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Autore: Momoko The Butterfly    29/12/2012    2 recensioni
Sono ormai passati cento anni dalla quasi distruzione del genere umano. Dopo un'estenuante battaglia tra bene e male, il mondo è caduto infine preda di tenebre fatte di solitudine e sofferenza; il Conte del Millennio regna baldanzoso su una terra devastata dalla fame e dalla morte, tartassata fin nel profondo dell'animo da eserciti di Akuma voraci e famelici. Ma l'umanità non demorde, per questo si nasconde dalla loro vista, fiduciosa di poter riassemblare i tasselli di una vita in frantumi. Leda e Alan, fratelli inseparabili, hanno perso ogni cosa. Eppure sembra che la sede Nord America possa davvero diventare la loro nuova casa, grazie a benevole persone che hanno saputo ridonare speranza ai loro cuori avviziti dal dolore.
Ma nulla andrà per il verso giusto. Quando la sede verrà messa sotto assedio, sarà tempo per loro di cominciare un viaggio fatto di rischi e incertezze alla ricerca di risposte. Ad accompagnarli, i paladini dell'Innocence, gli Esorcisti, e un sempre più enigmatico Tyki Mikk...
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bookman, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Tyki Mikk, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Lady War


Capitolo 4: 'Piccole' incomprensioni per iniziare alla grande...


La sua mano, tesa all’inverosimile nello stringere con forza il colletto dell’uomo, tremò. Il suo pugno, carico di tutta la rabbia e il dolore, si rilassò riportandosi allineato al suo fianco. La celestiale visione che le era parsa dinnanzi aveva cancellato con la sua luce pura ogni ombra, ogni segno malvagio scaturito dal suo essere e l’aveva disperso nell’aria.
Leda fissava il piccolo Alan con sconcerto, incredulità, gioia. Un viso contratto in tante espressioni diverse, tutte rivolte a quella piccola sagoma che ai suoi occhi sembrava illuminata dalle luci del paradiso. In realtà, il bambino stava solo stringendo nella mano destra una torcia, che rischiarava l’ambiente abbastanza da lasciarne notare la sporcizia sparsa ovunque: acqua stagnante raccolta in larghe pozzanghere nere, pareti di metallo e pietra arrugginite e sporche, feci di animali e topi sui bordi del condotto. In altre parole, realtà. Una orribile realtà: Leda era fuggita dalla sede Nordamerica, ‘aiutata’ da un uomo misterioso che l’aveva portata lì, in mezzo a quello schifo. Ma la presenza salvifica di Alan rendeva quell’atroce situazione molto meno tragica. Per lo meno il fatto di essere sporca di sangue, terra, acqua e chissà che cos’altro passava in secondo piano.
La sua mano mollò lo straniero, che la guardò circospetto finché non si accorse che la sua attenzione non era rivolta più a lui, ma a Alan. Con calma si rialzò spolverandosi con una certa cura il lungo mantello sudicio ai bordi  e appesantito dall’acqua di quella fogna. Si andò poi a toccare la guancia sulla quale Leda lo aveva schiaffeggiato. La sentì calda, e gonfia.
Leda si alzò e, ancora incredula che suo fratello fosse davvero lì, di fronte a lei, gli corse incontro. Sotto ai suoi piedi l’acqua schizzava ovunque e le bagnava la caviglia dolorante, che ora importava ben poco però. Quando lo raggiunse lo strinse a sé con quanta forza il suo animo riuscì a sprigionare, assieme alla gioia di saperlo vivo e in salute. Sentiva la sua pelle chiara e vellutata sulla sua, il suo respiro calmo e regolare, i suoi capelli scuri tra le dita… tutte conferme, meravigliose conferme. Lui era lì, finalmente. Era lì, era lì davvero, dannazione, proprio lì!!
Leda non faceva altro che ripeterselo, dentro di sé, mentre abbracciava sempre più forte Alan. Le lacrime che avrebbe voluto versare dalla gioia però non scesero. Non voleva più piangere, soffrire, anche se positivamente. Sarebbe stata forte, per lui. Per non vederlo mai triste. Per proteggerlo. Ora avrebbe potuto.
Alan l’abbracciò di rimando, rischiando di bruciarle i capelli con la torcia, che tenne a debita distanza.
Quando si separarono sentì le dita della sorella stringergli la mano, come se avesse paura che potesse sparire di nuovo. Sorrise. Le voleva molto bene. E lui gliene voleva altrettanto.

