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Autore: Marthyisdead    27/12/2012    3 recensioni
"Appena arrivata a casa e posate le buste sul tavolo, s’era trascinata fin sulla poltrona rossa, che più una poltrona, beh sembrava una sdraio. La sua preferita, quella che usava per leggere nei momenti di relax; ma in quel momento aveva voglia di ascoltare qualcosa, ed ecco accesa la radio lì vicina, su una stazione del tutto casuale, la prima che capitava.
Un riff già sentito, una melodia conosciuta, una voce familiare.
Era la sua canzone, era 'Sweet Child O’ Mine'."
Song-fic.
Genere: Fluff, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’altra giornata primaverile e ventilata vedeva la luce della città degli angeli, e l’ormai quarantasettenne Erin Everly era abituata a quelle giornate passate facendo la madre, la moglie, vivendo la solita routine che sembrava non dispiacerle.
 
Quella mattina si era svegliata di buon umore, i suoi figli Eason ed Eres erano a scuola e suo marito Jack era a lavoro, e lei, sola in casa, aveva fatto ciò che una casalinga doveva fare: pulire. S’era sircordata poi del fatto che nei giorni successivi le amiche di sua figlia Eres sarebbero venute a casa per passare un pomeriggio tutte insieme a guardare un film, e per questo aveva fatto anche la spesa. 
Le piaceva vedere i suoi figli con i loro amici, spesso si ritrovava a passare pomeriggi con loro e non era per niente di troppo, anzi, la presenza di un’adulta come lei faceva piacere a tutti, e amava passare pomeriggi così, non poteva di certo lamentarsi del rapporto coi suoi figli; e suo marito era una persona splendida, davvero splendida. Non le mancava nulla, ed era consapevole di quanto fosse fortunata.
 
S’era fatto ormai mezzogiorno, il sole aveva riscaldato l’aria, lei camminava e portava le buste pesanti della spesa, non vedeva l’ora di tornare a casa, era stanca.
 
Appena arrivata a casa e posate le buste sul tavolo, s’era trascinata fin sulla poltrona rossa, che più una poltrona, beh sembrava una sdraio. La sua preferita, quella che usava per leggere nei momenti di relax; ma in quel momento aveva voglia di ascoltare qualcosa, ed ecco accesa la radio lì vicina, su una stazione del tutto casuale, la prima che capitava.
Un riff già sentito, una melodia conosciuta, una voce familiare. 
Era la sua canzone, era “Sweet Child O’ Mine”.
Non la ascoltava da tanto, tantissimo tempo, ed ora si sentiva strana. Era bloccata, paralizzata, con un’espressione stupita. 
Gli occhi chiusi, mentre canticchiava le parole, se le ricordava ancora. 
Quella voce, quella voce che parlava del suo sorriso e dei suoi occhi; quegli occhi che ora erano bagnati dalle lacrime. 
In un istante i ricordi di tutto, i ricordi di quegli anni, i ricordi di lui, di loro. I ricordi di qualcosa di archiviato, o meglio, che sembrava fosse stato archiviato.
Ma chi voleva prendere in giro, lei? Aveva già mentito a sé stessa per tutti quegli anni facendo finta di essersi lasciata tutto alle spalle, ricominciando la vita con un altro uomo, con un’altra famiglia.
Si toccava la pancia e piangeva, Erin. 
Piangeva e pensava a quel figlio che non aveva mai visto la luce, quella vita mai vissuta, quel figlio ucciso da lei stessa con l’aborto. Quel figlio che in fondo, Axl desiderava tantissimo da lei.
Piangeva ed osservava la fedina che suo marito Jack le aveva regalato. Aveva preso in giro anche lui, aveva creduto di amarlo, quando nella sua mente c’era sempre stato Rose.
Aveva davanti agli occhi le cose per come stavano, e non poteva sopportare quella situazione un minuto di più.
Si malediva, non le importava molto del male fatto a sé stessa quanto quello fatto agli altri, a Jack e ai suoi figli, e alla fin fine era stata così brava a mentire che ci aveva creduto anche lei.
Voleva Axl, ne aveva bisogno, ora. Aveva bisogno di rivederlo, di sentire la sua voce, perché era l’unico che amava in fondo, l’unico che avesse mai amato.
Prendeva a pugni lo specchio; perché aveva fatto ciò che aveva fatto? Perché era stata così stupida? La ferita si era nuovamente aperta e lei soffriva, soffriva di nuovo, lasciava sanguinare il cuore coi rimpianti.
Si guardava, non si riconosceva. Perché tutte quelle bugie? 
Ora, seduta sul letto, cercava di calmarsi. 
Era deciso, in quella giornata non sarebbe rimasta a casa. Avrebbe spezzato la routine quotidiana.
Lo avrebbe cercato ovunque, nei posti dove lei credeva di poterlo trovare.
 
