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Autore: Melanto    25/12/2012    7 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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Nota Iniziale: vi avevo promesso che l’Epilogo ve lo avrei dato tutto intero, indipendentemente dalla sua lunghezza perché, diciamocelo, la chiusura non poteva andare spezzata.
Mi perdonerete, quindi, questo mattoncino di 36 pagine, vero? :P
Ho aggiunto poi una serie di FANART e trovere i link in basso, come sempre. Ve ne ho parlato ora perché la nota finale è tutta dedicata ai ringraziamenti. :3

Questo è il mio regalo per voi, auguro a tutti un felicissimo Natale; ci rileggiamo nella nota di chiusura.
Buona lettura!

ELEMENTIA
- The War -





EPILOGO: La Fiamma nel Vento

Raskal, Capitale del Regno degli Ozora - Terre Centrali

La primavera perenne di Raskal sbocciava in ogni angolo della Capitale.
Non importava che il Nord avesse affrontato una sanguinosa battaglia né che una guerra avesse fatto tremare il pianeta. La primavera di Raskal era sempre lì. Sicura come il ‘nascere-crescere-morire’, e immutabile come il diamante.
Le guerre erano faccende umane, la primavera era affare della Natura e non si sentiva inadeguata a risplendere in tutta la sua bellezza nei fiori che riempivano gli alberi e i cespugli, nel verde delle foglie che stormivano alla brezza leggera, nella limpidezza delle acque e del cielo. Non si sentiva inadeguata nemmeno allora, che l’Armata Reale stava rientrando, calcando l’immensa Via Crociata che attraversava la città e la collegava a tutte le altre più importanti dei Regni degli Ozora.
La gente era accorsa, accalcava i marciapiedi e dai balconi si vedevano sventolare vessilli e fazzoletti, qualcuno lanciava fiori ai cavalieri che tornavano vittoriosi e pochi si accorgevano, ancora presi dall’euforia, che i loro volti erano diversi da quelli di coloro che erano partiti.
Solo le madri, le mogli, i padri e i figli, i fratelli e le sorelle iniziavano a cercare, a scrutare se sotto quelle celate, molto spesso abbassate, si nascondessero le persone a loro care. Qualcuno trovava il sorriso dopo mesi di attese e ad altri restava l’amaro dell’attesa ancora lungi dal finire.
Ma si festeggiava, si gioiva. La guerra era finita, il Principe era salvo e calcava la Via al fianco del padre. Una mano levata per salutare i suoi cittadini, l’altra stretta saldamente alle briglie per sfogare l’amaro della gioia che non era stato in grado di portare per tutti.
Hongo e Hino erano al fianco del sovrano e del Principe, rispettivamente. Fieri e dalla testa alta. Il Primo Ufficiale mostrava un mezzo ghigno felice di essere tornato, ma con la mente che pensava alle parole di commiato che avrebbe dovuto stilare nelle migliaia di lettere assieme al Comandante. Lettere che sarebbero partite per tutte le Terre Centrali e del Sud. Lettere d’addio.
Il corteo sfilava, come la primavera di Raskal fioriva, e andava bene lo stesso perché avevano versato già abbastanza lacrime e ora bisognava solo guardare al futuro.
Il castello, di lontano, sembrava irraggiungibile tanta era la folla.
La delegazione da Nankatsu era già arrivata e la Regina Natsuko aveva finalmente ritrovato il sorriso; così dicevano tutti. Aveva ripreso a uscire dal palazzo, a incontrare i sudditi. Era tornata a essere Moglie di Re e non solo moglie o madre.
I festeggiamenti per l’incoronazione e il matrimonio si sarebbero svolti da lì a una trena, il tempo di far riprendere i viaggiatori dai circa sei mesi di marcia, mentre per le ore di battaglia non sarebbe bastata una vita intera.
Ma andava bene. Si festeggiava, si gioiva. La guerra era finita.
I Consoli di Terra e Aria venivano subito dopo i Reali e i primi ufficiali dell’Armata. Con loro vi erano le delegazioni che avevano portato al fronte, maghi provenienti da tutte le scuole e i quattro Elementi che avevano attraversato il mondo.
Il popolo era ancora ignaro di ciò che avevano fatto, della grande impresa che avevano compiuto e chi li osservava, li salutava come ammirevoli servi delle Dee, senza sapere che loro, delle Dee, erano i ‘prediletti’. La Chiave restava tra loro quattro, giusto al centro; il popolo ignorava anche lei.
Mamoru aveva le testa alta ma le labbra tese, dritte. Guardava avanti e non girava il viso neppure per parlare con Yuzo, al suo fianco. E tanto Yuzo non parlava, aveva un’espressione che sembrava lavorata nella cera. Non sorrideva né era arrabbiato, non era triste né sollevato. Non era.
Anche Ryo era stranamente silenzioso da che erano entrati in città.
Teppei era stato l’unico che aveva provato a strappargli una risata, ma poi aveva smesso, anche lui preda di una strana sensazione di disagio, malessere. Un dolore che non era fisico.
Hajime, al suo fianco, tirava sospiri profondi con cui scandiva il ritmo degli zoccoli che battevano il suolo.
Ma andava bene. Andava bene.
La guerra era finita.
“Odio la folla.” Mamoru ruppe il silenzio e Yuzo il suo viso di cera.
“Non è la folla, quanto la loro gioia.”
Mh.”
“Torneremo ad abituarci anche a questo.”
Mamoru si volse. “Lo faremo?”
“Se abbiamo salvato il mondo, perché fallire questa ultima missione?” Yuzo gli sorrise; con un po’ di sforzo, era vero, ma il tentativo c’era.
“Già. Perché?” sorrise di rimando. Poi levò lo sguardo al cielo e ammiccò. “Niente male come sfida.”

I tre giorni passarono più in fretta di quanto chiunque avesse mai potuto pensare.
Gli abbracci del ritorno, le lacrime di gioia e quelle di dolore, le dichiarazioni d’amore già vergate su carta ma che finalmente sfociavano in una vera proposta di matrimonio, anche se lo sposalizio era sempre stato più che ovvio, si erano susseguiti con un ritmo frenetico.
E poi il confezionamento lampo degli abiti, gli ultimi ritocchi, il discorso alla popolazione, l’arrivo dei ritardatari. Tutto svelto, tutto veloce. Il tempo di chiudere gli occhi in un letto così grande da poterci entrare in quattro e poi risvegliarsi che il giorno era giunto.
Le trombe suonavano a festa, al castello, facendosi eco con le campane del Tempio Maestro. Solitamente, sarebbe stato al suo interno che si sarebbe svolta la cerimonia di nozze, ma la gente era così tanta e il Tempio, per quanto enorme, improvvisamente così piccolo che sarebbe stato impossibile che tutti potessero assistere.
Però Tsubasa era stato categorico: voleva che il popolo potesse assistere quanto più possibile, perché quello sarebbe stato un giorno importante anche per loro. Così si era deciso che – in via del tutto eccezionale – la cerimonia nuziale, l’incoronazione e la presentazione della Chiave sarebbero avvenute nella Grande Arena dove di solito si consumavano le giostre e le manifestazioni tra le scuole elementali. L’Arena era vicina al Tempio Maestro, dedicato a tutte e quattro le Dee, e il Principe aveva deciso che il corteo vi sarebbe passato attraverso per porgere omaggio alle Divine e poi andare oltre.
Il castello si era svegliato all’alba, anzi, molti dei servitori non erano proprio andati a dormire e vi era un via vai di quelli in cui era meglio rintanarsi in un angolo e aspettare, prima di venirne travolti.
Ed era questo che Mamoru aveva deciso di fare.
Aveva scelto il suo angolo e vi si era nascosto. Qualcuno sarebbe venuto sicuramente a chiamarlo quando sarebbe stato il momento di andare, ma nel frattempo voleva godersi la calma dell’unico posto del palazzo che lo aveva fatto sentire profondamente a proprio agio fin dalla prima volta che vi aveva messo piede.
La terrazza dei ciliegi era proprio come la ricordava. Sembrava che il tempo non fosse trascorso e gli alberi avevano fiori a non finire sui rami, dalle fronde ricolme e colorate, mentre altrettanti petali erano disseminati al suolo. Qualcuno turbinava giocoso attorno alle sue gambe per il tempo in cui restò poggiato al muretto della balaustra.
Di lontano si vedeva la città, di sotto la frenesia dei servi.
Mamoru si era alzato presto quella mattina. A dirla tutta, erano tre giorni che non dormiva un granché e non perché il letto non fosse comodo. Dannazione, a volte aveva il terrore di sprofondarci dentro tanto da non riuscirne più a venire fuori per quanto era morbido. Il fatto era che aveva perso l’abitudine a un sonno tranquillo. La sensazione di doversi svegliare presto, fare i bagagli e ripartire, oppure andare a zonzo per la città di turno e cercare informazioni sul Principe faticava ad abbandonarlo.
Nei mesi successivi alla battaglia aveva sentito di meno questo disagio, perché c’erano state altre incombenze e poi aveva dovuto far fronte alla convalescenza per rimettere in piedi il suo spirito. Ed era stato bravo: non aveva usato i poteri lungo tutto il tragitto per raggiungere Raskal. Yuzo l’aveva controllato a vista. Diciamo pure che non aveva potuto usarli, anche perché gli occhi del volante non erano stati i soli a essere stati attenti: Hajime e Teppei gli avevano dato manforte, figurarsi. Ad ogni modo, forse avrebbe dovuto ringraziarli perché ora sentiva di stare bene davvero.
Quando si era svegliato, il giorno dopo il loro arrivo, aveva addirittura provato a far brillare una fiamma. Questa si era accesa vitale e calda tra le sue dita e il petto non gli aveva fatto alcun male, neppure un leggero bruciore.
Distese le braccia sul bordo spesso del muro in roccia, lasciando che le mani restassero penzoloni nel vuoto. Il metallo che aveva addosso tintinnò al movimento.
L’alta divisa da Elemento di Fyar gli era stata consegnata la sera prima. Perfetta e lucente. Quella mattina l’aveva indossata ed era la prima volta dopo tanto tempo. L’alta uniforme non si usava spesso, se non in occasioni ben più che speciali e nella sua carriera scolastica erano state molto poche, ma quel giorno rientrava nelle famose occasioni e quando si era guardato allo specchio gli aveva fatto uno strano effetto.
Si era visto adulto.
Più di quanto avrebbe creduto.
E solo quando si era posto l’axas fyarish nei capelli si era accorto quanto si fossero allungati. E sì che li aveva spuntati alla buona durante tutto il viaggio; avrebbe dovuto affidarsi a un barbiere degno di questo nome. Eppure non era questo ciò che davvero lo lasciava lì a pensare e a stare lontano dai rumori e dagli schiamazzi.
Inspirò a fondo e intrecciò le dita.
Il loro tempo stava finendo. Era anche per quello che non era riuscito a prendere sonno nei giorni precedenti. Quelli erano gli ultimi momenti prima che le loro strade fossero tornate a separarsi. Prima che Yuzo fosse tornato ad Alastra e lui a Fyar Major. E non aveva ancora preso una decisione, non aveva ancora trovato il coraggio necessario per dirgli come le cose fossero cambiate. Come lui fosse cambiato e come fosse cambiato anche il loro rapporto.
Si era chiesto più volte se il volante se ne fosse accorto e spesso si era risposto di sì, ma era anche vero che il giovane aveva mantenuto un comportamento coerente con la loro evoluzione, tranquillo, rilassato. Niente che potesse fargli capire che forse aveva compreso esserci anche dell’altro. Sarebbe quindi toccato a lui dirglielo… dirgli che…
“Avevo pensato ti fossi rintanato qui.”
La voce di Yuzo arrivò alle sue spalle distraendolo all’improvviso. Si volse. La sua figura in bianco e azzurro risaltava così tanto nel rosa dei ciliegi da farlo sembrare quasi un’apparizione. La stessa fuggevolezza delle Silfidi, colorate di nebbia e nuvole.
L’alta uniforme degli alastri era sobria ed elegante proprio come aveva pensato; forse era la prima volta che si soffermava ad osservarla con attenzione. Fino a un paio d’anni prima non avrebbe provato interesse per nient’altro che non riguardasse sé stesso o la propria scuola. Ora, invece, i suoi occhi seguivano l’alastro che camminava nella sua direzione facendo scivolare le iridi al movimento dei suoi passi come i petali di ciliegio gli scivolavano dalle spalle fino ai piedi.
La giacca lunga aveva un collo asimmetrico e terminava in due code laterali. Si avvitava seguendo la linea del corpo e si chiudeva alla cintola con un fregio d’argento al cui centro risplendeva un cristallo di rocca di foggia rotonda. La sua lavorazione lasciava che le venature dei piani di rottura interni si vedessero e intricassero tra loro, tanto da rendere l’illusione che del vento vi spirasse all’interno. Altri fregi d’argento erano posti ai due lati del colletto rigido e legati tra loro attraverso sottili catenelle. Il terzo era sulla spalla sinistra. Le maniche della giacca arrivavano appena più giù dei gomiti e il suo colore era un continuo rincorrersi di bianco e azzurro che sfumavano l’uno nell’altro. Ad ogni movimento, il tessuto leggero dei pantaloni gli sfiorava la pelle, lasciandola scoperta dalle caviglie fino ai piedi, dove dei semplici sandali, anch’essi rifiniti in argento, pestavano il terreno senza fare rumore.
“Non ero riuscito a trovarti in giro e nessuno sembrava averti visto” continuò il volante. “Ho pensato che avessi preferito cercare un posto più tranquillo.”
“E mi hai trovato.”
“Oh, ma io ti trovo sempre.” Yuzo si poggiò con le braccia al muricciolo, accanto a lui.
Mamoru inarcò ironicamente un sopracciglio. “Ah, sì? Lascio mica una scia di bricioline?”
“Anche tu riesci sempre a trovarmi. Significa che anche io lascio una scia?”
Eccolo lì che diceva quelle determinate cose con una tale semplicità da farlo arrossire, tanto che fu costretto a guardare altrove affinché l’altro non lo notasse.
I capelli oscillarono al movimento e stavolta fu il volante a osservarlo meglio.
“L’axas ti sta molto bene.”
Le dita di Yuzo scivolarono tra i pendagli del fermaglio in ossidiana rossa che solo gli Elementi di Fuoco indossavano. Nel nero dei crini di Mamoru, il rosso del vetro vulcanico prodotto esclusivamente dal Raiju Mountain risaltava come una fiamma viva.
La Fiamma si volse nell’avvertire la presenza della sua mano e non si ritrasse ma osservò il modo in cui gli sorrideva: il viso poggiato nell’altro palmo.
Lui lo pungolò, forse perché non avrebbe saputo che altro fare.
“Conosci anche l’axas fyarish?”
“Sono un secchione, non ricordi? Comunque credo che a breve verranno a chiamarci. Ho visto alcuni stallieri sellare i cavalli. Ormai ci siamo.”
Il giovane ritrasse le dita e lui non le fermò. Si costrinse a non farlo.
“E allora, secchione” sbottò invece, girandosi completamente verso la città e assumendo la sua aria un po’ supponente. Non sapeva come dirglielo, non ci riusciva in nessun modo così cambiò discorso in maniera quasi autolesionista. “Ancora un po’ e sarà davvero finita. Missione compiuta. Immagino che non starai più nella pelle all’idea di liberarti di me.”
“Non è mica un addio” commentò Yuzo con semplicità. Una stretta nelle spalle e lo sguardo puntato anche lui allo scorcio di Raskal, lontano.
“Oh, lo so, ma non mi sentirai borbottare per un po’. Non dirmi che non è un’idea allettante.”
“Puoi sempre venire ad Alastra. Mi sono già accordato con Hajime e Teppei e li andrò a trovare.”
Mamoru si volse guardandolo con l’espressione più disgustata e terrorizzata al contempo che potesse fare. Era una smorfia così buffa, che Yuzo sbottò a ridergli praticamente in faccia.
“Ad Alastra?! Dico… mi vuoi così male?! Nel covo dei piccioni?! Passi per te, ma non credo potrei reggere circondato da tutti quei volanti! Siete migliorati ai miei occhi, ma non fino a questo punto, eh!”
Yuzo cercò di recuperare un certo contegno e strinse le labbra, soffocando le ultime risate. Senza perdersi d’animo propose: “Allora potrei venire io.”
“A Fyar Major?” Stavolta, all’orrore si sostituì un’espressione di pura sorpresa. I tratti di Mamoru non erano mai stati tanto animati come in quelle poche battute. Guardò il volante fisso negli occhi, sbattendo le palpebre e l’altro non si scompose, ma gli sorrise.
“A Fyar Major.”
“E non temi di essere bersaglio delle punzecchiate di burberi fyarish?”
“Ormai ho un’esperienza così profonda con questo genere di cose che, vedrai, saprò tenerli tutti a bada. Non temere.”
Stavolta fu il turno di Mamoru di ridacchiare e lo fece scuotendo il capo. Non aveva dubbi che li avrebbe saputi tenere al loro posto, ormai aveva pratica da vendere e una sfacciataggine che aveva appreso direttamente da lui, il Re della Faccia Tosta. Avrebbe mai potuto, il suo discepolo secchione, fallire l’esame pratico?
Spostò di nuovo lo sguardo alla città e lasciò che le risate si spegnessero nuovamente in un’espressione più serena.
“Sei davvero pronto per rientrare a scuola?” Gli chiese poi, perché non gli piaceva restare troppo in silenzio con Yuzo, in particolare quando il silenzio si faceva denso di parole non dette. “Cosa farai?”
Il volante si strinse ancora nelle spalle. “Quello che faranno un po’ tutti, immagino. Terminerò gli studi; si tratta di un solo anno, dopotutto.”
“E poi?”
“E poi…” L’alastro lasciò che una pausa più lunga separasse i pensieri dalle parole. A Mamoru sembrò che ne stesse prendendo vera coscienza solo in quel momento: ciò che desiderava diventava reale e non più solo un pensiero vagante tra mille altri. “Vorrei andarmene.”
“Cosa? Ma non eri tu quello che desiderava diventare Magister?”
“Sì, lo desideravo.” Yuzo si sfregò piano le mani e le guardò con un sorriso consapevole. La Fiamma pensò che doveva davvero aver lavorato tanto su sé stesso, da scendere a patti con tutto quello che si era lasciato alle spalle da quando era partito da Alastra. Ed erano parecchie cose, migliaia di ‘non detti’ e cognizioni tenute a bada dall’Autocontrollo. “Ma solo perché avevo paura di affrontare il mondo esterno. Il diventare insegnante mi avrebbe tenuto al sicuro, protetto. Adesso so di non aver bisogno di alcuna protezione, perché non c’è nulla da cui debba proteggermi. Elementia ha ancora tanti luoghi che vorrei visitare, ma la verità… è che credo che tornerò a Sendai.”
“Sendai?”
Mh.”
Mamoru scosse il capo e il tono preoccupato delle sue parole si attirò lo sguardo del compagno. Non poteva negare che quella scelta l’avesse colpito, ma non sorpreso. Forse, dentro di sé, Mamoru aveva sempre saputo che se ci fosse stata anche la più piccola possibilità di tornare lì, Yuzo l’avrebbe colta. Lui però non era convinto. “Non credo sia una buona idea. Lo sai cosa sei per quelle persone-”
“Lo so, ma non voglio essere solo quello. So che nella zona c’è scarsezza di Minister e il mio aiuto a loro farebbe comodo. Vorrei mettere i miei poteri al servizio della ricostruzione. Voglio dimostrare di non essere solo un mostro.”
“Smetti di usare quella parola.” Mamoru lo guardò e Yuzo colse un moto di stizza nel tono e nello sguardo. Non si scompose.
“Ma è la verità.”
“No. Non lo è. Affatto. Non c’è niente di mostruoso in te.”
“Sai che non è così-”
Mamoru batté un pugno sul muro. Negli occhi la pece ribolliva di fastidio. “Io so quello che vedo! E la natura della tua aggressività non è mostruosa, ma semplicemente umana! Inoltre sarà presto messa in una gabbia dalla quale non potrà uscire mai più, quindi, piantala!” concluse con foga. Yuzo non gli rispose, ma rimase a fissarlo con quella impassibilità che non era dettata da un incantesimo, ma che, proprio per questo, sapeva metterlo a disagio.
Mamoru distolse lo sguardo, strofinando il pugno chiuso nel palmo dell’altra mano in un gesto di nervosismo. Cercò di buttare di nuovo il discorso su altro. “Ad ogni modo, se ti chiedessero di divenire Magister che faresti?”
“Rifiuterei.”
“Ne sei proprio sicuro?” Le iridi scure di nuovo su di lui si erano leggermente acquietate. L’altro annuì.
“Sì.”
Questo sembrò rincuorarlo, perché se non fosse rimasto presso la scuola avrebbe potuto mantenere fede alla sua promessa.
“E tu? Se lo chiedessero a te?”
“Rifiuterei anche io. L’idea di essere Magister mi aveva allettato tempo fa, quando in maniera egoistica volevo primeggiare, essere il migliore. Ero ancora sotto l’effetto delle idee inculcatemi da mia madre e arrivare ai vertici più alti possibili della Scuola di Fyar era il massimo per me. Ma adesso… al solo pensiero di dover insegnare a una marmaglia di mocciosi mi viene l’emicrania!” Le espressioni buffe di orrore, misto a sacrilegio, tornarono a prendere possesso dei tratti di Mamoru, mentre agitava animatamente le mani. Il nervosismo sciolto, messo da parte. “Mocciosi, Yuzo, ma mi ci vedi?! Li arrostirei tutti dopo due secondi.”
“E allora che farai?” rise l’altro, ma la serietà della sua domanda si percepiva bene tra le labbra distese e i denti snudati.
Mamoru si girò di lato, portando una mano al fianco, mentre l’altro gomito restava poggiato sul muro. Sollevò il mento con fare altezzoso e poi finse di pensarci. La sua decisione l’aveva già presa molto, molto tempo prima.
“Sendai hai detto? Mh. La cittadina era carina e anche i dintorni. In più al Sud si sta belli al calduccio, quindi, non mi dispiace affatto.”
Alla Fiamma non passò inosservato come il sorriso di Yuzo si smorzasse fino a scomparire. La serietà emerse con evidenza. Il nocciola degli occhi si fece più penetrante; Mamoru colse anche quello. Era bello. Quel colore era davvero bello. Non gli aveva mai detto che gli piaceva. Non gli aveva mai detto un sacco di cose. Yuzo, invece, non lesinava mai sulle parole, qualunque fossero.
“Non devi sentirti obbligato dalla tua promessa. È arrivata nel momento in cui ne avevo più bisogno, ma non temere. Adesso lo so che ovunque mi troverò su questo pianeta non sarò mai da solo, anche se non avrò voi fisicamente accanto. Quindi non sentirti vincolato.”
“Se faccio delle promesse è perché voglio mantenerle. Non amo parlare a vanvera e dovresti saperlo ormai. Sono lieto che tu abbia finalmente compreso di non essere solo, ma credo fermamente nelle mie parole.” Sostenne la sua risolutezza con la propria. Nero e nocciola immobili l’uno nell’altro, quasi fusi, affinché Yuzo capisse che non si sarebbe mai tirato indietro, nemmeno se glielo avesse chiesto in prima persona. Le sue parole, quelle poche importanti che diceva, avevano un valore inestimabile. “Finché avrò vita e respirerò. Me le ricordo ancora una per una.”
Yuzo abbassò lo sguardo per una frazione d’attimo e in quell’istante Mamoru vi colse insicurezza e aspettativa. La domanda successiva assunse un senso particolare che voleva una risposta decisa e senza esitazioni. Voleva certezze, anche se il volante le dissimulava alla perfezione, ma lui, ormai, era passato oltre. Oltre le maschere, oltre gli incantesimi, oltre tutte le barriere umane e magiche che si sarebbe trovato davanti.
“Sicuro che non te ne pentirai?”
“No.”
Deciso. Forse più di quanto l’altro si aspettasse perché gli occhi di Yuzo sembrarono farsi più grandi.
“Devoti Elementi?” In quel momento un servetto si fece avanti con un inchino, rompendo la tensione che si era creata quasi senza che entrambi se ne rendessero conto. “E’ il momento di andare, miei signori. I cavalli vi aspettano davanti all’ingresso principale del castello.” Così come era arrivato se ne andò, lasciandoli soli per quegli ultimi istanti.
Yuzo sospirò, sistemando meccanicamente la giacca dell’uniforme. La rilassatezza dei gesti parve cancellare come fino a un attimo prima fossero stati entrambi sospesi su un filo di lana. “Pronto a incontrare nuovamente la folla?”
“Ah, non sto più nella pelle, guarda.” Lui gli tenne dietro, assecondando la sua calma e ironizzando come al solito, ma l’altro gli sorrise ancora, prima di volgergli le spalle.
“Pensa che dopo le varie cerimonie ci aspetterà una piacevole festa in compagnia delle nostre famiglie. Conosceremo finalmente i genitori di Teppei e Hajime e mi è stato comunicato che ci sarà anche il simpatico Doge di Dhyla con tutta la prole. Voglio proprio vederti alla prese con i tuoi fratellini” ridacchiò.
“Che stronzetto” masticò Mamoru con un sorriso, poi lo vide allontanarsi e si rese conto di non avere più occasioni e che se doveva farlo doveva essere adesso, prima che la folla e la festa potessero fagocitarli in tutt’altro fino a che il momento della partenza non li avesse risvegliati e divisi.
“Yuzo, senti…”
“Sì?”
Per un attimo, nel momento in cui il volante si volse, Mamoru ebbe la forte impressione che la sensazione d’attesa fosse di nuovo lì. L’attesa che aveva bisogno della risposta diretta e decisa, ma questa volta seppe solo che… non aveva il coraggio.
“No, niente.”
L’altro sorrise e tornò a camminare nella pioggia di petali.
L’ultima occasione e lui l’aveva appena lasciata andare.

