui per loro scelta e di certo noi non li costringiamo a fare nulla. Qui curiamo sperimentazioni per farmaci contro qualsiasi tipo di cancro o malattia ed i risultati sono ottimi.

La cura cui siete interessati ha dei rischi, ma tutte le cure ne posseggono.”

“Quali sono i rischi?”chiese Wilson.

“Lei che tipo di cancro ha?”

“Un timoma.”

“Capisco. L'ipilimumab attacca le cellule cancerose con particolare aggressività. Può compromettere il sistema immunitario, come fa la chemio, ma qui abbiamo trovato un modo per impedire il crollo dei globuli bianchi e la conseguente esposizione del corpo a mille pericoli ed ulteriori malattie.

I nostri studiosi hanno inventato una particolare cellula in grado di compiere le esatte funzioni dei globuli bianchi, dando il tempo e l'occasione al midollo osseo di produrre altri globuli, mentre la cellula li sostituisce. È una sorta di cellula staminale, in grado di sostituire per un certo periodo qualsiasi tipo di cellula compromessa.”

Detto così la cura sembrava geniale.

“Quali sono i rischi?”ripeté Wilson.

L'idea di sottoporsi ad una cura sperimentale lo terrorizzava, nonostante spesso ne avesse consigliate alcune ai suoi stessi pazienti.

Ma davvero non riusciva a fare il medico di sé stesso.

Se la cura era ancora in fase di brevetto significava che non tutto era rose e fiori come il dr Johnson voleva far credere loro.

Il dottore si passò una mano tra i capelli radi.

Erano ritornati di nuovo alla hall ed il medico sedette su un divano.

“Non è stata ancora brevettata perché ci sono dei rischi collegati al fegato. In particolare la cura è particolarmente aggressiva con esso, nonostante stiamo tentando di trovare una soluzione. Ecco perché i pazienti vengono costantemente monitorati.”

“Può attaccare il fegato?”chiese House, puntellandosi sul bastone.

“Non può, lo fa sempre. È un rischio quasi certo, anche se non avviene subito e ci dà tempo di preservare il fegato con altri farmaci. Ma nel 60% dei casi i pazienti hanno bisogno di un trapianto.”

Cadde il silenzio.

Prima che venisse interrotto dal bip del cerca-persone di Johnson.

“Io devo andare. È stato un piacere conoscervi. Mi faccia sapere se accetta di partecipare alla sperimentazione, signor Wilson. In ogni caso, in bocca al lupo per la sua guarigione.”

House e Wilson lo videro correre via.


La distesa d'acqua era immensa, dai colori che andavano dal verde chiaro al blu più profondo.

Il Sole illuminava la spiaggia, la cui sabbia sottile s'infilava tra le dita dei piedi.

Wilson affondò i piedi nella sabbia calda, fissando l'oceano dinanzi a sé.

Era una visione splendida ed allo stesso tempo l'atterriva.

L'atterriva quell'immensità, quell'infinito e la sensazione che lui fosse così...insignificante.

Il bastone non faceva rumore sulla sabbia, ma Wilson percepì la sua presenza prima ancora di vederlo.

House sedette sulla sabbia accanto a lui, rivolgendo lo sguardo alla spiaggia semi-deserta.

Wilson sentiva la domanda aleggiare tra loro, ma non disse nulla.

Sapeva cosa voleva sapere House.

Sapeva cosa avrebbe dovuto decidere.

Affondò i palmi nella sabbia calda, lasciando che gli scivolasse tra le dita.

Aveva paura.

Non tanto delle complicazioni al fegato di cui aveva parlato Johnson, quanto di sperare nella cura e vedere poi ogni cosa svanire nel nulla.

Non aveva intenzione di morire ed adesso perfino l'idea di vivere senza pensieri ciò che gli rimaneva gli sembrava assurdo.

Come poteva non pensarci, se era ben consapevole del rischio che stava correndo, del cancro che l'avrebbe ucciso?

E come poteva non fare nulla?

Quella cura...era...così allettante ed allo stesso tempo insidiosa.

Sapeva cosa significava cura aggressiva.

Sapeva che ci sarebbero stati giorni interi di dolore, in cui sarebbe stato piegato in due dal dolore, od a vomitare od incapace perfino di alzarsi dal letto.

Sarebbe stato troppo debole perfino per sollevare il capo, perché aveva visto come potevano ridursi i suoi pazienti.

