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Autore: Ever Lights    26/12/2012    10 recensioni
«Tornerai presto?»
Mi baciò la fronte, stringendomi. Sentii le guance inumidirsi contro la sua divisa militare e provai a trattenermi. Percepivo l’odore di guerra, sangue, dolore, sudore, forza e amore su quel tessuto, ma una cosa in particolare mi colpiva e volevo cancellarmela dalla mente: odore di morte.
Ogni volta che mi avvicinavo a quell’uniforme, ogni volta che la prendevo fra le mani e me l’avvicinavo al petto, in lontananza scorgevo delle urla, dei rombi, degli ordini, lo scoppiare di bombe, mitragliatrici che scoppiettavano… Senza accorgermene, chiudevo gli occhi, li serravo e provavo ad allontanarmi da quei rumori.
«Ancora prima che tu possa dirmi ‘ti aspetto’ e sarò qui, amore.» Mi accarezzò i capelli, mentre io nascondevo il mio viso preoccupato e triste sul suo petto.
[...]
«Ricordi cosa ti avevo detto?»
«Non è facile vivere questa situazione, Edward.», mormorai, guardandolo intensamente. «Non posso lasciarti andare se non ho la garanzia che tornerai.»
[...]
Posò all’improvviso le labbra sulle mie. Non era un bacio come un altro: sapeva di addio, lo percepivo come un ultimo contatto prima della fine, prima che lui mi scivolasse dalle dita.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Be still
Capitolo uno: There's nothing stronger than love.

A Sanya. Lei sa il perché.
(in fondo per gli altri ringraziamenti,
o riempio una pagina solo di questi.)

Bella.

«Tornerai presto?»
Mi baciò la fronte, stringendomi. Sentii le guance inumidirsi contro la sua divisa militare e provai a trattenermi. Percepivo l’odore di guerra, sangue, dolore, sudore, forza e amore su quel tessuto, ma una cosa in particolare mi colpiva e volevo cancellarmela dalla mente: odore di morte.
Ogni volta che mi avvicinavo a quell’uniforme, ogni volta che la prendevo fra le mani e me l’avvicinavo al petto, in lontananza scorgevo delle urla, dei rombi, degli ordini, lo scoppiare di bombe, mitragliatrici che scoppiettavano… Senza accorgermene, chiudevo gli occhi, li serravo e provavo ad allontanarmi da quei rumori.
«Ancora prima che tu possa dirmi ‘ti aspetto’ e sarò qui, amore.» Mi accarezzò i capelli, mentre io nascondevo il mio viso preoccupato e triste sul suo petto. «Ehi, guardami.»
Mi sollevò il mento con la punta delle dita, incatenando così il mio sguardo al suo. «Amore.»
Distolsi gli occhi dai suoi, sbattendo più volte le palpebre, nel tentativo di trattenere le lacrime… Ovviamente, non funzionò.
Piccole goccioline iniziarono a scivolarmi sulle guance; acide solcavano la pelle, corrodendola. Tutto il dolore e la paura si fecero reali e concrete.
«Scusami…»
«No, ehi, non piangere.» Mi asciugò le gote con i pollici. I polpastrelli ruvidi accarezzavano la mia pelle: mi sarebbe mancato immensamente quel contatto.
«Ricordi cosa ti avevo detto?»
«Non è facile vivere questa situazione, Edward.», mormorai, guardandolo intensamente. «Non posso lasciarti andare se non ho la garanzia che tornerai.»
«Ascolta: non voglio riparlarne proprio ora, per rimanere con il magone durante tutto il viaggio, d’accordo? Ti amo, sai che tornerò.»
«Non sai nemmeno tu se sarai di nuovo qui il prossimo anno.», sputai, gettandogli davanti agli occhi la verità.
«Voglio pensare positivo, Bella. Vuoi sentirti dire che anche io non riesco a vivere questa cosa? Bene, nemmeno io ci riesco. Amore, non voglio discutere qui, adesso, ma ti prego: abbi fiducia.»