La Capitale si presentava al mondo come un arcobaleno.
Mentre il corteo sfilava e i fiori oscillavano carichi dei loro colori, gli occhi di un estraneo sarebbero corsi a cercare la pentola piena d’oro che si vociferava fosse dove gli archi colorati nascevano o morivano. Ma non c’era nessuna pentola, lì, e d’oro v’erano le esplosioni dell’agrimonia e della forsythia, dei datura e dei tageti, così gialle da accecare. Poi l’arancio dei fiori di cosmo, il verde delle foglie che stormivano, il blu dei vessilli reali, l’indaco delle jacarande, il violetto degli iris e il rosso che si fondeva tra il granato della famiglia Ozora e le rose dai profumi inebrianti. L’arcobaleno sfumava in mille tonalità diverse che non si potevano contare o raccontare se non nel volteggiare delle gonne, delle piume dei cappelli e dei farsetti. I mantelli oscillavano, i berretti venivano lanciati in aria e ripresi al volo e tutti gridavano, acclamavano, seguivano la folla più grande che nella Capitale si fosse mai vista.
Alla testa, la carrozza reale era tirata da sei levianti dal manto candido e le criniere lunghe, sormontate da pennacchi e affiancate da paraocchi. Nel cocchio aperto, per permettere a ogni cittadino di poterli vedere, c’erano il Re Koudai Ozora con al fianco l’amata Regina Natsuko e il piccolo, pestifero Principe Daichi che non riusciva a stare fermo un solo minuto. Opposti a loro, il Principe Tsubasa Ozora salutava la folla sorridendo con calore e affetto; la mano levata al cielo e la futura Regina Sanae Nakazawa, seduta accanto a lui, appariva un po’ intimorita da tutta quella gente che urlava, la acclamava e lanciava fiori, ma quando guardava il suo futuro consorte il disagio sembrava scomparire quasi per magia e la serenità tornava a essere padrona dei suoi tratti dai contorni decisi, ma non spigolosi. Doveva solo abituarsi un po’, far passare tutto il frastuono della festa, e poi sarebbe tornata il maschiaccio che soleva essere fuori dalle occasioni ufficiali.
La mano di Tsubasa si strinse piano attorno alla sua e lei gli rivolse un’espressione crucciata e supplichevole. Il giovane si avvicinò, preoccupato, e lei gli sussurrò all’orecchio: “Non vedo l’ora di togliermi queste dannate scarpine”, in un sospiro rassegnato.
Si scambiarono un lungo sguardo e poi scoppiarono entrambi a ridere sotto l’occhiata benevola del Re, che scuoteva leggermente il capo, e della Regina, che si portava elegantemente una mano alle labbra per nascondervi un risolino.
Dietro la carrozza, Hongo e Hino indossavano l’alta uniforme della Guardia Reale che aveva i colori invertiti rispetto quella della Guardia Cittadina. In essa dominava il granato dello stemma, mentre di blu vi erano i finimenti, i bottoni e le cuciture. Le spalline d’argento tintinnavano come le spade al loro fianco, addormentate nei foderi ricchi e intarsiati. Altri fregi decorativi tenevano stretto il colletto sotto la gola.
Hino sbuffò.
“Qualche problema, Numero Uno(1)?” Hongo non si volse a guardarlo, ma teneva sempre sotto controllo la folla. I capelli ricci e spettinati erano stati domati – contro la sua volontà, andava detto – da un unguento che profumava di pino silvestre, mentre la barba incolta tale era rimasta o il barbiere reale si sarebbe trovato con una mano in meno e non era il caso. Sul petto spiccava una spilla d’oro a forma di fiore di tabebuia. Per quanto si mantenesse vigile, stava sorridendo rilassato.
“Sì, signore” sbuffò ancora il Primo Ufficiale. “Questa finta ferraglia cigola.”
Alle loro spalle, Victorino si spalmò una mano sulla faccia, mentre il Comandante ridacchiava dando una sonora manata sulla schiena di Hino.
Più indietro i soldati della Guardia Reale, che erano rientrati dal fronte e quelli che invece erano rimasti già presso la Capitale, sfilavano ordinatamente in file di sei, sfavillanti sui propri cavalli.
Dietro quest’ultimi i colori delle divise si invertivano e il blu diveniva dominante nei lunghi mantelli. Il blu della Guardia Cittadina, che marciava a piedi e chiudeva la colonna, abbigliata con l’armatura di ordinanza tirata a lucido.
Il corteo si fermò davanti al Tempio Maestro e gli Ozora scesero, scortati dalla Guardia Reale che si schierò vigile ai lati, fermando la folla. Entrarono nella costruzione monumentale dal soffitto altissimo e gli archi a ogiva. La luce filtrava in raggi sottili dalle vetrate sommitali che ritraevano le Dee e i loro Elementi creando giochi di colori su coloro che passavano, dirigendosi all’altare. La navata accolse l’eco dei passi, del tintinnare del metallo mentre le voci andavano via via spegnendosi in religioso silenzio.
Le quattro Dee erano alle spalle della pietra lavorata con cura dai tyrani più abili del regno. Le statue si ergevano mute e benevole, l’una accanto all’altra, unite come sorelle e con gli sguardi rivolti verso il basso, dove i sudditi si sarebbero inginocchiati, invocando la loro misericordia.
La famiglia reale e la Principessa Sanae si disposero di fianco, eseguendo tutti e quattro i gesti di preghiera fino a inginocchiarsi e poggiare il viso al suolo, come la Divina Yukari comandava. Anche il piccolo Daichi seguì il rito senza protestare, mostrando anzi una serietà e un rigore che nemmeno il fratello maggiore aveva mai avuto alla sua età.
Tsubasa offrì la mano a Sanae e lei la strinse, lasciandosi guidare lungo la navata che conduceva all’uscita laterale. La Guardia Cittadina era già disposta per seguire il percorso che portava alla Grande Arena.
Presentat’arm!”
Le spade si levarono in una sincronia perfetta creando un arco sotto il quale il corteo sfilò.
Sanae e Tsubasa si scambiarono un sorriso un po’ complice e un po’ ragazzino, passando a testa alta e salutando la folla; mano nella mano.
Davanti a loro, in fondo, la Grande Arena diveniva sempre più nitida e vicina fino a che l’ingresso non apparve spalancato nella sua immensità. Salirono le scalinate in marmo e ne varcarono la soglia. Il boato di voci esplose alle loro orecchie, mentre negli occhi divampò un’armonia di colori che si rincorreva per tutto l’ovale dell’Arena.
I fyarish erano il rosso del fuoco che risplendeva sull’acciaio delle loro uniformi da cerimonia. Un pettorale corto legato a uno spallaccio, il fiancale e gli stivali composti da ginocchiera, schiniere e scarpa erano tirati a lucido e lavorati con ricchi intarsi di oro rosso. Rossi erano anche la casacca e il pantalone di seta su cui le armature poggiavano.
Gli agadiri erano il blu dell’acqua più profonda e limpida. Il kiro da cerimonia aveva quel colore penetrante e intenso che risaltava sulle loro pelli chiare, che a lungo restavano nascoste  al sole sotto la superficie del lago Agadir. La stoffa era piegata in pantalone e ciò che avanzava, veniva appoggiato sulla spalla nuda, come nudo era il dorso a meno del bankal, l’ampio collare d’argento abbandonato sul petto su cui erano incise fitte lavorazioni intervallate da pietre acquamarina a forma di goccia. D’argento era anche l’hachimaki che avevano attorno alla fronte.
I tyrani erano il verde e marrone della terra. La giacca dell’uniforme aveva il colletto rigido e bottoni di diamante. Si apriva in una coda circolare con una fibbia posteriore che la stringeva lungo la vita. Marroni erano i pantaloni portati all’interno degli alti stivali neri e marrone era anche il cappello rigido con visiera che indossavano i Magister e il Master; nel centro campeggiava il simbolo della scuola. Gli altri Elementi, invece, indossavano un berretto privo di visiera dello stesso colore che si portava leggermente piegato di lato.
Gli alastri erano l’azzurro e il bianco dell’aria, il tintinnare del vento nei loro fregi d’argento e la leggerezza dei tessuti che non sfioravano né i polsi né le caviglie. L’astrattezza dell’elemento era anche nelle forme asimmetriche della lunga giacca.
E poi altri colori non uniformi, che si mischiavano tra loro, nella gente che era riuscita a sedersi nell’Arena.
Al centro, la grande pedana costruita appositamente per la cerimonia sembrava stesse aspettando solo loro. Tsubasa guardò ancora Sanae un’ultima volta e insieme salirono quelle ultime scale che li portarono in cima al mondo. Sul fondo, dove i due scranni reali erano vuoti e aspettavano di venir occupati dai reali Ozora, vi erano i quattro Consoli, celebratori del rito nuziale, e la Chiave Elementale, non ancora rivelata ma già in piedi alla destra di quello che sarebbe stato il posto di Tsubasa. Sorrideva fiero nella sua sopravveste di seta damascata. Una spilla con tutti e quattro i simboli elementali era appuntata sulla chiusura dell’abito appena sotto la gola.
Il Principe e la Principessa si fermarono davanti agli ultimi due scalini che portavano ai troni, mentre il Re e la Regina li superavano per andarli a occupare. Daichi trotterellò loro dietro, andando a sedersi in uno scranno più piccolo accanto alla madre.
Sanae e Tsubasa guardarono un’ultima volta le loro mani unite e poi le lasciarono andare, mantenendo chino il capo davanti al Re e alla Regina.
Dagli spalti, Mamoru Izawa aveva seguito il loro ingresso assieme ai suoi compagni di Fyar. Non avevano seguito il corteo, ma erano stati subito condotti all’Arena una volta lasciato il castello. Arrivati sul posto si erano dovuti dividere. Hajime, Teppei e Yuzo avevano raggiunto gli esponenti delle proprie scuole e lui aveva fatto lo stesso.
Da quella posizione dominante riusciva ad avere un’ottima visuale sia della pedana che del resto dell’Arena.
Con lo sguardo lo aveva cercato subito, quasi che non sapere dove Yuzo fosse lo infastidisse o lo rendesse inquieto. Per sua fortuna aveva trovato immediatamente dove erano stati fatti accomodare gli alastri – più in basso rispetto ai fyarish – e lo stesso valeva per tyrani e agadiri. Come uno sciocco, continuava a sentirsi responsabile per loro e silenziosamente si ricordò che ormai non c’era più alcuna missione e alcun leader.
Guardò un’ultima volta in direzione degli alastri e poi tornò a concentrarsi su ciò che stava avvenendo sulla pedana.
Re Koudai aveva levato una mano e questo era stato sufficiente affinché il silenzio fosse calato adagio all’interno della Grande Arena.
Tutti aspettavano che il rito iniziasse e i quattro Consoli vennero avanti, schierandosi davanti ai due giovani.
Di solito, per le capacità oratorie, era sempre il Console dell’Aria a occuparsi della maggior parte del rituale, mentre Acqua, Terra e Fuoco provvedevano a dare solo le loro specifiche benedizioni.
Tadashi Shiroyama avanzò quindi di un passo, spostando lo sguardo dall’una all’altro, tenendo le mani incrociate in grembo. La sua voce si levò limpida.
“I passi che segnano il cammino di un uomo a volte sono più lunghi della gamba che li compie, altre volte seguono percorsi tortuosi e altre volte ancora possono portare lontano dalla meta per poi costringere a ripercorrerli. Ma ogni passo, se compiuto nel rispetto di ciò che le Dee ci hanno sempre insegnato, se compiuto nel rispetto di ogni creatura dalla più piccola e debole alla più grande e forte saprà sempre indicarci la via della gioia. Non importa quante lacrime dovremo versare, queste resteranno a ogni passo più lontane, alle nostre spalle, e ci insegneranno a capire quale uomo o quale donna aspiriamo a divenire. In questo lungo cammino, molti passi si incontreranno con i nostri. Alcuni per restare, altri per avere un po’ di compagnia lungo la strada e poi separarsi. Ma uno solo sarà quello che le Dee avranno scelto per non farci affrontare la marcia in solitudine. Per ogni creatura ci sarà sempre un’altra anima che l’aspetta e non importa quanto lontane saranno, le loro strade troveranno sempre un modo per incontrarsi e non separarsi mai più.”
Lo sguardo di Mamoru corse di nuovo, inevitabilmente, al gruppo degli alastri. Un brivido gli aveva attraversato la schiena nel sentire quelle parole perché non valevano solo per il Principe e la Principessa, ma anche per lui. Per loro. I suoi passi si erano da tempo incontrati con quelli che non avrebbe mai voluto lasciare andare, eppure era questo che sarebbe successo di lì a poco e lui non aveva fatto nulla per impedirlo, nonostante ne avesse avuto l’occasione.
I suoi occhi cercarono, ma tra le teste dei giovani lì seduti e vestiti tutti uguali, non riuscì a scorgere quella desiderata. Sospirò. Abbassò lo sguardo per un momento e poi tornò a levarlo sulla cerimonia.
Tadashi aveva levato entrambe le mani.
“Inchinatevi, per favore” disse, ma non c’era autorità nel tono, quanto gentilezza e una comprensione che Tsubasa – che lo aveva di fronte – avrebbe definito paterna; dopotutto, tra i Consoli, quello dell’Aria era l’unico ad avere un figlio.
I due giovani obbedirono e Tadashi poggiò ciascuna mano sul loro capo.
“Siamo qui oggi per rendere inscindibile sotto l’occhio delle Dee l’unione di queste due anime che hanno incrociato le proprie strade e hanno deciso di renderla una, indivisibile. Vostra Altezza Reale, Principe Tsubasa Ozora, primo figlio di Sua Maestà Serenissima Re Koudai Ozora, sovrano delle Terre del Nord, del Centro e del Sud, desiderate unire la vostra anima a quella della nobile Sanae Nakazawa, prima figlia del Doge Kentaro Nakazawa, sovrintendente del Dogato di Nankatsu?”
La risposta si levò sicura e chiara nel silenzio dell’Arena.
“Sì.”
“E voi, nobile Sanae Nakazawa, prima figlia del Doge Kentaro Nakazawa, sovrintendente del Dogato di Nankatsu, desiderate unire la vostra anima a quella di Sua Altezza Reale, Principe Tsubasa Ozora, primo figlio di Sua Maestà Serenissima Re Koudai Ozora, sovrano delle Terre del Nord, del Centro e del Sud?”
“Sì.” Un’altra voce convinta e decisa.
“Alzatevi, miei cari ragazzi” invitò Tadashi, continuando a sorridere loro con affetto. Ora potevano finalmente vederlo in viso perché avevano il permesso di levare il capo. L’uomo prese le loro mani e le pose una sull’altra, unendone i palmi, mentre le sue si mantenevano sospese sopra e sotto di esse nel pronunciare la benedizione elementale. “Che l’Aria allontani i pericoli e le insidie che la malvagia Kumi tenterà di mettere sulla vostra strada. La Divina Yayoi sia sempre con voi.”
Un anello d’aria prese a ruotare attorno alle mani degli sposi che rimasero unite, mentre quelle del Console si allontanarono.
Arretrò di un passo e si fece da parte, permettendo al Console della Terra di avanzare. Anche lui pose le sue mani in modo che quelle dei giovani rimanessero nel mezzo.
I suoi occhi li osservarono da sopra gli occhiali leggermente scuri che indossava.
“Che la Terra tracci un sicuro cammino per i vostri passi, più sicuro di qualsiasi incertezza. La Divina Yukari sia sempre con voi.”
Un anello di piccole pietre e polvere iniziò a girare, grazie alla telecinesi, assieme a quello d’aria.
Tatsuo Mikami sorrise a entrambi e accennò col capo, prima di tornare al proprio posto e lasciare che fosse il Console Katagiri a prendere la parola. Dalle sue mani nacque un cerchio d’acqua limpida e trasparente mentre parlava.
“Che l’Acqua disseti l’arsura e allenti la fatica che il cammino comporterà. La Divina Yoshiko sia sempre con voi.”
L’ultimo fu il Console Kitazume. La testa alta e il mento sollevato, fiero. Rideva di rado, ma con loro si concesse almeno una smorfia di approvazione.
“Che il Fuoco rischiari le tenebre per illuminarvi la strada e i passi che compierete. La Divina Maki sia sempre con voi.”
Un anello di fuoco si associò agli altri e tutti insieme si rincorrevano e intrecciavano senza mai rompersi, ma fondendosi e scindendosi in maniera perfetta e armoniosa.
Shiroyama tornò a farsi avanti, parlando con voce più forte. “Con il consenso delle Sacre Dee Elementali, io vi dichiaro uniti in matrimonio.”
In quel preciso istante, i quattro cerchi si dissolsero e il rito fu compiuto. Nello stesso momento, il boato di esultanza si levò festoso da ogni angolo dell’Arena, tra gli applausi della gente comune e degli Elementi, dei soldati e dei nobili. Tutti dimostrarono a gran voce la gioia per quell’unione e la fortuna che avrebbe portato alle terre del Regno degli Ozora. La guerra era finita e una Nuova Era stava per cominciare.
I Consoli si fecero da parte portandosi a due a due ai lati della pedana su cui c’erano i troni. Aria e Acqua alla destra del Re, Fuoco e Terra alla sinistra della Regina. Stavolta fu proprio Koudai ad alzarsi in piedi imitato dalla consorte.
Natsuko fu la prima a sfilarsi la corona dal capo e a tenerla stretta tra le mani, mentre Koudai si avvicinava a suo figlio.
Negli occhi c’era un po’ di commozione, ma si impose di tenerla da parte per la fine della cerimonia; sarebbe stato poco regale mettersi a piangere lì, davanti a tutti.
“Io, Koudai Ozora, primo nel mio nome, Re delle Terre del Nord, del Centro e del Sud, lascio a te, Tsubasa Ozora, primo nel tuo nome, il titolo di sovrano che a lungo ho portato per volere del nostro popolo. Giura solennemente, davanti a loro, a me e alle Quattro Dee, di adempiere scrupolosamente al tuo ruolo, di onorare, sempre, la volontà della tua gente e di accettare con umiltà qualunque destino le Dee decideranno di mettere sul tuo cammino.”
“Lo giuro.” E il suo destino, Tsubasa lo conosceva e lo aveva accettato già da molto tempo.
Koudai tolse la corona dal capo e si sentì come sollevare da un invisibile peso. Lui aveva sempre cercato di fare tutto ciò che era in suo potere per vegliare su tutte le terre in attesa che il detentore della Chiave Elementale, colui che le Dee avevano davvero scelto per essere re, arrivasse tra loro. Mai avrebbe pensato che potesse essere proprio suo figlio. Mentre gli poggiava la corona sul capo pensò che non potesse esserci persona più adatta di lui.
“Nel nome dell’Acqua, dell’Aria, del Fuoco e della Terra, io ti nomino Re Tsubasa Ozora, sovrano delle Terre del Nord, del Centro e del Sud.”
Le mani lasciarono la presa e la corona si tenne perfettamente attorno al capo del giovane. Spiccava luminosa nei tre colori dell’oro mischiati insieme con sapienza e nel fulgore delle gemme che brillavano contro i suoi capelli corvini e lucidi. Solo allora, una volta che le mani si furono allontanate, Tsubasa alzò lo sguardo verso il padre per guardarlo dritto negli occhi. Furono ‘pari’ per quell’unico istante, poi, nel momento in cui il neo eletto Re si alzò in piedi, fu lui ad essere superiore al genitore. Koudai e Tsubasa si scambiarono i posti; l’uomo scese i pochi scalini e suo figlio li salì. E l’uomo fu il primo a rendere omaggio al nuovo sovrano inginocchiandosi ai suoi piedi.
Natsuko, invece, si avvicinò a Sanae e le poggiò la sua corona sul capo. Quando la giovane si alzò, le baciò le guance con affetto e le cedette il posto per affiancare il marito. Anche lei si inchinò con grazia, abbassando il capo e lo sguardo. Lo stesso gesto venne eseguito da tutti i presenti, mentre la voce della Chiave risuonava forte e vigorosa per tutta l’Arena.
“Lunga vita al Re Tsubasa Ozora!”
“Lunga vita!”
“Viva il Re!”
“Evviva!”
I cori si levarono altrettanto vigorosamente e cavalcarono gli spalti come un’onda. Cappelli vennero lanciati in aria assieme ai fiori e ai fazzoletti, mentre le trombe squillavano dal bordo più alto dell’Arena e correvano in circolo per tutto il perimetro.
Sanae e Tsubasa si scambiarono un’occhiata di intesa e si avviarono, tenendosi elegantemente per mano, verso i rispettivi troni. Il Re accompagnò la propria Regina e la fece accomodare, poi fece cenno a Ryo affinché si avvicinasse.
Il momento della rivelazione era finalmente giunto e la Chiave gonfiò il petto e avanzò a passo fiero per raggiungere il sovrano.
“Popolo di Elementia.” La voce di Tsubasa era ancora giovane, ma in essa vibrava una forza che sembrava avesse potuto fare presa su qualsiasi orecchio. Mamoru l’aveva compreso all’Avamposto Sud degli Stregoni e poteva percepirla con maggiore consapevolezza, mentre gli altri si sarebbero trovati semplicemente avvinti alle sue parole come fossero l’unica strada, l’unica speranza in cui credere fino in fondo.
Tsubasa era il vero Re che quel popolo aveva a lungo atteso. Per questo egli rimase ad ascoltarlo, mentre si apprestava a mostrare a tutti il dono ultimo delle Dee, quello verso la cui esistenza era sempre stato scettico. Sorrise. Tempo ne era passato da quei momenti. Molto tempo.
“Miei sudditi. È con immenso onore che raccolgo l’eredità lasciatami dal mio amato padre. Egli è stato un Re buono e giusto com’io spero d’essere sempre, da questo momento e fino alla fine. Il periodo che abbiamo affrontato è stato costellato dall’oscurità che la Dea Kumi ha tentato di imporci attraverso i suoi servi in terra, ma noi siamo usciti vincitori e li abbiamo ricacciati nelle tenebre dalle quali erano emersi. Molte persone a noi care sono venute a mancare per questo. Hanno sacrificato la loro vita per ciò in cui credevano e io farò in modo che nessuna delle loro vite venga resa vana. La luce sarà sempre al mio fianco perché le Dee sono con me. Loro mi hanno affidato il dono più grande di ogni tempo e col suo aiuto non fallirò il compito di vegliare su di voi. Quest’oggi, mostro a voi, popolo di Elementia, la Chiave Elementale, colei che mi ha permesso di sconfiggere il Nero e cacciare il male. Ryo.” Tsubasa allungò una mano verso il giovane prima di volgersi a lui e sorridergli.
Un coro di stupore e commozione si liberò, correndo di bocca in bocca, perché nessuno aveva mai visto come fosse fatta la sacra Chiave Elementale, ma tutti ne conoscevano l’esistenza. Non si sarebbero mai aspettati di vedere che era un uomo, ma nessuno poteva ancora comprenderne pienamente la grandezza.
Ryo si guardò attorno lasciando che gli occhi di tutti rimanessero su di lui, riempiendosene le iridi. Poi afferrò le dita del Re e assunse la sua vera forma.
La luce si diffuse dal suo corpo in un bagliore meraviglioso che accecò e sorprese i presenti, tanto che dovettero coprirsi gli occhi per alcuni istanti, ma quando furono in grado di poter nuovamente vedere, la sfera di energia elementale pura era sorretta dalle mani del Re che la alzò al cielo.
Mamoru non aveva avuto bisogno di serrare le palpebre. Quella luce l’aveva già vista una volta e si era accorto che se all’inizio poteva sorprendere e abbagliare, era un bagliore che non accecava, che poteva essere guardato dritto e intensamente per perdersi nella sua bellezza e nel suo calore. Era il bacio delle Dee, la loro emanazione, il segno tangibile e la prova vivente che loro esistevano, erano esistite e sarebbero sempre esistite in un angolo del Paràdeisos.
In quel momento, un servo del Re lo venne a chiamare e lui si alzò, defilandosi senza dare troppo disturbo ai suoi compagni.
Tsubasa aveva detto chiaramente che li avrebbe voluti ringraziare alla cerimonia ufficiale dell’incoronazione, davanti a tutti. Nonostante lui non fosse stato molto d’accordo, aveva acconsentito soprattutto per i suoi compagni: avevano compiuto un’impresa per cui meritavano davvero che il mondo ne venisse a conoscenza e mentre camminava per raggiungere Aria, Terra e Acqua, la Chiave era tornata in forma umana tra le ovazioni e le preghiere degli astanti e il Re aveva di nuovo preso la parola. Di lontano scorse i suoi compagni, lo stavano già aspettando.
“Questo è un giorno importante per molti versi. Non solo per voi, non solo per me. Per più di un anno sono rimasto prigioniero nelle mani degli Stregoni, ma sapevo che non sarebbe stato per sempre. Sapevo che qualcuno sarebbe riuscito a trovarmi. E così è avvenuto. Quattro giovani Elementi sono comparsi, inviati dalle Dee, e se non fosse stato per loro io non sarei qui, ora. Per un anno hanno viaggiato attraversando Elementia da Sud a Nord, segretamente. Si sono mischiati a voi e in molti casi vi hanno aiutato, quando neppure sapevate chi fossero né da dove venissero. Non hanno mai esitato e sono venuti a strapparmi alla prigionia in cui gli Stregoni mi avevano recluso. Hanno combattuto al mio fianco nella grande battaglia, hanno affrontato il Nero ed è giunto il momento che finalmente io li ringrazi per tutto quello che hanno fatto per me, per la Chiave Elementale e per questo pianeta. Per tutti voi. Che avanzino gli Eroi di Elementia.”
Mamoru non si sentiva a proprio agio verso quell’appellativo. Per lui erano eroi anche coloro – soprattutto coloro – che sul campo di battaglia erano morti e non sarebbero più tornati. Sacrificati all’altare della pace. Ma capiva anche quanto il popolo avesse bisogno di eroi viventi, di sentirsi al sicuro e di mitizzare lo spauracchio che la guerra era stata per ciascuno di loro, come uno spettro oscillante sulle loro teste. Ora non c’era più, ma c’era bisogno di creare leggende che potessero rendere le cronache di quei momenti meno amari e dolorosi.
E quella leggenda erano loro.
Con passo sicuro, la Fiamma avanzò affiancata dai suoi compagni lungo la pedana. La testa alta, lo sguardo fiero. Camminavano con una sincronia perfetta e altrettanto perfettamente si fermarono davanti agli scalini che conducevano al trono. Braccio al petto e capo chino.
“Devoti Elementi,” Tsubasa esordì avanzando fino a loro, “so di non essere sempre stato un Principe modello nei vostri confronti. Spesso ho corso rischi che vi hanno messo in pericolo in prima persona e per tutto quello che voi avete fatto per me e per il mio popolo io non potrò mai ringraziarvi abbastanza, perché non ci saranno mai sufficienti parole.”
Un servetto arrivò da dietro al trono recando un vassoio in argento su cui erano poggiate quattro spille in oro, ognuna raffigurante il simbolo di ciascuna scuola elementale.
“E so anche che del semplice metallo non potrà mai sostituire la mia riconoscenza, ma vorrei farvi dono di queste medaglie, che consacrino per sempre il vostro valore.”
Gli Elementi si misero sull’attenti lasciando che il Re in persona appuntasse le spille sui loro abiti. E nei loro occhi c’era orgoglio, Mamoru lo sentiva sotto la pelle e doveva essere lo stesso anche per i suoi compagni. Soprattutto per Teppei, conoscendolo. Ma il Re non aveva ancora finito e lui lo seguì discretamente con lo sguardo quando tornò in cima alla piccola scalinata.
Adesso avrebbe detto un paio di altre parole a effetto e poi li avrebbe congedati. La festa sarebbe seguita subito dopo e tutto si sarebbe dissolto nel vino e nei cibi che sarebbero scorsi da lì in poi. Tutto. Come la sua possibilità, ormai perduta e lontana.
Mamoru avrebbe voluto girarsi, carpire il profilo di Yuzo che era alla sua sinistra; a separarli c’era solo Teppei. Però non si mosse. Non poteva. Sarebbe stato inutile.
“Avrei ancora qualcosa da dire.”
Come aveva pensato, il discorso di Tsubasa non era concluso e lui tornò a concentrarsi sul sovrano.
“Ne ho parlato a lungo sia con i Master che con i Consoli e siamo venuti a una conclusione. Come voi saprete, i Master sono i responsabili dell’educazione elementale del sovrano e della sua famiglia, in questo caso mio fratello minore Daichi e i futuri eredi al trono. Purtroppo, il ruolo di Master obbliga anche i suddetti a dover occuparsi delle scuole, e viaggiare di continuo dalle città elementali alla capitale… non è agevole. Soprattutto, non è una buona cosa nei riguardi degli alunni la cui presenza del Master è fondamentale e questo, voi, lo sapete bene. A tal proposito, come detto, parlando con gli interessati e con i Consoli, vorrei farvi una proposta. Accettare sarà sempre a vostra discrezione, non è un obbligo.”
Mamoru si preoccupò, tanto da cambiare piede d’appoggio. Tsubasa batté le mani e allargò un ampio sorriso, gettando la bomba.
“Vorreste rimanere al castello come miei Magister Reali?”
“Come cosa?!” A Mamoru uscì talmente spontaneo che non si trattenne, ma lo stupore fu tale che i suoi compagni neppure se ne accorsero e quello stesso stupore corse per tutti i presenti con mormorii e bisbigli.
“Come Magister Reali” ripeté il Re. “Sareste i primi in questo ruolo, visto che verrebbe istituito con voi. Sarei davvero lieto se accettaste e non avrei alcuna remora ad affidarvi la mia famiglia, perché so che ve ne prendereste cura come fosse la vostra. Ho imparato a conoscervi e posso fidarmi.”
Per la prima volta, gli Elementi si scambiarono un’occhiata perplessa e in quel momento, mentre i suoi occhi incrociarono prima quelli di Teppei, galvanizzatissimo all’idea, e poi quelli di Yuzo che non avrebbe saputo definire, Mamoru si rese conto di avere un’altra opportunità. Le loro strade avrebbero potuto non separarsi, proprio come il Console Shiroyama aveva detto: se era destino, ovunque si fossero trovati, il loro cammino avrebbe finito con l’incrociarsi ancora, per sempre.
La trepidazione e una improvvisa speranza gli accesero il cuore, ma poi la concretezza tornò a dominare le sue emozioni: e se Yuzo avesse rifiutato? Aveva detto di non voler più divenire un Magister...
“Ovviamente non dovete darmi subito la vostra risposta, però io-”
“La Terra è al vostro servizio, Vostra Maestà.”
Teppei interruppe il Re e fu il primo di loro a parlare e a prendere una decisione. Come sempre, il tyrano agiva di cuore prima che di testa e Hajime non si stupì del modo in cui si gettò a capofitto nella nuova impresa. Anzi, sorrise nel vedergli portare il braccio al petto e inginocchiarsi.
A lui, ovviamente, non sarebbe che toccato stargli dietro. Non avrebbe certo permesso che combinasse un mezzo disastro come Magister Reale; c’era bisogno di qualcuno che lo arginasse.
“L’Acqua è al vostro servizio, Vostra Maestà.”
Mamoru sbatté più volte le palpebre nel vedere che anche Hajime aveva già compiuto la sua scelta e aveva scelto di rimanere. Erano rimasti solo loro due. Levò lo sguardo sul volante e il giovane guardò lui, di rimando, intensamente. Non osò sperare…
“L’Aria è al vostro servizio, Vostra Maestà” sorrise invece l’uccellino, inginocchiandosi come i suoi compagni prima di lui.
Mamoru avrebbe voluto gridare dalla gioia, ma tenne solo per sé il calore che quell’esplosione gli allargò nel petto. Levò lo sguardo fieramente verso il Re e prese la sua decisione, già ovvia.
“Il Fuoco è al vostro servizio, Vostra Maestà.”
Ora niente avrebbe potuto tenerli lontani.