- Come hai fatto a venire fin qui, Alan? – domandò Leda, rendendosi improvvisamente conto del fatto che la porta dalla quale era entrata era chiusa ermeticamente, e che quindi un bambino non avrebbe mai potuto aprirla.

Alan inclinò la testa, andando oltre il viso della ragazza e volgendo i suoi occhi smeraldini all’uomo.
Leda si girò e lo fissò. Capì che era stato lui a trarlo in salvo, e che poi era tornato indietro per lei. Si sentì una totale idiota, per avergli dato uno schiaffo e averlo insultato pesantemente mentre lui la stava aiutando.
Si bloccò, incerta su ciò che avrebbe dovuto dire. In realtà, lo sapeva benissimo, ma il suo orgoglio stava assemblando un discorso implicito e allusivo sufficientemente architettato  da dargli l’impressione che lei fosse dispiaciuta per quanto successo. Perché non avrebbe mai detto ‘scusa’ a nessuno.
Senza mai mollare la mano del fratello, lentamente si sollevò da terra con l’aiuto delle ginocchia. Si fermò a guardare l’uomo con gli occhi di chi rimprovera. Lei era fatta così, non si abbassava a chiedere scusa agli altri. Dentro di lei, però, gli era immensamente grata per essersi preso cura di suo fratello.
Aprì la bocca per iniziare il suo discorso di scuse sottintese, ma l’altro fu più veloce.

- Tranquilla – pronunciò, quasi scocciato, mentre una mano saliva lentamente alla  guancia arrossata, sfiorandola.

- Ti fa male? – domandò Leda con un tono premuroso nella voce.

- Non è niente di che – rispose apatico lo sconosciuto.

Leda s’innervosì. Il tono con cui le aveva risposto non le era piaciuto per niente. Sembrava quasi volerla incolpare e al tempo stesso prendersi chissà quali meriti per essere rimasto impassibile di fronte al suo gesto. A quel punto non c’era più posto per la diplomazia…

- Che vorresti dire?! – attaccò la ragazza avvicinandosi pericolosamente al viso dell’uomo.

- Assolutamente niente – fece questo, con un sorriso beffardo in volto – Dico solo che uno schiaffo del genere non è lontanamente paragonabile a uno schiaffo vero. Tutto qui.

- Allora adesso ti do qualcos’altro così vedi quanto male fa! – gridò infuriata Leda, al limite della sopportazione.

Lo afferrò nuovamente per il colletto e preparò un altro pugno. Stava per scagliarglielo dritto in faccia ma Alan s’intromise tra i due agitando allarmato le braccia.

- Fermi!! – gridò – Leda, per favore smettila! Lui ci ha aiutati!

- Per come si comporta, sembra quasi che il suo sia stato un atto di masochismo! – ribatté Leda mantenendo la minaccia del suo pugno a non più di qualche millimetro dal naso dell’uomo.

- Però ci ha aiutati lo stesso! E questa è una ragione sufficiente per non accanirsi contro di lui!

- Un debito è sempre un debito… - mormorò con aria di superiorità lo straniero, mentre le sue mani afferravano con forza quella di Leda e la staccavano dal colletto come se fossero la cosa più repellente del mondo.

La ragazza lo guardò con riluttanza, mentre si sistemava il mantello senza badare allo sguardo assassino che le stava rivolgendo.
Alan guardò i due con rassegnazione. Se cominciavano a litigare così presto, Dio solo sapeva come sarebbe andata a finire!

- L’unico motivo per cui non ti ho ancora fatto fuori – sentenziò Leda, in tono duro – è perché hai salvato Alan. Nulla di più. Quindi considera quel debito in parte cancellato.