«La fiducia mi manca, ora.», singhiozzai, mentre le sue forti braccia mi avvolgevano.
«Ti prego, riacquistala. Per me. Non voglio sapere che starai male durante questo tempo di lontananza, chiaro?»
Annuii con poca convinzione, perché sapevo che non sarebbe andata così.
Stavo per contraddirlo ma gli altoparlanti chiamarono un numero. Il numero. Il suo volo.
«Devo andare.»
Non c’era bisogno che me lo dicesse. «Ti prego, appena arrivi lì, chiamami.»
«Sai che lo faccio sempre.»
Posò all’improvviso le labbra sulle mie. Non era un bacio come un altro: sapeva di addio, lo percepivo come un ultimo contatto prima della fine, prima che lui mi scivolasse dalle dita.
Rimanemmo vicini in quel modo per ben cinque minuti abbondanti, fino a che non fu lui a decidere che era giunto il momento.
«Ti amo.», sussurrai. I suoi occhi verdi brillarono per un secondo, per poi rispegnersi.
«Anche io, ricordatelo sempre.»

Qualcuno mi sfiorò la spalla, dolcemente, per farmi ritornare nel presente.
«Tesoro? Tutto bene?»
La mia speranza, la mia voglia che fosse Edward sparì nel momento in cui sentì quelle parole.
Renée mi abbracciò appena, e io sospirai. «Sì, mamma, tutto a posto.»
Sorrisi, provando a confortarla, e lei fece lo stesso. «Vado a terminare il lavoro con Esme. Sei hai bisogno, chiamami, okay?»
Annuii e lasciai che tornasse nella camera adiacente per poter sospirare sottovoce. Negli ultimi mesi le cose erano cambiate notevolmente, alcune per il verso positivo e altre per quello negativo.
Tutte quelle persone che mi ronzavano attorno… be’, erano nella parte intermedia. Si preoccupavano per me, mi sollecitavano a essere più allegra, ma riuscivano a diventare assillanti, chiedendomi senza sosta “Come stai?”, “vuoi qualcosa?”, “cosa ti serve?”, “vuoi stenderti?”, “hai mal di schiena?” e altre domande snervanti.
Ma non potevo non compiacerli, anche perché la risposta era sempre la stessa.
Sussultai quando qualcosa, o meglio qualcuno, si mosse dentro di me, sferrando un calcetto proprio contro la pelle.
Aspettavo un bambino, mio e di Edward, e quel pensiero poteva rendere tutto ancora più che perfetto. Era una piccola parte di Ed sempre con me, nonostante lui fosse lontano.
L’idea di diventare mamma mi rendeva eccitata, ma ogni volta che capivo che un tassello mancava, mi sentivo perduta.
Quel posto vuoto a tavola, lo spazio freddo sul materasso, le coccole al mattino, i baci del buongiorno e della buonanotte… Tutto mancava di lui.
Edward non c’era e la gravidanza, per quel verso, non era magica come avevo sempre desiderato.
Il laptop davanti a me squillò, annunciandomi l’accesso di qualcuno su Skype. E quel qualcuno era proprio Ed.
Riuscivamo a parlarci poche volte, ma appena sentivo la sua voce ogni traccia di tristezza e malinconia spariva. Era come un incantesimo che rendeva tutto… felice.
10:34: Ciao, amore. Ci sono per poco.
Sorrisi leggendo il suo messaggio. Nonostante fossero solo caratteri digitati virtualmente, scatenavano in me uno strano senso di benessere.
Era l’effetto Edward, senza ombra di dubbio.
10:34: Mi bastano questi pochi minuti. Faccio partire?
10:35: Vai pure :)
Cliccai il tasto verde di chiamata e incrociai le dita affinché il segnale di ricevimento fosse abbastanza buono per consentirci qualche momento di felicità.