“Ma perché non posso portare la mia armatura usuale invece di questa robaccia finta e orpellata, dico io?”
Ryoma Hino aveva continuato a lamentarsi anche durante il ricevimento. Il viso imbronciato e il sopracciglio inarcato con fastidio. Ogni volta che vedeva la divisa elegante riflessa in qualche vetro faceva una smorfia di disgusto. Lui preferiva il peso del metallo, altroché. Metallo vero, però! Niente roba per ricchi viziati come quella. Ma l’etichetta era l’etichetta e allora a lui non era rimasto che borbottare.
Il Capitano Bunnaku e il Capitano Shunjin-Go risero divertiti al suo ennesimo lamento tenendo ben salde le coppe piene di vino, mentre il Capitano Victorino gli mollava un confidenziale scappellotto dietro la nuca.
“Ripeterlo per l’ennesima volta non ti farà cambiare abbigliamento! E poi non puoi andartene in giro bardato come se stessi per tornare sul campo di battaglia! È un ricevimento reale, ufficiale per di più! Sta’ zitto e beviti il vino.”
Ryoma gli fece una smorfia e decise di consolarsi con l’alcool.
“Dai, Ramon, non essere così severo” intervenne Bunnaku. “Lo sai com’è fatto il nostro Primo Ufficiale.”
“Ecco, Ramon, capiscimi” fece eco Ryoma. “E poi non comprendo perché Shunjin-Go può portare lo spadone di famiglia, mentre io devo andare in giro con questo stuzzicadenti da femminucce!”
Shunjin-Go levò il mento con una certa altezzosità, ma stava ridendo. Onore era nel fodero che portava di traverso dietro la schiena. Un fodero ricchissimo e altrettanto antico che non sfigurava affatto in una cerimonia ufficiale. “Perché basta guardarla per avere una risposta, signore.”
Gli altri risero e le loro risate si mischiarono a quelle che provenivano ovunque, intorno a loro.
Il salone delle feste del Castello Ozora era gremito fino all’inverosimile, e così anche gli altri saloni più piccoli. I corridoi erano un via vai continuo di servi e bambini monelli che si rincorrevano sfuggendo sotto le sottane di qualche dama che cercava, invano, di tenerli a bada. Nei cortili qualcuno della Guardia Reale e di quella Cittadina offriva simulazioni di combattimento ai figli dei nobili Doge e ai Doge stessi che volevano apprendere.
I colori degli Elementi si fondevano in un’armonia perfetta a tutti gli altri. I Master attiravano gli sguardi per la loro eleganza e presenza, suscitando l’imperituro borbottare di Hino che guardava l’armatura leggera di Kojiro Hyuga e ogni volta ripeteva: “Perché lui sì e io no?!” con buona pace di Ramon Victorino.
Il Re uscente Koudai Ozora stava parlando col figlio, in un angolo della sala, assieme al Comandante Hongo, mentre la Chiave era praticamente circondata da persone che la facevano sentire la presenza più importante del castello. E la cosa, ovviamente, non dispiaceva affatto al buon Ryo la cui risata risuonava di sovente in scrosci rumorosi.
“Direi che il Divino Ryo sia a proprio agio” stava facendo notare Koudai giusto in quel momento.
“Oh, Ryo finisce col trovarsi bene ovunque e con chiunque. Basta solo che si stimoli un pochino il suo ego” rise Tsubasa.
Hongo aggrottò le sopracciglia, scuotendo bonariamente il capo. “Meglio se vado a dire a sua divinità se è meglio che ci va piano con quell’idromele. Sarà anche divino, ma non credo regga molto bene l’alcool. Se volete scusarmi.” Piano si allontanò, tornando a mischiarsi tra la folla, mentre padre e figlio ridevano della scena.
“E così, sei convinto di ripartire, padre?” domandò Tsubasa e Koudai non si mosse subito, restando ancora un po’ a fissare Hongo che con un abile trucco e una risata riusciva a sottrarre il liquore alla Chiave.
“Sì, è così.” Si volse. Il sorriso si tendeva pacifico da sotto i baffi. “Il Nord ha bisogno di vedere rafforzata la nostra presenza. E visto che in buona parte è colpa mia se le cose sono andate in questo modo e Gamo ha trovato terreno fertile per la sua rivolta, allora è giusto che sia io a prendermene cura in prima persona, al posto tuo. Almeno per il momento. C’è bisogno di qualcuno che controlli che le autorità dei Doge vengano ristabilite secondo le nostre leggi e che dimostri che gli Ozora non si sono mai dimenticati di loro.” Sospirò. “Non sarà proprio un’impresa facile, ma nemmeno tu avrai di che gioire, qui, alla Capitale.”
Tsubasa annuì. “Il Sud e il Centro sono molto autosufficienti. Il nostro potere, se così vogliamo chiamarlo, è rispettato e ora che Sanae è divenuta la mia Regina, il Sud si sente maggiormente considerato e più vicino a noi di quanto fosse mai stato prima.”
“E Sanae sa esattamente come farsi rispettare” sghignazzò il Re mentre vedeva la nobile giovane in atteggiamenti ben poco nobili quali il mollare un deciso scappellotto al fratello minore che continuava a correrle intorno per afferrare quel pestifero di Daichi.
“E la mamma? Non si sentirà sola senza di te?”
“Sì, un po’. Ne abbiamo già parlato. Ovviamente farò ritorno, di quando in quando, non voglio certo perdermi la nascita del mio futuro nipote.” Tsubasa arrossì tracannando l’ultimo sorso di vino che aveva nella coppa e facendo scoppiare a ridere il genitore. “Vacci piano, figliolo!”
“Padre! Mi sono appena sposato!”
“Lo so! Scherzavo! Però è vero, tua madre è più utile qui che con me. Lei ha sempre saputo quali sarebbero stati i lati negativi nell’essere moglie e madre di un Re. È preparata.” Poi si volse e gli poggiò una mano sulla spalla. “Nella Lingua di Serpe non ho tenuto conto delle tue parole né della tua volontà che vedeva ben oltre la mia. Mi spiace molto, figliolo, ma sono sicuro che saprai come tenere ben salde le redini di questo Regno. Grazie a te, tornerà a regnare davvero la pace, da Nord a Sud.”
Tsubasa accennò col capo, ma non abbassò lo sguardo, puntandone uno fiero in quello del genitore e fiducioso. “Farò sempre in modo che sia così, padre.”
Il tintinnare delle coppe nuovamente riempite venne coperto da altro tinnire e posate che urtavano piatti, bicchieri contro colli di bottiglie, scalpicciare di passi e oscillare d’argenti e metalli.
In un altro angolo della sala, un agadiro stava ammonendo un tyrano perché, come sempre, ci stava dando troppo dentro con il banchetto.
“Quella è la terza coscia di tacchino che fai fuori, Teppei.” Gli fece notare Hajime con sguardo di rimprovero.
L’altro si strinse nelle spalle, il boccone ancora in bocca. “E’ buona.” Si giustificò e il Tritone ruotò gli occhi.
“Se continui ad abboffarti in questo modo, diventerai il primo Magister Reale a rotolare, invece di camminare.”
“Sai che valanga?” Se la rise l’altro divertito, ma alla fine si lasciò convincere a mettere via il cosciotto… tanto lo aveva già spolpato per bene, fino a leccarsi anche le dita. Le lavò in una delle ciotoline apposite che uno dei servetti fermi presso il tavolo recava con sé, assieme a delle salviette in lino su cui asciugarsi. “E comunque, dopo la festa saremo in licenza e tutto quello che ingurgiterò, lo smaltirò col viaggio per tornare a Ilar.”
Hajime sbuffò una mezza risata alla giustificazione del compagno. “Sì, così poi ti rimpinzerai quando saremo arrivati.”
“Devo pur mettere qualcosa nello stomaco. E poi il mio è duro come la pietra!” scherzò il giovane sistemando il berretto che portava sul capo.
“Perdonate se vi interrompo.” Una voce di donna comparve alle loro spalle e nel suo sorriso e nei modi i giovani riconobbero l’assistente di Shibasaki.
“Signorina Deva!” Teppei esibì un sorriso amplissimo, prima di sbottare ancora più forte. “Silver!”
Lo zaikotto, che restava attorcigliato al braccio della donna, iniziò ad agitarsi e a far schioccare la lingua per la contentezza. Allungava il muso, voleva andare dal tyrano e al giovane bastò allungare il braccio perché l’animale praticamente gli si lanciasse addosso, risalisse la spalla e andasse ad acciambellarsi attorno al suo collo facendogli tantissime feste. La testa, dove la pietra spiccava nel suo colore rosso carico, veniva strofinata contro la guancia di Teppei.
Hajime nascose una mezza risata divertita; era da parecchio che non vedeva il suo migliore amico così felice come in quel momento.
“Silver! Bello!” ripeté ancora quest’ultimo, sorridendo poi alla donna. “Grazie, grazie infinite per esservi presi cura di lui.”
L’assistente del Naturalista scosse il capo, mostrando un bel sorriso sincero. “Sono io che vi ringrazio per esservi presi cura del dottore. Aveva proprio bisogno di incontrare persone come voi.”
Hajime allungò il collo per scrutare distrattamente in giro, ma la risposta alla domanda già la conosceva. “Shibasaki non è venuto?”
“Oh, no.” La donna agitò la mano. “Troppi Elementi per i suoi gusti, non voleva creare scompiglio proprio adesso. Per questo ha mandato me. Vi porge i suoi saluti e si augura di non dover più rivedere quella ‘dannata bestiaccia’; lui e Silver non andavano proprio d’amore e d’accordo” ridacchiò.
“Non stento a crederlo.” Hajime scosse il capo, ricordando quanto quel tipo di serpenti fosse sensibile alla magia e poco tollerante verso la stregoneria.
“Vi auguro ogni fortuna, giovani Magister Reali. Vi è stato affidato un compito davvero importante, ma so che saprete portarlo avanti al meglio.”
“Andate già via?” domandò Teppei e la donna annuì.
“Visto che mi trovavo qui, il dottore mi ha mandato a fare dei rifornimenti di materiali difficili da reperire verso il Nohro. E poi da solo temo possa combinare dei disastri; non ho idea di come troverò il laboratorio, ahimé” confessò con un sospiro un po’ rassegnato. Fece loro un ultimo inchinò e si allontanò, sparendo rapidamente tra la folla.
“Credi che rivedremo mai Shibasaki?” domandò d’un tratto Teppei, osservando ancora nella direzione in cui Deva era andata via.
“Chissà. Durante questa missione ho imparato che nulla si può escludere a prescindere. E poi, se lo proponessi a Yuzo, penso che sarebbe capace di andarlo a trovare. Quello Stregone gli era simpatico.”
Teppei annuì, ma non fece in tempo a girarsi che una manona pesante si appollaiò pesantemente sul capo suo e su quello di Hajime e una voce a lui nota li rimproverò.
“Eccovi, qua, piccoli marmocchi! Altro che Magister Reali! Non venite neppure a salutare i vostri genitori!”
Il tyrano e l’agadiro ruotarono il capo, trovando l’espressione sorridente di Hidetoshi Kisugi che li fissava dall’alto del suo metro e novanta. Era una specie di montagna dai muscoli possenti e l’espressione bonaria.
“Papà!” sbottò il giovane ricciuto. Gli occhi brillavano dalla gioia.
“Zio Hide.” Hajime spostò appena lo sguardo. “Ciao, papà.”
Hidetoshi arruffò i capelli dei due giovani, prima di abbracciarli con talmente tanta foga da sollevare entrambi dal suolo.
“Ah! I miei mostriciattoli! Quanto sono felice di rivedervi tutti interi!” disse, quasi commuovendosi.
“Lo vedono anche loro, Hide! Mettili giù!” Lo rimproverò Seishiro Taki passandosi una mano sul viso.
“Non rompere, Shiro! Lasciameli strapazzare un po’!”
“Vacci piano, zio Hide! Siamo stati già strapazzati abbastanza!” scherzò Hajime. Un tempo avrebbe avuto la stessa reazione un po’ imbarazzata di suo padre, ma in quel momento non gliene fregò nulla di venire addirittura preso in braccio. Il padre di Teppei era mancato moltissimo anche a lui ed era felice di farsi coccolare come quando era bambino. Per un attimo sembrò che il tempo non fosse passato ed era una bella sensazione.
Al collo di Teppei, il povero Silver sibilò un verso impaurito e Hidetoshi mise subito giù i due ragazzi. Solo allora notò che suo figlio aveva addosso un serpente.
“Ma che diavolo è quello?!”
Teppei gonfiò il petto. “Lui è Silver, il mio zaikotto! Non è adorabile?”
Reika ci fece subito amicizia, trovandolo irresistibile, mentre suo padre inarcava un sopracciglio. “Uno zaikotto? E dove l’hai trovato? Sono animali molto rari…”
“L’ha trovato Hajime nelle paludi nei pressi del Nohro” iniziò subito a raccontare il tyrano con forte coinvolgimento. “Sai, ci siamo spinti fin lì, papà! E abbiamo affrontato i nostri primi Stregoni!”
“Teppei, lascia perdere, non mi sembra il caso-”
“Zitto, tu! Fammi finire!” – Hajime sospirò – “Erano fortissimi! Erano i temibili fratelli Konsawatt! Non ci hanno ridotto bene, lo devo ammettere. Ma per fortuna che Hajime ha trovato Silver! L’ha cercato ovunque! Ha impedito che mi pietrificassi-”
“Ti stavi pietrificando?!” sbottò Hidetoshi a cui per poco non veniva un infarto. “Sciagurato di un figlio!”
“Sì! Veleno di Rankesh, papà! Robaccia, te lo posso garantire!”
“E adesso chi lo ferma più?” sospirò di nuovo Hajime, lasciando che l’altro continuasse a raccontare gli eventi in maniera scoordinata. Shiro si avvicinò cingendogli le spalle con un braccio. Anche lui indossava il kiro.
“Addirittura il veleno di Rankesh, eh?”
Il Tritone guardò il padre accennando un sorriso. “Già. Ci è andato davvero vicino, quella volta.” Poi si strinse nelle spalle. “Per fortuna c’ero io.”
“Il mio piccolo pesciolino è proprio un eroe.” All’altro lato, Arin Taki cinse la vita di suo figlio, rivolgendogli un affettuoso sorriso materno.
Hajime non se la prese come avrebbe fatto un tempo. “Mamma, sono anni che ho smesso di essere ‘un pesciolino’.”
“Oh, lo so.” La donna poggiò il capo sulla sua spalla. “Credo che non potrò più trovarti graziosi nomignoli, ormai.”
Il Tritone ricambiò la stretta della donna e di suo padre, rivolgendo loro un mezzo sorriso più aperto da sotto al ciuffo che, nonostante l’abbigliamento formale, seguitava a essere mantenuto ribelle, libero di andare dove più gli piaceva.
“Hajime!” sbottò d’un tratto Teppei che, non si sapeva come, era passato dall’avventura al Nohro a parlare dei loro nuovi amici di Aria e Fuoco. “Dobbiamo trovare Mamoru! Sono troppo curioso di vederlo con i suoi famosi fratelli!”
“Teppei, sei perfido.” Gli fece notare il Tritone, che tanto aveva capito che il suo obiettivo era quello di prendere in giro la Fiamma; l’altro non si premurò nemmeno di nasconderlo.
“Lo so!” ridacchiò. “Scusateci per qualche minuto! Torniamo subito!” esordì poi e, afferrato Hajime per un braccio, se lo tirò dietro per andare a cercare Yuzo.

