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Autore: Eva Fairwald    29/12/2012    0 recensioni
''L'ombra del sole'' è un romanzo urban fantasy per ragazzi, ambientato in parte in Italia ai giorni nostri e in parte in una dimensione parallela, dove la magia è una realtà e convive con la tecnologia. Il romanzo è scritto in terza persona con narratore esterno ma onnisciente per fornire sempre una panoramica dei pensieri di tutti i personaggi coinvolti e una buona visione d'insieme.
Dora è una ragazzina come tante, con una vita normale e un po' noiosa, divisa fra la scuola e il tempo libero. Un giorno la sua quotidianità viene sconvolta: un demone la attacca mentre aspetta l'autobus per tornare a casa. Un ragazzo la salva e la costringe a seguirlo alla Biblioteca Storica, quartier generale dell'Unione Segreta.
In una dimensione parallela l'Impero del Sole ha sottomesso tutti gli altri popoli, molti sono costretti alla schiavitù, ma alcuni si sono organizzati e pianificano da anni un modo per liberarsi dell'Imperatore Heliodoro. L'Unione Segreta è ormai pronta ad agire e combattere per la libertà.
Perché l'Impero ha inviato dei sicari sulle tracce di Dora? Chi è quel ragazzo che l'ha salvata e che cosa si aspetta da lei l'Unione Segreta?
Genere: Dark, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'ombra del sole
 
 
 
di
 
Eva Fairwald
 
 
 
 
Genere: urban fantasy, young adult
 
Contatto: evafairwald@gmail.com
             
 
           
 
 