Pochi secondi dopo, sullo schermo comparve il suo volto, concentrato a capire, come ogni volta, come funzionasse il computer del campo.
«Ciao, amore.»
Il suo sorriso mi scaldò il cuore, e qualche lacrima sfuggì al mio controllo. Maledetti ormoni.
Aveva i capelli di nuovo corti, rasati a zero. La mia ball head… Era ormai diventato il suo soprannome da quando aveva iniziato di nuovo a tagliarseli per lavoro, e come ogni sua cosa mi mancava non poter stringere quelle ciocche seriche fra le dita.
«Ciao…» La forza di parlare mi mancava, ancora. Pensavo di essere diventata forte col passare del tempo, ma mi accorgevo che non era così. Ero sempre la Bella fragile e innocente di otto mesi prima, non ero d’acciaio. Il mio cuore ancora si piegava vedendolo così lontano e non accanto a me, che mi stringeva e mi carezzava il pancione sussurrando dolci parole al suo bambino.
Erano cose che probabilmente mai sarebbero successe, almeno non quell’anno.
«Come ti senti, oggi? Hai avuto ancora dolori?»
Inconsapevolmente, mi carezzai il ventre prominente, pensando a nostro figlio. «Sì, alcune contrazioni durante la notte, ma è normale.»
«Dopotutto siamo alla trentaseiesima settimana, no?», concluse per me, strappandomi una risata. Nonostante tutti i suoi impegni, si teneva a mente a quanto eravamo nel nostro percorso, quanto mancava alla fine e sapeva perfettamente le date delle ecografie, delle analisi e mi chiedeva il prima possibile gli esiti.
Rimasi per qualche secondo in silenzio, fino a che lui non lo ruppe tossendo.
«Posso vedere il mio bambino?», chiese con la voce da cucciolo, perché sapeva che non riuscivo a resistere alla sua tenerezza.
Scuotendo il capo, mi alzai in piedi davanti alla webcam, per poi sollevare la maglia  fino a sotto il seno.
Mi accorsi che i suoi occhi si erano illuminati, sebbene la ricezione video fosse alquanto scadente, ma il suo viso si era contratto in un sorriso orgoglioso davanti a… nostro figlio.
«Cresce…»
«… tantissimo, lo so.», sussurrai, osservando la pelle tirata dell’addome. L’ombelico era ormai totalmente sporgente, e forse un giorno o l’altro si sarebbe squarciato, facendomi esplodere.
«Bella…» Lo sguardo di Edward si allacciò al mio, ma non terminò la frase per via della voce bloccata in gola.
«Che c’è, amore?», lo incitai, e lui abbassò il capo, scrollandolo e singhiozzando.
«Mi manchi, mi mancate. Odio essere qui in questo momento, odio non aver ancora conosciuto in qualche modo mio figlio, odio non esserti vicino, odio tutta questa situazione. Mi manchi, sono in un inferno. Qui non c’è amore, non c’è quello che voglio davvero. C’è solo la guerra, la morte…»
Mi portai una mano alla bocca e l’altra proprio sopra il suo viso, come se avesse potuto toccarmi anche attraverso un computer.
«Ti prego, Edward… Tu tornerai a casa, e anche se non hai potuto toccarmi la pancia, sussurrare sopra la pelle e coccolarci… non importa. Incontrerai tuo figlio quando nascerà, quando sarà un pochino più grande.»
Sbatté il pugno sul tavolo, scacciando via le lacrime. «A me importa invece! Tu… Tu vivi tutto in prima persona, senti i suoi calci tutto il tempo. Io no. Io non so cosa vuol dire poter sfiorare il proprio bambino da sopra la pelle, non ho idea di quello che si prova guardando un’ecografia. Io non sto vivendo tutto davvero. Mi sto perdendo tutti i passi più importanti di questa avventura. Mi sto perdendo le prime foto di mio figlio, i suoi primi movimenti non li ho percepiti sotto la tua pelle… Non conosco nulla di tutto questo.»
