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Autore: Artemisia89    12/07/2007    5 recensioni
[Joyce and cigarettes]
Lei leggeva, e si dondolava e poi alzava lo sguardo e gli sorrideva.
[Ed è per sempre]
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le cenere della sigaretta cadeva lenta e indolente sul tappeto pervinca, come uno sbuffo di spuma bianca sul mare di notte. Tutt’intorno, il silenzio. Eppure si levava nell’aria, come un salmodiare ininterrotto e armonico. La sua voce. La voce di lei che accarezzava il velluto delle poltrone, che ricadeva tra gli scaffali della biblioteca immensa che li circondava, che sfiorava le pagine dei libri che avevano lasciato aperti sui tavoli, si mischiava al profumo del legno, e a quello di foglie che bruciavano nel cammino.

Lei leggeva, e lui la guardava.

Si chinava in avanti, sporgendosi sulla sedia, e a volte dondolava, tenendo stretto a se il libro dalla copertina rossa con entrambe le mani.

[La cenere cadeva, il caminetto sfrigolava, l’odore di foglie nella sala, il vento a premere contro i vetri]

Era tutto così intenso, così sfocato, così chiaro nella sua memoria che gli sembrava di vederla ancora, e di sentirla.

Lei leggeva, e dondolava e poi alzava lo sguardo e gli sorrideva.

[Ed è per sempre]

 

Ulisse [I said yes I will yes]

 

La cenere cadeva, il mondo fuori rombava [senza raggiungerlo veramente]. Buttò via la cicca ormai consumata, senza guardarla cadere giù in uno dei soliti, sporchi e neri tombini di Dublino. Fuori il fumo rendeva grigio tutto quanto, anche i volti delle persone intente perennemente ad evitarsi l’uni con gli altri. Ognuno aveva una strada da seguire quel giorno, e chi non l’aveva, non poteva fermarsi e si limitava a seguire ubbidiente chi gli stava davanti.

Cappotto nero, cappello nero, capelli neri, occhi neri: cenere grigia sui bordi.

[troppa poca polvere sui ricordi]

 

Il treno per Longwood partiva da Connolly Station alle 4:00 p.m. per poi arrivare alla minuscola stazione invasa di minuscole erbacce del minuscolo paesino, in meno di un’ora. Quarantacinque chilometri netti per ritornare in quel posto di cui non aveva più foto ma cenere, in quel buco di paese troppo perfetto per sembrare reale, troppo immobile per lui, abituato al caos di Dublino, alle sue nefandezze e alle sue indifferenze, alle sue squisite micro-tragedie familiari.

In quel buco di posto di cui aveva cercato con tutte le sue forze di seppellirne il ricordo.

Ma evidentemente, cinque anni non erano stati sufficienti.

Si accese l’ennesima sigaretta, mentre entrava nelle stazione attraverso la porta dalle alte arcate, cercando di evitare le persone che venivano nella sua direzione. Il cappello ben calato sulla fronte, sui suoi capelli neri come l’ebano, e la fiamma arancione e blu a rovinare quel tripudio di grigi.

Una voce femminile annunciò l’arrivo del suo treno sul binario otto, e lui, con la sua piccola borsa di pelle si affrettò verso il binario e, individuato il treno che ancora ansimava per l’arrivo in stazione, cercò la vettura indicata sul biglietto, per poi attendere il suo turno, e salire. La sua sigaretta chiara [un vago sentore di frutta che faceva capolino tra la nicotina] fu accompagnata con uno sguardo di biasimo dal capo vettura che storse appena le labbra sottili sotto i baffetti ben curati, alla vista del giovane dagli occhi blu e della sua sigaretta straniera, per poi lasciar perdere, e posare i suoi occhietti umidi su prede meno sfrontate.

Marlowe raggiunse il suo scompartimento [binario otto, carrozza tre, scompartimento 13, posto 75] e si sedette nel suo posto, vicino al finestrino. Entro pochi minuti, lo scompartimento, ancora vuoto, forse si sarebbe riempito, ma non vedendo il tagliando di prenotazione nella piccola bacheca sulla porticina della cabina sperò di esser lasciato solo fino alla fine del viaggio.