Erin Everly conosceva Axl Rose, fin troppo bene. Si era ritrovata a girare tutta la città senza una meta precisa, aveva camminato e camminato e si era fatta sera, e lo aveva finalmente trovato in un piccolo studio di registrazione che di rado veniva usato.
Lo fissava dalla finestra; lui era lì davanti al pianoforte, con un bicchiere di whiskey e un po’ di fogli, alcuni scritti, altri bianchi.
 
Era solo; Erin sapeva di poterlo trovare in posti simili da solo, o meglio, con la sua musica.
Non voleva perder tempo, e con tutto il coraggio possibile era entrata silenziosamente in quella stanza semibuia, umida e fredda, vecchia ma così piena di ricordi.
Le era mancato, era lì, seduto al piano, era lì davanti ai suoi occhi, il suo Axl.
Aveva deciso di contemplarlo ancora per un po’ appoggiata allo stipite della porta. 
 
Lui, in un primo momento, non ci aveva fatto caso. Forse era troppo preso dalla sua musica per accorgersi che non era solo, ma ad un certo punto aveva sentito il bisogno del silenzio, si era forse sentito osservato, forse aveva capito.
 
<< Perché ti sei fermato? Era una melodia così bella..>>  parole dette così, senza timidezza né timore.
<< Bella come te, Erin?>> lui non si era girato. Era rimasto con gli occhi fissi sui suoi fogli. Lei era meravigliata, ricordava ancora la sua voce.
 
Aveva bevuto quel poco whiskey rimasto nel bicchiere e le si era avvicinato.
 
<< Da quanto tempo, Erin Everly. Cosa vuoi, adesso?>>
 
Forse quella domanda con quel tono così arrogante se la meritava. Anzi, ne era convinta. Lo aveva fatto soffrire, ma era contenta di vedere che non era cambiato, caratterialmente s’intende. Si vedeva, era rimasto la solita testa rossa, testarda ed arrogante, orgogliosa di sé, con qualche chilo in più, i capelli più corti e i baffi.
Ma era comunque rimasto il suo Axl. E lei gli avrebbe comunque affidato il suo cuore, fregandosene delle consequenze.
 
<< Voglio.. Parlarti. Ti ricordi?>> aveva in mano una foto di loro due insieme, abbracciati, sorridenti.
 
Axl osservava quella foto più e più volte. Non riusciva proprio a staccarle gli occhi di dosso. Come poteva aver dimenticato l’amore della sua vita? Quella da cui voleva quel figlio che sarebbe stato bellissimo? Come poteva aver dimenticato tutto, se per tutti quegli anni a seguire non aveva fatto altro che pensarla?
Avrebbe voluto stringerla, la sua dolce bambina, avrebbe voluto accarezzare i suoi lunghi capelli scuri e profumati, quelli che da sempre gli avevano ricordato quel posto sicuro che lui tanto cercava da ragazzino, in fondo lo avrebbe voluto.
Ma era così ferito. La ferita si era aperta anche per lui, e anche la sua cominciava a sanguinare, ma lui, ovviamente, non voleva darlo a vedere.
Axl Rose che cadeva a pezzi in meno di mezzo secondo? Nah, non era nemmeno lontanamente immaginabile una cosa del genere. Non sarebbe mai e poi mai successa.
Ma allo stesso tempo avvertiva la dolcezza, sentiva il bisogno di dirle certe cose.
 
<< Sì che ricordo.. E ricordo il tuo sorriso in quei giorni. Ricordo qualsiasi cosa, qualsiasi tuo movimento.>>
 
<< Mi hai sempre pensata, Axl?>> come avesse bisogno di essere rassicurata.
 
<< Io.. Ti ho sempre amata, ti ho sempre pensata, in tutti questi anni, non ho fatto altro che vivere nei ricordi.>> … Da quando Axl Rose aveva aperto il suo cuore così tanto, in questo modo? Non era assolutamente da lui. Ma lei era Erin, non una semplice donna. Lei era LA donna per lui, e sempre lo era stata.
 