«Non… non dire tutto questo, per favore.», mormorai, accorgendomi che stavo piangendo anche io. «Non sarà la stessa cosa, ma hai vissuto a modo tuo ogni gradino importante di questo percorso. Le foto le hai viste pochi giorni dopo le visite, conosci tutte le sfaccettature su tuo figlio… Forse è vero che non potrai mai sentire i suoi movimenti da qui dentro, ma da fuori sì. E poi chi ce lo dice che ci fermeremo a un solo figlio?»
Sorrise appena. «Voglio uscire da qui, voglio tornare da voi.»
«Ce la farai, amore. Solo… pensa positivo. Eri tu che me lo ripetevi spesso, giusto?»
Edward annuì e si affacciò verso qualcuno che lo richiamò. Ascoltò con attenzione per poi fissarmi addolorato.
«Io… devo andare.»
Qualcosa dentro di me – questa volta non il bambino, si smosse e sentii il mio cuore infrangersi di nuovo. Presto non ne sarebbe più rimasto nulla, se continuavo così.
«Sì… Hai ragione.»
Non sapeva più cosa dire, ogni parola forse gli sembrava banale. «Cercherò di tornare appena mi sarà data la possibilità.»
«Stai tranquillo… Stai lavorando, dopotutto.»
Annuì mesto, per poi sorridermi amorevolmente. Nonostante cercasse di nasconderlo, vedevo tutto il suo dolore in quell’espressione.
«Vi amo.»
«Anche noi…», mormorai con le lacrime che scivolavano con nonchalance sulle mie guance. Chiuse la chiamata e iniziai a singhiozzare così forte che mia madre accorse per vedere che cosa mi fosse successo.
Il dolore che mi invadeva il petto era enorme, ma non quanto la consapevolezza che non sapevo quando lo avrei rivisto.
Forse il giorno dopo, forse dopo una settimana… O forse mai. Ed era proprio quello che mi preoccupava: e se non fosse tornato? E se gli fosse successo qualcosa, in quel momento?
Era la cosa peggiore che mai mi potesse accadere.
Lui, Edward, era il mio tutto: il mio sole, la mia ancora, il mio sorriso, il mio cuore. Non potevo pensare a un’esistenza senza di lui, era assurdo, era inconcepibile da parte mia.
Era come vivere senza aria, come se per ventiquattro ore ci fosse stata solo la notte, un cielo senza stelle.
Tutti fatti impossibili, così come la sua assenza nella mia vita.


«Dov’è Edward?»
Urlavo, ero senza voce, nessuno mi sentiva. Sbattevo i pugni contro un vetro, con il viso stravolto dal pianto.
«Dov’è Edward?», continuavo a chiedere, ma non ricevevo risposta. Sentivo mio figlio scalciare prepotentemente, come a rassicurarmi che lui c’era e che dovevo calmarmi, ma non lo ascoltavo.
Infransi il vetro, macchiandomi le mani del mio stesso sangue proteggendomi dalle schegge, e corsi fino a che ebbi fiato nei polmoni.
Mi accasciai sconvolta sulle ginocchia, continuando a singhiozzare e a disperarmi. C’era un silenzio assordante che mi penetrava nelle orecchie, fischiava incessantemente e mi misi le mani sulle orecchie, urlando di smetterla.
Ero sola, ancora.
Ad un certo punto, a pochi metri da me, si illuminò una luce e vidi una bara. Mi issai sulle gambe tremanti e la raggiunsi, affacciandomi. Mi sentii mancare, e mi aggrappai con forza al legno massiccio.
Il suo volto era straziato da profonde ferite, nella sua mano stringeva un ciuccio rosso e al dito portava la fede, anche se non gli era consentito al campo.
Strillai di dolore, e qualcosa di viscido mi corse lungo le gambe.