Takeshi Sawada sembrava molto più emozionato di lui mentre parlava.
Yuzo sorrise rigirando la coppa ancora piena a metà, vi aveva dato giusto un paio di sorsi, ma non aveva molta sete. Non di vino, almeno. Si era fermato a parlare con i suoi compagni di scuola in una zona del salone principale.
Dopo la fine della cerimonia aveva perso di vista sia Hajime che Teppei che Mamoru e nella confusione non era ancora riuscito a trovarli. Non tanto per avvicinarsi a loro, sapeva che sarebbero di sicuro rimasti assieme ai propri familiari, quanto per sapere che c’erano, che erano lì, e che il giorno dopo e quello dopo ancora ci sarebbero stati ugualmente. Anche se il viaggio era finito, un altro molto più lungo era cominciato ed era davvero felice di poterlo affrontare assieme ai suoi migliori amici. Assieme alla persona cui aveva deciso di legarsi. Sempre se Mamoru si fosse deciso, ovviamente. Altrimenti… altrimenti Yuzo era sicuro che non sarebbe mai riuscito ad aspettare l’arrivo del nuovo giorno: se la Fiamma non si fosse fatta avanti, lo avrebbe fatto lui e prima che il sonno avesse potuto coglierli.
“Magister Reali! E’ fantastico!” La voce di Takeshi lo distolse dai suoi pensieri. “Quando lo sapranno ad Alastra, saranno tutti felici per te, fratello!”
Manfred Margas, assieme a loro, sollevò il viso e si portò una mano al mento. “Certo che Magister Pierre ha fatto un’espressione strana…”
“Lui fa sempre espressioni strane.” Takeshi non vi diede importanza, poi però ci pensò un po’. “A proposito! Adesso dovremo portarti lo stesso rispetto che portiamo agli insegnanti! Scusaci!”
Yuzo rise, poggiando il bicchiere sul primo vassoio che gli passò accanto. “Ma no, Takeshi. Sta’ pure tranquillo.”
“Invece sì. Accidenti, dovevamo stare più attenti.”
“Fingi che ancora per oggi io sia un Elemento qualsiasi, va bene?” propose Yuzo. Aveva tempo per abituarsi alla diversa etichetta che da quel momento in poi avrebbe dovuto usare e che gli altri gli avrebbero rivolto. Per quel giorno voleva continuare a rimanere solo Yuzo Shiroyama. Anzi… Yuzo Morisaki Shiroyama. Andava benissimo così.
“Tu sei davvero sicuro della scelta?” domandò invece Manfred. Era tra i ragazzi più alti della scuola e la sua chioma rossiccia non passava affatto indisturbata.
“Sì.” Deciso, forse troppo convinto, tanto che Takeshi aggrottò le sopracciglia.
“Non volevi tornare ad Alastra?”
“Oh, no, non è quello…” Yuzo non voleva essere frainteso. Amava la sua Città Elementale più di qualsiasi altro luogo al mondo, ma semplicemente sentiva di doversene allontanare. L’uccellino abbandonava il nido perché la sua ricerca era appena iniziata. “E’ solo che… il mondo mi ha offerto più di quanto pensassi e vorrei rendermi utile. Ad Alastra sarei al sicuro, ma non è ciò che voglio. Non più.”
Manfred parve comprendere, infatti gli sorrise. Adagio si portò le mani dietro la testa, levando lo sguardo all’alto soffitto della sala dal quale pendevano enormi lampadari in cristallo. “Magister Matilda si dispiacerà di non averti più come suo assistente. Già è disperato perché non riesce a trovare nessuno in grado di rimpiazzarti come si deve.”
“Già!” convenne Takeshi. “Cambia aiutante ogni trena! Quell’uomo è incontentabile.” Assunse un’espressione più mesta, stringendosi nelle spalle. “Sarebbe voluto venire, ci teneva molto, ma purtroppo l’età non gli permette più di compiere viaggi così lunghi.”
Yuzo annuì adagio. “Sì, me ne rendo conto. Potete dirgli che passerò sicuramente a trovarlo? Tornerò ad Alastra almeno in visita non appena mi sarà possibile.” Di quello era certo, perché Alastra era parte di lui, era casa e a casa finivi sempre per tornarci, in un modo o nell’altro.
Takeshi non fece in tempo ad aggiungere nulla che Teppei arrivò e travolse il gruppo, tutto eccitato. “Yuzo! Eccoti!”
Hajime sospirò. “Perdonate il modo brusco in cui siamo piombati a disturbarvi. Vi prego, non fate caso a lui. E’ un tyrano.”
“Piantala!” lo ammonì l’Elemento di Terra e Yuzo si accorse che aveva uno zaikotto attorno al collo.
“Silver?” domandò allungando subito la mano per carezzare la bestiola sulla testa. Il rubinato gradì particolarmente quel tocco affettuoso. “Ma da dove è spuntato?”
“Al ricevimento c’era Deva, è venuta apposta per portarmelo, assieme ai saluti di Shibasaki.”
“Oh.” Yuzo parve particolarmente felice della cosa, poi si rivolse ai suoi fratelli d’Aria. “Takeshi, Manfred, loro sono Hajime e Teppei, i miei compagni di missione.”
I due alastri si profusero in un elegante e ossequioso saluto elementale.
As-salaam ‘alaykum, Magister Reali.” Margas sorrise loro con cortesia. “E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza.”
Wa ‘alaykum as-salaam. Il piacere è nostro.” Per fortuna che c’era Hajime a ricordare ancora le buone maniere, mentre Teppei tirava un lungo sospiro, grattandosi i ricci morbidi e folti.
“Accidenti, sentirmi chiamare ‘Magister Reale’ mi fa uno strano effetto. Scusate se siamo piombati con tanta foga, ma possiamo portarci via Yuzo? E’ di vitale importanza.”
“Per cosa?” Il volante si preoccupò, ma subito Hajime mise in chiaro le cose.
“Per far imbufalire Mamoru, che altro?”
Yuzo rise. “Teppei, che hai in mente?”
“Nulla, vuole solo andare a punzecchiarlo ora che è con i suoi fratelli” spiegò, sempre il Tritone, mentre Teppei si sfregava le mani.
“Sono davvero curioso di vedere se è così burbero anche con loro! Scommetto che è tutto un colar di miele!” sghignazzò, afferrando l’alastro per un braccio. “Forza! Andiamo!”
Yuzo non ebbe neppure modo di protestare che venne trascinato via. “Scusate!” riuscì solo a dire, prima di essere inghiottito dagli altri invitati.