L’uomo sorrise divertito.

- Come sarebbe a dire ‘in parte cancellato’? – domandò sarcastico – Pensi che abbia paura di te?

- Dovresti – pronunciò tombale Leda.

- Perché? – chiese con tono di sfida lo straniero.

La ragazza si sentì esplodere di rabbia.

- Ora lo vedrai… ! – ringhiò serrando nuovamente i pugni.

Alan però fu più veloce di lei ed esclamò:

- Ehm, grazie per averci salvati, signore! Se non ci fosse stato lei, a quest’ora non so cosa io e mia sorella avremmo fatto!

- Tranquillo, piccoletto – rispose con un sorriso l’uomo, scompigliandogli amichevolmente i capelli scuri.

- Io mi chiamo Alan – si presentò il bambino, posando una mano sul proprio petto per indicarsi – E lei è mia sorella Leda.

E per tutta risposta la ragazza emise una specie di grugnito scocciato, voltando stizzita la testa altrove.
L’uomo la guardò con divertimento, trattenendo una piccola risata.

- Io mi chiamo Tyki, molto piacere – disse, stringendo solidale la mano di Alan in segno di saluto.

Il bambino sorrise, vedendo la tensione nell’ambiente disperdersi, anche se di poco. Tutto sommato, se riusciva a mettersi tra di loro come aveva appena fatto, forse sarebbe riuscito a evitare la catastrofe.
Leda mosse incerta un passo verso la porta. Avvertiva ancora dentro di sé una voce che la implorava disperata di sfondarla e andare a cercare i suoi amici. Sentiva di essersi spaccata a metà: da una parte, la speranza che Ted, Anais, Emily e tutti gli altri fossero vivi e in salute; dall’altra, l’accettazione di una tremenda verità: erano tutti morti. Inconsciamente non riusciva a non credere alle parole di Tyki. Lui l’aveva salvata, aveva aperto una porta bloccata da anni che nessuno era mai riuscito a smuovere, era stato gentile con Alan…
Tutte queste cose lo rendevano quasi una figura onnisapiente, ai suoi occhi. Se la sua parte più intima si rifiutava ancora di accettare quella che probabilmente era la verità, l’altra invece lottava furiosa per far prevalere il suo flebile credo.
Inoltre, un altro grande dilemma l’attanagliava: chi era in realtà quell’uomo?
Il modo con cui, quasi magicamente, aveva aperto la porta, lasciava intendere che ci fosse qualcosa sotto quelle sembianze un po’ trasandate ma che celavano nel profondo una cura quasi insolita per la sua persona. Lo avrebbe tenuto d’occhio, e ad ogni occasione buona ne avrebbe approfittato per capire chi fosse! Perché, nonostante avesse salvato lei e Alan, e le sue parole l’avessero resa conscia della realtà, non riusciva ancora a fidarsi totalmente di lui. Era come se, attorno a lui, ci fosse stata una sorta di aura nera e tenebrosa, che le impediva di vedere chiaramente la sua vera identità. Una barriera, all’apparenza impenetrabile, che però si sarebbe impegnata a sfondare nei giorni a venire.
Ormai, infatti, era chiaro che lei e suo fratello avrebbero fatto gruppo con lui. Oltre all’aspetto misterioso, pareva anche avere le idee ben chiare e probabilmente conosceva la zona dei canyon nordamericani, essendo un viaggiatore. Lei e Alan non sarebbero resistiti a lungo in mezzo a sassi e polvere e al nulla assoluto, avevano bisogno di una guida. Quella guida.
Arretrò di un passo.
No, non doveva tornare. Se fosse stato lì, al suo fianco, Ted le avrebbe sicuramente detto di non farlo. Di andare avanti, sicura di lei. Di proteggere Alan e impedire che quanto fatto fino a quel preciso momento non diventasse improvvisamente vano.
Chiuse gli occhi, strizzandoli con quanta forza poteva.