Ai miei piedi, solo una gigantesca pozza di sangue.


«Stt, amore. Bella, sono qui.»
Spalancai gli occhi, con il fiato corto e il petto che si alzava freneticamente. Mia madre mi stava accarezzando la fronte nel tentativo di tranquillizzarmi.
«Era solo un incubo…», sussurrai a me stessa, e quando percepii un calcetto di mio figlio, tirai un sospiro di sollievo.
Era davvero solo un  brutto sogno… Più che brutto, tremendo. Non avevo mai avuto così tanta paura in vita mia… sembrava tutto così reale. Edward, il suo viso, l’aborto…
Mi venne la pelle d’oca e mi lasciai cullare da Renée, che mi teneva stretta al suo petto.
«Ti va di parlarmi del sogno?», domandò sottovoce, asciugandomi le guance come quando ero bambina.
Scossi il capo e lei non fece una piega. Averla così vicina era la miglior medicina… Dopo Edward. Solo lui era capace di eliminare tutti i miei problemi, di farmi sentire meglio solo con un sorriso. Solo lui poteva.
«Tesoro, sicura di stare bene?» Renée interruppe il flusso dei miei pensieri.
Beh, se essersi appena svegliati da un incubo era sinonimo di stare bene... «Si mamma, perché?»
Mi guardò in modo strano e... protettivo? «Mamma?» la chiamai «C'è qualcosa che non va?»
Accese l’abat-jour e, rivolgendomi un sorriso appena accennato, confabulò qualcosa, per poi uscire dalla stanza.
Cosa diavolo era successo, ora? Controllai di stare bene, o almeno di avere una parva idea di esserlo.
Al contrario del mio sogno, non c’era nessuna macchia di sangue sul lenzuolo in mezzo alle mie gambe, le mie mani non erano ferite e avevo qualche accennata contrazione, come d’abitudine notturna.
Che motivo c’era quindi di guardarmi in quel modo? Non c’era nulla di diverso o preoccupante in me.
Mi asciugai la fronte madida di sudore, e solo in quel momento mi accorsi di scottare: ero in fiamme.
Ora capivo perché Renée era fuggita nella stanza accanto: aveva intuito che qualcosa stava andando per il verso sbagliato.
Respiri piccoli ma profondi, mi ripetei mentalmente, per non andare nel panico. Era una febbriciattola da nulla, no?
Eppure nel giro di qualche secondo mi ritrovai seduta e tremante, con i miei genitori accanto che mi rassicuravano con parole dolci, ma non riuscivo  a sentirli. Il mio cervello era disconnesso, ogni rumore del mondo esterno mi giungevano così ovattati da sembrare muti.
E per qualche attimo capii cosa voleva dire non udire nulla. Era come essere fuori dal mondo, fuori dai tuoi cari, fuori da tutto. Un silenzio così rimbombante che ti trapanava i timpani entrando nella tua testa e ti faceva oscillare e confondere. Così intenso ma allo stesso tempo assente da averti fatto sentire in modo amplificato i tuoi pensieri che ti riempivano la mente. E al momento la mia era piena di domande e di perché che non presto trovarono una risposta.
«Tra poco saremmo in ospedale, tesoro, stai tranquilla.», continuava a dirmi Renée ma a stento comprendevo le sue frasi, anche se alcune parole, come “ospedale”, “dottori”, “bambino” e “soluzione” perforavano quella barriera che il mio  corpo, per via del panico, si era creato.


Uno dei fatti che tutti dovrebbero sapere assolutamente dei dottori è che sono molto pragmatici. In parte è un bene, perché non ti fanno rimanere con il fiato sospeso fino all’ultimo decimo di secondo, ma dall’altra parte è un male perché sono capace di farti cadere il mondo addosso in qualche istante.
