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Autore: TooLateForU    29/12/2012    14 recensioni
Anno: una serie di trecentosessantacinque delusioni.
Ma per Marley, Zayn, Niall, Susie, Harry e Jasa lo scoccare della mezzanotte potrebbe cambiare tutto.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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invece della one shot di natale, ne pubblico una su capodanno. sono una donna dalle mille sorprese.
ieri mi sono rivista per la 38237846735463 volta ‘L’amore non va in vacanza’ e mi sono detta ‘se tutti per le feste fanno film su ventimila storie che si incrociano senza un vero senso logico, perché non posso farlo anche io?’
ed eccoci qua, yeyeye. in realtà la trovo molto banale, ma ormai è andata.
avrei voluto pubblicare proprio il 31, ma domani parto per l’austria.
detto questo, piangete insieme a me perché rachiamoipanda è partita per LeoniLand (africa) e tornerà solo il 18 gennaio :0 no phone, no connection.
vabbè, buon natale in ritardo e buon anno in anticipo!
byee

 



“Fuori! Vai fuori!”
“Marley, aspetta, fammi parl..”
“Non ti voglio sentire, hai capito? Hai capito? Non devi parlarmi, non devi guardarmi, non devi..” un singhiozzo mi bloccò il respiro, e strinsi i pugni “..vattene Zayn, non ti voglio più vedere.”
Mi guardò vacuo per un attimo, senza dire niente. Lo capivo, quello sguardo, l’avevo visto tante altre volte. Era lo sguardo di compassione.
Povera pazza che mi aspettava a casa mentre io mi scopavo un’altra.
Non disse niente, perché sapevo che infondo era sollevato. Gli avevo facilitato il compito, no? Poteva andarsene in pace.
“Mi dispia..”
Fuori.”
Prese la giacca, abbassò lo sguardo ed uscì sbattendosi la porta dietro le spalle. Io indietreggiai, calpestando un pezzo stropicciato di carta.
Erano i nostri biglietti per una vacanza a Los Angeles, saremmo dovuti partire stasera, il trentuno di dicembre.
Un altro singhiozzo spezzò il silenzio della casa ormai vuota.
 
Tic. Tic. Tic. Tic.
Osservavo il monitor da più di mezz’ora, immobile. Le linee verdi si sollevavano di pochissimo ad ogni battito, come se non ce la facessero a raggiungere la cima, come se fossero stanche.
Stanchezza. Sentivo le palpebre pesare, stanche anche loro, ma non potevo dormire.
Mi girai, per osservare il volto pallido di Jasa. I ciuffi di capelli neri cadevano disordinati sugli occhi chiusi e sul cuscino. Era bella, anche su quel lettino d’ospedale, anche con le flebo che aggiungevano buchi sulle sue braccia, come se non ce ne fossero già abbastanza.
“Sei una stronza, Jaz.” borbottai “Io te l’ho detto che dovevi smettere, con quella merda. Sei andata da Jeremy, vero? Quel coglione. E oggi è pure trentun dicembre, bel modo di finire quest’anno di merda.”
Tic. Tic. Tic. Tic.
Sospirai, e mi passai una mano tra i ricci “Ti devi svegliare, hai capito? Hai capito Jaz? Perché se non ti svegli io non lo so che faccio, io non lo so come faccio senza la tua risata isterica, le tue parolacce ogni sei sillabe, i tuoi jeans strappati e..”
“Chiudi quella fogna, cazzo.”
Spalancai gli occhi, e notai che quelli nocciola di Jasa si stavano aprendo, lentamente.
“Jasa? Oddio, oddio grazie..Infermiera, INFERMIERA!”
“Piantala di urlare, e vedi non farla sulla sedia dall’emozione.” continuò lei, con la voce un po’ roca “Mi serve una cosa, Styles.”
“Cosa?”
Restò in silenzio, a fissare il soffitto, per un po’ “Voglio vedere mio fratello.”
Gelai sul posto, ma lei insistette “Ti prego Harry, lo devo vedere. Ti prego.”
E, ancora una volta, non seppi dire di no ai suoi occhi color nocciola da bambina.
 
 
“Signor Horan? Signor Horan?”
Mi riscossi, sentendo come fuori campo la voce di un uomo. Da dietro il banco del check-in un cinquantenne con una enorme panza mi guardava perplesso
“Eh?”
“La valigia, bisogna pesarla.”
“Ah, sì, certo.” borbottai, afferrando i manici grigi della Samsonite e posandoli sul nastro. Osservai distratto che il peso era regolare, e un secondo dopo l’uomo stava strappando il mio biglietto.
“Bel viaggetto, eh? Vai in cerca dell’anima gemella?” chiese, divertito.
Bum. Bel pugno nello stomaco. “No, mi devo trasferire.” risposi, incolore.
“Ah bhè, in questo caso buona fortuna ragazzo. Non fare star male troppe ragazze eh?”
Raccattai tutti i miei documenti, e gli voltai le spalle senza dire una parola. Non avevo voglia di parlare di anime gemelle, di ragazze, di cuori. Non avevo voglia di parlare di niente.
Io lo sapevo già chi era la mia anima gemella. Si chiamava Susie Adams, aveva gli occhi più azzurri di tutta Londra e le labbra fatte apposta per sorridere. Era buona, era dolce, era la mia anima gemella.
Ma io non ero la sua. Aveva deciso che non valevo la pena di abbandonare il suo lavoro e la sua vita qui, e avevamo troncato.
Guardai la mia valigia. Piccola, grigia.
Sola.
 