<<… Sai, oggi.. Mi è capitato di sentire una canzone alla radio. Quella che tu avevi scritto per me, la mia canzone…>>
 
Axl le si era avvicinato sempre più, cingendole i fianchi con le braccia. La stava abbracciando, perché diamine lo stava facendo? La sua testa gli aveva detto di non farlo. Si sentiva stupido, stava ascoltando, forse per una buona volta, il cuore.
 
<< Where do we go? Where do we go now? Where do we go?..>> le sussurrava all’orecchio.
 
Sorrideva, Erin. E in fondo, tutto ciò che voleva era rivederla, e vederla sorridere.
 
Dove sarebbero andati, loro due? Cosa avrebbero fatto? Che ne sarebbe stato dell’amore?
 
<< Axl, ho capito tante cose. Ho sbagliato, e lo sto ammettendo. Sono stata una stupida, non avrei dovuto farti del male, e…>> no, niente. Non ci riusciva. Aveva già detto troppo, non riusciva a dire altro. Quel “ti amo ancora” le era rimasto incastrato nella gola, quasi avesse paura di dirlo. Aveva deciso di far parlare le labbra al posto suo, prendendogli il viso fra le mani e baciandolo. 
Era un bacio così bello, come la prima volta; con Axl era sempre così.
Era contenta di sentire quel respiro familiare, quel sapore che le era mancato, ma che non aveva mai dimenticato. Ma Axl non ce la faceva, era più forte di lui.
Per quanto avesse voluto continuare, per quanto avesse voluto stare con lei e ricominciare tutto, era sicuro di non potercela fare. Gli faceva male, e lui non voleva star male. 
 
<< Erin, io davvero non posso.>>
<< Ma.. Hai detto che..>>
<< Erin, no.>>
 
Era così convinto di quel “no”. O almeno lo sembrava. Bravo Rose, continua a mentire a te stesso per tanto altro tempo.
 
<< Io ti ho pensata, ma non ho bisogno di te. No.>>
 
 
Gli occhi di Erin erano di nuovo bagnati, bagnati dalle lacrime e dal dolore.
Era pronta a lasciare qualsiasi cosa per lui, lo aveva già fatto, e a lui semplicemente non interessava.
 
Lui voleva dirle così tante cose. Voleva dirle di non andar via, voleva chiederle scusa, dirle che il suo solito orgoglio rovinava tutto, voleva cullarla e cantarle quella sua canzone che lui le aveva scritto, voleva cantargliela ricordandole della sicurezza che gli dava la sua presenza, il suo viso, della gioia che gli trasmettevano il suo sorriso e i suoi occhi, ma era davvero troppo per lui.
 
<<… Fa freddo. Prendi la mia giacca, tienila pure. Ora torna a casa, è buio, e poi si fa tardi.>> perché lo stava facendo? Non era ciò che voleva. Lui la voleva lì.
 
Senza dire una parola, Erin, presa la giacca, si preparava per tornare a casa. Guardava il tutto con aria assente; non ce l’aveva fatta. E la speranza era andata.
Addio alla vita che sperava, addio alla sua vera felicità. Ecco di nuovo la routine e le menzogne.
Continuava a piangere, Erin, non riusciva a fermarsi. Si stringeva nella sua giacca, e aveva un’altra canzone in testa, seppur non dedicata a lei.
 
“Give me a kiss before you tell me goodbye; don’t you take it so hard now, and please don’t take it so bad, I’ll still be thinkin’ of you and the times we had, baby, and don’t you cry tonight..”
 
Lui aveva lasciato andare la donna della sua vita, e continuava a soffrire. E come lei, aveva una canzone in testa. Ripensava ai suoi capelli, ai suoi occhi, al suo sorriso. Ripensava al loro abbraccio, dopo così tanto tempo.
 
“When I look into your eyes, I can see a love restrained. But darlin’ when I hold you, don’t you know I fell the same?”
 
E si interrogava. Rifletteva, si faceva domande.
 
“Don’t ya think that you need somebody? Don’t ya think that you need someone?”
 
Forse le risposte erano proprio nelle sue vecchie canzoni.
 
“If I say I don’t need anyone, I can say these things to you, ‘cause I can turn to anyone just like I’ve turned on you.”
  
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