«Allora, signorina Swan. Le analisi non riscontrano nessun aumento degli anticorpi e dei globuli bianchi, il che sarebbe segno di un infezione. La febbre è solo portata dallo stress. I monitoraggi come proseguono?»
Alzai le spalle. «Si muove, contrazioni pari a zero.»
«Bene, allora misuro se la febbre è calata.»
Sotto lo sguardo attento e preoccupato dei miei genitori, lasciai fare al medico il suo dovere, sebbene mi trattasse come un numero qualsiasi. Non sopportavo quella condizione, l’essere ammalata e venire curata come se fossi un pacco da spedire o da buttare. Però purtroppo la politica dell’ospedale era quella, e non potevo fare molto per cambiarla…
«Perfetto, la temperatura è tornata nella norma. Vado a richiedere i moduli per la dimissione.»
Appena il dottore uscì dalla camera, alzai gli occhi al cielo e mi lasciai andare sui cuscini della barella.
«Fortuna che stai bene, tesoro.», mormorò mia madre, qualche minuto dopo, accarezzandomi una mano. «Ci hai fatto preoccupare.»
«Sono… Sto bene, stiamo bene, l’hai sentito anche tu, no?»
Annuì e mio padre uscì un attimo dalla stanza, con il cellulare che vibrava.
«Comunque anche lui… anche il bambino sta bene, mamma.», sussurrai, sfiorandomi con la mano aperta il ventre che svettava dalle lenzuola. In risposta, ricevetti un calcetto che mi fece sorridere. Non era successo nulla, anche i dottori avevano detto che il feto era in perfette condizioni.
Socchiusi gli occhi beandomi del silenzio che mi circondava, anche se venne rotto poco dopo da un’infermiera che mi disse che potevo tornare a casa.
Raccolsi le mie cose e con l’aiuto di Renée uscii dalla camera e mi accorsi che Charlie era lì in un angolo a confabulare al telefono, che attaccò non appena ci vide.
In auto rimanemmo tutti in silenzio, e solo quando mio padre aveva parcheggiato l’auto nel vialetto di casa, risentii il cellulare suonare.
«È per te.», borbottò, porgendomi l’apparecchio una volta giunti a casa. Lo appoggiai all’orecchio. «Pronto?»
«Bella, amore, stai bene?»
Mi si mozzò il fiato nei polmoni a quella voce, e il magone risalì la gola. «Edward?»
«Dio, ero così agitato! State bene, tu e il bambino?»
Nonostante la lontananza, era iperprotettivo e nell’oscurità della nostra camera mi ritrovai a sorridere. «Ehi, calmati, stiamo benone.»
«Santo cielo, tua madre mi ha chiamato dicendomi che eravate in ospedale… Ti rendi conto di quanto mi sia spaventato? Stavo morendo di paura.»
«Ehi…», dissi, rimettendomi sotto le coperte. «Va tutto bene, okay? È stato… solo un piccolo malessere, niente di più.»
«Un piccolo malessere?! Bella, hai la minima idea di come mi sia sentito in quest’ora?»
Sospirai. «Amore, ti prego, ascolta: ho avuto solo un po’ di febbre, mi sono agitata perché ho fatto un brutto sogno, d’accordo?»
Lo sentii sbuffare. «Io sono… a chilometri da voi, lo sai, vero?»
«Certo che lo so.»
«E… sapere che stai male, quando io sono lontano, mi strugge. E se ora ti trovassi in travaglio, e io non fossi al tuo fianco, come la metteresti? Una delle cose che non mi perdonerei mai al mondo è perdere la nascita di mio figlio.»
Le lacrime sfuggirono al mio controllo, e mi ritrovai ben presto abbracciata al suo cuscino. «Non dirmi così…»
«No, Bella, è la verità. Nostro figlio ancora non ha conosciuto suo padre, e forse lo incontrerà quando avrà due o tre anni. Come posso vivere con questo rimorso?»