Faceva freddo, cazzo se faceva freddo. Il vento sembrava avercela con me, continuando a soffiarmi contro, ad intrufolarsi nella mia maglietta a mezze maniche, a sferzarmi il viso.
Quante volte Jasa aveva parlato, ed io avevo ubbidito come un cagnolino? Quante volte le avevo tenuto la testa mentre vomitava tra i cespugli? Quante volte mi ero fatto ammazzare di botte dai suoi spacciatori che la tormentavano per pagare la roba? Quante volte ero stato al telefono a sentirla piangere, e quante volte ero entrato a casa sua ed ero stato cacciato da un coglione con il cazzo al vento?
Tante, troppe volte. Ed anche ora, la sera di Capodanno, me ne andavo per la città come un matto a cercare quel gran bastardo di suo fratello.
Volevo solo tornare a casa, volevo solo smettere di essere così attaccato a lei. Volevo che qualcuno si prendesse cura di me, che mi dicesse chec’era per me, che ero importante anche io. Mi sembrava di essere intrappolato in un tunnel, e più mi sembrava di avvicinarmi all’uscita più questa si allontanava.
Girai per Church Row, e mi bloccai. Su una panchina c’era un ragazzo con la testa tra le mani, e una bottiglia di birra accanto.
“Ehi.”
Alzò la testa, e notai che aveva lo sguardo un po’ annebbiato “Cazzo vuoi?”
“Sei Zayn Malik, vero? Sono un amico..” amico? “..di Jasa, tua sorella.”
“Quella drogata.” borbottò “Bhè, che vuoi da me?”
“E’ in ospedale.”
Qualcosa lampeggiò nel suo sguardo, forse preoccupazione. Ma fu un attimo “Non me ne frega niente. Non ci vediamo da anni.”
“Senti stronzo, non ti conosco e non ci tengo, ma tua sorella stava per morire in quel cazzo di letto d’ospedale e l’unica cosa che è riuscita a rantolare era che voleva vederti. Me ne sbatto se tu sei andato via di casa da anni per fare il fighettino da qualche altra parte, alzati e vieni, chiaro?”
Si alzò, e mi mollò un pugno in pancia che mi fece piegare in due.
Vaffanculo.
“Vengo.” disse poi “Ma chiudi quella fogna, ragazzino.”
 
 
Fissavo la scheda di quella diciottenne da più di dieci minuti, senza leggere veramente il contenuto.
Avevo fatto bene? Avevo fatto bene a lasciarlo andare? Dio, se ripenso al suo sguardo..
“Susie? Ci sei?”
Sobbalzai, sentendo la voce di Meredith che mi chiamava. Mi squadrava preoccupata. “Sì, certo, che c’è?”
“Quei due ragazzi, stanno entrando nella 302.”
Puntai lo sguardo sulla stanza infondo al corridoio, e notai due figure avvicinarsi verso la porta. Quasi corsi, per bloccargli la strada.
“Non potete entrare in due, la ragazza è troppo stanca.” spiegai, velocemente “Siete parenti?”
I due mi fissarono sorpresi, e sapevo cosa pensavano. Che ci fa una che avrà al massimo ventidue anni in un ospedale a dare ordini?
Il ragazzo sulla destra, quello mulatto, sembrava parecchio nervoso “Senti, è mia sorella quella. Devo entrare.”
Feci una smorfia, ma ero troppo stanca per mettermi a controllare “Va bene, ma entri solo tu.”
Il ragazzo mi superò, ed entrò nella stanza. Nel frattempo l’altro, di cui avevo solo colto gli occhi verdi sul viso pallido, si era allontanato verso le macchinette di caffè.
Tornai nei miei pensieri Niallcentrici, e mi chiesi di nuovo perché se ero convinta di aver fatto la cosa giusta mi sentissi così di merda.
A me piaceva Londra, a me piaceva il mio lavoro. Perché dovevo abbandonare tutto per un ragazzo conosciuto da quattro mesi? No, era stata la scelta più giusta, sicuramente.
Ma allora perché, perché mi sento così male?
“Cazzo!”  un urlo irritato mi scosse, e girandomi vidi il ragazzo di prima in piedi davanti alle macchinette, con la maglietta sporca di caffè bollente. Mi avvicinai, e raccolsi il bicchiere di plastica caduto a terra.
“Dovevi aspettare che apparisse ‘ritirare, prego.” spiegai, indicando il piccolo schermo verde sulla macchinetta.
“Fanculo, serata di merda.” borbottò
“Già, serata di merda.”
Si girò stupito verso di me, e mi accorsi che non l’avevo solo pensato. “Io non..ecco..è stata una giornata un po’..”
“Di merda.” concluse, duro, fissando il vetro della stanza 302 “Sta sorridendo, la vedi? Quella ragazza, Jasa, sta sorridendo come non faceva da mesi. E quello..” indicò il ragazzo mulatto piegato su di lei “..è suo fratello, e mi sono girato mezza città per trovarlo e beccato un pugno per portarlo qui stasera.”  
“Hai fatto la cosa giusta.” considerai
“Lo so.” silenzio “E non mi fa star bene neanche un po’.”
Mi voltai a fissarlo, pensando che mi avesse letto nel pensiero. Aveva un po’ di brufoli sulla pelle, ma il viso era dolce e gli occhi bellissimi “Forse a volte abbiamo solo bisogno che qualcuno faccia la cosa giusta per noi. Che qualcuno ci abbracci, ci dica che siamo importanti, ci faccia sentire come se fossimo..unici.” dissi, sinceramente.
Dentro, il fratello e la sorella si stavano abbracciando, mentre lui cercava di evitare tutte le flebo. Qualcosa luccicava sulle guance di entrambi, forse lacrime.
Di gioia.
Improvvisamente si udì un piccolo schiamazzo, e capii che era scoccata la mezzanotte. Eravamo nel 2013, ora.
In un istante mi sentii circondare da due braccia, e capii che il ragazzo con gli occhi verdi mi stava abbracciando.
“Per..perchè mi abbracci?” mormorai, con le braccia rigide.
“Perché noi siamo importanti.”
Ridacchiai, e rilassai le braccia, perché era vero.
 
