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Autore: Slytherin Nikla    13/07/2007    9 recensioni
Premetto che è un tentativo, nato da mesi e mesi di fantasticherie sul mio telefilm preferito: una ragazza cresciuta in polizia torna, dopo una brutta esperienza, a ricaricare le pile nell'Agenzia Governativa dove il suo Maestro regna sovrano.
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Donald Mallard, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sospirai profondamente, contemplando il display dell’ascensore. Il prossimo sarebbe stato il mio piano. Oh Signore aiutami. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevo messo piede lì dentro… Chissà come avrebbero reagito al mio arrivo. Dubitavo seriamente che qualcuno potesse averli avvertiti…

Ero partita da New York in gran segreto, all’oscuro di tutti: il mio clamoroso errore con quello che la stampa aveva chiamato “il killer filosofo” bruciava ancora da morire, e nonostante i miei colleghi – se di colleghi potevo parlare, io che in polizia ero entrata per l’eroica morte di mio padre anni prima e la mia straordinaria esperienza accumulata al fianco di uno zio poliziotto, invece che seguendo l’Accademia come tutti gli altri – non smettessero di ricordarmelo (“quando cadono gli dei”, diceva la mia insegnante di letteratura tanti anni prima, “gli uomini ridono sempre più a lungo di quanto non facciano per uno di loro”), le persone a cui tenevo non ne sapevano nulla o quasi.

E di sicuro a mio zio non avevo detto dove fossi diretta!

Così ero partita, di punto in bianco, ma non per una vacanza: un periodo intensivo agli ordini di Leroy Jethro Gibbs era ciò di cui avevo più bisogno per riprendere contatto con le mie risorse investigative, ma certo era un’esperienza tutt’altro che facile…

Ecco, appunto. Maledette riflessioni. Mi trovai sputata fuori dall’ascensore in un momento di totale marasma nell’ufficio, con agenti che saettavano a destra e a manca e Gibbs che dispensava scappellotti alla sua squadra come caramelle.

Mi schiarii la voce.

« Certe cose non cambiano mai, vedo »

« Che cosa… Chris! » Negli occhi color cielo dell’agente speciale Gibbs le mie preoccupazioni svanirono. Come avevo potuto, solo qualche minuto prima, temere tanto il momento in cui le porte dell’ascensore si sarebbero aperte? Ero a casa. Molto più di quanto non ci fossi stata nell’ultimo anno a New York.

All’NCIS avevo lasciato mente e cuore, e solo ora me ne rendevo conto. Mi strinsi nelle spalle.

« Buongiorno, agente speciale Gibbs. Tony… Timothy… » Cercai con gli occhi Kate, e un’onda di tristezza mi invase. Già. Kate. Jethro, da maestro e mentore quale sempre era stato per me, intuì il mio momento di vertigine e mi venne incontro, presentandomi una ragazza dai tratti inconfondibilmente mediterranei con grandi occhi neri e un’espressione dura sul viso.

« Questa è Ziva David, Chris. Agente del Mossad, momentaneamente assegnato alla nostra squadra ». Le strinsi la mano con ammirazione: il Mossad! Decisamente non doveva essere una alle prime armi. Ma dopo le presentazioni, Gibbs – sempre sfruttando il potere psicologico che poteva vantare su di me – passò alla parte meno piacevole. « Perché sei qui? »

Forse arrossii, ma strinsi i denti per non lasciar trasparire i problemi che avevo sperato di poter lasciare a New York. Se avessi detto una sola parola per farmi compatire, avrei dimostrato che l’addestramento di Jethro non mi era servito a niente.

« Avevo un sacco di ferie arretrate. E come sai, non sono capace di riposarmi ».

« Dovrai chiedere al direttore Shepard, se vuoi collaborare con noi da agente operativo » mi fece presente Di Nozzo, con un sorriso sornione. Glielo contraccambiai: quei nostri scambi di “gentilezze” erano una delle cose che più mi mancavano a New York.