Mamomamo!” quello squittire allegro interruppe il discorso – noioso, a dire il vero – che stava avendo con il Console Kitazume.
Mamoru si volse e scorgere quella folta massa corvina che correva verso di lui con le braccia spalancate gli sembrò una manna dal cielo.
La Fiamma prese al volo la bambina che, accidenti!, più cresceva più gli somigliava. Nahila aveva preso tutto, ma proprio tutto dalla famiglia Izawa. Gli occhi scurissimi, i capelli neri. Certo, lui non era così affettuoso, ma era anche vero che aveva avuto un’infanzia diversa.
“Ehi! Quanta fretta!” rise, sollevandola in braccio. Ormai aveva circa tre anni e si vedeva. Era cresciuta tantissimo dall’ultima volta.
Il Console Kitazume tossicchiò, cercando di non ridere. “A quanto sembra, penso che dovremo riprendere in seguito il nostro discorso, Magister Reale. Non si deve mai far aspettare una dama, soprattutto se così impaziente.” Dietro l’espressione un po’ scontrosa, spuntò un sorriso divertito cui Mamoru fece fronte con un ossequioso inchino.
“Perdonate i modi un po’ prepotenti di mia sorella, Console.”
“Oh, figurati. Dopotutto, l’hai detto tu stesso: è tua sorella.” Mamoru fece per rispondere, ma poi rimase seriamente colpito dal fatto che Kitazume gli avesse appena fatto una battuta. Si evinse chiaramente dalla sua espressione e rimase a guardarlo con tanto d’occhi mentre questi si allontanava sghignazzando.
Appena aveva messo piede nella sala era stato braccato da un sacco di persone e il Console era stato solo l’ultimo della fila infinita. Certo, i suoi complimenti e le congratulazioni gli avevano davvero fatto piacere, ma l’avversione che aveva nei riguardi della folla non era ancora cambiata. Mentre parlava o, meglio, fingeva di ascoltare, con lo sguardo si era guardato intorno. Era riuscito a trovare Yuzo, in compagnia di alcuni alastri. Sembrava tranquillo, ma non particolarmente a suo agio. Spesso l’aveva colto a scrutare l’ambiente. Chissà, magari anche lui lo stava cercando con gli occhi. Aveva smesso di illudersi ed era tornato a concentrarsi sui suoi interlocutori fino a che una piccola peste non era piombata a reclamare solo per sé le sue attenzioni.
Mamoru guardò con aria di finto rimprovero la sorella che sostenne i suoi occhi scuri con lo stesso atteggiamento un po’ altezzoso.
“E insomma? Non si interrompe così una conversazione, signorina. Lo sai chi era quel signore? Era il Console del Fuoco, una persona importantissima.”
Nahila si strinse nelle spalle, come se la cosa le importasse tanto quanto una mela caduta da un tavolo. “Io ti ho visto tanto tanto annoiato.” Si giustificò con candore.
“Ah, sì?”
“Sì, noi femmine vediamo le cose.”
Parlava con un’esperienza decennale e con una sicurezza di sé che gli fece sgranare gli occhi.
“Auguri, papà” borbottò, perché il suo vecchio avrebbe avuto un bel da fare con quella piccola peste.
La voce di Sheral arrivò poco dopo. “Nahila, Sante Dee! Che modi sono questi? Ti avevo detto di non andare a dar fastidio a tuo fratello Mamoru.”
La bambina cercò subito rifugio nel collo del giovane, nascondendovi il viso e stringendolo più forte.
“Non importa, Sheral, non rimproverarla.” La Fiamma lanciò un’occhiata alla massa di capelli, così simili ai suoi, che gli restava stretta addosso. “Dopotutto, Nahila è venuta a salvarmi, vero?”
La bambina fece spuntare di nuovo il visino vispo, annuendo con convinzione, ora che aveva l’appoggio del fratellone.
La donna lo guardò con comprensione. “Non vorrai cominciare a viziarla anche tu, spero? Ci pensa già tuo padre.”
“Davvero?” Mamoru inarcò ironicamente un sopracciglio. L’idea lo divertiva e poi aveva già visto come Nasir cambiasse espressione quando era con i figli.
“Io non la vizio, è lei che tiene tutti in riga.” Il Doge avanzò con passo sicuro tenendo le mani dietro la schiena. I capelli erano legati in una coda bassa mentre il farsetto, in varie tonalità di rosso, spiccava sui pantaloni neri e gli stivali dello stesso colore. “Da perfetta Izawa” concluse.
“Oh, e tu da quando ti fai tenere in riga dai tuoi figli?”
“Non essere indisponente.” Lo ammonì l’uomo in maniera bonaria.
Mamoru non si era lasciato sfuggire l’occasione per pungolarlo un po’, ma ormai non c’era più alcun intento di ferire e questo Nasir l’aveva compreso.
Da dietro il Doge spuntarono, correndo, anche Seika e Bairei che erano già divenuti degli ometti di sei e sette anni.
“Mamoru fratello!” salutò il primo mettendo in evidenza le bellissime fossette. Lo abbracciò con lo stesso entusiasmo mostrato a Dhyla. Un piccolo polipo.
Bairei, invece, manteneva un comportamento più compito e poco incline ai plateali gesti di affetto.
“Fratello! Bentornato!”
Mamoru affondò una mano nella folta capigliatura di Seika, spettinandola e facendolo ridere.
“Certo che siete cresciuti anche voi” notò, ora che poteva vederli tutti insieme.
Erano cresciuti davvero tanto e in meno di un anno. Sembrava ne fossero passati molti di più. Di colpo, la Fiamma si rese conto di non trovarsi più a disagio in loro compagnia, di non essere fuori posto.
Sheral gli sorrideva dicendo che i bambini crescevano sempre in fretta, mentre Seika e Bairei parlavano tutti insieme per estorcergli i racconti più incredibili del suo lungo viaggio. Si erano fatti spiegare per bene cosa significasse il titolo di Magister Reale e sprizzavano ammirazione da tutti i pori. Erano fieri di averlo come fratello maggiore e lo erano sempre stati anche quando a loro non rivolgeva niente più che occhiate o brevi cenni. Adesso, più di allora, pendevano dalle sue labbra e lui si sentiva perfettamente in grado di sostenere quel ruolo cruciale che era l’essere un fratello maggiore, una sorta di guida cui rivolgersi qualora avessero avuto bisogno anche del più piccolo consiglio.
Suo padre, invece, non parlava molto, a parole, ma nello sguardo poteva leggere tutta la fierezza che aveva nei suoi confronti. Fiero di lui. E la sensazione aveva un sapore tanto strano quanto piacevole al palato e in mezzo al cuore. Inoltre, ne era sicuro, si era accorto anche di come fosse cambiato, ma Nasir non era tipo da discorrere di certe cose davanti a tutti. Appena si fossero trovati da soli, Mamoru era sicuro che glielo avrebbe fatto notare in qualche modo e in qualche modo gli avrebbe detto d’esserne felice.
“Finalmente ti abbiamo trovato!”
La voce smaccatamente ironica e trionfante di Teppei lo pugnalò alle spalle facendogli drizzare la schiena.
In quel momento, Mamoru si considerò un Elemento finito.
“Ti stavi per caso nascondendo?”
“No che non mi nascondevo, Teppei.” La Fiamma si volse adagio lanciandogli un’occhiata omicida e un sorriso ironico. L’espressione si addolcì quando però vide che c’erano anche Yuzo e Hajime.
“Non stava più nella pelle. Era troppo curioso di conoscere i tuoi fratelli” confessò il Tritone e infatti il tyrano batté le mani davanti a sé osservando i tre piccoli Izawa e come il loro burbero capogruppo fosse cordialissimo in loro presenza. Aveva addirittura la sorella in braccio. In braccio! Non poteva crederci! Non si era di certo dimenticato quanto fosse stato rude nei confronti di Yoshiko quando si trovavano a Sendai.
“Allora sono loro! Ma sono carinissimi!”
Mamoru scosse il capo e decise di capitolare. Fece le presentazioni.
“Papà, Sheral loro sono Hajime Taki e Teppei Kisugi, rispettivamente da Agadir e da Tyran. Miei compagni di viaggio e missione. In quanto a Yuzo-”
“Yuzo-caro!” trillò Sheral andando incontro al volante con le braccia aperte. “Che sollievo è stato vedere che anche tu stavi bene.”
“…lo conoscete già” concluse Mamoru, arrendendosi anche a quello.
Hajime e Teppei salutarono formalmente il Doge e la di lui consorte.
“Quindi eravate voi gli altri due” notò Nasir, assottigliando lo sguardo. “Quelli che hanno avuto il buon senso di non pretendere di farmi la paternale. Dico bene, randagio?”
“Papà!” sbottò Mamoru fulminandolo con la peggiore occhiata che potesse fargli. Nasir agitò una mano con noncuranza.
“Non intrometterti, figlio, son cose che riguardano me e il tuo amico di Alastra.”
Yuzo sorrise, affrontando a testa alta la frecciata dell’uomo. “Dite bene, Doge Izawa. È un vero piacere rivedervi.”
L’uomo sostenne il suo sguardo, sollevando il mento. Sorrise di rimando e Mamoru non seppe se rimanerne più sorpreso o altro: sul viso di suo padre non c’era alcuna ostilità, anzi.
“Anche per me, ragazzo. E tuo padre dov’è? Non sono ancora riuscito a incrociarlo.”
“No, aspetta! Vuoi dirmi che conosci il Console Shiroyama?” La Fiamma spalancò gli occhi.
“Sì, certo. Da tantissimo tempo. Tadashi è di Dhyla, ci conosciamo praticamente da quando eravamo bambini.”
Il Magister Reale del Fuoco sbatté più volte le palpebre alla notizia. “Quindi siete… amici di infanzia?!”
“Sì. Perché?”
“Oh, stupendo” masticò il giovane. Poi guardò il volante di sguincio. “E tu lo sapevi.”
“Sì, temo d’aver dimenticato di dirtelo.”
“Non ne avevo dubbi.”
“Qual è il problema?” mormorò Yuzo avvicinandosi alla Fiamma, mentre i suoi fratelli erano presissimi da Hajime, Teppei e Silver.
“E mi chiedi quale sia? Ma è ovvio!” sbottò. “Conosco abbastanza bene mio padre da sapere che non perderà l’occasione per fare chiacchiere con il tuo! Già me li vedo che sparlano di noi come due vecchie comari.”
Yuzo rise scuotendo il capo mentre Nahila lo fissava così tanto intensamente che non riuscì a non notarlo.
“Ti somiglia tantissimo” convenne, guardando prima la bambina e poi la Fiamma.
Quest’ultima sorrise, mettendo da parte il resto. “Vero, eh?” Poi si rivolse alla sorella. “Nahila, lui è Yuzo. E’ un mago come me, però sa anche volare.”
Il volante si profuse in un cortese inchino e le sorrise. “Piacere di conoscerti.”
Le guance di Nahila si imporporarono di colpo e subito tornò a nascondersi nel collo di suo fratello.
“Oh, ma guarda” esordì Sheral con un sorriso complice. “E’ la prima volta che vedo Nahila arrossire davanti a qualcuno.” Si sporse verso Yuzo, ridacchiando. “Credo che tu abbia fatto colpo.”
– E’ proprio una Izawa. – Mamoru aveva quel pensiero sulla punta della lingua, ma lo tenne per sé guardando poi come Seika avesse fatto subito amicizia con Silver e Hajime discorresse con Bairei e suo padre, entrambi affascinanti dalle abilità dei Tritoni di far comparire le branchie e la coda.
Quell’immagine di calma e la sensazione di essere davvero parte di una famiglia gli sembrarono quasi una sorta di sogno, quello che avrebbe sempre voluto vivere fin da bambino, ma quando i suoi occhi trovarono quelli di Yuzo capì che per una volta, una, in tutta la sua vita, non c’era alcun sogno, ma solo la realtà. E la realtà era migliore di qualsiasi altro sogno avesse mai potuto fare.
“Nasir, quasi non riuscivo a riconoscerti in mezzo a tutti questi bambini.”
Il Doge levò lo sguardo al nuovo venuto e sorrise ampiamente. “Tadashi! Avevo giusto chiesto di te a tuo figlio!”
A Mamoru fece una strana impressione vedere i due uomini abbracciarsi proprio come due amici di vecchia data. L’immagine di loro due che spettegolavano si fece dannatamente reale, tanto che tirò via un sospiro rassegnato. Era diventato davvero tollerante a tutto, ormai. Refrattario, come la migliore delle fiamme.
Il Doge salutò anche gli altri Magister Reali, oltre suo figlio, che aveva avuto modo di conoscere durante il viaggio di ritorno, e ne approfittò per ringraziarli ancora vivamente di ciò che avevano fatto.
“Era nostro dovere, Console” rispose prontamente Mamoru; a volte dimenticava di non essere più in missione. Sua sorella, nel frattempo, era subito corsa a nascondersi dietro le gonne di Sheral dopo che l’aveva fatta scendere dalle sue braccia. “Siamo Elementi prima di tutto.”
“E lo avete dimostrato fino in fondo” annuì l’uomo.
Nasir rimase davvero colpito dalla prontezza e dalla serietà con cui Mamoru aveva risposto al padre di Yuzo. Professionale, maturo. Ormai era un Magister, non doveva dimenticarlo. Non doveva dimenticare che non era più il bambino arrabbiato che era stato, ma un uomo forte e coraggioso. Un uomo di cui essere fieri.
Hajime e Teppei ringraziarono il Console e ne approfittarono per accomiatarsi dagli Izawa e tornare dalle rispettive famiglie.
“Ne approfitto anche io per sottrarvi Yuzo per un po’, ma dopo vorrei parlarti ancora, Nasir. Credo che tu abbia molto da raccontarmi.”
“E sorbirmi una predica anche da te? Per carità!” rise il Doge sollevando le mani. “Hai già fatto un’ottima scuola a tuo figlio, almeno tu risparmiami.”
Yuzo accennò un inchino e rivolse un’ultima occhiata alla Fiamma prima di allontanarsi. Anche lui gli aveva detto che si sarebbero visti più tardi, seppur senza usare le parole, tanto ormai erano divenute superflue tra loro; riuscivano a comprendersi anche solo con uno sguardo e Mamoru capì, per questo sorrise di rimando, scortandolo poi con gli occhi fin quando fu possibile.