Disegnavo dei cerchi sul poggia-braccio del sedile, mentre intorno a me era un continuo di borbottii di disapprovazione. A quanto pare mancava un passeggero, e non potevamo partire senza.
All’improvviso qualcuno atterrò sul sedile di fianco al mio, e mi girai pigramente. Una ragazza dai lunghi capelli castani si era seduta. Era pallida, aveva tracce di mascara colato sotto gli occhi e si mordeva furiosamente le labbra.
La conoscevo la faccia di una ragazza che ha appena pianto.
Ma Susie non aveva pianto quando ci eravamo lasciati.
Parve accorgersi del mio sguardo, e si voltò “Bhè? Che c’è? Non hai mai visto una ragazza piangere?” mi attaccò
Alzai un sopracciglio “Ero solo sorpreso.” mi difesi
“Sai per cosa c’è da essere veramente sorpresi, invece? Quando trovi nella cassetta della posta le foto del tuo ragazzo che si fa la sua dirigente tettona, questo fa rimanere sorpresi.” ridacchiò istericamente, allacciandosi furiosamente la cintura di sicurezza.
“Pensavo non esistessero più.”
“I ragazzi stronzi?”
“No, le cassette della posta.”
Mi lanciò un’occhiataccia “Scommetto che sei uno stronzo anche tu. Sì, scommetto che te ne stai andando a Los Angeles per rimorchiare qualcuna in spiaggia mentre la tua povera ed ingenua ragazza aspetta speranzosa il tuo ritorno e ti prepara le lasagn..”
“Mi ha mollato.” la interruppi. “Mi devo trasferire e lei stamattina mi ha restituito il suo biglietto dicendo che non poteva più farlo.”
Ammutolì, forse colpita.
“Che troia.” dicemmo entrambi, all’unisono. Ci guardammo, e mi scappò la prima risata della giornata.
Lei aveva una risata carina, come quella di un cucciolo di cane. Era carina.
“Salve, qui è il comandante che vi parla. Prima di partire volevo augurare a tutti buon anno nuovo..” iniziò una voce metallica, prima che una hostess ci chiedesse “Volete qualcosa da bere, signori?”
Stavo per dire di no, quando la ragazza..Marley, stando al suo documento lasciato aperto sulla borsa, afferrò la bottiglia di champagne.
“Prendiamo questa. Tutta.”
“Ma, veramente, signorin..”
Stavolta fui io ad interromperla, mettendole cinquanta sterline tra le mani. “La prendiamo tutta.” ripetei.
La hostess si allontanò, stringendo le labbra, e Marley mi lanciò uno sguardo complice. Poi tracannò un lungo sorso di Champagne, prima di passarmelo.
“Anno nuovo, vita nuova!” esclamò ed io la baciai, di getto. La sua bocca era frizzante, fresca e morbida.
Ci baciammo per un po’, prima che lei mi desse un colpetto sul petto “EHI, ci conosciamo da cinque minuti e già mi salti addosso?”
“Sono ubriaco.” mi giustificai.
“Non hai ancora bevuto.”
Era vero. Presi un lungo, lunghissimo sorso.
“Ora sì.”
E la baciai di nuovo.


new year, new life
   
 
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