«Edward…»
La sua voce si ruppe per via delle lacrime. «Non lo vedrò nascere, non sentirò il suo primo respiro e il suo primo pianto in sala parto, non lo vedrò prendere peso, non lo vedrò iniziare a gattonare e a camminare… Come posso, amore, come posso resistere? Nell’esercito questo non ce lo insegnano. O la vita, o il dovere per la patria. Voi… voi siete la mia vita, e vi sto lentamente perdendo, ogni giorno che passa.»
«Ascolta», tossii, provando a prendere un po’ di forza. «proprio tu mi avevi insegnato a essere forte e a credere nella fede e nella speranza, e proprio tu stai cancellando le tue stesse parole. Come faccio io a resistere se tu stesso mi dici questo e non mantieni la tua promessa?»
«Non… non mi va di litigare proprio adesso, okay? Ti prego, dormi adesso, lì è tardi
«Certo, chiudiamo sempre i discorsi a metà.», borbottai, maledicendolo mentalmente.
«Ora non voglio, Bella. Dormi. Vi amo
«Anche noi.», risposi, attaccando la cornetta e quella piccola frase mi parve non contenere tutto l’amore che doveva avere. Era stata detta nella rabbia, quasi come una sfida, ma io davvero amavo Edward. E pensare che potevo perderlo…
Scacciai dalla mente quel pensiero, chiudendo gli occhi e provando a prendere sonno, ma ben presto mi ritrovai soltanto a vagare in mezzo ai ricordi.


«Sai che… essere la moglie di un militare è una delle imprese più difficili del mondo?»
Eravamo distesi sul mio letto, nella casa dei miei genitori, pochi minuti dopo che lui mi aveva fatto la fantomatica proposta di sposarlo.
Posai appena le labbra sulle sue, stringendomi al suo petto. «Mh… ne ho una vaga idea.»
Rise e mi carezzò la guancia. «Sul serio, Bella. Non è una cosa da tutti i giorni, sposarsi con un ragazzo dell’esercito.»
Lo fissai in quei suoi occhi così belli da perdermici dentro. Il verde smeraldo, in quel momento, stava brillando di felicità per la risposta che gli avevo dato e quella luce ancora non si era spenta, e pensai che non lo avrebbe fatto tanto presto. «Mi pare di averti risposto di sì.»
«Mi avrai risposto anche di sì, ma sei sicura della tua scelta?»
Aggrottai le sopracciglia, sperando che stesse scherzando. «Mi stai chiedendo di cambiare il mio responso, o cosa?»
Sorrise. «Non ho detto questo. Solo… non voglio che tu prenda la decisione troppo alla leggera.»
«Io so quello che voglio.» Marcai decisamente troppo sul verbo e lui se ne accorse, ma non lo feci ribattere. «E io voglio sposarti, voglio vivere il resto dei miei giorni con la consapevolezza di averti al mio fianco, di amarti e di tenere al dito un anello con su inciso il tuo nome.»
«È lo stesso che voglio io.»
«Ma?», lo incitai, posando una mano sul suo petto. Sospirò pesantemente e appoggiò la fronte contro la mia.
«Ma io non voglio sapere che, mentre io sarò lontano, a migliaia di chilometri da te, vivrai nel dolore e nella paura di perdermi. Solo l’idea di procurarti tutto questo…»
Sentii la sua voce incrinarsi e lo fermai, adagiando la mano che prima era sul torace sulla sua bocca. «Stt…»
Una lacrima gli scivolò lungo la guancia. «No… Ehi, non piangere, Edward.»
«Come farò a sopravvivere laggiù immaginandoti stare male? Come posso lasciarti qui da sola?»
«Non mi lascerai da sola…», sussurrai, provando a dargli un po’ di conforto. «Io sarò forte se saprò che tutto andrà liscio. Non ti basta sapere che ti amo e che credo in te?»
In tutta risposta, posò le labbra sulle mie, suggellando un bacio che cercava di aiutare entrambi ad essere tenaci.
