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Autore: smile_book    24/12/2012    3 recensioni
"«Sei tutto quello che desidero per Natale» le dissi ansimando, in una breve pausa dal bacio appassionato.
«E tu sei tutto quello che io voglio per Natale» mi rispose a fior di labbra, prima di approfondire di nuovo il bacio.
Ed eccole, le ultime parole della canzone, che arrivavano ad accompagnare il nostro bacio pieno d'amore. Le stesse parole che ci eravamo detti noi due. Tutto quello che potevo chiedere nella mia lettera di Natale l'avevo appena avuto, ed era proprio di fronte a me.
Ho mai detto che amo il Natale?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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All I want for Christmas is you
 

 
 



«Allora? Che si fa adesso?» il suono martellante della campanella si sovrappose alla mia voce, ma parlavo forte quel tanto che bastava per farmi sentire.
Mi infilai con un gesto noncurante la giacca e mi annodai la sciarpa al collo, in attesa che la mia migliore amica finisse di mettere a posto le sue cose nella borsa. Che secchiona che era. Aspettava sempre che la campanella arrivasse a fare irruzione durante la lezione, annunciandoci che la tortura era finita, prima di riporre tutto il materiale al suo posto.
Forse mi sorprendevo perché ero un ragazzo e, come ogni maschio che si rispetti, ero un tantino strafottente nei confronti della scuola.
Ma, in fin dei conti, non cambiava molto se aspettavo o meno la campanella per prepararmi, perché in ogni caso, rimanevo ad aspettare che Grace finisse.
Osservai attentamente la mora.
Non era la prima volta che mi ritrovavo a fissarla senza un motivo preciso. Studiavo attentamente i suoi gesti abituali, le sue espressioni, da quella infastidita in cui arricciava il naso, a causa dello squillo assillante della campanella, a quella sollevata che sfoggiava una volta uscita dall'edificio.
E la ritenevo perfetta in tutti i casi. Sembrava un angelo. Non aveva gli occhi azzurri, o i capelli biondi, e non era una modella, ma chi lo diceva che gli angeli non potessero avere occhi neri come la pece, capelli scuri e fluenti e le curve al posto giusto?
Per me quella ragazza faceva invidia alle stelle stesse, per quanto brillava.
«Come cosa facciamo?» mi chiese guardandomi divertita. Quasi mi ero dimenticato di averle fatto una domanda. Sembrava passata un'eternità, invece che un minuto scarso «Non dirmi che ti sei dimenticato, Matt: oggi dobbiamo fare l'albero e preparare le lettere e addobbare la scuola di quei bambini» esclamò esaltata.
Mi venne voglia di sbattermi una mano in fronte. Me n'ero completamente dimenticato. O forse, era stato il mio cervello a rimuovere il ricordo di quando avevo accettato.
Mi si era parata davanti qualche giorno prima, a fine intervallo, mi aveva raccontato della chiacchierata che aveva fatto con la professoressa di religione, e me l'aveva chiesto. Era così vicina che io, essendo molto più alto, dovetti piegare di parecchio la testa per guardarla bene. Da quell'altezza sembrava che avesse gli occhi molto più grandi, o forse li aveva davvero, e io non me n'ero accorto. Le labbra rosee incurvate in un sorriso per nulla forzato, il naso all'insù, con qualche lentiggine spruzzata qua e là. Non avevo saputo dire di no a tutto quello. La mia forza di volontà da uomo era venuta a mancare. A dire il vero, mi ritenevo fortunato ad aver avuto la prontezza di riflessi per parlare. Sarei potuto rimanere in quello stato di agonia a vita: il cuore che minacciava di esplodere da un momento all'altro, lo stomaco tenuto in ostaggio da farfalle che di grazioso non avevano un bel niente, il sangue che ribolliva come olio in una pentola, e che andava ad affluire alle guance. Il ritmo del cuore era così accelerato che ero sicuro che anche Grace potesse sentirlo.
Ed avevo ceduto. Avevo esalato un ultimo respiro e, con i pochi neuroni che non mi avevano abbandonato, avevo elaborato quel 'sì'.
«Figurati se me l'ero dimenticato, pff» le uscite da coglione le facevo tutte io, mi era impossibile evitarle. Eravamo come due calamite di carica opposta, ci trovavamo sempre.
Grace annuì, fingendosi convinta delle mie parole «Certo... e, naturalmente, sai anche che dovrai essere qui alle cinque in punto, giusto?»
«Alle cinque?» chiesi con gli occhi fuori dalle orbite «Grace, lo sai che c'è la partita alle cinque e mezza!» protestai debolmente.
Scacciò le mie proteste con un movimento seccato della mano «Puoi vedere la replica, pensa a quei poveri bambini che magari a casa nemmeno ce l'hanno la televisione»
Colpo basso.
Quella streghetta sapeva bene che non ero in grado di resisterle quando faceva la santarella. Andavo completamente in tilt, più del solito intendo. Ovviamente anch'io tenevo molto a quello che stavamo facendo, ma si sa che il calcio è una tentazione forte da resistere per gli uomini.
Mio malgrado, dovetti darle ragione. La partita potevo vederla in qualsiasi momento, di impegni migliori non ne avevo, e di studiare il sabato sera non avevo genio. Non avevo scusanti «Sei proprio una stronzetta» le dissi sorridendo.
Le si formò un sorrisetto compiaciuto sulle labbra «Lo so»
Sbuffai e le misi un braccio intorno alle spalle, per poi portarla a forza fuori dalla scuola. Non ne potevo più di quel vociare continuo e del chiasso che facevano i ginnasi.
 