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“L’ombra del sole” di Eva Fairwald
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         Zaino rosa, riccioli biondi, auricolari bianchi: l'obiettivo era appena salito sull'autobus come ogni mattina. Ancora mezza addormentata e senza sapere di essere controllata.     
         Andare a scuola di per sé non era mai stato un problema per Dora. Certo che se per raggiungere quell'edificio giallino non avesse dovuto trascorrere venti minuti su un autobus stipato di adolescenti urlanti sarebbe stato meglio… anche perché la compagnia di individui della stessa specie la aspettava già in classe. 
         Almeno quest'anno era stata fortunata: niente distaccamento. Che il quarto anno fosse quello buono? Dora ci sperava.
         Si era iscritta al liceo linguistico perché completamente negata per la matematica, ma il suo spirito curioso e il carattere estroverso l'avevano sempre spinta a cercare di comunicare con tutti. O almeno questo era quello che diceva a chi le chiedeva perché avesse scelto il linguistico e non il classico, come tutti i professori delle scuole medie le avevano suggerito. Lo sapevano tutti no? I ragazzi più promettenti vanno allo scientifico o al classico… tutto il resto non conta. E allora Dora aveva deciso di non contare. Sul serio… in matematica aveva una sufficienza stentata. In compenso aveva voti impeccabili nelle altre materie, per quanto potesse valere nella vita vera.
         Con lo sguardo vuoto e fisso sul vetro guardava senza realmente vedere i campi che scorrevano accanto alla strada che percorreva ogni giorno. Due volte al giorno, per venti minuti, più almeno dieci di ritardo, quindici e a volte venti quando pioveva.
         L'iPod, il suo migliore amico durante questo calvario quotidiano, l'aiutava ad isolarsi dal resto del mondo. Non che fosse asociale, ma quando uno si sveglia alle 6.30 per prendere l'autobus strapieno, sporco e fetido alle 7.15 non è esattamente l'essere più socievole e felice del circondario.
         I suoi amici ormai lo sapevano e cercavano di lasciarla in pace, di solito si riprendeva prima di fare l'ultimo tratto a piedi dalla fermata al cancello della scuola.
         Quella mattina aveva latino alla prima ora. Il suo rapporto con il latino era esattamente di odi et amo, ma quella mattina in particolare era più di odi che non di amo. Per compito avevano venti frasi da tradurre dal latino all'italiano. In classe erano in sedici e se le erano spartite. Aveva circa quindici minuti per copiare dai compagni le frasi mancanti, ormai era un metodo consolidato che funzionava per ogni materia.
         Senza nemmeno accorgersene, guidata dalla forza dell'abitudine e spinta dalla massa di ragazzi che premevano contro le porte, scese al cavalcavia, la sua fermata. Spense l'iPod, si tolse gli auricolari e si avviò verso le strisce pedonali con il resto della folla.
         Simone, che era stato in piedi accanto a lei fin da quando erano saliti insieme su quel carro bestiame camuffato da autobus, si sentì finalmente autorizzato a parlare.
         «Sonno anche oggi?»
         «Sempre.»
         No, Dora quella mattina non aveva proprio voglia di cominciare la giornata, nemmeno facendo due chiacchiere. Era una di quelle giornate già nate storte. Non le andava di fare niente e non vedeva l'ora che la scuola fosse finita.
         Arrivati davanti al cancello della scuola Simone la salutò e proseguì poco più avanti, fino al liceo classico.
         Entrò svogliata nell'atrio, poi attraversò due corridoi e raggiunse la sua classe. Erano già arrivati quasi tutti e nessuno aveva perso tempo, quelle frasi in latino non si sarebbero copiate da sole. Dunque anche lei si mise all'opera e tutto, come sempre, filò liscio.
         Per quasi tutta la prima ora chiacchierò con la sua compagna di banco e, quando la professoressa la chiamò per farle una domanda su quanto aveva appena spiegato, sorrise e rispose correttamente.
         Bastava veramente poco per non farsi sorprendere. Quella professoressa ripeteva sempre le stesse cose, in più, andava matta per le parole straniere o semplicemente ad effetto e Dora si era creata una lista che teneva sempre aggiornata. Ogni volta che la professoressa la vedeva distratta e disattenta  cercava di metterla in difficoltà con una domanda, ma puntualmente falliva.
         Dora non era particolarmente studiosa ma non faceva fatica ad imparare e le bastava poco per ricordarsi qualcosa quando ci si metteva con impegno.
         Il sole che entrava dalla finestra la distraeva dalla lezione e con occhio vigile scrutava le lancette dell'orologio in attesa dell'agognata campanella dell'intervallo.
         Ancora non era riuscita a capire se le ore più difficili fossero le prime tre o le ultime tre, dopo l'intervallo. All'inizio della mattinata era stanca a causa dell'alzataccia, poco disposta a prestare attenzione e ancora meno a partecipare. Andare a dormire presto era inutile, alzarsi a quell'ora improponibile uccideva ogni minimo interesse verso gli argomenti trattati. Dopo l'intervallo, invece, era stanca perché era già rinchiusa in quell'edificio da troppo tempo e aveva voglia di andare a casa a mangiare… a patto di sopravvivere alla corsa disperata verso la fermata e al tragitto su quella prigione di lamiera arancione.
         Le sue accurate osservazioni della lancetta dei minuti e dei secondi vennero premiate e, finalmente, scattò l'intervallo: coda in bagno e poi merenda a parlare con le amiche per cercare di godersi quei quindici minuti scarsi di finta libertà.
         Con merendina al cioccolato in una mano e bottiglietta di tè nell'altra, raggiunse Giorgia e Alessandra che la stavano aspettando alla finestra in corridoio.
         «Muoviti!» le gridò Alessandra.
         «Cosa c'è di così speciale?» rispose appoggiandosi al davanzale, «La Nereni è rimasta ancora bloccata in ascensore?»
         «No, meglio.» disse Giorgia.
         «Fabio ha preso dal cassetto il modello della verifica di francese e l'ha fotocopiato come l'altra volta?»
         «No, ma va.»
         «Allora?»
         «C'è uno nuovo! È appena entrato in bagno, stai qui così lo vedi quando esce!» continuò Alessandra.
         «Uno nuovo adesso? Ma ma mancano meno di due settimane alla fine della scuola, non è un po' tardi?»
         «Ma che ne so, si sarà trasferito, boo.» rispose Giorgia.
         «Ma chissene… sembra figo…»
         «Non è che l'abbiamo visto tanto bene però.»
         «Abbiamo quattro maschi in classe dal primo anno… tutti cessi e uno è gay, ma ancora non lo sa… lasciami un minimo di speranza no?»
         «Va beh Ale, io ormai non ci spero più, le uniche volte che non dobbiamo bendarci gli occhi è quando facciamo gli scambi con l'estero. Te lo ricordi l'anno scorso all'aeroporto?» disse Dora.
         «Ahaha, sì che ridere. Ma anche quelli di quest'anno non erano male, dai che a settembre tocca a noi andare là!»
         «Non vedo l'ora!»
         «Ragazze, non perdete di vista l'obiettivo! Oh, oh, zitte! È quello!» le riprese Giorgia.
         Tutte e tre puntarono gli occhi sul nuovo arrivato, che con le mani infilate nei jeans era uscito dal bagno e stava camminando verso la bacheca.
         «Beh, visto così sembra passabile o quantomeno normale.» disse Dora.
         «Sì, se ti piacciono i semafori!» disse Alessandra.
         Le ragazze risero e lui si voltò verso di loro con un'occhiata talmente torva che quelle scoppiarono a ridere ancora di più.
         «Scusa dai, ma con quei capelli rossi e la maglia verde a me pare un semaforo!» riprese Alessandra.
         «Ma non è che siano così rossi, sono più sul castano con qualche riflesso.» precisò Dora.
         «Oh ma sempre a puntualizzare! Dai era una battuta!»
         «Ci siamo già fatte riconoscere! Con tutta la gente che c'è,  proprio dalla nostra parte si doveva girare!»
         «Ma tanto a te non piacciono mica i semafori, no?»
         Le tre risero ancora e il ragazzo le squadrò con la coda dell'occhio.
         Il suo obbiettivo sembrava ben amalgamato nel gruppo, trovarla da sola sarebbe stato più difficile del previsto. La bacheca era solo un pretesto per stare in quel punto del corridoio, fuori dalla visuale di bidelli e insegnanti concentrati alla macchinetta del caffè, ma vicino alla classe di Dora e al punto in cui abitualmente trascorreva l'intervallo.
         Non solo poteva osservarla, poteva addirittura contare sul fatto che anche Dora cercasse la sua presenza, incuriosita da quell'apparizione così insolita.
         Ormai sapeva tutto di lei, aveva ricevuto informazioni molto specifiche sul suo conto. Era convinto che se si fosse fatto vedere a scuola sarebbe stato più semplice avvicinarla in seguito per via dell'effetto ''volto noto''.
         Quando la campanella che indicava il termine dell'intervallo suonò, fingendo di guardare fuori dalla finestra alla quale stava Dora, si girò verso di lei per lasciarsi vedere bene e farsi riconoscere in futuro. Rimase in quella posizione finché Dora e le sue amiche non tornarono in classe. Poi, assicurandosi che nessuno lo stesse guardando si avvicinò alla finestra, l'aprì e saltò fuori nel giardino, evitando così di passare per l'atrio bloccato dalla guardiola dei bidelli. Era una fortuna che la classe di Dora fosse al piano terra, ciò gli rendeva molto meno difficile il compito di controllarla e di entrare e uscire dall'edificio senza intoppi.
  
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