“Perdonami se ti ho portato via in quel modo, ma non riuscivo a liberarmi di alcuni ospiti e appena mi è stato possibile ti ho subito cercato.”
Yuzo gli sorrise apertamente. “Ma padre, non devi giustificarti. Anzi, sono felice che tu abbia trovato un attimo per poter parlare con me.” Presero a camminare all’interno della sala, scivolando tra le persone con passo calmo, senza alcuna fretta. “Quasi non mi sembra vero che abbiamo potuto trascorrere così tanto tempo assieme.”
“Lo so, anche a me è sembrato strano non esser stato vittima delle mie solite comparse mordi e fuggi.”
“Anche di questo non devi giustificarti, ne abbiamo parlato spesso. L’impegno di un Console è molto importante e so quali sacrifici comporti.”
Tadashi si fermò, guardando intensamente le iridi di suo figlio. Aveva sempre avuto quella profonda comprensione verso di lui e i suoi doveri. Qualcun altro avrebbe potuto rinfacciargli la sua continua assenza, ma non Yuzo. Lo prese per le spalle.
“A dire il vero ti cercavo anche per parlarti di una cosa” disse poi, il tono più basso e confidenziale, quasi avesse voluto isolarsi dalla folla. “Ieri si è tenuta una riunione speciale su richiesta dell’attuale Re Tsubasa. Ha convocato i membri del Consiglio, i Master e suo padre affinché si discutesse in merito a ciò che è avvenuto a Sendai.”
Yuzo prese un ampio sospiro appena sentì quelle parole. Fin dall’inizio, anche quando aveva scelto di accettare la proposta di Tsubasa, aveva saputo che la possibilità di veder andare tutto in fumo a causa di quello che aveva fatto c’era, era tangibile e aleggiava su di lui come la nube soffocante di Sundhara. In fondo era giusto. Aveva commesso qualcosa di orribile e doveva pagare.
“Sì, capisco. Siete giunti a una conclusione? Non dovrebbe essere coinvolto anche il Consiglio Scolastico di Alastra?”
Tadashi scosse il capo. “No, Tsubasa ha voluto che fosse una cosa rapida anche perché, beh, diciamo che non ci ha permesso di scegliere, ma ha scelto lui per noi, imponendo la sua volontà di detentore della Chiave Elementale. Ryo ovviamente era presente e ha appoggiato Tsubasa in ogni sua scelta.” Il Console sorrise. “Le accuse sono cadute. Non sei colpevole di nulla, Yuzo.”
La sorpresa apparve evidente sul viso del giovane, tanto che Tadashi continuò. “Tsubasa non ha voluto sentire ragioni. Non ci avrebbe lasciati andare se non avessimo accettato il suo verdetto. Lui sapeva che eri sotto l’influsso dell’onice e quindi la responsabilità di quanto accaduto non è da imputare a te, un mero mezzo, quanto a tutto l’Ordine.” Prese un respiro ancora più profondo e un senso di sollievo dilagò nel suo sguardo. “Per questo ha disposto che l’Ordine dei Cavalieri dell’Onice venga sciolto. Per sempre.” Strinse più forte la presa. “Sei libero, Yuzo. Siete liberi. Tutti voi.”
“Liberi?” fece eco l’uccellino, incredulo. Quella parola gli suonò così strana. Non avrebbe più avuto l’onice. Né lui né Hajime e neppure il Master Misugi e i suoi compagni che ne facevano parte. Liberi. “Tutti…”
“Tutti” ribadì suo padre. La stretta che si addolciva. “Ci si è mossi per organizzare il Rito di Annullamento e a breve verranno spedite le comunicazioni a tutti i membri. Nel giro di un anno, i Cavalieri scompariranno.”
“Grazie.” Yuzo lo guardò con intensità, ma Tadashi scosse il capo.
“Non devi ringraziare me. In pratica non ho neppure avuto modo di aprire bocca. Ero andato lì già agguerrito e pronto a difenderti e invece il Re mi ha anticipato su tutta la linea” rise l’uomo, cingendogli poi le spalle con un braccio e ricominciando a camminare. “Tsubasa ha davvero qualcosa di speciale.”
“E’ anche il motivo per cui gli abbiamo dato il nostro appoggio” confermò Yuzo, ma nella sua testa la notizia dello scioglimento dell’Ordine continuava a rincorrersi con quella del suo proscioglimento. Era felice per la prima, ma per l’altra si sentiva così stranamente colpevole. Non riusciva a esserne davvero sollevato, perché si metteva nei panni di coloro che avevano perso tutto a causa sua e non avrebbero avuto nessuno contro cui prendersela. Pensò che fosse ingiusto e la sua situazione fosse tutta in una sorta di vicolo cieco dal quale non sarebbe mai stato possibile uscire.
“E avete fatto la scelta giusta. Ma ora vieni, c’è qualcuno che è venuto per te, da molto lontano…”
Il volante cercò con perplessità il viso del padre e lo vide sorridere felice prima di indicargli, tra la folla che si apriva in una perfetta quanto casuale sincronia davanti a loro, due figure più appartate. Una montagna appoggiata a un bastone e una donna che, in confronto, sembrava così minuta da essere uno scricciolo. Quando lei lo scorse, un sorriso amplissimo, felice e commosso le illuminò il viso.
Yuzo la vide farglisi contro, con le braccia aperte, pronte per stringerlo e lui fu talmente sorpreso che non si sottrasse, anzi. Ricambiò con forza la stretta.
“Zia Haruko.” Le soffio tra i capelli, chiudendo gli occhi e beandosi al pensiero che anche la sua famiglia era tutta riunita, attorno a lui.
“Yuzo! Oh, Yuzo!” La donna sciolse l’abbraccio e gli prese affettuosamente il viso tra le mani per trovarne gli occhi, così simili ai suoi che erano pieni di lacrime ma cercò in tutti i modi di trattenerle. “Sono stata così sollevata nel ricevere la tua lettera e nel sapere che stavi bene, che eri sano e salvo.”
“E io sono davvero felice di vederti qui. Non me l’aspettavo…” poi levò lo sguardo e, più distante, vide Zed che cercava di mantenere un certo contegno, ma anch’egli era commosso e spostava spesso il peso sul bastone.
Sorrise ampiamente anche a lui e andò subito a salutarlo. “Zedečka!”
L’omone non riuscì a essere forte come Haruko e lasciò che qualche lacrima venisse giù, mentre abbracciava quello che considerava un po’ come un figlioccio.
“Oh, per tutte le Divinità di tutte le terre di questo mondo!” borbottò, stringendolo con forza. “Haruko può testimoniare che urlo ho tirato fuori quando ho saputo che era tutto finito e tu ne eri uscito indenne! Quello sciagurato del tuo vecchio se ne andrebbe tronfio per tutta Ghoia se fosse ancora vivo per vederti, dannazione!”
Yuzo rise a quella buffa immagine separandosi dall’ultimo brigante. Il suo sguardo si muoveva dall’uno all’altra. “Ma come sapevate che sarei rientrato? Quando vi ho scritto, la guerra si era conclusa da poco era tutto oscuro anche per noi.”
“Il Console è stato così cortese da mandarci dei suoi emissari, a Ghoia” spiegò Haruko. “Non ci saremmo persi questo momento per niente al mondo.”
“Già.” Zedečka rivolse un’occhiata di profondo rispetto nei confronti di Tadashi. Conoscerlo di persona gli aveva fatto una strana impressione. La prima volta che era venuto a Ghoia non si erano visti e lui ne aveva sentito parlare solo tramite Haruko. Quell’uomo era pur sempre solo il sostituto di Bash nella sua testa, ma quando l’aveva avuto davanti si era dovuto ricredere, perché Tadashi non era solo quello. Era davvero un padre. Glielo aveva letto negli occhi. “Quando siamo arrivati in città, ci è venuto ad accogliere di persona.”
Yuzo era frastornato. Le sue iridi cercarono quelle di Tadashi con sorpresa e tutto l’affetto del mondo. “Padre, io…”
“E’ un giorno importante, la tua famiglia doveva essere qui” si schermì il Console e subito Zed ne approfittò per spezzare la forte emozione del momento. Odiava piagnucolare come una donnetta e se avessero continuato così non avrebbe più smesso. Per questo batté leggermente la punta del bastone al suolo.
“E infatti ci siamo. E’ la prima volta che metto piede in un posto simile, ma lascia che te lo dica: se credono che quello sia liquore, allora non hanno mai assaggiato quello di tua zia. Puoi scommetterci.”
Yuzo rise, mente Haruko gli mollava un buffetto sul braccio. “Zed, non farti sentire: da quello che so, il Re ha dato fondo a tutta la sua cantina e a quelle di mezza Capitale per questo ricevimento.”
“Poteva dar fondo anche all’altra metà. Non sarebbe cambiato niente.”
“Oh, smettila di essere così rozzo, vecchiaccio burbero!” Lo ammonì Haruko. “E vedi di dargli il regalo che gli hai portato da Ghoia.”
“Un regalo?” fece eco Yuzo. “Ma non c’era bisogno di-”
“C’era, invece. È una cosa importante e vorrei che la tenessi tu.” Zed gli porse il pacco che aveva lasciato poggiato sul tavolo, presso cui erano fermi.
Yuzo lo prese con non poca perplessità osservando la carta semplice in cui era stato chiuso e il filo di spago che lo teneva fermo. Poche gocce di ceralacca tenevano saldi tre piccoli fiori di leucojum, gli stessi del campanellino che il mercante gli aveva regalato. Sorrise. Lo aprì.
La copertina del libro era in pelle, lavorata piuttosto rozzamente e dall’aspetto sembrava fosse stata aperta e chiusa più e più volte. Non recava incisioni, ma solo una cinghia che la teneva chiusa. La aprì. Le pagine scorsero fitte di scritte una dietro l’altra.
“E’ la nostra storia” disse Zed. “Lì dentro c’è tutta la vita dei Briganti di Ghoia, dall’evasione da Bàkaras fino al giorno maledetto in cui Van Saal ci ha annientati, ma non sconfitti.” Aveva una strana luce negli occhi, un po’ malinconica, un po’ orgogliosa. “Ci ho messo molti anni per scriverla ed essere sicuro di non aver tralasciato nulla. Nessun particolare, nessun compagno.” Accennò un sorriso. “Le ultime pagine parlano di te. Di quando sei tornato e ci hai finalmente ridato la libertà e la vendetta che meritavamo.”
Yuzo sentì chiaramente i brividi pungergli la pelle e il cuore battere più forte, mentre faceva scivolare le pagine e nomi e parole iniziavano già a scorrergli sotto le iridi, dentro la testa. “Ma Zed… sei sicuro di-”
“Oh, sì” annuì piano il brigante. “Quella storia noi la conosciamo già e l’avremo per sempre marchiata negli occhi, ma con te sono sicuro che non andrà mai perduta. C’è molto di tuo padre, lì dentro, che non conosci e così anche di tua madre.”
Molto di suo padre e di sua madre.
Yuzo fece scivolare piano le dita sulla copertina avvertendo il ruvido della pelle non perfettamente trattata e in parte consunta dalle mille volte che Zed l’aveva aperta e chiusa per appuntare nuovi fatti, nuovi ricordi. Sorrise ancora e nascose le emozioni non dietro l’Autocontrollo, ma solo con la sua volontà, cosicché sarebbe bastato uno sguardo più attento per notarle e a Zed non sfuggirono quando levò gli occhi per cercare i suoi. Quegli occhi che erano di Arya, ma nei quali c’era anche tutta la forza indistruttibile e a volte spietata di Bashaar. Ora sì, la vedeva chiaramente.
“Grazie.” L’uccellino strinse il diario contro di sé. Quasi avesse voluto proteggerlo e proteggere i suoi genitori, la loro storia e la loro sofferenza. “Grazie infinite.”