 
Le cinque. Erano arrivate finalmente. Avevo fatto il conto alla rovescia per tutto il tempo che non ci eravamo visti. Ed ero lì, davanti al portone tetro e vandalizzato della scuola, che sembrava avere scritto in alto, a lettere cubitali 'ANDATEVENE FINCHE' SIETE IN TEMPO'. Invitante, no?
Beh, fosse stato per me, non me lo sarei fatto ripetere due volte, ma c'era lei a trattenermi. Cosa non avrei fatto per lei...
Erano ormai... sei mesi? Sì, sei mesi, mese più mese meno, che mi ero accorto di essere incondizionatamente, follemente, pazzamente innamorato di lei.
Non ricordo con precisione il momento esatto in cui me n'ero accorto, era stata una consapevolezza che avevo acquisito con il tempo. Verso fine maggio, quando era chiaro a tutti, tranne che a me e Grace, che provavo qualcosa per lei, quei coglioni dei miei migliori amici, mi avevano fatto fare una sorta di seduta psichiatrica. Quella tortura era durata due ore, due ore in cui mi avevano fatto il lavaggio del cervello pur di farmi capire che non avevo scampo. Ero 'fritto', come diceva John.
Ma mi sbagliavo a considerare quelle due ore una tortura. La vera tortura era iniziata quando avevo realizzato che avevano ragione.
Da lì, era stato un continuo vivere appeso ad un filo. Ogni volta che la vedevo, da un lato volevo scappare via, dall'atro l'avrei voluta abbracciare e baciare senza preoccupazione. Volevo fosse mia.
Con il passare dei mesi la sensazione di paura, e quindi la voglia di scappare via, si era dissolta, lasciando dominare il desiderio di averla tutta per me.
Il mio flusso di ricordi mielosi fu interrotto dallo squillo del cellulare.
Era John.
«Che vuoi?» risposi, con il mio solito garbo.
«Siamo di buon umore, vedo, eh Romeo?» ironizzò il tutto, come suo solito «Volevo solo dirti che ci sono anche Zac, Rob e Terry a casa mia, abbiamo i pop-corn e stiamo per guardare la partita, ciao!»
Riattaccò.
Scossi la testa. Doveva essere stata un'idea di Zac, l'altro coglione che portava il titolo di mio migliore amico. Si erano riuniti tutti insieme e mi avevano chiamato per farmi sentire un grande idiota. Ci erano riusciti. Loro erano lì a godersi del sano e genuino calcio, e io ero fermo come un imbecille fuori la scuola, solo come un cane, il sabato sera.
«Ciao» mi salutò con un bacio sulla guancia Grace. Non l'avevo nemmeno sentita arrivare. Feci un balzo all'indietro e gridai spaventato.
Scoppiò a ridere. Non potevo biasimarla «Ti sei spaventato?»
«Ma chi? Io? Tzè.. Figurati»
Annuì, ancora ridendo «Che idiota..»
Mi beai di quella visione. Ritirai tutto. Non ero io lo sfigato, erano loro. Io ero qui, con davanti la ragazza più bella, dolce, gentile, divertente e intelligente del mondo, mentre quei quattro dementi erano in una casa a vedere altri undici cretini sudati che correvano dietro ad un pallone. No, non ero io l'idiota.
Solo dopo mi accorsi che Grace non era sola. Dietro di lei c'erano una decina di persone. All'incirca otto ragazze e due ragazzi. C'era chi ci guardava intenerito dalla scena, chi noncurante, chi invidioso e chi annoiato a morte.
«Beh, dopo questa figura di merda, propongo di proseguire» il mio non era un consiglio, era proprio un ordine, e lo capirono tutti. Non volevo più essere sotto i loro sguardi pesanti. Non era come essere guardato da Grace. Lei ti accarezzava con lo sguardo, sembrava lasciare piccoli baci sui punti che ricadevano sotto i suoi occhi. Sarei restato ore e ore a farmi guardare da lei, mentre da quei ragazzi non volevo restarci un secondo di più.
 
