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Autore: Melian_Belt    26/12/2012    7 recensioni
"Ho sempre guardato gli altri dall’alto in basso, disgustato dalla loro semplicità, dai loro aspetti banali, chi è questa creatura che in un momento di mia simile debolezza mi sta davanti?
Accenna un sorriso sulle labbra sottili, gentilezza ed eleganza solo nel modo in cui mi tende la mano guantata. Dev’essere l’alcool che mi fa sentire così in soggezione, che fa battere il cuore contro la cassa toracica, proprio a me che sono un’inarrestabile macchina da guerra, fatta per schiacciare gli altri sotto le scarpe."
Per chi mi conosce, prima ero Melian92! Buone feste a tutti!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le previsioni davano temperature gelide per stasera, ma io non sento freddo. Le dita rigide intorno al collo della bottiglia, barcollo al di là di un’aiuola. Inciampo su una radice, incuneata nel cemento, e mi schianto contro il muretto, la mente troppo ovattata per sentire il dolore.
Ridacchio, immaginando quanto io debba sembrare ridicolo. Ma l’ilarità ha breve termine e con una smorfia riprendo a bere, l’alcool scende un poco sul mento. Mi pulisco con la manica del cappotto, che costa più dello stipendio di qualcuno.
Al di là dei capelli scossi dal vento freddo, oltre il fiume, vedo la città brillare degli ornamenti di Natale. Una campana suona la mezzanotte, immagino che i bambini stiano aspettando l’arrivo dei regali, o li stiano già scartando, nelle case le cui luci calde si specchiano sull’acqua. È la vigilia di Natale, non che me ne freghi. E no…non sono così debole da sentire la solitudine in modo particolare, in questa notte. Anche se la bottiglia stretta tra le mani sembra urlarmi del bugiardo.
A fatica, mi stacco dal muretto e ciondolo a fatica sul marciapiede, nemmeno stia camminando su un filo sospeso nel vuoto. Arrivo ad un ponte e non ci faccio caso quando lo imbocco.
Sollevo la testa al cielo e per poco non cado da in piedi, ma in qualche modo mantengo l’equilibrio. Ora lo sento il freddo, che colpisce il mio viso riscaldato dall’alcool. Mi sporgo sull’acqua, le braccia addormentate sul muro alto fino alla mia vita, senza forze.
Non so nemmeno perché lo faccio, ma tendo la bottiglia sul vuoto e dopo qualche istante la ruoto, facendo cadere qualche gocciolina. Mi sfugge un colpo di tosse e prendo un altro sorso, le dita tremanti, di certo per il freddo.
Pur nella confusione della mia testa, sento dei passi non troppo distanti. La città è deserta, sembra che sia rimasto solo io al mondo, in questa notte di stupida festa. Ma c’è un’ombra che si avvicina, dall’altra parte della strada che divide il ponte in due.
È un uomo chiuso in un cappotto scuro, la cui sagoma alta si staglia contro le luci che illuminano Castel Sant’Angelo. Non gli bado oltre e riprendo a bere, sbuffando quando mi accorgo che la bottiglia è quasi vuota. Una folata di vento gelido sale dal fiume e sposto la testa, gli occhi lacrimanti. Ci strofino la manica e quando li riapro incrocio lo sguardo dell’uomo, che ora cammina davanti a me. Non si ferma, ma corruga appena la fronte.
Tossisco di nuovo e mi giro, aspettando che se ne vada. Sento il ticchettare delle sue scarpe mentre si allontana. I polmoni a fuoco per l’alcool e il freddo, svuoto la bottiglia e la poggio sul parapetto, barcollando per qualche passo.
Ricado e di nuovo riesco a non cadere faccia a terra, sbucciandomi un palmo. Ridacchio, chiedendomi che faccia sarebbe mio padre a vedermi così. Quel vecchio bastardo, probabilmente sarà ad un party esclusivo con la sua nuova amichetta con la metà dei suoi anni.
Immagino che sia la punizione per le mie cattive azioni, trovarsi a Natale ubriaco su un ponte. Non riesco nemmeno a contare quante persone vorrebbero essere qui, perché basterebbe una leggera spinta a buttarmi di sotto. Persone che ho trattato male, a cui ho tolto il lavoro con metodica freddezza, con inganno e conoscenze.
Continuo a ridere, per quanto la voce mi manchi. Il viso sferzato del vento freddo, le membra congelate, mi tiro sul parapetto. Sotto, l’acqua è nera e torbida, a premessa dell’oblio che mi accoglierebbe con la pena e la soddisfazione di molti. Forse, se mi buttassi, mio padre si pentirebbe dei suoi errori con me, forse il mondo capirebbe che sono umano. Sorrido senza la minima felicità: no, semplicemente non lascerei niente, tutto continuerebbe a girare con qualcuno di diverso alla mia scrivania, l’invidia per il mio stipendio sarebbe rivolta a qualcun altro.