Il viaggio di per se, sarebbe stato breve. Solo quarantacinque chilometri fino a quelle case dai tetti rossi, le strade bianche e gialle quando il sole del tramonto le baciava, e quella casa, e quel pianoforte e quella biblioteca. Il libro rosso sulle sue gambe, la sua voce come un salmo, e i suoi occhi verdi che sorridevano, quando non lo guardavano.

E la chiesetta, non poco lontano.

Marlowe si passò la mano sul viso e chiuse gli occhi [il treno cominciava a muoversi, rumori di voci]

Se anche entrarono altri passeggeri, lui non se ne accorse.

Rimase in quella posizione per tutto il tempo del viaggio, e il paesaggio sfrecciava quasi ieratico, riflettendosi sul finestrino sporco.

Il treno si fermò meno di un’ora dopo, su uno dei due binari della stazione di Longwood: oltre la biglietteria dai muri rosa antico, oltre il piccolo bar frequentato dai soliti clienti abituali e dagli sporadici pendolari, oltre i cancelli una volta verdi e ora arrugginiti dal tempo e dalle intemperie, il piccolo paesino, circondato da una macchia di alberi, modesto prolungamento del bosco che spadroneggiava sulla parte nord della zona. Alcuni cipressi come figure solitarie a guardia del paese, e poi olmi, qualche quercia, molti tigli, che proteggevano con il loro tetto verde la cittadina.

Per sua sfortuna, in cinque anni non era cambiato niente.

Ricordava perfettamente la strada che l’avrebbe condotto in paese, le vecchie facce che avrebbe incontrato e l’odore di mosto selvatico che si impossessava di ogni cosa che giacesse su quel sentiero per più di qualche giorno: i cespugli crescevano ancora spontanei sui cigli della strada poco solcata dai segni di pneumatici e i frutti si scurivano quando arrivava il mese del raccolto. Le poteva ancora sentire le grida dei bambini mentre facevano a gara a chi ne raccogliesse di più.

Gli sembrò quasi di vedere, alzando la testa e gli occhi da terra, con la visuale semicoperta dal basco nero, una figurina evanescente con i vestiti chiari e fluttuanti, intenta a conservare i frutti in un cestino. Gli occhi sorridenti che non guardano nella sua direzione, i lunghi capelli al vento.

[Ed è per sempre]

 

Marlowe affrettò il passo: le giornate cominciavano ad accorciarsi nel mese di settembre, anche se ristagnava ancora nell’aria il profumo dell’estate lasciata alle spalle. Si diresse vero l’entrata del paese, e la sorpassò con un sospiro più profondo degli altri. Alzò la testa e vide che nulla era cambiato da quando cinque anni fa aveva promesso che avrebbe cancellato dalla cartina geografica il suo nome.

La strada principale tagliava in due la cittadina: sembrava un fiume in cui sfociavano piccole fiumare secondarie, provenienti dalla parte più interna della zona. Case a due piani, tendine bianche, panni stesi al sole, bambini che giocano sul retro.

Tutto dannatamente perfetto, immobile.

Diede un altro tiro alla sigaretta che aveva acceso dopo esser sceso dal treno, e liberò il fumo davanti a se.

La cenere cadde a terra [ricordando quel giorno]

Il cigolio di un’altalena lo accompagnò per la sua strada: la casa che cercava aveva il tetto rosso, come quello di tutte le altre, e i muri di un rosa scurissimo [annerito?], come il cielo quando si infuoca per il tramonto. Oltrepassò il cancello, registrando uno dei pochi cambiamenti che avrebbe incontrato nel suo breve soggiorno.

Marlin, il cane, non gli veniva incontro: nemmeno il suo abbaiare in lontananza. Camminò oltrepassando il suo ricordo, lungo il sentiero che attraversava il giardino, per poi giungere alla siepe che lo divideva dalla casa.