Erano passate due ore. Erano le sette, e stavamo finalmente per finire. Ci eravamo divisi in due gruppi da sei. Il primo gruppo, di cui facevamo parte io e Grace, era subito andato nella scuola elementare poco distante da lì, mentre gli altri avevano prima finito di addobbare l'albero del nostro liceo.
In fondo era quasi Natale, e non avrebbe fatto male un'atmosfera natalizia anche a scuola. Ed era proprio quello che avevamo fatto per due ore. Nella scuola elementare dove ci eravamo recati non c'erano molti soldi e ci eravamo occupati di sistemare gli alberi di natale, e di smistare i vari regali che si erano fatti i bambini. Inoltre, in ogni classe avevamo appeso decorazioni alle finestre e sulle pareti. In più, tanto per mettere alla prova la mia resistenza, mi avevano incaricato di andare a spedire il ricavato del banchetto di beneficenza ad un'associazione di cui non ricordavo il nome.
Finii di attaccare delle formine natalizie alla finestra di una classe e andai a cercare Grace, il motivo per cui ero lì.
Molti dei ragazzi se n'erano già andati, eravamo rimasti solo noi e qualche altro ragazzo che probabilmente non aveva nulla da fare.
La trovai poco dopo nell'atrio, che tentava debolmente di appendere un rametto di vischio ad una porta.
La guardai ridacchiando per i primi due minuti. Era buffa e anche goffa, ma era anche per questo che la trovavo irresistibile.
Alla fine mi decisi ad aiutarla, ma prima che potessi aprire bocca un'altra voce ruppe il silenzio.
«Mi aiuti o preferisci restare a prendermi in giro un altro po'?» chiese voltandosi Grace, un sorrisetto divertito, le mani sui fianchi.
Deglutii e mi avvicinai.
«Sei proprio una nana» proclamai, dopo aver appeso il vischio.
«E tu un buffone» disse mettendo su il suo adorabile broncio.
Sbuffai «Ti rendi conto che questo buffone è qui con te ad aiutarti il sabato sera, rinunciando alla partita e ad una serata tra uomini?»
Scoppiò a ridere «Oh, andiamo, lo so che in realtà ci tieni anche tu, altrimenti perché saresti qui?»
«Già..» il sorriso sparì dal mio volto. E se quello fosse stato il momento giusto? Se fosse arrivato il momento di dirglielo? Avevo aspettato abbastanza. Non ce la facevo più a guardarla e trattenermi dal gridarle 'ti amo'. Il massimo che poteva succedere era che mi rifiutasse, e  che rovinassi un'amicizia, e che cominciasse a considerare una di quelle ragazze con cui usciva di solito la sua migliore amica. Okay, dovevo ammettere che non era esattamente una bella prospettiva, ma non ce la facevo davvero più. Tutti mi avevano sempre incoraggiato a dirlo, mi dicevano che dovevo rischiare, che non sarei stato rifiutato, che anche lei provava qualcosa ed era palese.
Io non me ne accorgevo. Non vedevo nulla, se non lei. E non mi sembrava di vedere l'amore che vedevo nei miei occhi quando mi guardavo allo specchio.
«Ehi, ci sei?» mi sventolò una mano davanti alla faccia, sorridendo. Ero talmente perso nei miei pensieri che quasi mi spaventai, e barcollai all'indietro. Inciampai nello stereo e rovinai a terra.
La risata cristallina di sottofondo di Grace non mancò.
Scossi la testa. Tutte a me capitavano.
Mentre mi offriva la mano partirono le note di 'All I want for Christmas is you'. Quando mi fui rialzato Grace fece per spegnere, ma io la fermai. Se quella era la mia occasione, non volevo sprecarla.