Parlarono. Parlarono a lungo di ogni cosa. Yuzo si fece raccontare com’era la situazione a Ghoia e fu felice di apprendere come il Doge Gasport non fosse più solo una figura quasi mitologica, ma viaggiava spesso per tutto il Dogato, controllando l’operato dei suoi Delegati e parlando con la popolazione. Van Saal era stato condannato a non rivedere mai più il sole dopo un’accurata indagine condotta dal Doge in persona.
Ghoia era praticamente rinata e a lui venne una voglia matta di poterla vedere ancora, con i suoi occhi, così come i suoi genitori avrebbero sempre voluto che fosse. Poi al discorso si era unito anche Magister Nozaki, il primo alastro che sua zia aveva conosciuto e che era stato mandato nei pressi di Mizukoshi per indagare sul glifo di Yuzo.
Il volante aveva riso ed era stato bello vedere suo padre e sua zia discorrere così amabilmente; gli faceva sentire una maggiore unione tra i due rami della sua famiglia, tanto da fonderli e renderla unica, unita. Mentre ascoltava, i suoi occhi avevano vagato per la sala, distrattamente, e avevano trovato Mamoru.
Era stato accalappiato da figure importanti di scuole differenti, a giudicare dagli abbigliamenti, e con discrezione l’aveva seguito, vedendolo saltare di conversazione in conversazione fino a che non si era accomiatato dall’ultimo di turno per andare ad affacciarsi a una delle vetrate.
Gli era sembrato un po’ in difficoltà e il modo in cui guardava l’esterno sembrava fargli comprendere un desiderio imminente di fuggire da lì. Poi era stato raggiunto da un altro gruppetto di fyrarish e il copione era ricominciato.
“Perdonatemi, mi allontano per qualche momento” esordì d’un tratto, interrompendo la discussione tra Zedečka e il Magister Nozaki.
“Vai pure, figliolo. Lascia a me il diario, ci penso io.”
Yuzo ringraziò suo padre e gli permise di prendersene cura fino al suo ritorno. Poi si allontanò con il passo sicuro quanto bastava affinché nessuno avesse tentato di fermarlo per parlare con lui.
“Ormai sta già entrando nell’ottica del Magister” scherzò Nozaki, ma l’uomo non sapeva che non era per ricoprire il ruolo e l’etichetta di insegnante il motivo che lo aveva fatto allontanare. Anzi, non aveva nulla a che vedere con la sua nuova qualifica.
Calandosi il suo sorriso perfettamente diplomatico, Yuzo arrivò tra i fyarish esordendo con pacatezza, la stessa che era abituato a sfoggiare con i Doge e che riusciva sempre a funzionare. Infatti non fallì neppure con gli Elementi di Fuoco.
“Spero che l’argomento di discussione non fosse troppo importante, non vorrei disturbarvi.”
Quando Mamoru si sentì toccare la spalla e poi udì la sua voce, si volse senza riuscire a celare la palese sorpresa.
“Yuzo…”
“No, non preoccupatevi. Voi se non sbaglio siete il Magister Reale dell’Aria” rispose prontamente un giovane che doveva avere circa la loro età e con i capelli di un bel mogano lucente su cui spiccavano vivi occhi azzurro ghiaccio. “Sono il Magister Salvatore Gentile, della Scuola di Fyar, e lui è l’Elemento Kazuki Sorimachi.”
“Piacere di conoscervi, sono il Magister Reale Yuzo Morisaki Shiroyama.”
Sorimachi fece tintinnare il metallo della catenella che univa le due parti del fiancale nel movimento che compì per spostare l’appoggio sul piede sinistro. “Mi pare di aver capito che siete il figlio del Console Shiroyama, se non sono indiscreto.”
“Nessuna indiscrezione. Sì, lo sono” sorrise Yuzo. “Permettete che porti via il Magister Reale Izawa? Prometto di non tenerlo impegnato troppo a lungo.”
L’espressione sul volto della Fiamma si fece ancora più sorpresa e anche un tantino preoccupata.
Gentile rise, dando una pacca sulla spalla del giovane in questione. “Iniziamo proprio bene, eh, Izawa?” scherzò, sorridendo poi al volante. “E’ tutto vostro Magister. Non iniziate a fargli una testa come un pallone, so che voi alastri siete molto cerebrali.”
“Ormai si è abituato” scherzò Yuzo di rimando. Poi accennò il saluto elementale e si allontanò assieme al compagno.
“E’ successo qualcosa?” domandò subito quest’ultimo. Senza farci caso si stavano muovendo verso l’uscita del salone.
“No.”
“Come no?”
“No” confermò Yuzo. “Sono semplicemente venuto ad aiutarti. Ti avessi lasciato un altro po’ in loro compagnia, avresti finito col trovarti la faccia bloccata in quel fintissimo sorriso.”
La Fiamma sgranò lo sguardo nero come la pece, poi soffiò via una mezza risata, scuotendo il capo. “E sei intervenuto per questo?”
“Sì.”
Mamoru lo guardò di sottecchi, senza smettere di sorridere. Non sapeva se essere più felice del fatto che Yuzo si fosse accorto del suo disagio o del fatto che i suoi occhi l’avessero cercato. Pensò che essere felice per entrambe le cose fosse ancora meglio.
“Ho visto che c’erano tua zia e Hansen. Perché non sei rimasto con loro?”
“E tu perché non ci hai raggiunti, invece?” domandò l’altro di rimando.
Mamoru si strinse nelle spalle. “Lo avrei fatto e dopo di sicuro andrò a salutarli, ma volevo che ti dedicassi completamente a loro. Immagino che non te lo aspettassi di vederli qui.”
Uscirono dal salone riuscendo a non venir travolti da un gruppetto di bambini in corsa capeggiati dallo spericolato principino Daichi.
“No, infatti. È stata una sorpresa di mio padre.”
“Una bella sorpresa, direi.”
“Bellissima” accordò il volante. “Zed mi ha regalato un diario in cui è raccontata tutta la storia dei Briganti di Ghoia. Ci sono cose dei miei genitori che non conosco… e poi parla anche di noi e di come abbiamo liberato la città.”
“Accidenti, diventiamo sempre più famosi vedo” scherzò lui mentre si guardava intorno e poi alle spalle, dove il portone diveniva più distante a ogni passo. Inarcò un sopracciglio. “E ora? Dove stiamo andando?”
“Che ne pensi di: ‘lontano dalla confusione’?”
Mamoru lo guardò così a lungo che, per un istante, temette che l’altro potesse capire tutto all’improvviso, così spostò svelto le iridi nere, lasciando che seguissero la strada. I suoni sempre più ovattati e il percorso improvvisamente familiare. “Dico che prima ero molto più bravo a nascondere certe cose. E ora, invece, non sei neppure l’unico che si è accorto del fatto che non fossi proprio al settimo cielo, là dentro. Perfino Nahila.”
“Ma lei è tua sorella.” Yuzo si portò le mani dietro la schiena, allentando il passo che assunse più la connotazione di una piacevole passeggiata. “E il legame che si crea con i fratelli c’è sempre, anche se non si è vicini.”
“Forse. O forse sono solo io che ho perso lo smalto di una volta.”  
Emergere di nuovo nella terrazza dei ciliegi gli fece esalare un profondo respiro. La calma di quel luogo aveva un effetto terapeutico, forse per via di quegli alberi che, per quanto fossero anche legati ai suoi dolori passati, continuavano a rimanere il ricordo ‘buono’ che di sua madre e Dhyla aveva sempre portato con sé.
“Va meglio?”
Yuzo lo seguiva a un passo di distanza.
La Fiamma si volse, fermandosi di nuovo presso il muro del belvedere dove erano rimasti a parlare quella mattina. “Sì, decisamente. Detesto la folla, ma prima sapevo affrontarla con maggiore distacco e supponenza” confidò, mentre Yuzo lo raggiungeva con calma appoggiandosi di fianco a lui, ma dando le spalle alla città. “È una cosa che mi porto dietro fin da quando ero piccolo. Il fatto di essere il figlio di Sakura Takarazuka mi ha sempre puntato addosso gli occhi di tutti, sia alla Scuola che a Dhyla. Ognuno per un motivo diverso. L’ho sempre odiata quella sensazione di venire scrutato, quasi sezionato. Ma improvvisamente temo d’aver perso la mia aura di ‘persona sgradevole’ per questo non vedevo l’ora di filarmela.”
“E io è per questo che sono venuto in tuo soccorso.”
Mamoru lo guardò, stringendo gli occhi. “E ti dovrei anche ringraziare?”
“Mi sembra il minimo.”
Sbuffò un sorriso. L’aveva portato proprio sulla cattiva strada in quanto a indisponenza ma, diversamente da lui, Yuzo sapeva sempre come usarla e quando e, soprattutto, con chi, mentre lui faticava ancora un po’ quando si trattava di discorrere con le autorità. Certo, aveva fatto enormi passi da gigante, avrebbe addirittura potuto parlare con un Doge senza venire cacciato fuori a pedate, ma doveva finire di smussare certi lati spigolosi. Oh, beh, aveva tempo.
Yuzo riprese. “L’avresti mai detto che sarebbe finita in questo modo? Magister Reali e ancora uniti?”
Lui si ritrovò a scuotere il capo. Nella voce c’era ancora una certa incredulità per la piega che gli eventi avevano preso. “No. E’ andata ben oltre le mie più rosee aspettative. Ma tu non avevi detto che non avresti accettato la nomina a Magister?” Gli lanciò un’occhiatina ironica cui l’altro fece fronte con la risposta pronta.
“Sì, se mi avesse costretto a restare ad Alastra. Ma questa è Raskal, è già una vita nuova, e poi ci siete voi. È stato sufficiente per dire ‘sì’ a scatola chiusa.”
Lui ammiccò, tornando a guardare la città. “Sarà una grande avventura” sospirò, quasi avesse potuto sentirne già il sapore sotto la lingua e nel palato. Un’avventura meno movimentata però, fu l’augurio silenzioso che rivolse a entrambi.
“Di sicuro.” Anche Yuzo guardò altrove. Il tappeto di petali ai suoi piedi sembrò uno spettacolo meraviglioso su cui posare gli occhi. “Mio padre ha detto che sono stato prosciolto dalle accuse in merito ai fatti di Sendai.”
“Davvero?!” Mamoru si volse di scatto. Non si stupì che non lo guardasse, ma tenesse le iridi lontane dalle sue. L’alastro non era d’accordo e la consapevolezza di non essersi potuto opporre al potere dell’onice non lo avrebbe mai fatto sentire meno colpevole. Il peso di tutti i morti della zona di Sendai li avrebbe per sempre portati sulle spalle, indipendentemente da quello che gli altri avrebbero detto e deciso. Indipendentemente dalla verità, perché non era abbastanza forte da scacciare il ricordo.
“Si è tenuto un rapido consiglio, ieri, tra i Consoli, i Master, il Re uscente Koudai e il Re Tsubasa. Ha detto che Sua Maestà non ha voluto sentire ragioni e che il consiglio non sarebbe stato sciolto fino a che non mi avessero dichiarato innocente. Approfittando di questo, Sua Maestà ha anche comunicato che scioglierà l’Ordine dei Cavalieri dell’Onice senza possibilità di appello. Adesso è ufficiale, nei prossimi giorni ci si preparerà al Rito di Annullamento.”
“Ma è fantastico! Hajime e Teppei lo sanno già?”
“Non ancora.” Yuzo gli mostrò un accenno di sorriso, girando appena il volto. “Magari dopo possiamo dirglielo insieme.”
Lui annuì con convinzione e poi il silenzio cadde improvviso, lasciandoli ad ascoltare i festeggiamenti che provenivano da ogni dove ma che, per un meraviglioso miracolo dell’acustica, su quella terrazza arrivavano solo in maniera molto attutita.
Mamoru rimase a osservare il profilo del compagno che ora si era perso a rimirare il panorama dei ciliegi che oscillavano e lasciavano cadere i loro meravigliosi petali.
Adesso che le carte erano cambiate, che non si sarebbero più separati, seppe di non potersi più tirare indietro. L’ultima occasione si era ripresentata di nuovo davanti alla sua porta quasi a rimproverarlo e a dirgli che, stavolta, non avrebbe dovuto lasciarsela scappare. Alla fine non era il coraggio ciò che gli mancava davvero, ma se temeva di sentire la sua risposta significava che da quel viaggio non aveva imparato nulla e doveva dimostrare a sé stesso che non era così.
“Yuzo, c’è una cosa di cui volevo parlarti.”
Lo buttò fuori in un sol fiato e poi si ammutolì, inspirando lentamente, ma con la sensazione che lo stomaco si stesse avviluppando su sé stesso come una trottola. Quando il volante tornò a regalargli il suo sguardo, lesse qualcosa di bello in esso, di diverso, ma non seppe spiegarsi cosa fosse. Era vivo e brillante. Ebbe l’impressione che quella sensazione d’attesa che aveva percepito anche quella mattina, quando il giovane se ne stava andando e lui l’aveva fermato senza dirgli nulla, avesse appena trovato le certezze di cui aveva disperato bisogno. Il tono della voce gli parve come musicale.
“Dimmi pure. Ti ascolto.”
E lo stava ascoltando davvero. La sensazione che l’attenzione di Yuzo fosse solo su di lui e su nient’altro non lo fece rispondere subito. L’uccellino lo guardava come non esistesse più la terrazza attorno a loro. Gli stava dicendo qualcosa, anche se era lui quello che aveva detto di dover parlare, ma la tensione e la paura che sentiva dentro avevano offuscato tutto l’intuito che aveva sempre avuto verso il giovane. Così tossicchiò e si fece forza, pescò a piene da mani da quel coraggio che in lui non era mai mancato e si schiarì la voce.
“Va bene…” Drizzò la schiena, cercò la posizione più comoda, ma non sembrava essercene alcuna. “Sono cambiate molte cose da quando siamo partiti da qui, due anni fa. Non vorrei prenderla troppo alla larga, però… non saprei come dirlo…” Stava sbagliando tutto, dannazione! Non era lui quello diplomatico che agiva con le parole invece che con un sonoro pugno in faccia!
Mamoru si allontanò dal muro di un passo. Si portò le mani ai fianchi e poi passò due dita sulle labbra prima di riprendere.
Yuzo aspettava, nella stessa posizione di prima. A differenza sua non si era mosso di un millimetro. Se la Fiamma avesse alzato lo sguardo in quel momento, avrebbe notato anche il sottilissimo sorriso che gli tendeva le labbra. Un sorriso carico d’affetto che non fece sparire quando lui tornò a guardarlo, ma Mamoru era così… impacciato e buffo che nemmeno ci fece caso. Guardava solo i suoi occhi.  
“Io sono cambiato. Sono cambiato così tanto che a volte fatico a rendermene conto, ma… la cosa non mi dispiace. Ho recuperato molto di ciò che credevo di aver perduto e… Maledizione non guardarmi in quel modo!” agitò una mano con stizza, interrompendo il discorso e prendendo a camminare in tondo. Era agitato.
Stavolta Yuzo non trattenne un sorriso più ampio, stringendosi nelle spalle. “In quale modo, scusa?”
Mamoru si fermò, lo guardò dritto negli occhi nocciola e si fece diretto. Era la sua tattica migliore e capì che non poteva tirarsi indietro nemmeno in questo caso. Parlare chiaro, la cosa più facile per lui che non aveva mai avuto peli sulla lingua, ma farlo in quell’occasione era più difficile, perché non era abituato a dire certe cose. A confessare certe cose.
Lo disse e basta.
“Nel modo in cui riesci a capire tutto senza che io ti parli.”
“Non sono l’unico a usare questo sguardo. Lo fai anche tu con me, anche se non te ne rendi conto.” Il volante rispose con la stessa franchezza. Diversamente da Mamoru, non sempre parlava chiaro, usava troppe parole, ma certe cose le sapeva dire con una semplicità che aveva continuamente spiazzato la Fiamma. “È lo stesso di questa mattina, quando ti ho detto che anche tu riesci sempre a trovarmi.”
“E allora come posso parlarti di qualcosa che tu probabilmente hai già capito?”
Erano passati a una conversazione superiore senza neppure accorgersene. I loro occhi parlavano ancora di più delle loro bocche, più velocemente, e suggerivano le parole che queste dovevano dire in maniera meccanica, affinché tutta la macchina umana potesse davvero comprendersi reciprocamente più di quanto le loro menti stessero già facendo.
“Se l’ho già capito, non dovrebbe essere più facile?”
“Non per me. Non è facile parlare di questo per me. Non è facile dirti che mi sono legato così tanto ad Hajime e Teppei da considerarli i miei amici più cari, così come non è facile dirti quanto io mi sia legato a te. E che questo legame va oltre l’amicizia. Non è facile perché non l’ho mai detto a nessuno.” Il cuore iniziò a capire, a mettersi in moto e a pulsare più veloce nel petto, pompare sangue ovunque e adrenalina sufficiente per non farlo fermare, non adesso. “Non ho mai detto a nessuno di amarlo. A nessuno, tranne te.”
La brezza di Raskal filtrò leggera tra loro, facendo tintinnare i pendagli d’ossidiana rossa tra i capelli di Mamoru e i fregi d’argento sull’abito di Yuzo. Fece stormire le foglie e quelli furono gli unici suoni. I festeggiamenti erano scomparsi. La brezza rinfrescò la pelle di entrambi e alimentò la Fiamma, perché era dell’ossigeno che il fuoco aveva sempre avuto bisogno. Sempre.
“Sono innamorato di te. E lo sono in una maniera che non so controllare perché non so come si fa. E quando ti ho promesso che sarei rimasto al tuo fianco, l’ho fatto perché non avrei potuto fare diversamente;  non avrei voluto. Un tempo non avrei sprecato un attimo della mia esistenza per dedicarlo a qualcun altro, ma ora il mio presente è cambiato e il mio presente sei tu e non vorrei cambiarlo, mai, con nient’altro al mondo.”
Glielo aveva detto. Mamoru lo realizzò solo quando finì la frase e rimase in silenzio. Scrutò la risposta sul volto del compagno e allora si accorse del suo sorriso, ma lo fraintese. Lo prese per altro, confuso da una reazione che non sapeva nemmeno come avrebbe dovuto essere visto che non si era mai dichiarato a nessuno; probabilmente era solo un gesto d’amicizia o – non voleva nemmeno pensarci – di compassione.
“Visto? Lo sapevi già, te lo si legge in viso.”
“Veramente, no. Non lo sapevo fino a che non me lo hai detto. E non parlo di adesso, ma di alcuni mesi fa.” Yuzo lo disse con calma, scandendo bene ogni parola e senza fretta.
Mamoru inarcò un sopracciglio.
“Non… non capisco…”
E allora fu la volta del volante di prenderla alla larga.
“Ricordi quando siamo rimasti bloccati nella caverna? Ricordi che mi avevi detto delle cose? E ricordi quando mi hai chiesto se ti avessi raccontato tutto? Ecco… all’ultima domanda, ti ho mentito.” Fu l’unico momento in cui Yuzo abbassò lo sguardo in quel loro dialogo e gli fece assumere una sfumatura colpevole; come se l’idea di avergli nascosto quel particolare gli fosse stata necessaria anche se non voluta. “Quando eravamo bloccati, quando il freddo dell’incantesimo di congelamento si stava risucchiando tutte le tue energie tu mi hai parlato dei tuoi sentimenti e prima di perdere conoscenza mi hai baciato.”
Mamoru drizzò di nuovo la schiena. La testa che si guardava attorno come se ci fossero le risposte alla sue domande da qualche parte.
Oddee lo aveva… cosa?!
Fece mente locale. Di quel momento non ricordava nulla, il freddo lo aveva completamente annebbiato. Rammentava parole sconnesse e poco altro. Si fece dei conti. E il risultato non gli piacque.
“Q-questo quando… la caverna… il Nohro… un anno fa?! È successo un anno fa, Yuzo?!”
“Sì.” Il volante vide qualcosa cambiare nelle iridi pece della Fiamma. Scorse il nero ribollire, quasi stesse per esplodere. La bocca deformarsi in una frase che non venne pronunciata. Gli vide abbassare la testa, guardare in basso, allontanarsi di un passo e rimanere in silenzio. Il respiro pesante e furioso che cercava di venir controllato in ogni modo possibile.
“Mamoru, asc-”
“No. Non ho più niente da ascoltare da te.” Il fuoco freddo che gli aveva avviluppato le iridi quando si trovavano a Dhyla era comparso all’improvviso, sedando tutto il resto, ghiacciando la fiamma calda che di solito benediceva i suoi occhi.
Mamoru aveva levato una mano per farlo tacere e ora lo guardava con così tanto disprezzo che Yuzo non seppe come affrontarlo, sulle prime, ma si lasciò schiacciare da esso.
“Adesso vedo che persona sei” sputò Mamoru, velenoso. “Lo vedo bene. Che bastardo.” Il capo veniva scosso lentamente, con incredulità, poi il gelo esplose in ira. Mamoru si sentì talmente un idiota da farsi pena da solo e per lui non c’era niente di peggio che provare odio verso sé stesso. “Come hai potuto farmi una cosa simile?! Prendermi per il culo in questo modo per un anno intero, fottute Dee! Un anno, Yuzo!”
“E tu hai pensato a cosa sarebbe successo se te l’avessi detto allora? Se ti avessi messo alle strette per farti confessare qualcosa che non eri pronto ad affrontare?!”
Diversamente da quando si erano trovati a Dhyla, il volante aveva affrontato troppe cose per permettere alla rabbia del compagno di metterlo all’angolo. Si spostò anche lui dal muretto imponendo la propria voce affinché l’altro lo ascoltasse e capisse.
Mamoru lo vide caricare di un passo e poi fermarsi, le iridi nocciola decise e ferme.
“Maledizione avrei voluto dirtelo subito ma avrei messo in pericolo tutto quello che avevamo costruito fino a quel momento sbattendoti in faccia ciò che per te è sempre stato difficile da accettare! Non potevo lasciare che ogni cosa ti distraesse da quello che ci stava aspettando! Dovevamo infiltrarci nella base degli Stregoni e se tu non fossi stato concentrato e focalizzato sulla missione, sarebbe bastato un attimo e non saremmo qui, ora, a parlarne.”
“Oh, certo! Adesso mi stai dicendo che non hai detto nulla per colpa mia, vero?!”
“Non è così!”
Il tono delle loro voci si era alzato, coprendo tutto il resto.
“E allora perché non l’hai fatto dopo la battaglia?! Per cinque mesi siamo stati bloccati al fronte a occuparci delle vittime, dei feriti. Abbiamo cercato di ricostruire! Da cosa mi sarei dovuto distrarre allora?!”
“Ti sei risposto da solo, Mamoru! Stavamo ricostruendo! E non solo tutto ciò che di materiale avevamo perduto, ma noi stessi! E se nemmeno allora, che avevi tutto il tempo del mondo, ti sei fatto avanti, come potevi pretendere che lo facessi io per te?! Già una volta mi hai accusato di essermi messo in mezzo quando non dovevo, comportandomi da egoista, non ho voluto ripetere lo stesso errore. Non stavolta!”
“Perché in questo modo ti sei comportato meglio, vero?!” Mamoru caricava a testa bassa, come un bufalo. Travolgeva tutto, calpestava qualsiasi cosa. Sputò tutto il veleno che aveva dentro e nemmeno si rese conto delle proprie parole, ma era ferito, quello lo sentiva bene. E faceva un male cane. “Per un anno ti sei comportato come se niente fosse accaduto, ma che cazzo hai al posto del cuore un blocco di ghiaccio?! Oh, scusa! Dimenticavo di stare parlando con un Elemento d’Aria! Quelli a cui basta schioccare le dita e nascondono il nascondibile sotto al tappeto! Quelli che hanno i sentimenti a comando! Beh, io non li ho a comando, volante! E non posso rimanere a lavorare accanto a una persona che per la terza volta ha tradito la fiducia che avevo riposto in lui! Il Re dovrà fare a meno del suo Magister Reale del Fuoco o trovarsene un altro!” Si volse senza nemmeno aspettare che l’altro potesse ribattere e prese ad allontanarsi con passo furibondo.
In un altro tempo, mesi prima, forse il volante l’avrebbe lasciato andare a sbollire la rabbia in solitudine, ma se Mamoru era cambiato, Yuzo non era da meno.
Con un gesto veloce erse un muro di vento che impedì al fyarish di avanzare ancora, l’uscita preclusa.
La Fiamma ruggì un insulto e si volse piano, indicando l’incantesimo con spregio, mentre Yuzo lo raggiungeva e nei suoi passi c’era la stessa decisione che aveva mosso quelli di Mamoru.
“Togli quell’affare!”
“No. La discussione non è ancora finita e non ti lascerò andare fino a che non mi avrai ascoltato!”
“Ascoltarti?! Cos’altro dovrei ascoltare da te, maledizione?! Ti ho detto qualcosa che non ho mai detto a nessuno in tutta la mia vita e tu fingi di non saperne nulla per tutto questo tempo!”
Adesso erano faccia a faccia, occhi negli occhi.
“Non mi hai nemmeno chiesto cosa ti ho risposto in quella dannata caverna quel giorno.”
“Ha importanza saperlo?!” Mamoru lo sbeffeggiò, facendosi avanti di ancora un passo come se imporre la propria fisicità potesse intimorire l’altro. Lo guardò con sfida, ma era completamente accecato. “Su avanti! Sentiamo quale meravigliosa risposta strappalacrime sei riuscito a tirare fuori; voi alastri siete così abili con le par-”
La frase venne troncata con forza nel momento in cui si ritrovò le labbra di Yuzo sulle proprie. Il viso stretto tra le sue mani che avvertì caldissime contro la pelle. Non sembravano neppure le mani di un volante, bensì quelle di un fyarish. E le sue labbra…
Mamoru non riuscì a dire nulla né a liberarsi dalla presa che era salda seppur non forte. Forse perché la sorpresa del gesto e i sentimenti che sentiva correre, fluire dalla sua alla propria pelle, lo immobilizzarono. Soggiogato da un qualche incantesimo che non conosceva perché quel semplice tocco tra loro aveva interrotto la sua furia. L’aveva spezzata in due.
C’erano solo le proprie labbra, ora, e quelle di Yuzo che le stringevano senza forzarle. Un bacio incredibilmente casto, ma che riuscì a stordirlo come e più di un pugno perché proveniva da lui, dal volante e non era mai stato così diretto.
Quando la bocca dell’alastro si allontanò, Mamoru si accorse di aver trattenuto il respiro così a lungo che si ritrovò a prendere una boccata d’ossigeno profonda più e più volte.
Il viso ancora stretto, carezzato, dalle mani del compagno, mentre il proprio sguardo era perduto in un punto che non erano gli occhi di Yuzo, ma poteva sentirne il respiro ancora vicinissimo alle labbra. Se avesse levato lo sguardo, le iridi nocciola che tanto avevano carpito di lui gli sarebbero entrate dentro come spine. Così non si mosse, non parlò, prese solo a respirare.
La furia delle loro voci era tornata a essere sussurro piacevole assieme al tintinnare del metallo e al frusciare delle foglie sotto il tocco del vento.
“Era questo che ti ho risposto quel giorno…” Gli mormorò il volante e il suo fiato era caldo; carezza sulla pelle. “…mentre ti supplicavo di non andartene, di restare con me e nel buio maledicevo il mondo intero perché non potevo guardarti ancora. Ti supplicavo di restare al mio fianco, di mantenere la tua promessa. E quando stamattina mi hai ribadito che saresti rimasto, mi sono sentito così egoisticamente felice. Perché è il rumore dei tuoi passi che voglio sentire mentre cammino, il tuo rimprovero quando sbaglio e la tua risata quando faccio la cosa giusta. È il tuo viso che voglio vedere al mattino quando mi sveglio e la sera quando vado a dormire. Ora, come allora, la mia risposta non è cambiata perché non voglio perderti. Perché anch’io non l’ho mai detto a nessuno e so per certo che non potrei dirlo a nessun altro, oltre te.” Le dita scivolarono un po’ più in basso, raggiungendo la linea della mascella, quasi perdessero la forza di trattenerlo mentre si liberava di tutti i suoi segreti. Le labbra ancora vicinissime. “Perché anch’io sono innamorato di te.”
Mamoru sentì qualcosa passarlo da parte a parte, ma non seppe cosa fosse né il punto preciso in cui venne perforato; era ovunque. Non si mosse, continuò a respirare e ascoltare.
“E non è stato… non è stato facile tenerlo nascosto, ma non volevo spezzare quello che avevano conquistato con così tanta fatica. Se ti avessi forzato la mano, se ti avessi messo davanti le tue parole troppo presto tu saresti fuggito da loro come da me. Non mi importa quanto avrei dovuto aspettare, ma avrei atteso il momento giusto, quello in cui saresti stato pronto per farti avanti.”
Le mani perdevano sempre di più la presa, ora erano sul collo, ma lui non lo interruppe.
“Averti… averti vicino in questi mesi e non poterti parlare come avrei voluto è stata una tortura. Se solo ti avessi toccato più del necessario, se solo ti avessi permesso di abbracciarmi anche un’unica volta ti saresti accorto di ogni cosa perché non c’è nessuno, al mondo, che riesce a capirmi come tu capisci me. Ma non era il momento e lo sapevamo entrambi. Questa guerra ci aveva fatto troppo male e se non riuscivamo nemmeno a ridere senza sentirci in colpa come avrei potuto chiederti di amarmi? O come tu avresti potuto chiederlo a me?”
Era vero: Yuzo non gli aveva mai chiesto un abbraccio in quei mesi, Mamoru capì solo in quel momento il perché. A volte era stato tentato egli stesso di avvicinarlo, ma ogni volta si era ritratto perché avvertiva qualcosa nel compagno che sembrava come respingerlo. Si sforzava di essere sufficiente a sé stesso, di non aver bisogno del contatto altrui, quando invece Yuzo non aveva mai fatto mistero di quanto il contatto gli fosse vitale.
Le mani erano scivolate via del tutto, adesso solo i loro visi restavano vicini, ma senza toccarsi.
Si erano appena detti di amarsi, eppure perché alla Fiamma sembrò un orribile addio?
“Se oggi non me ne avessi parlato, l’avrei fatto io prima della fine del giorno e non sto mentendo. Ora puoi decidere ciò che credi sia la scelta migliore per te, ma ti prego… non andartene. Resta con me, Mamoru.”
Poi il silenzio.
Il monologo era stato lungo, le parole gli erano entrate sotto la pelle, assorbite attraverso il calore e il fiato che erano rimasti a un soffio dalle labbra e contro il viso, ed erano arrivate dividendosi tra cervello e cuore. L’orgoglio sgomitava per farsi spazio e forse avrebbe potuto concedergli di brillare ancora un’ultima volta.
Mamoru strinse le labbra e queste tremarono, Yuzo non comprese se di rabbia o di cos’altro. Le iridi pece si levarono di scatto per bloccarsi nelle sue e leggere, capire. Scavargli in fondo, fino a toccare l’anima. Non trovarono alcuna opposizione.
Con un gesto secco afferrò il bavero della giacca del giovane e lo strattonò con forza contro il tronco dell’albero più vicino. I fregi tintinnarono in maniera scoordinata così come l’acciaio della propria armatura leggera.
Yuzo chiuse gli occhi per un attimo, lasciando che il fiato uscisse fuori dalle labbra con una sottile nota quando avvertì il contatto brusco con il legno alle sue spalle. Quando li riaprì, le fiamme che divampavano negli occhi di Mamoru erano ancora lì. La pece ribolliva, gorgogliava, lo intrappolava e lui non si divincolò. Poi il fremito alle labbra cessò, la pece assunse un calore benevolo e le sopracciglia persero la presa sull’espressione iraconda. Non più fuoco gelido, ma solo quello che aveva imparato a conoscere e ad amare.
Le labbra del fyarish lo cercarono con impeto, divorarono le sue, stringendole, forzandole e Yuzo, di nuovo, non si oppose ma si lasciò travolgere dall’amore che Mamoru aveva dentro. Ed era sconfinato, segregato per anni nel cuore cui non aveva permesso mai a nessuno di accedere; un cuore caldo e così avvolgente, generoso, nobile.
Yuzo si sentì un privilegiato a poterlo percepire, a poter sentire e vivere tutte quelle emozioni che la Fiamma aveva sempre nascosto, ma che lui aveva, invece, sempre saputo essere parte di quello spirito ribelle. Adesso erano libere, vive come fuoco puro. Sue.
Le mani di Mamoru lasciarono il bavero per scivolare sul collo e risalire lungo la mascella, affondare nei capelli corti e stringerlo per approfondire quel bacio che sembravano migliaia insieme. Gli lambiva le labbra, le legava alle proprie, lo cercava ancora e ancora, riconoscendo in ogni istante quel calore che aveva assorbito e non avrebbe più potuto dimenticare né confondere. Quel calore che non aveva mai avuto, nonostante fosse nato e vissuto circondato dal Fuoco. Ma il Fuoco era destinato a morire se non c’era l’Aria a tenerlo vivo. E Aria e Fuoco erano come lacci che una volta intrecciati non si potevano sciogliere, erano nodi inestricabili.
Per questo Yuzo rispose alla sua famelicità: perché una volta entrato nelle fiamme, il vento non poteva più uscirne. Intrappolato, divorato. Reso parte di qualcosa di più grande, che si espandeva verso l’infinito.
Le sue mani abbandonate cercarono Mamoru, scivolarono sui fianchi fin dietro la schiena, lo strinsero e il nodo fu completo. Armonia tra vento e fuoco nella danza più antica del mondo, equilibrio tra dare e ricevere, prendere e offrire. Si completavano come fossero un solo essere.
Solo allora, quando tutto il resto sembrò non avere più importanza tanto da sparire, le labbra si separarono, ma le mani no. Le mani restarono affondate nei capelli e avvolte dietro la schiena. Le fronti si trovarono, cercarono appoggio l’una con l’altra.
Mamoru prese un respiro più profondo. Gli sfiorò lo zigomo con la punta del naso. “Non mentirmi ancora. Non lo sopporto.”
“Non ne ho più motivo” sorrise Yuzo e alla Fiamma bastò. Scivolò ancora contro la sua pelle; le labbra tracciarono una scia di baci più piccoli, leggeri, ovunque passava, quasi a volerla marchiare come propria, prenderne possesso. Gli baciò ancora le labbra, stavolta adagio, con controllo. Il Fuoco che veniva domato, ma si alimentava con piccole boccate di ossigeno.
Si separò e stavolta cercò i suoi occhi. Vederli ora era tutta un’altra cosa, ed erano meravigliosi, limpidi come cristalli. Li fissò a lungo, poi sbuffò un sorriso e scosse il capo.
“Perché ridi?” Yuzo inclinò il viso di lato lasciando che le sue mani potessero carezzargli meglio la guancia.
Lui inarcò un sopracciglio sull’espressione ironica e divertita. “Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti?”
“Sì, che mi avresti rispedito ad Alastra in un’urna cineraria.”
Mamoru ridacchiò ancora di più. “Già e guardaci adesso. Dove diavolo siamo arrivati?”
Yuzo rise con lui e poi si avvicinò per baciarlo ancora.
Mamoru adorava il modo in cui lo cercava, lo faceva sentire così dannatamente importante e non perché fosse il maledetto figlio della maledetta Sacerdotessa o del famoso Doge, ma perché era solo Mamoru, solo sé stesso, con i suoi pregi e i suoi difetti.
“Davvero me lo avresti detto prima della fine del giorno?” Gli domandò poi, quando le sue labbra tornarono libere. Non sarebbe stato per molto, lo sapeva; quelle di Yuzo esercitavano un magnetismo irresistibile su di lui.
L’altro sorrise.
“Sì. Stavolta ero io a non poter più aspettare.”
“Lo abbiamo fatto anche per troppo tempo.” Gli fece notare e il volante annuì, appoggiando poi la fronte nell’incavo tra spalla e collo.
Mamoru lanciò un’occhiata al muro di vento che ancora imperversava, deciso a bloccare entrata o uscita a chiunque. “Penso che quello puoi anche toglierlo, ora.”
Yuzo mosse appena il viso, giusto il necessario per inquadrarlo con un occhio. Levò una mano e il muro si dissolse facendo sollevare i petali.
“Sei libero di fuggire.” Lo pungolò il volante, ma subito le dita della Fiamma si strinsero ai suoi capelli con più forza, tanto da fargli sollevare il viso.
“Tsk, prima mi blocchi e poi fai anche lo spiritoso?” Le dita allentarono la presa e scivolarono lungo la linea del collo, ma si fermarono prima di arrivare all’onice. Lo sguardo si addolcì ed era un’espressione che Yuzo gli vedeva per la prima volta. “Non ho bisogno di fuggire. Sono già dove devo essere. Dove voglio essere.” Le labbra di Mamoru scivolarono lungo la linea del naso e si fermarono vicino alle sue. Indugiarono, sfiorandole appena e poi le fece proprie ancora una volta.
Yuzo lanciò una fugace occhiata verso l’ingresso della terrazza. Sospirò.
“Non pensi che dovremmo rientrare? Noteranno la nostra assenza.”
“Con tutta la gente che c’è?”
“Beh, se mancano due dei quattro nuovi Magister Reali, qualcuno si porrà l’annosa domanda.”
Mamoru fece spallucce. “E lascia che se la pongano.” Yuzo rise e lui continuò. “Senti… volevo chiederti… hai già deciso cosa fare nel periodo di riposo concessoci dal Re, prima di prendere servizio presso il castello? Nel senso… hai già dei piani?”
Il volante ci pensò un po’; aveva lo sguardo altrove e le dita che scivolavano adagio lungo la schiena del compagno in un movimento ritmico e rilassante. “Avevo delle idee, ma niente di certo… pensavo di passare un po’ di tempo a Ghoia, poi non so.”
“Che ne diresti di venire con me?” Mamoru intrappolò le sue iridi nelle proprie. “Mio padre ha portato l’urna di mia madre. Alla fine dei festeggiamenti, Sheral e i miei fratelli torneranno a Dhyla, mentre io e lui ci dirigeremo a Vestalys, per chiudere per sempre la faccenda.” Distolse lo sguardo per un attimo e poi tornò a guardarlo. “Vorrei che ci fossi anche tu.”
“A Vestalys?”
“E’ praticamente certo che non ti faranno mai entrare nel Tempio. Già dovrò sudare sette camicie per entrarci io, però-”
“Certo che ti accompagno.” A Yuzo non importava dover restare fuori, gli sarebbe andato bene anche rimanere sulla paskat, ma non lo avrebbe mai lasciato da solo, non per una cosa così importante come quella. “Mi hai promesso che resterai al mio fianco, vale anche per te. Ci sarò.”
La Fiamma sorrise, scuotendo ironicamente il capo. “Il solito uccellino…” ma le sue parole gli avevano fatto battere il cuore più forte. Solo che si era già lasciato andare troppo, per i suoi gusti, doveva ancora prendere confidenza con tutto quello. “Dopo rientreremo a Dhyla; ovviamente sei più che benvenuto. Sheral stravede per te e, come hai potuto notare, anche i miei fratelli, cosa di cui non avevo dubbi. In quanto a mio padre… La gente ha sempre dovuto sputare sangue per ottenere la sua fiducia, ma con te… piaci anche lui. La cosa mi sconvolge.”
“Uh, ho fatto strage nella famiglia Izawa.”
“Non sfottere” ribatté Mamoru storcendo le labbra in un mezzo sorriso.
“Però non puoi negarlo.”
“Non. Sfottere” ripeté ancora, mentre l’altro se la rideva. Ruotò gli occhi, masticando qualcosa piano piano. “Che diavolo gli fai tu alle persone ancora devo capirlo.”
“Cosa?”
“No, niente.” Poi tornò a guardarlo. “Possiamo restare lì qualche giorno e poi… andare a Ghoia.”
“Non sei ancora stanco di tutto questo viaggiare?” Lo prese in giro il volante, ma era davvero felice che glielo avesse proposto. Mamoru lo sapeva, per questo si strinse nelle spalle rispondendo con serietà.
“Ogni viaggio è diverso. E poi sono curioso di sapere come vanno le cose ora che Van Saal non può più fare del male a nessuno. Vorrei vedere la vera Ghoia, rinata dalle sue ceneri.”
Il sorriso di Yuzo gli valse più di qualsiasi risposta e fece per avvicinarsi, baciarlo ancora quando…
“Teppei, abbiamo girato tutto il castello!”
“Devono essere sicuramente qui! Avrei dovuto pensarci subito quando mi hanno detto che c’era una terrazza tutta di ciliegi!”
Mamoru si immobilizzò, ibernato sul posto. Sul suo volto vi era l’espressione del Terrore e un colorito acceso che gli imporporava le guance.
Yuzo strozzò una risata che gli stava per uscire dal profondo del cuore. Non l’aveva mai visto così visibilmente in imbarazzo: i suoi occhi si spostavano da lui alla direzione dell’entrata. Erano ancora piuttosto lontani dall’ingresso, Hajime e Teppei avrebbero potuto vederli solo se fossero arrivati nei pressi del muro.
Yuzo lo strinse più forte fino ad attirarsi definitivamente i suoi occhi, nei propri c’era comprensione e dolcezza. Lo guardò da sotto in su. “Sta’ tranquillo, terremo tutto questo solo per noi, ancora per un po’.”
L’ansia della Fiamma si sciolse all’improvviso nella calma delle sue iridi nocciola. Non era abituato a mostrare apertamente i propri sentimenti, doveva lavorarci ancora, ma Yuzo gli aveva appena dimostrato quanto, profondamente, aveva imparato a conoscerlo.
Mamoru gli lasciò un ultimo leggerissimo bacio sulle labbra. “E’ anche per questo che ti amo” disse con un sorriso.