Fuori ad aspettarlo Mrs Donnelly [lei lo diceva sempre che sua madre era davvero Mrs Donnelly e che le bendava sempre gli occhi per toglierle dalla mano quella cosa bagnata] in veste nera, con i capelli brizzolati raccolti e le mani da pianista [suonava davvero il reel di Miss MacCloud per i bambini del quartiere], chiuse in grembo. Lo squadrò con i suoi occhi chiari, non abbandonando quella figurina nera, e quel basco così ostinatamente premuto sul capo.

Arrivò alla casa: lei lo sovrastava di una decina di centimetri, essendo in piedi sugli scalini del porticato e lui alzò lo sguardo per raggiungere il suo volto affilato. Sempre quel sorriso stampato sulla faccia.

<< È stato difficile trovarti, Marlowe >>

<< Non ho reso facile la ricerca, Mrs Donnelly >>

Scese di un gradino.

<< Quando sei andato via, non hai voluto lasciarci un recapito. >>

I suoi occhi completarono la domanda. Perché?

<< Semplicemente perché non l’avevo, Mrs Donnelly. >>

Un altro gradino.

<< Sarei una bugiarda nel dire che non mi sei mancato. >>

Portò le sue mani rugose sul viso del ragazzo, accarezzando quasi la peluria cortissima delle guancie. Gli occhi sempre sorridenti.

<< Sarei un bugiardo a non affermare il contrario. >> concluse Marlowe ricambiando con occhi duri lo sguardo di Mrs Donnelly.

Un altro gradino, l’ultimo, che la portò a guardarla da pari a pari. [non vanno via le ustioni, fanno così male]

Quella che avrebbe dovuto essere una suocera fissò gli occhi in quello che avrebbe dovuto essere un genero: e sarebbero dovuti essere sguardi tristi, mentre invece furono solo sguardi rabbiosi.

Ad interrompere quella silenziosa guerra, giunse Mr Donnelly, che sembrò accorgersi della presenza di Marlowe soltanto quando raggiunse la moglie, con i suoi passi pesanti, udibili anche a metri e metri di distanza.

<< Marlowe...>> disse riconoscendo il giovane dal cappello nero.

<< Mr. Donnelly >> quelle parole vuote sembravano rotolare come cenere.

L’uomo si fermò a guardarlo ancora un po’, poi, dando un leggero scossone alla moglie, lo fece entrare in casa e guidandolo per pura cortesia fino alla saletta di ritrovo [tende in broccato leggero, mobili tirati perennemente a lucido, nemmeno l’ombra di polvere e cenere], lo fece accomodare, chiedendo alla moglie di servire loro del thè [sotto uno dei tanti tappeti, un cerchio annerito]

Le mani incrociate, le gambe rigide, la gola secca.

<< Devi scusarci figliolo…se abbiamo infranto la promessa che ti avevamo fatto >>

Marlowe tolse via il cappello di panno nero.

<< Ma devi sapere che abbiamo ritrovato delle cose che dovevamo farti avere >>

Mrs Donnelly arrivò con il thè su un vassoio d’argento: biscotti, marmellata, latte.

E nemmeno l’ombra di un posacenere.

<< Dorothy voleva che fossero tuoi >>

Non potette trattenersi dal sussultare al nome di lei [i capelli al vento, il libro rosso sulle gambe]: raggiunse la tazza di thè che fumava sul tavolo e ne bevve un lungo sorso, senza paura di scottarsi [perché sarebbe stato nulla in confronto a quello che aveva provato lei] e poi alzò lo sguardo verso i due coniugi che gli sedevano davanti, oltre il basso tavolino di noce.

<< Cosa? >> ma già sapeva quanto inutile fosse la sua domanda. [erano tre, le cose che Dorothy amava].

A fianco di Mr. Donnelly un voluminoso plico dall’aspetto consunto e polveroso che sembrava non appartenere a quella casa troppo pulita, e che sembrava riemergere da un ricordo fuligginoso e sfocato. Era legato alla meglio, con dello spago. Sopra, con un pennarello, vergato con una chiarissima calligrafia femminile. "A Marlowe".