In risposta al suo sguardo confuso, le presi la mano e la portai poco più al centro. Posizionai le mani sulla sua vita e iniziai a danzare. Le sue mani non tardarono a stringersi attorno al mio collo, e i suoi piedi cominciarono a ballare seguendo i miei.
«Per te, Grace, per te sono qui, è sempre tutto per te, sempre» dissi tutto d'un fiato. Quasi non mi sembrava vero che ero riuscito a dirglielo. Mi sembrò che qualcuno mi sollevasse un macigno dallo stomaco. Mi sentivo libero, sincero, come liberato da un vincolo. Stavo bene, finalmente.
E lei... beh, lei era bellissima. Era arrossita di parecchio, aveva abbassato gli occhi ed aveva cominciato a stringersi di più a me. Stavo letteralmente scoppiando. Mi sentivo al settimo cielo.
Non parlammo mai, ci scambiammo sorrisi felici e sguardi d'intesa.
Verso la fine della canzone mi distrassi a guardare i suoi occhi, in contrasto con i miei azzurri. Mi persi un po' troppo ad ammirare i suoi lineamenti, le sue labbra, e questa perdita di lucidità mi costò lo spezzamento di quella magia. Infatti inciampai poco dopo, per la millesima volta, e trascinai giù con me anche Grace. Nella nostra caduta disastrosa andammo anche a sbattere, non troppo forte, contro la porta dove avevo appeso il ramo di vischio. Non ci facemmo nulla, ma la nostra botta comportò la caduta del ramo, che finì sulla testa di Grace, impigliato tra i suoi boccoli scuri.
In conclusione, ci ritrovammo a terra, lei sopra di me, con un rametto di vischio sulle nostre teste, i cuori a mille e le note finali della canzone natalizia più romantica del secolo.
Il mio cuore non poté non scoppiare di gioia quando Grace non si scostò dal contatto della mia mano con la sua guancia, anzi. Si avvicinò ancora di più, ed io istintivamente feci combaciare le nostre labbra. Sentii letteralmente i fuochi d'artificio. Inutile elencare le migliaia di sensazioni che mi vorticavano nello stomaco. Il cuore stava per esplodere, ammesso che non fosse già successo, il cervello non riusciva a pensare ad altro che alla morbidezza delle labbra di Grace, e gli arti si preoccupavano solo di avvicinarla di più.
«Sei tutto quello che desidero per Natale» le dissi ansimando, in una breve pausa dal bacio appassionato.
«E tu sei tutto quello che io voglio per Natale» mi rispose a fior di labbra, prima di approfondire di nuovo il bacio.
Ed eccole, le ultime parole della canzone, che arrivavano ad accompagnare il nostro bacio pieno d'amore. Le stesse parole che ci eravamo detti noi due. Tutto quello che potevo chiedere nella mia lettera di Natale l'avevo appena avuto, ed era proprio di fronte a me.
Ho mai detto che amo il Natale?







*Angolo autrice*

prima di tutto, buon Natale a tutti. gvefcbhxk
la mia vigilia non è iniziata esattamente come volevo, ma non importa.
adesso è tutto a posto, più o meno, e mi sono ricordata che non avevo ancora postato la os natalizia che progettavo d aun po'.
beh, ora l'ho fatto. chiedo umilmente scusa(?) per tutti gli errori di grammatica e perché fa un po' cagare. ewe
lo so, lo so.. me la immaginavo molto meglio. lol
okay, non so più che dire..
spero vi piaccia,
buon Natale,
-l.
  
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