“Perdonatemi, amici cari…” implorò dentro di sé, sperando che le sue scuse arrivassero a destinazione, nei cuori di quelle persone che erano state tutto per lei per ben due anni.

“Perdonatemi se vi abbandono… Ma prometto che tornerò!”

Si voltò, lo sguardo acceso di decisione come mai prima d’ora.

- Tyki – pronunciò, solenne, ottenendo il suo sguardo – Sapresti condurci il più lontano possibile da qui?

Tyki abbozzò un sorriso soddisfatto. Finalmente la vedeva decisa e coraggiosa, con gli stessi occhi che aveva scorto ore prima seduto davanti a quel boccale di birra.

- Sì, credo sia possibile – rispose, mettendo le mani sui fianchi.

Leda sorrise, soddisfatta. Finalmente riusciva a strappare qualche parola da quello straniero che non fosse un insulto e, cosa più importante, la sua totale collaborazione.

- Allora faremmo meglio ad allontanarci – sentenziò così, avviandosi lungo la conduttura con passo sicuro. Alan le andò dietro con un piccolo sorrisetto fiducioso stampato in volto, mentre Tyki stette qualche attimo a guardarli, come se il solo vederli l’avesse pietrificato. Alla fine anche lui li raggiunse, mettendosi direttamente in testa al gruppo e guidando i due fratelli verso l’uscita.


 
Strinse l’impugnatura della pistola fino a sentirla scricchiolare sotto la sua forza. La rabbia lo rodeva, lo pervadeva ogni secondo di più.
Davanti a lui, tante masse di cadaveri ammucchiati tra loro, come a formare macabre composizioni artistiche. Il sangue era ovunque, persino addosso a lui. Storse il naso. Il sangue umano lo disgustava terribilmente. Si levò la giacca imbrattata, quasi strappandosela di dosso con stizza, e la gettò a terra sollevando una timida nuvola di polvere.
Ripose la pistola nel fodero. Si ravviò i capelli con un gesto della mano. Avrebbe voluto tanto poter vedere lo spettacolo dinnanzi a lui… La meravigliosa opera che aveva compiuto.

- Signore! – una voce metallica, spenta, lo richiamò alla realtà. Un Akuma di livello 3, dall’armatura color rame, gli si affiancò aspettando una risposta.

- Parla – acconsentì, con tono di sufficienza, senza nemmeno voltarsi nella sua direzione.

Il demone esitò.

- Allora? – domandò scocciato il superiore.

- Ehm, ecco, Signore… Non siamo riusciti a trovarla…

L’altro emise un breve ringhio di dissenso. E in un attimo l’Akuma si ritrovò una pallottola fumante piantata in mezzo agli occhi. Cadde a terra con un tonfo, mentre una sempre più vasta pozza di sangue si apriva sotto di lui.
Gli Akuma vicini sussultarono lievemente, alla vista del loro compagno ucciso. Tornarono però a drizzare le schiene sull’attenti, quando il loro capo si girò e ruggì:

- Pezzi di metallo inutili… ecco cosa siete! Il Conte aveva detto che sareste stati all’avanguardia per questa missione. Eppure non siete stati neanche in grado di trovare una fottuta Esorcista!!

A quell’urlo furioso seguirono altri scoppi. Altri tonfi. Altro sangue che colava via da corpi senza vita.

- Livello tre, livello quattro… non sono altro che numeri! – sibilò, irato, quando una voce lo sorprese alle spalle.

- Perché ti lamenti, tu, che sei solo un livello due?

Si girò. Una donna, dalla pelle cinerea e i capelli neri come la disperazione era in piedi dietro di lui. Indossava abiti formali, scuri, e un paio di guanti candidi sulle mani delicate. La sua voce era come una nota grave di pianoforte: suadente, malinconica, eppure fredda.

- Chiedo perdono, mia Signora Noah – pronunciò, quasi a fatica, girandosi verso di lei.

- Come procede la missione? – tornò a domandare la nuova arrivata, senza badare alle sue parole.

- Abbiamo avuto delle difficoltà nel penetrare la barriera e occupare le porte stagne di emergenza; alcuni Akuma sono stati distrutti, Signora.