<< Questo è tuo, Marlowe. L’abbiamo ritrovato in un vecchio armadio di Dorothy. Evidentemente doveva essere un regalo per te. Probabilmente avrebbe voluto dartelo, ma poi…>> la frase rimase incompiuta nell’aria.

[ma poi successe quel che successe]

 

Mrs Donnelly prese il pacco e lo porse al ragazzo: Marlowe posò la tazza ormai vuota di thè e prese il plico, saggiandone il peso. Si tolse il cappello e piano, sciolse il nodo dello spago, accarezzò la scrittura di lei e ne svelò il contenuto. [la prima cosa era lui, Marlowe]

Avrebbe capito il contenuto anche senza guardare: l’avrebbe riconosciuto dall’odore di carta, quel profumo speziato come di foglie. Copertina rosso scura, lo spessore di un pollice, edizione 1914 [la seconda erano le sue sigarette d’importazione] copertina ancora discretamente intatta.

The Dubliners era stato il primo testo su cui avevano lavorato insieme, nell’università di Dublino.

Lei leggeva, e lui la guardava e quando lei se ne accorgeva, sorrideva e distoglieva lo sguardo.

La cenere cadeva, e rotolava e pensavano che sarebbe durato in eterno.

[Ed è per sempre]

Sotto quel testo, altri libri come Musica da camera, Dedalus e Stefano eroe e Finnegans Wake, tutti assolutamente primissime edizioni, preziosi forse più della loro vita. Ma ancora, alla fine, riposava il vero tesoro.

[e l’ultima era Joyce ]

L’ Ulisse , edizione 1922, giaceva sul fondo del pacchetto ormai sfatto, come un relitto contenente tesori dimenticati.

Marlowe dovette farsi forza per ricacciare indietro le lacrime e il ricordo del sorriso di lei che saliva in superficie dal profondo del suo ricordo: aveva ancora l’odore di fumo e di cenere di quel giorno e l’odore di loro tra le pagine.

 

 

[and then I asked him with my eyes to ask again]

Si erano conosciuti per lavorare insieme sulla tesi di laurea: Joyce naturalmente. E su Ulisse era caduta la scelta di entrambi. Lei stava ore e ore a leggere i suoi romanzi e lui stava ore e ore a guardarla leggere, fumando una sigaretta e fissandosi nella testa ogni suo lineamento. Rimanevano in biblioteca fino a sera e il vento che premeva contro i vetri, penetrava da sotto le finestre portando con se il profumo di foglie secche e della notte. Allora lei distoglieva lo sguardo e sorrideva e dava un altro tiro alla sua sigaretta. Amava fumare, anche se sapeva quanto le facesse male. Diceva che quel fumo era un po’ come Dublino: sinuoso, inconsistente e dannoso. Poi riprendevano a leggere e a studiare, arrivava con la voce al soliloquio di Molly e si confondeva e perdeva ritmo e parole. Lo guardava imbarazzata, con quegli occhi verdi, e poi sorrideva e distoglieva lo sguardo.

[yes and then he asked me would I yes to say yes]

L’anello che aveva comprato per lei era quanto più piccolo e grazioso gli fosse dato di trovare: una parvenza di gioiello, un brillare di oro candido appena accennato, una luminescenza di perla su quel filo di metallo nobile. La scatola riposava nella stoffa delle tasche di Marlowe come un sassolino in un’ostrica: più tempo passava, più il sassolino diventava madreperla. E i giorni passavano e lui restava sempre più fino a tardi in quella biblioteca. Le loro mani si incontravano sulle pagine di quel libro rosso, le loro bocche si sfioravano appena quando il vento smetteva di soffiare.

E quei baci sapevano di nicotina dai toni fruttati.