«Qualunque cosa accada… Io ti amerò sempre.», mormorò dopo esserti staccato da me.
«Anche io, sempre.»
Vidi sul suo volto affacciarsi un sorriso. «Allora… Quindi è ufficiale che diventerai la moglie di un militare?»
«Non hai bisogno di una risposta, mio soldato.», sussurrai e lui avvicinò il mio viso con la mano.
«Hai accettato la sfida…»
«E vincerò, mio caro. Io vinco sempre.», scherzai e lasciai che ridesse sulla mia bocca, per poi lasciarsi andare in quel contatto che non meritava di essere fermato, perché racchiudeva tutta la speranza e l’amore che provavamo reciprocamente l’uno per l’altra. Era il mio soldato, e lo avrei aspettato sulla porta di casa, pronta ad amarlo come avevo fatto durante l’attesa di riaverlo fra le braccia.


Angolino tutto mio :3        
Saaaaaaaaaaaaaaalve. Allora... Ebbene sì, sono ancora qui! Diciamo che questo doveva essere un regalino di Natale, ma per motivi ieri non ho potuto postare... va bene lo stesso, no? :3
Per chi non mi conoscesse, salve: sono Ever e mi faccio spesso odiare perché inizio FF nuove a tutto spiano... Lulu, tu ne sai qualcosa, vero? *coff*
Però questa mini long (ebbene sì, solo mini, per sfortuna - o fortuna: tre capitoli più un epilogo e forse qualche extra, se non allungherò ulteriormente la storia, ma non penso.) mi è nata dal cuore, e avevo un infinito bisogno di scriverla e postarla. Per cui, spero di finirla presto, tanto tre capitoli e un epilogo si scrivono in fretta... E poi tornerò a scrivere le altre ff, don't worry, non le ho abbandonate, come potrei?
Ebbene... Niente, in realtà non so cosa dire. O forse sì. spero solo che alcune personcine nuove si facciano sentire, per dirmi che cosa gliene pare dell'idea.. Okay, non molto natalizia, maaaaaa vi prego di aspettare. Però preparate lo stesso una bella di fazzoletti, okay? Non si sa mai lol.
Avevo detto che alla fine ci sarebbero stati i ringraziamenti... Sì.
Allora, in primis Sanya, come ho già detto, e lei sa perché. Buona parte della storia mi è stata dettata inconsciamente da lei, e per questo voglio dedicarle la mini long. Sii forte, tesoro, come la nostra Bella, okay? So che leggerai tutto questo dopo, però voglio che tu lo sappia da subito.
Poi Simona e Jess Vanderbilt, perché loro sapevano tutto dall'inizio, e mi hanno aiutato a sviluppare l'idea, a modo loro. Thanks girls <3
A Bianca, Anya e a Simona (again) perchè questo è il mio regalo di compleanno per loro. Anche se in ritardissimo, spero lo accettiate, ve lo faccio con amore <3
A Lulu, perché le ho tenuto nascosto tutto HAHAAH e non le ho detto nulla fino ad adesso, e so che mi ammazzerà perché ho postato qualcosa di nuovo e non dovevo (!)
A Giuls, Francy, Aurora, Marti, Cami, MaryFely e a tutte le altre (sanno chi sono) perché a modo loro rientrano in questa ff, e perché, come alle ragazze sopracitate, voglio un mondo di bene e perché credono in me e vorrebbero uccidermi quando penso che non so scrivere.
Direi di finirla anche qui, o divento troppo monotona (blablabla).
Vi aspetto presto con il secondo capitolo (dovrebbe arrivare al massimo fra 4 gg, non di più.) E quindi aspetto numerose le vostre recensioni (positive o negative) che siano, perché voglio sapere tutto ciò che pensate su questa mia idea. Per me è importante, so...
Ci sentiamo in settimana :)
Kisses,
Giulia.

   
 
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