Menzogne. Dalla prima all’ultima parola. Non aveva incontrato alcun problema durante l’assalto, né per quanto riguardava l’uccisione dei civili. E di perdite, ne avevano avuta solo una, per mano del loro reale obbiettivo. Ma raccontare la verità sarebbe stato un vero e proprio suicidio.

- Che cosa ci state a fare ancora qui, allora? – sibilò aspra la Noah.

L’Akuma stava per rispondere, quando qualcosa lo afferrò e lo strinse violentemente attorno al collo, impedendogli di respirare. Cadde a terra, stringendo le spire violente che lo stavano soffocando per allontanarle, ma la presa era troppo forte.
La mano destra della donna era diventata lunga come una corda e veloce aveva immobilizzato il demone, il quale annaspava in cerca d’aria, rosso in viso.

- Stai al tuo posto, Jeremy, e ricordati che gli ordini del Maestro devono essere di assoluta priorità. Non perdere altro inutile tempo e trovala. Mi hai capito?

In risposta ricevette solo una serie di gemiti soffocati. Mollò la presa, e la lunga corda si ritirò rapida tornando a essere la sua mano.
L’Akuma respirò a pieni polmoni, massaggiandosi il collo leso su cui erano rimasti dei segni arrossati tutt’attorno. Poggiò i gomiti a terra e recuperò il fiato, rivolto verso il terreno.

- Raduna i livelli 3 e 4 e trovala. In caso contrario, sai già quale sarà la fine che ti attenderà.

Puntò lo sguardo impassibile e freddo sui corpi senza vita degli Akuma morti. Avrebbe tanto voluto ucciderlo subito, ma gli ordini del suo Maestro erano assai più importanti.

- Ai suoi ordini… mia Signora Noah… - ansimò il demone, mentre a fatica si rialzava dal pavimento sporco di sangue umano della sede Nordamerica.
 


 
Leda guardò dietro di sé. Il tunnel buio e metallico che lei, suo fratello Alan e Tyki stavano attraversando, era buio e umido, e l’oscurità divorava insaziabile i residui di luce più lontani prodotti dalla torcia che stringeva in mano.
A terra una sottile scia d’acqua salmastra percorreva tutto il canale come un serpente viscido e puzzolente. Le pareti erano scrostate e arrugginite, e i topi squittivano nell’ombra, con un leggero eco che ne amplificava le vocine.
Certo, ritrovarsi dall’avere quella che si poteva chiamare una vita allo sguazzare nelle fogne, non era proprio il genere di futuro che Leda si sarebbe immaginata per lei e Alan quella mattina. Anzi, non pensava affatto all’eventualità che potesse succedere un paradosso del genere. Aveva ancora molta confusione in testa, ma aveva deciso di fidarsi di Tyki, che comunque sembrava una persona affidabile. Almeno, secondo Alan. La sensazione di tenebra che attorniava quella misteriosa figura non se n’era andata, affatto, ma gli ultimi avvenimenti avevano fatto sì che la ragazza pensasse che lui fosse meglio di molte altre cose che le sarebbero potute capitare. In fin dei conti, se avesse dovuto scegliere tra l’essere uccisa da un Akuma o l’essere salvata da un tizio misterioso e antipatico, avrebbe certamente preferito la seconda opzione. Ma solo per poco.
I tre camminavano avvolti dal silenzio. Nemmeno Alan, il più gran chiacchierone mai visto, sembrava essere in vena di parlare. L’unico rumore esistente era quello dei loro passi, che calpestando l’acqua producevano un leggero scalpiccio e qualche schizzo.
Leda non sapeva dire con precisione da quanto tempo stessero camminando, ma a giudicare da come la torcia si era consumata, da quando l’aveva accesa, dovevano essere parecchie ore.
Gliela aveva data Tyki. L’aveva tirata fuori da una borsa che la ragazza non sospettava nemmeno che avesse indosso. Forse dentro c’era anche del cibo. Lei non aveva avuto occasione di tornare indietro a recuperare nulla, nemmeno il bellissimo carillon comprato poche ore prima dell’assalto da donare a Alan, quindi sperava vivamente che almeno lui conservasse un po’ di viveri. Non aveva alcuna intenzione di morire di fame.