Il mio corpo pare muoversi da solo, sollevo una gamba, poi un’altra e oltrepasso il muretto. Non so nemmeno perché lo faccio, non voglio morire, anche se non vale la pena vivere. Al momento non voglio niente, sono solo un involucro vuoto. Oscillo, le dita rigide che si tengono a fatica sul marmo, ruvido come la piccola sporgenza su cui sono in equilibrio.
Qualcosa di duro mi ostruisce la gola e rabbrividisco, la mente confusa da pensieri e sensazioni che non riesco a comprendere nonostante siano mie.
“Cosa sta facendo?”.
Sobbalzo e mi giro per quanto posso, incontrando il viso dell’uomo di prima. Si avvicina di mezzo passo, porgendomi una mano: “Venga, scenda da lì”.
Scuoto il capo: “Cazzo vuoi? Va via!”.
Corruga la fronte, mentre i suoi occhi scrutano i miei: “Lei è ubriaco, non ragiona bene. Scenda, non faccia sciocchezze”.
Scoppio a ridere, nonostante i sussulti facciano male a qualcosa nel mio petto: “Certo, ubriaco…certo”.
“Vuole morire?”.
Quelle parole mi colpiscono come un treno e sbarro le palpebre. Voglio morire? Sì? Altrimenti perché sono qui? No, è solo un attimo di deplorevole debolezza, non mio che sono più forte di tutti…ma cosa mi aspetta nel futuro se non…cosa? Cosa mi aspetta?
Scuoto il capo: “Io…io non…”.
Si avvicina ancora, un braccio ora attaccato al muretto. Un lampione illumina il suo volto, affilato da due occhi blu intenso. Non credo di aver mai visto un colore simile e rimango paralizzato, da questo viso che sembra uscito da un romanzo. Tende ancora di più la mano: “Venga”.
Solo ora noto il suo accento, leggermente tinto di inglese, la sua voce anch’essa di un’incredibile profondità, come lo sguardo espressivo. Ho sempre guardato gli altri dall’alto in basso, disgustato dalla loro semplicità, dai loro aspetti banali, chi è questa creatura che in un momento di mia simile debolezza mi sta davanti?
Abbozza un sorriso sulle labbra sottili, gentilezza ed eleganza solo nel modo in cui mi tende la mano guantata. Dev’essere l’alcool che mi fa sentire così in soggezione, che fa battere il cuore contro la cassa toracica, proprio a me che sono un’inarrestabile macchina da guerra, fatta per schiacciare gli altri sotto le scarpe.
Sento il mio orgoglio risalire fino alla testa e lo guardo con astio: “Lasciami in pace! Non sono cazzi tuoi!”.
Una mano forte mi afferra il braccio e sono troppo confuso per capirci più qualcosa, persino la vista è appannata. Cerco di liberarmi dalla stretta, dimentico del vuoto sotto di me. Perdo l’equilibrio e sarei caduto se delle dita salde non mi avessero tenuto, se un braccio non si fosse stretto intorno alla mia vita.
Vengo sollevato con velocità e scalcio, colpendo il muro ora che sono di nuovo sulla strada.
“Lasciami! Mollami brutto bastardo!”.
Porto indietro il gomito per colpirlo e lo sento irrigidirsi, ma non molla la presa. Le sue braccia si serrano intorno alle mie, stringendomele contro il petto. Continuo ad agitarmi forsennatamente, preso da una strana paura, da un’agitazione irrazionale che mi fa sentire in trappola.
Cadiamo a terra e solo ora mi accorgo di avere la schiena stretta contro il suo petto, caldo e accogliente. Le sue gambe circondano le mie, come le sue braccia mi stringono in un involucro protettivo. Ho il fiato pesante e questa vicinanza mi spaventa, anche se so che siamo finiti così solo perché ha cercato di non farmi cadere.
Provo ancora a liberarmi, ma mi sento svuotato e non ho forza, voglio solo che mi lasci in pace. Mi acquieto, quando sento la sua voce calda vicino al mio orecchio: “È troppo giovane per queste cose…non dovrebbe nemmeno pensarci”.
Non ho mai sentito un suono simile, ha lo strano effetto di far arrendere il mio corpo, come un burattino a cui vengono tagliati i fili. Abbandono la testa e mi cade sulla sua spalla, se fossi sobrio non farei nulla del genere. Ma per una volta mi lascio andare, chiudendo gli occhi per atterrare nel buio.  
 
   

  
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