Strinse la sabbia tra le dita, ma essa gli sfuggì, finendogli in grembo.

Sarebbe stato male.

Ma sarebbe stato male anche senza seguire la cura.

Sarebbe stato peggio e sarebbe morto.

Forse così...

“Cosa dovrei fare?”

Evitò lo sguardo di House, concentrandosi ancora sulla sabbia.

“Non lo so.”

La voce di House era stanca, Wilson lo percepiva.

Ma lo stupiva che non fosse pronto a nessuna battuta o consiglio od a spingerlo a scegliere.

Lo guardò.

House s'era tolto anche lui le scarpe e fissava il Sole che tramontava.

“Parlami.”lo incitò.

“E' una tua decisione.”

“E da quando non intervieni?”

House incrociò i suoi occhi.

Wilson attendeva una sua risposta, un chiarimento.

“Tu non vuoi morire.”mormorò.

“Nessuno vuole morire, House.”

Wilson abbozzò un sorriso, nervoso.

“La tua idea di vivere intensamente gli ultimi mesi per poi consegnarti nelle braccia della Morte non è andata secondo i piani. Perché?”

Wilson sospirò.

Ancora con quella domanda.

“House...io non lo so, va bene? Non...non è stata una così grande idea. Forse all'inizio, ma...”

“Ho delle responsabilità. Ho te di cui occuparmi. E tu crolleresti a pezzi se io morissi, House.”pensò, ma tacque.

House sembrava aver capito la ragione e per questo era restio ad acconsentire a quel cambiamento di rotta.

Non voleva che lo facesse per lui.

“Mi hai detto che la tua morte doveva essere tua e non doveva riguardare me.”

Wilson annuì.

Ricordava cosa aveva detto.

“Sono stato stupido a rifiutare le cure. Ho sempre spinto i miei pazienti a fare di tutto per sconfiggere il loro male, li ho indirizzati verso qualsiasi tipo di cura disponibile ed io mi sono arreso alla prima volta.”

“Avevi paura. Hai paura.”

Wilson annuì, senza guardarlo.

“Non è giusto. Non...voglio dover soffrire, né dovermi sottoporre ad una cura contro il cancro, ma se lasciassi perdere sarebbe come lasciarmi morire. E non voglio. Non voglio arrendermi.”

House abbozzò un sorriso.

Era da tempo che non lo sentiva parlare in un modo così determinato.

Era da tempo che non vedeva Wilson comportarsi da Wilson.

“Ora ti stai comportando come il vecchio te. È un sollievo. Mi chiedevo dove fosse finito.”

Wilson rise e fece per alzarsi in piedi, ma barcollò e si ritrovò disteso sulla sabbia.

House scoppiò a ridere.

“Sono io quello zoppo, ricordi? Dovresti avere un minimo senso dell'e...”

House non fece in tempo a finire la frase che Wilson l'afferrò per una gamba e lo fece ruzzolare accanto a lui sulla spiaggia.

“Bleah!”

House si tolse la sabbia dal viso e dalle labbra, mentre Wilson rideva.

Almeno prima che House gli tirasse addosso un grumo di sabbia bagnata che gli si spiaccicò tra i capelli.

“House!”


“Questo posto è incredibile.”

House si lasciò cadere sul letto, provando la morbidezza del materasso e dei cuscini di piuma d'oca.

“Aah!”sospirò. “Credo che rimarrò sempre qui a dormire.”decretò.

L'appartamento che avevano assegnato loro affacciava sull'oceano, come la maggior parte degli altri.

Era dotato di due camere da letto, bagno, un piccolo soggiorno e la cucina.

Anche la dispensa era piena di roba fino a scoppiare.

Gironzolarono per la casa, osservandola.

House afferrò un pacco di patatine, si gettò sul divano in soggiorno ed accese la televisione.

“Mi daresti una mano?”

“A far che? Hai intenzione di mettere in ordine come una casalinga disperata?”

Udì lo sbuffo di Wilson e ritornò a concentrarsi su una puntata di O.C.

Poi sentì un tonfo.

Scattò in piedi con il cuore in gola e zoppicò velocemente verso la camera da letto dell'amico...che trovò seduto sulla poltrona a fissarlo con espressione divertita.

Sul pavimento c'era un pesante libro.

“Idiota.”sbottò House, irritato e fece per andarsene.

