Smile for me again – Persona 3
-
31 Dicembre 2009; Ore 23:50.
“Sono felice di averti incontrato. Grazie di tutto.”
Queste furono le sue ultime parole, e le pronunciò come se fosse
sollevato, col sorriso sulle labbra. Questo perché Ryoji sorrideva sempre,
forse più per abitudine che per reale intenzione di sorridere; o forse perché
la sua esistenza in quanto incarnazione della Morte era stata così
profondamente cupa e segnata dal dolore da averlo convinto che tutto nella sua
breve vita da umano fosse un motivo valido per sorridere, qualcosa di così poco
pesante rispetto a tutto ciò che aveva visto in secoli di peregrinazioni nel
mondo dei vivi.
Minato non era una persona capace di fare altrettanto; Minato
aveva solo diciassette anni, anche se ne aveva viste tante di cose terribili
nella sua breve vita: la morte dei suoi genitori, il terribile destino di
quelli che da tutti venivano chiamati Lost, la vita che abbandonava gli occhi di Junpei la notte
in cui Chidori Yoshino
aveva sacrificato se stessa per salvarlo da Takaya.
Fatto sta che Minato non capiva assolutamente il senso di quel sorriso con cui
Ryoji era morto, e più lo fissava, meno lo capiva.
-
Ore 23: 38.
La scelta era stata unanime, ma nessuno aveva avuto il coraggio di
pronunciarla a piena voce se non Aigis: “per favore,
uccidi Ryoji”. I membri del SEES avevano sofferto troppo, avevano perso persone
di valore inestimabile ed erano passati attraverso momenti dolorosi, che dei
ragazzi della loro età non avrebbero mai dovuto conoscere.
Avevano capito di non avere il coraggio di sopportare anche il
pensiero che entro un mese il mondo sarebbe finito, che l’umanità sarebbe stata
tramutata in schiere e schiere di Lost senza voglia
di vivere, che tutto ciò per cui avevano lottato e versato lacrime sarebbe
svanito, divenuto inutile. E così la scelta della strada più semplice:
dimenticare tutto e morire senza rendersene conto, come normali ragazzi
giapponesi che si avvicinano alla cerimonia del diploma, e non come gli unici
esseri umani capaci di combattere mostri sanguinari che di notte si cibavano
della mente degli uomini.
Tuttavia, questa scelta aveva una controindicazione piuttosto
pesante: uccidere Ryoji Mochizuki, l’Appriser, colui che avrebbe condotto Nyx sulla Terra il
prossimo 31 gennaio.
E ovviamente, l’unico che poteva farlo era proprio Minato.
-
Ore 23: 47.
Minato ogni tanto si era chiesto se la vita si divertisse a
prendersi gioco di lui: quasi la sua intera esistenza era stata di preparazione
a quell’unico momento in cui avrebbe estratto il suo Evoker dalla fondina e
l’avrebbe usato per commettere un omicidio.
E di certo avere davanti a sé Ryoji che gli sorrideva con
l’espressione con cui un cagnolino guarda il suo padrone non gli era affatto d’aiuto;
in quei pochi attimi intercorsi tra le ultime parole del ragazzo-mostro e il
rumore di uno sparo, Minato aveva riflettuto intensamente come mai nella sua
breve vita.
Era ricorso alla notte in cui i suoi genitori erano morti ed Aigis aveva usato il suo corpo come contenitore per un
mostro.
“Uccidilo.”
Era cresciuto, portando involontariamente dentro di sé qualcosa di
malefico e terribile che bramava la fine del mondo. Morte lo aveva manovrato;
lo aveva spinto subdolamente a tornare a Port Island
l’aprile di quell’anno, lo aveva usato come esca per attirare i suoi dodici
pezzi dispersi, che battaglia dopo battaglia si erano poi annidati a loro volta
dentro di lui, ricomponendo la coscienza di Pharos.
“Uccidilo!”
E poi Pharos: “noi siamo amici”, “tu sei
il mio unico amico”. Minato non aveva pensato neanche una volta di invitarlo
sotto le calde coperte del suo letto, benché lo avesse scorto tremare nel
chiarore della luna più di una volta durante le sue visite notturne. Pharos, benché sorridesse sempre, sembrava immensamente
triste e sperduto.
“… Non ucciderlo.”
Ryoji era letteralmente sbucato dal nulla, presentandosi come un
bizzarro Don Giovanni che ci provava con qualunque essere di genere femminile
nel raggio di trenta metri.