“Ecco, lo vedi? Non sono nemmeno qui.” Hajime aveva l’espressione rassegnata e un calice per mano. Aveva cercato in ogni modo di persuadere Teppei dal cercare quei due, appena si era accorto che non erano più in sala. Diversamente dal tyrano, lui aveva capito perché fossero scomparsi e avrebbe voluto fare di tutto tranne che andargli a rompere le scatole. Per una volta che finalmente trovavano il momento per chiarirsi, ci mancavano solo loro, quarti incomodi. Quinti, considerando Silver acciambellato attorno al collo di Teppei.
“E io ti dico che devono essere qui per forza! Guarda che bello! Questo posto a Mamoru piacerebbe sicuro, non ti ricorda Dhyla?” Il tyrano girò su sé stesso riempiendosi gli occhi dei meravigliosi colori della terrazza. Silver schioccò la lingua in segno di approvazione e tornò a poggiare quietamente il muso sulla punta della coda. Poteva esser scambiato per una sciarpa, tanto se ne stava attorcigliato al suo padroncino. Anche Teppei recava due calici con sé, uno per mano.
“Sì, va bene, ma non potevamo aspettarli nella sala grande? Saranno andati a fare due passi…” -…o qualcosa di meglio! - ma questo non lo disse. “E poi, con tutta la gente che c’è, come puoi esser sicuro che magari non erano lì, mischiati tra la folla?”
Teppei ruotò gli occhi al cielo. “Perché è così, ti dico! Non c’erano! E poi avranno tutto il tempo di andarsene a zonzo! Non abbiamo ancora fatto un brindisi come si deve!” E mentre parlava continuava ad avanzare spedito verso il fondo della terrazza.
Hajime sospirò. “Magari volevano trovare un po’ di calma…”
“Con Teppei nei paraggi?” La voce di Mamoru arrivò distintamente da dietro un albero, attirandosi gli sguardi sia di Acqua che di Terra. “Impossibile.”
Hajime soffocò una mezza bestemmia perché quel testone del suo migliore amico era peggio d’un segugio, mentre l’amico in questione, invece, sorrideva ampiamente allungando il passo.
Li trovarono proprio doveva aveva pensato che fossero, nei pressi del tronco nodoso di un grande ciliegio, la cui visuale era preclusa dall’ingresso.
Yuzo restava poggiato con la schiena all’albero, mentre Mamoru gli era di fronte, le braccia conserte e il sopracciglio inarcato sull’espressione ironica.
Hajime lanciò un’occhiata di supplichevoli scuse al volante, ma quando questi gli sorrise, accennando appena col capo, si rilassò: forse non erano arrivati al momento sbagliato.
“Ma dove eravate spariti?! Vi abbiamo cercato ovunque!” sbottò il tyrano e Mamoru sghignazzò.
“Dove pensavi che fossimo, Teppei? Tanto ci vedremo tutti i giorni!”
“Questo lo so! Ma con la confusione che c’è, non abbiamo ancora avuto modo di festeggiare, solo noi quattro.” Porse i due bicchieri alla Fiamma e al volante, sorridendo. “Un brindisi in solitario ce lo meritiamo, no?”
“D’accordo, ma tieni la tua serpe lontana da me. Mi fanno senso le cose che strisciano.”
Silver sollevò appena il muso, annusò l’aria attorno alla Fiamma con espressione supponente e poi girò il capo.
“Non offenderlo. Silver è molto sensibile!”
Mamoru ridacchiò con una certa perfidia, mentre Yuzo scuoteva il capo e lasciava un paio di grattini affettuosi sulla testa dell’animale che, ovviamente, non disdegnò.
“Allora.” Il tyrano sollevò solennemente il calice che gli aveva offerto Hajime, impostando il tono della voce. “Ai nuovi, e per ora primi nel loro nome, Magister Reali di Raskal. Che la nostra saggezza-”
Mamoru tossicchiò e Teppei corresse il tiro.
“…che la nostra fedeltà e il nostro coraggio ci aiutino a essere sempre di degno supporto per il Re, per la Divina Chiave e per tutti gli abitanti di Elementia.”
“Salute!” dissero in coro, cozzando i calici.
Il tintinnare del finissimo cristallo si disperse con una nota sottile tra la pioggia di petali e mentre portava il vino alle labbra, Mamoru pensò, questa volta senza il solito rammarico, a come l’ennesimo capitolo della sua vita si stesse chiudendo mentre un altro, ancora tutto da scoprire, stesse aprendo i suoi pesanti battenti alla luce.

Queste saranno le ultime righe che lascerò vergate su queste pagine, prima che tale Diario venga consegnato agli illustri Consoli e, di seguito, agli Archivi Reali.
Per quanto il buio sia fuori da questo castello, i preparativi per l’incoronazione continuano in tutta la Capitale, arrivando a noi in forma di eco lontane, fuochi d’artificio e canti.
Quando siamo partiti, la città era già in festa e così l’abbiamo ritrovata, come se il tempo si fosse fermato e non fossero trascorsi due anni sulla nostra pelle e sulle nostre teste.
Gli eventi che ci hanno condotto lontano, per queste terre, sono stati molteplici e non di tutti conserveremo un ricordo positivo, ma ciò che ho imparato sta nel non rinnegare nulla di quello che abbiamo fatto e vissuto. Ognuno di noi ha appreso qualcosa per cui vale la pena rammentare ogni attimo di sofferenza prima di poter assaporare il nirvana della ricerca.
Magari, ripensandoci, a volte sarà l’amaro a piegare le nostre labbra e altre volte saranno i sorrisi perché abbiamo perso qualcosa e qualcos’altro lo abbiamo trovato, ma in fondo ciò che più conta è che avremo un domani per poterlo raccontare ancora.

Elemento di Fuoco,
Mamoru Izawa.

 

Così termina il cammino dei quattro viandanti
e della loro avventura, ma senza rimpianti
perché altre ne verranno, al di là di questa guerra,
a scrivere il futuro di Aria, Acqua, Fuoco e Terra.

 


[1]NUMERO UNO: XD questa è la mia passione per Star Trek che emerge di prepotenza! *rotola* Numero Uno è l’espressione con cui il Capitano della USS Enterprise 1701-D, Jean-Luc Picard, chiamava il suo Primo Ufficiale, William T. Riker. :3333 *awww*


 

*

Elementia: The War
Fine


*


 

 

…Il Giardino Elementale…

 

Cinque anni e sei mesi.
Tanto è passato da quando ho pubblicato il Prologo di questa storia e mi sembra di aver chiuso un’epoca. Forse in parte è così.
Sono cambiate tantissime cose in questi cinque anni e la stesura di “Elementia: The War” ha visto fasi alterne, tre anni di buco e poi la ripresa sfrenata fino ad arrivare a questo momento.
Oggi “Elementia: The War” finisce, così come la guerra che vi ha raccontato, ma “La saga di Elementia” non è affatto conclusa.
Ci sono cose non dette o lasciate in sospeso che aspettano solo il momento opportuno per tornare e prendersi tutte le parole di cui sarò capace per potervele narrare.
Spero che allora, come ora, voi sarete ancora con me, con loro, per ascoltare.
Potete stare tranquilli: non sarà niente di lungo come questo. Anzi, credo che qualsiasi altra storia pubblicherò non sarà mai, mai e ribadisco MAI lunga come “The War”. Mai.
XD mi son fatta fregare una volta e mi basta. *ride*
E visto che ho preso la sana abitudine di terminare le storie prima di pubblicarle, nelle prossime fic potete star tranquille/i che non ci saranno gli stop o le attese dovute alla pubblicazione in corso d’opera. Niente più WIP. Quindi, potete esser certe/i che se inizierò a pubblicare qualcosa, questo qualcosa sarà se non già completo al 100%, di sicuro al 90%! :D

Prima di chiudere, vorrei ringraziare in primis la mia beta, Sakura-chan, per avermi seguita in questi cinque anni senza mandarmi a fanchiurlo.
** Tesoro, sappi che sei stata una Be(t)ta adorabile e paziente e tanto, tanto pucciosa e che ti voglio un mondo di bene :****. Spero tu possa tornare prestissimo a pubblicare qualcosa, perché noi s’aspetta! *_*
E poi vorrei ringraziare tutti voi.
Voi che avete letto, che avete recensito, che avete messo questa storia in preferite/ricordate/seguite, che avete aperto e chiuso, che siete arrivati e andati via prima della fine e che siete arrivati alla fine recuperando tutti i capitoli in un colpo.
Grazie mille per essere rimasti con questa storia o per averci provato, anche se non ci siete riusciti. Ognuno di voi è stato un lettore prezioso e spero d’essere riuscita a darvi qualcosa che vi abbia fatto sognare almeno un decimo di quanto ha fatto sognare me. :)
Grazie a tutte, ma proprio tutte le persone che hanno recensito fino a questo momento (solarial, Melisanna, Akuma, Koji-chan, Sissi, Blackvirgo, Wywh, Kara, Kourin, Fumina, Lily BlackRose, Sandie, Shinkocchi, MayJeevas – su EFP –. Nike_a e Sachiko Blu – su ELF –), e a tutte coloro che decideranno di farlo da questo momento in poi.
“The War” ha visto una fine soprattutto grazie a voi e alla voglia che avevo di non lasciarvi senza avervi detto tutto e di non tradire la fiducia di chi non ha mollato nel corso degli anni.
Grazie a tutte. Grazie a voi.
Ci ritroveremo presto con una nuova avventura, forse proprio di questi quattro baldi giovanotti.
Per il momento, però, lasciatemelo dire con un profondo e piacevole senso d’orgoglio e soddisfazione:

Il Re è morto.
Viva il Re!


Galleria di Fanart (NUOVE IMMAGINI!!!)

- Alta Uniforme: Fyarish
- Alta Uniforme: Alastri
- Alta Uniforme: Agadiri
- Alta Uniforme: Tyrani

Enciclopedia Elementale:

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki


  • 8) Enciclopedia Elementale - Volume Ottavo: Gli Stregoni di Huria

  • Capitolo 1: Storia
  • Capitolo 2: Gerarchia Stregonesca


  • 9) Enciclopedia Elementale - Volume Nono: Le Sacerdotesse Elementali e gli Elementi Eterni

  • Capitolo 1: L'Ordine Sacerdotale
  • Capitolo 2: Gli Elementi Eterni
  • Capitolo 3: Le Sacerdotesse Elementali


  • 10) Enciclopedia Elementale - Volume Decimo: Bestiario

  • Capitolo 1: Fannùsh e Golkorhas
  • Capitolo 2: Màlayan e Iktàba
  • Capitolo 3: Phaluat
  • Capitolo 4: Rankesh e Zaikotto (o Rubinato)
  • Capitolo 5: Kamalocha delle Vette Aguzze
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