“L'unico modo che ho per farmi aiutare è fingere di stare male?”

“Hai mai sentito parlare del racconto di colui che gridava “al lupo, al lupo”?”lo prese in giro House, appoggiandosi allo stipite.

“So che il ragazzino alla fine viene ucciso perché nessuno gli credeva.”

“Appunto. Sta attento!”lo provocò House e se ne andò, sentendolo ridere.


“La cura può provocare nausea, diarrea, vomito, mancamenti ed, in alcuni casi, allucinazioni.”

L'infermiera attaccò la flebo a Wilson, prima di sorridergli incoraggiante ed andarsene verso altri pazienti.

Wilson osservò il liquido giallastro del contenitore, sedendosi sulla poltrona ed aspettando l'esito della prima sessione di cure.

Era nervoso.

Ricordava benissimo come s'era ridotto quando aveva deciso di assumere quelle potenti dosi.

Era stata una mossa stupida ed autolesionista, in cui House aveva deciso di rispettare le sue decisioni ed acconsentire alla sua pazzia, nonostante fosse chiaramente contrario.

Ricordava i dolori atroci, la debolezza acuta, il vomito, l'umiliazione di non riuscire neanche ad arrivare in bagno da solo ed il dover usare pannolini per adulti ed House gli era stato accanto, somministrandogli antidolorifici, rinunciando al suo Vicodin per lui (cosa che aveva fatto ripetutamente in quell'ultimo mese e mezzo), sostenendolo quando doveva vomitare...

Ed ora non c'era.

Cercò di non dimostrarsi troppo deluso dal non averlo accanto, ma non poté evitare di dispiacersene.

Almeno finché lui non entrò carico di riviste, computer e cibo per un esercito.

“Ma cosa...”

House gli tese un succo di frutta.

“Avevo pensato ad una birra, ma sono le nove del mattino e non sarebbe l'ideale.”

Wilson abbozzò un sorriso quando House requisì una poltrona ed usò un'altra per posare i piedi, aprendo il pc sulle sue ginocchia.

“Ho scoperto che ti sono arrivate tantissime e-mail.”

“Hai frugato tra le mie e-mail?”

Ormai Wilson si chiedeva perché era ancora stupito da ciò che House faceva.

“Ti hanno scritto i tuoi genitori, che tra un poco mettono la tua faccia sui manifesti pur di ritrovarti, Chase, Foreman, un certo Warmen, il dr Nolan...come mai il mio psichiatra ha la tua e-mail? Poi Cameron, Taub, Thirteen, la Cuddy e mia madre.”

Wilson gli fece segno d'avvicinarsi, per leggere le mail.

Tutte, senza alcuna eccezione, gli chiedevano di tornare nel New Jersey, gli facevano le condoglianze per la morte di House, gli chiedevano come stava e cosa stesse facendo.

“Mia madre s'è lanciata in una filippica strappalacrime di come le manco, di come sa che tu stai soffrendo per la mia morte, dato che, cito testualmente, “Voi due eravate così uniti, così anime gemelle”, e che è idiota ed irresponsabile fuggire via, senza avvisare nessuno e senza dire dove stai andando.”continuò House. “E che questo è il comportamento di un uomo sofferente, che ha bisogno di aiuto e di compagnia. Questo lo dicono tua madre e tuo padre.

Inoltre, credo che la Cuddy sia ancora furiosa con me, perché dice che “House è stato tremendamente egoista ad entrare in quell'edificio. Folle dei suoi puzzle e di droga ha provocato la sua stessa morte, lasciandoti da solo. Non lo meritavi e non meritavi un amico che da te ha preso tanto e che poi ti ha lasciato.” Ouch...”

“Sarebbe quello che penserei anche io, se tu fossi realmente morto.”

Wilson gli tolse di mano il pc, iniziando a leggere i messaggi.

La Cuddy parlava di Rachel, di come stava crescendo, di quanto avrebbe voluto rivederlo e sapere che stava bene.

I successivi messaggi erano un continuo chiedere informazioni sulla sua salute e sulle ipotetiche cure che stava seguendo ed a cercare di confortarlo per la morte di House.

Era strano leggere cose del genere, perché lo spingevano a chiedersi cosa avrebbe realmente fatto se House fosse morto veramente e lui si fosse trovato da solo ad affrontare un cancro, senza il suo amico più caro.