[my mountain flower and first I put my arms around him]

I genitori li spiavano da dietro le porte e approvavano, guardando con occhi biasimanti la cenere che cadeva sui loro vestiti e sul tappeto. Quelle sigarette che bruciavano lentamente e che sembravano profumare la casa. Il fumo saliva in vortici e formava una cortina evanescente sul corpo della loro bambina, che sembrava sempre più sfocata, sempre più felice tra le braccia di quel dublinese, sempre più lontana. Il fuoco scoppiettava allegro, e le ombre si allungavano nella stanza. Pensavano tutti quanti che davvero, sarebbe durato per sempre. La sua voce come un salmo, le loro mani su quella pagine, i loro occhi sorridenti.

[yes and drew him down to me so he could feel my breats all perfume]

Lui a volte doveva partire per far ritorno nella sua casa, sbrigare presto le sue faccende e prendere di nuovo il treno delle 4:OO p.m per Longwood. E lei lo lasciava partire, senza guardarlo negli occhi, ma come sempre, sorridendo e distogliendo lo sguardo, poi gli soffiava sul viso il fumo della sigaretta e lo baciava sulla bocca. Devo rispondere alla tua domanda, diceva, una domanda che mi farai quando tornerai. La scatola con l’anello diventava così pesante nella sua tasca, sembrava bruciare d’impazienza.

[yes and his heart was going like mad and]

Accadde in una delle sue tante partenze, più precisamente l’ultima prima di quella finale. Lui era tornato a Dublino e alla sua università: nella tasca l’anello, tra le labbra il sapore della nicotina e nella testa la domanda che le avrebbe fatto al suo ritorno. Lei, dondolava, sulla sua sedia, nella biblioteca della casa. Il fuoco scoppiettava, e la sigaretta si consumava tra le sue dita. Nel bicchiere sul tavolo, era sciolta la valeriana che prendeva prima di dormire quando lui era lontano: l’aveva bevuta in un sorso e poi aveva continuato a leggere. Sempre l’ultimo capitolo, sempre Molly, sempre in attesa di quella domanda. E il sonno avanzava, e la sigaretta bruciava lentamente mentre lei si addormentava e chiudeva gli occhi e la cenere rotolava sul tappeto, sull’abito blu, sulla coperta.

Qualche ora dopo, tutto quello che ne rimase fu solo un cerchio annerito che venne poi nascosto da un tappeto. Non rimasero le lacrime, le urla, la rabbia, il rancore: rimase solo quel cerchio, e quella cenere che non andava via. Come l’aroma fruttato della nicotina. E nel vento, qualcos’altro.

 

 

Marlowe chiuse il pacchetto velocemente, e annodò lo spago alla meglio. Prese il basco e fece per andarsene. I coniugi Donnelly lo guardarono rivestirsi senza proferire parola. Mrs Donnelly si portò a braccia conserte e si abbandonò allo schienale del divano, puntando ostinatamente lo sguardo sul muro. Mr Donnelly lo accompagnò fuori.

<< Marlowe…>>

<< Addio, Mr Donnelly>> Marlowe fece un cenno del capo e abbandonò presto la mano dell’uomo. Uscì velocemente dalla tenuta, oltrepassò la siepe, e il giardino, lasciandosi alle spalle la casa e i cespugli selvatici lungo il sentiero, il cancelletto arrugginito della stazione e poi finalmente il paese.

Quando si sedette sul treno, nel solito posto chiuse ancora gli occhi. Stretti sul cuore i libri, chiusi in quel pacco. Respirava a fondo, quasi ansimando, dopo una corsa disperata. Il treno, cominciò a muoversi e fuori dal finestrino il vento soffiava, con l’odore di foglie e di frutta. Mentre acquistava velocità, gli sembrava di sentire strane parole, strane davvero, parole perdute che entrambi non avevano fatto in tempo a proferire.

E si rincorrevano nel vento parole mai nate come "mi vuoi sposare?"

[yes I said yes I will yes]

 

 

***

A Daniela.

[Joyce and cigarettes]

Sono state davvero poche le volte in cui sono stata così veloce.

Sperando che ti sia piaciuta.

 

Artemisia

  
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