Aigis aveva sempre affermato quanto
fosse pericoloso anche nel periodo in cui nessuno conosceva la verità, ma
Minato ricordava bene tutte le volte che erano usciti insieme: la volta alle
terme in cui avevano cercato di scappare dalla terribile Mitsuru,
la volta al tempio in cui avevano perso cinque minuti buoni per leggere il
bigliettino della fortuna che recitava “la persona del tuo destino è più vicina
di quanto immagini”, o quando avevano deciso di comprare delle cuffie uguali.
Ryoji sorrideva sempre, sempre.
“… Non ucciderlo.”
Aveva smesso di sorridere quando la verità era venuta a galla, e i
suoi occhi erano tornati ad essere quelli di Pharos,
pieni di dolore e tristezza. Minato quello spettacolo penoso non riusciva a
sopportarlo, anche se non lo aveva mai confessato.
E alla fine, Ryoji gli aveva sorriso di nuovo, quando aveva
appreso la decisione dei membri del SEES.
“Non posso ucciderlo!”
BANG.
-
Ore 23: 54
Ora era davvero difficile decidere chi fosse più penoso tra i due:
se Ryoji, accasciato contro il letto, col capo riverso verso terra e affondato
nella sciarpa, le mani fredde abbandonate per terra ed una grande macchia di
sangue che dalla fronte colava sul viso pallido, le vesti bianche, il pavimento
un tempo pulito, e con gli occhi chiusi, il sorriso gentile sulle labbra
violacee; oppure se Minato, crollato sulle ginocchia con l’Evoker tra le mani,
che sudava freddo e tremava come una foglia, col volto niveo come un lenzuolo e
gli occhi pieni di lacrime che si rifiutavano di uscire, tanta era ormai
l’abitudine del giovane Persona User di reprimere
ogni emozione.
Ma questo era troppo anche per Minato Arisato, che di morti ne
aveva visti troppi in soli diciassette anni e che aveva appena commesso un
omicidio.
Era diventato un assassino.
L’assassino del suo migliore amico, dell’”altro se stesso”, del
bambino col pigiama da carcerato che aveva cresciuto dentro di sé per dieci
anni.
Ora non era migliore di nessun Takaya,
di nessun Ikutsuki o di nessuna Nyx.
E nessuno dei suoi amici era lì per lui.
Era dannatamente solo.
Lì c’erano solo lui, pateticamente sotto shock, Orpheus che aveva portato a termine l’omicidio con un colpo
della sua arpa ora sporca di sangue, e infine il cadavere di Ryoji.
In pochi minuti sarebbe finito tutto, tutti loro avrebbero
dimenticato quell’evento orripilante col sorgere del sole; ma fino ad allora
Minato Arisato avrebbe dovuto fare i conti con la vista di una delle persone
più importanti della sua vita morta per mano sua, e con la consapevolezza di
essere un assassino.
Orpheus scomparve in pochi attimi,
portando con sé la sua arma insanguinata; sapeva che il suo Master aveva
bisogno di stare da solo, così come ne aveva avuto quando erano morti suo padre
e sua madre.
L’ultima cosa che Orpheus vide prima di
tornare tra le nere e desolate vie della mente del suo Master, fu una lacrima
rigargli la guancia.
-
Ore 23:59.
«Perdonami…» mormorò Minato, ma per
quante volte volesse ripeterlo a voce alta, fino alla nausea, fino a svenire
per la stanchezza, Ryoji, del quale ora tirava senza più forze un lembo della
sciarpa gialla, non lo avrebbe mai sentito.
E non gli avrebbe mai più nemmeno sorriso. Mai più.
Note dell’Autrice:
Hi, guys! Torno su EFP
dopo secoli di assenza con una one-short sulla
mia OTP: la Ryoji x Minato di Persona 3. Era da molto tempo che
volevo scrivere qualcosa su questa coppia, e ho pensato di farlo oggi dato che
mi sentivo particolarmente ispirata grazie alle novità sui film!
Spero di aver fatto un lavoro gradito,
anche perché non mi è per niente facile muovere un personaggio freddo e
introverso come Minato, al contrario di Ryoji, con cui mi trovo molto di
più. Con tanto affetto, voglio dedicare questa fan fiction alla mia amica
Arianna, la mia Minako! :3
Grazie in anticipo a chi la leggerà!
Sely.