Sentì le mani tremargli, mentre il cuore veniva stretto in una morsa.

“Ehi! Cosa...è possibile che la medicina stia già facendo effetto? Sei qui da dieci minuti!”

House osservò il medicinale, ma Wilson scosse il capo.

“Non è la medicina. Stavo solo pensando.”

“Vedo che ti fa male. Smettila e guardati un porno. Ho portato il computer per questo motivo.”

Wilson rise.

“Sono in una clinica privata. Non posso guardarmi un porno in una sala comune, H...”

“Rick.”

“E' strano doverti chiamare in un altro modo. Comunque, non sono tipo da porno. Sono più curioso di leggere cosa dice il dr Nolan. E poi devo rispondere.”

House lo guardò.

“Pensavo volessi tagliare i ponti.”

“Lo voglio. Lo sto facendo. Ma loro credono che tu sia morto e che io mi ritrovi da solo con un cancro. Devo dire loro che sto bene.”

Il dr Nolan era stato lo psichiatra di House, ai tempi del Mayfield Hospital e una figura che l'aveva consigliato anche in altre occasioni.

La sua mail era molto interessante.


“Il dr House è stato un mio paziente e mi è dispiaciuto molto sentire della sua morte.

So che lei ed il mio paziente eravate molto legati, perché House ha spesso parlato di lei durante le nostre sedute. È stato il suo migliore amico per anni e so che ha lottato a lungo per lenire un po' di quel dolore e quella malinconia che lo seguiva ovunque.

Non incolpi sé stesso di ciò che è accaduto. Credo che nessuno avrebbe potuto salvarlo.

Da ciò che ho potuto dedurre dalle nostre sedute House è sempre stata una persona molto sola, incapace di interagire con gli altri e di creare una relazione stabile con loro.

Prostrato dal dolore sia psicologico che fisico, dovuto al trauma alla sua gamba destra, ha sempre avuto difficoltà ad aprirsi con gli altri ed ha adottato quella tecnica di menefreghismo, odio verso gli altri e strafottenza.

Il dr House aveva un carattere molto difficile, più facile da odiare che da amare.

Ma lei è stata l'unica persona in grado di rompere quella sua armatura e di comprenderlo meglio. Dietro quell'aria di indifferenza, di rabbia malcelata, di dolore e anche di atteggiamento bastardo, House era una persona che aveva disperatamente bisogno di qualcuno che lo capisse, che lo guidasse, che fosse la sua coscienza e la sua speranza e questo qualcuno è sempre stato lei, dr Wilson.

Il dr House l'ha amata profondamente, anche se a livello inconscio. Lei era l'unica persona di cui House si fidasse veramente, al punto da rischiare la sua stessa vita per lei, al punto anche di morire, se necessario.

Nelle conversazioni su di lei House lasciava trasparire un profondo affetto nei suoi confronti, che non credo sia stato mai in grado di dimostrarglielo.

E credo che se fosse vivo in questo momento sarebbe accanto a lei a sostenerla nel suo viaggio verso la guarigione.

Le auguro il meglio.

Dr Nolan”


Wilson rimase ad osservare la lettera, incredulo, mentre House era alle prese con un videogioco sul game-boy.

Sapeva benissimo che House teneva a lui, ma era stupito dall'analisi del dr Nolan.

Il dr House l'ha amata profondamente, anche se a livello inconscio. Lei era l'unica persona di cui House si fidasse veramente, al punto da rischiare la sua stessa vita per lei, al punto anche di morire, se necessario.

Nelle conversazioni su di lei House lasciava trasparire un profondo affetto nei suoi confronti, che non credo sia stato mai in grado di dimostrarglielo.”

Inoltre, aveva anche previsto il reale comportamento di House che, effettivamente, gli era accanto e lo sosteneva.

“Hai letto il messaggio di Nolan?”

“Tutte psicostronzate. Forza, andiamo! Sì, 50 punti!”esclamò House, giocando con il game-boy.

“Ssh!”esclamò un'infermiera di turno.

“Penso che abbia ragione.”continuò Wilson, dopo che House si fu zittito. “Ha anche previsto che mi saresti stato accanto. Beh, lui non sa che sei vivo, ma comunque aveva ragione.”

“Anche sul fatto che sei la mia coscienza?”

“Soprattutto su quello!”rise Wilson.

  
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