« Se pensi di farmi fare la figura della stupida, agente Di Nozzo, caschi male… Jenny sa del mio arrivo già da un po’ ». Poi, notando lo sguardo assassino di Gibbs, mi affrettai ad aggiungere « Le ho chiesto io di non dirti niente. Volevo che fosse una sorpresa… »

 

Per tutta la giornata lavorai con la squadra di Gibbs come se nulla fosse cambiato: gli scherzi di Tony, la sintonia con McGee, la durezza del mio maestro… Solo con l’agente David le cose erano più dure del previsto, e forse per colpa di entrambe. Non mi piacevano i suoi modi spigolosi. E probabilmente lei non gradiva i miei.

A sera ero letteralmente esausta: quei ritmi erano così diversi da quelli cui ero abituata… Senza contare che da secoli ormai non mettevo più le mani su un caso di violenza non immediata. Il corpo, a quanto mi aveva detto Tim, era ormai ridotto al solo scheletro e sembrava che la morte risalisse ad almeno quattro o cinque anni prima…

Ero stesa sul divano, in un appartamento concessomi in affitto dall’Agenzia, quando quel particolare mi tornò alla mente. Sempre che di “particolare” si possa parlare riferendosi ad un cadavere, s’intende. Un corpo da analizzare mi portava in una sola direzione. L’unico della squadra che ancora non avevo salutato.

« Pronto? » Una voce di donna anziana mi raggiunse dall’altro capo del telefono. Sorrisi.

« Buonasera, signora Mallard… Cercavo suo figlio ». Alle mie parole fece eco una risatina vacua.

« Glielo chiamo subito. DONALD! » Allontanai istintivamente il ricevitore « LA TUA AMANTE AL TELEFONO! »

Un attimo dopo percepii dei passi, e la voce del medico legale migliore del mondo che richiamava sua madre per la “sgarbatezza” delle sue parole.

« Prima di tutto, chiunque sia, le chiedo scusa per… »

« Figurarsi. Lo sai che adoro tua madre » Seguì un lungo istante di silenzio.

« Non ci credo, non puoi essere tu… » Chiusi gli occhi e inspirai, come se lui potesse vedere il mio gesto di impazienza.

« E allora chi dovrei essere, dottor Mallard? La tua amante per davvero? »

« Christine! Mio Dio, che sorpresa… »

« Volevo scusarmi. Non ho avuto occasione di venirti a salutare, oggi, e… »

« Sei a Washington? »

« Mi sembra evidente ».

 

La conversazione al telefono durò parecchio, come al solito. E tuttavia l’indomani mattina la prima cosa che feci fu scendere in sala autopsie per salutare il mio amico di persona. Mi era sempre stato difficile spiegare in termini concreti il rapporto che mi legava a Donald Mallard, eppure potevo senza dubbio affermare che lui era la persona cui tenessi di più al mondo… E il suo abbraccio affettuoso, in quel regno di tavoli d’acciaio e seghe Stryker, costituiva pure sempre il miglior modo di iniziare una giornata.

« Ti andrebbe di lavorare un po’ con me come ai vecchi tempi, Christine? » Nemmeno a dirlo accettai. Era stato il mio insegnante, al corso integrativo di Medicina Legale, e forse lui era l’unica persona in grado di contendersi da pari a pari la mia attenzione con Gibbs.

L’assistente di Ducky a quanto pareva non apprezzava più di tanto la mia presenza, invece. I suoi sguardi obliqui e incuriositi mi infastidivano, ma me ne ero andata da New York per non farmi prendere dalle paranoie e non intendevo certo ricominciare adesso…

« Sei qui da due giorni, e non sei venuta da me? » Mi voltai di scatto. Dio del cielo, Abby! Mi ero dimenticata di lei… Un terribile errore.

« Ero tanto stanca, Abby… » Tentai, arrampicandomi sugli specchi. « E lo sai, per venirti a trovare devo essere in gran forma! Pranzi con me, oggi, vero? » Osservai compiaciuta l’espressione di infantile disappunto sparire dal suo viso e trasformarsi in un sorriso raggiante.

« Naturalmente! » Quindi la mia amica rivolse uno sguardo truce all’assistente del patologo, con l’aria di chi lo fa molto spesso. « E tu piantala di fare quella faccia, Jimmy! Chris è l’alunna preferita di Ducky! », concluse, come se quella notazione potesse metter fine all’astio di chiunque nei miei confronti.

 

  
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