- Hey – lo chiamò. Si era già dimenticata il suo nome.

Tyki si voltò verso di lei, intuendo che quel verso fosse rivolto a lui.

- Sì?

- Quanto manca per arrivare in superficie?

- Poco.

Sulla fronte di leda comparve una piccola vena di rabbia. Segno che la ‘spiegazione’ appena ricevuta non era affatto sufficiente.

- Quanto poco? – domandò, imboccando già la via dell’impazienza.

Tyki si fermò bruscamente. Alan cozzò contro la sua schiena, perso com’era a guardare la scia d’acqua putrida come fosse una traccia da seguire. Sollevò lo sguardo rassegnato e si preparò a una nuova imminente bufera.

- E’ un po’ che camminiamo, non trovi? Eppure avevi detto che tramite questo condotto saremo arrivati in superficie in poco tempo.

- Il motivo è che siete lenti, e con questo passo non raggiungeremo la nostra meta prima di domani.

Leda s’innervosì ancor di più.

- Secondo me è perché tu ti sei perso.

Tyki la fulminò con lo sguardo.

- Io non mi perdo mai – pronunciò, altezzoso – E non ho bisogno che tu mi faccia la paternale, ragazzina.

Alan, che si trovava tra i due e li guardava dal basso verso l’alto, vedeva chiaramente accendersi tra i loro sguardi piccole scintille gialle fulminee. Si spostò appena, quel tanto che bastava per tirarsi fuori dalla zona calda di quello che, con tutta probabilità, sarebbe potuto diventare un incontro di lotta assai acceso.

- Non possiamo vivere nelle fogne, lo sai questo? – domandò Leda, come se, dato il fatto che probabilmente lui ci viveva, non riusciva a capire che per loro era diverso.
In assenza di una buona risposta per controbatterle, Tyki tacque.

- Dammi la torcia – pronunciò duro, al termine di una piccola pausa. Leda gliela porse, un po’ sorpresa da quella reazione improvvisa.

- Ora seguitemi e camminate veloci. Riusciremo ad uscire da qui… fosse l’ultima cosa che faccio.


Angolo di Momoko

Prima di propinarvi le solite cavolate, volevo chiedere scusa a tutti. Chi mi conosce avrà sicuramente capito che la puntualità non è il mio forte, e che quindi dire 'posterò il capitolo entro due o tre settimane' è come dire 'non so quando aggiornerò, forse entro quindici anni...'.
Vi chiedo perciò di avere molta pazienza. Cercherò di non deludervi mai con i capitoli nuovi, e metterò sempre molta cura e dedizione nello scriverli. Non mi faccio assolutamente beffa di voi, credetemi. Spesso non c'è tempo, o manca l'ispirazione, o non è possibile proprio scrivere. Ma su una cosa voglio tranquillizzarvi: anche de dovessi farvi aspettare un po', il capitolo arriverà comunque. Non interromperò mai una storia, quindi se non vedete aggiornamenti freschi non demordete xDD
In questo capitolo non c'è molto di cui parlare. Compaiono dei personaggi nuovi, una Noah misteriosa e ci sono le prime zuffe tra Leda e Tyki. Nel prossimo le cose comincieranno a mettersi in moto, quindi preparatevi! xD
Tyki: per come vanno le cose, di tempo per prepararsi ce ne sarà parecchio ù_ù
Sei snervante, lo sai?
Sanji: *circondato di cuoricini* Momoko-san! Ti ho portato della cioccolata calda! ♥
Grazie, Sanji caro. Almeno tu mi dai un po' di soddisfazione!
E con questo, vi comunico che a breve comparirà anche il secondo capitolo di Tears, la sfida tra me e Myrae.
Ora mi dileguo!

A prestoooo,

Momoko ♥
   
 
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