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Autore: Supernavy97    29/12/2012    1 recensioni
La solitudine di Naruto nella sua infanzia a Konoha; dalle sue paure, preoccupazioni, ai suoi primi incontri e alle sue prime vittorie.
Naruto a sette anni in un villaggio che lo odia, ma che, in fondo, lo ha aiutato a crescere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Naruto Uzumaki, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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ANCORE DI SALVEZZA




 

E’ l’alba a Konoha; il cielo è calmo e le nuvole rossastre si muovono leggere nell’aria. Sono seduto sulle grandi sculture degli hokage, i loro visi scavati nella roccia dominano il villaggio ed io con loro; questo è l’unico posto dove possa stare tranquillo, in pace, lontano dalle continue critiche della gente. C’è una leggera brezza e i miei capelli biondi si muovono al suo debole tocco. Triste, malinconico e solo, il vento è come me, un anima persa, scacciata, in cerca di attenzioni. Alzo il viso al sole, è dorato, come sempre, splendente già di prima mattina, e mi irradia con la sua luce, ma è ancora troppo presto pechè inizi a scaldare. Ammiro il paesaggio, scruto l’orizzonte, l’unica fonte di salvezza alla mia solitudine, l’unica mia speranza nella presenza di qualcuno che possa finalmente accettarmi per quello che sono.
È ingiusta la vita, sono solo un bambino, i mie anni si contano sulle dita delle mani, ma non ho nessuno accanto, nessuno che giochi con me durante il giorno, nessuno che mi faccia compagnia la sera e nessuno che mi consoli di notte dai mie pianti disperati. Sono un bambino, ma la gente mi considera un mostro. E forse è vero, forse un mostro un po’ lo sono perchè ho un demone sigillato nel mio corpo, ma che ci posso fare io? Che colpa ne ho di essere nato così? Una lacrima solca il mio viso, un’altra, ormai ho perso il conto di quante volte mi sono ritrovato a piangere nella mia solitudine, ma è giunta l’ora di combattere, anche se è difficile, è ora di ribellarsi a queste ingiustizie, non mi posso arrendere, perché se lo faccio per me è finita. Mi alzo, mi asciugo il viso con la manica, e sorrido, è il mio unico modo per sopravvivere. Corro al villaggio, finalmente il giorno è iniziato e posso dare prova di quello che sono.

I negozi stanno aprendo e le strade non sono ancora troppo affollate: la vita a Konoha si sta risvegliando. Passo davanti a una bancarella,  vende le maschere Ambu, quelle dei grandi ninja alla difesa del villaggio. Da grande mi piacerebbe essere uno di loro, una persona in grado di proteggere quelli a cui vuole bene, forse, però, preferirei diventare l’Hokage ed essere finalmente rispettato da tutti, essere considerato un’amico e non un estraneo. Ma ecco che di nuovo, mentre io fantastico, la realtà torna più aspra che mai: la maschera che prima stavo fissando mi viene sbattuta in faccia, facendomi perdere l’equilibrio e gettandomi a terra. E di nuovo quegli occhi, quegli occhi pieni di odio, disprezzo e paura. Quegli occhi che non vogliono accettarmi. Mi guardano dall’alto in basso e poi scappano, scompaiono come la gente che prima passeggiava per questa via. Dialoghi, bisbigli, parole cattive sussurrate nell’orecchio a voce bassa, ma non troppo perché io non possa sentirle. E ancora quella stretta al cuore, quel dolore incurabile al petto e quella voglia disumana di piangere, ma so che non posso, me lo sono ripromesso, devo combattere. Per cui mi rialzo, raccolgo la maschera e corro, è l’unica cosa che riesco a fare ora, corro il più lontano possibile perché mi sembra di essere l’unico a soffrire così.

Raggiungo l’accademia e mi siedo sull’altalena, chiudendomi nel mio isolamento. È buffo, una bambina dai capelli corti e scuri mi fissa da lontano, forse è impaurita, non sarebbe certo la prima volta. Scommetterei che voglia scappare, ma c’è qualcosa in lei che mi fa pensare il contrario, lei ha qualcosa di diverso, mi sta guardando da dietro l’angolo, è timida e il suo sguardo è curioso, innocuo. Ci fissiamo per qualche minuto, nessuno dei due avanza. E’ un dialogo muto il nostro, io, non muovendomi, le racconto il mio dolore, la mia paura di essere rifiutato e lei, nel suo stare ferma, mi mostra tutta la sua timidezza nell’essere bambina. Ha gli occhi chiari lei, assomigliano al colore della luna, trasparenti, sembrano sfere di cristallo, fragili, ma bellissimi. Mi è piaciuta questa conversazione, sento di aver parlato più di quanto abbia fatto finora, ma non voglio che questo momento venga rovinato da qualche adulto che la porterà via da me, così decido di andarmene per primo; la saluto e lei ricambia con la sua piccola mano. E questo è un altro colpo al cuore per me, vedere qualcuno che saluta, che mi saluta mi ha reso la persona più felice del mondo, ho un’amica finalmente, un’amica coi capelli scuri e con gli occhi che parlano.

Mi lamento della gente che scappa, e adesso sono io il primo a scappare, ma non ci faccio caso e corro di nuovo, ancora più lontano. Trovo un’altra altalena, questa volta è quella del parco di Konoha, sembra quasi che le altalene siano il mio appiglio in questo villaggio. Mi dondolo un po’, cercando di andare più veloce possibile così da sentire l’ebbrezza della libertà, chiudo gli occhi, è una sensazione fantastica, sono libero, felice. Quando mi risveglio dal mio sogno mi trovo davanti due bambini, la loro presenza mi spaventa e il sobbalzo mi fa cadere e così mi ritrovo a nascondermi dietro l’altalena per le mie solite paure. E per fortuna che dovevo combatterle! Dopo qualche momento mi tranquillizzo e scruto meglio le  figure che mi stanno fissando: sono in due, il primo è un po’ cicciottello, i capelli color caramello e un pacchetto di patatine in mano, il secondo è più alto, magro, con un buffo codino nero in testa, ma sembra intelligente.

“Ciao” prova quest’ultimo

“Ciao” rispondo

“Io sono Shikamaru e lui è Choji, tu come ti chiami?”

Per alcuni attimi rimango in silenzio, con gli occhi spalancati, mi hanno chiesto il mio nome, qualcuno vuole conoscere il mio nome.

“Naruto” rispondo

Shikamaru sorride, ha l’aria di uno che capisce la gente, così mi chiede se ho voglia di giocare con loro. Se ho voglia? È tutta la vita che aspettavo questa domanda. Mi unisco a loro e ci divertiamo fino a che il cielo riprende i colori dell’alba ma il sole, invece che sorgere, comincia a tramontare. Stiamo decidendo un nuovo gioco quando un uomo con una pelliccia si avvicina all’entrata del parco chiamando a gran voce i due bambini. Ci giriamo di scatto e capiamo che per oggi è finito il nostro momento di svago. Choji e Shikamaru se ne stanno andando, tenuti per mano come un padre fa con i propri figli. Sento parte dei loro discorsi mentre si allontanano, devono riportare Choji a casa sua e Shikamaru non vuole essere tenuto per mano, si vergogna, ma non sa quanto piacerebbe a me, invece. Ad un certo punto, però, si fermano, Shikamaru si gira a guardarmi, il viso illuminato dal sole, e mi saluta come mi accorgo sta facendo anche Choji, poi se ne vanno, definitivamente. Sono sbalordito. Amici, ho degli amici. Io, che sono sempre stato odiato, escluso, ignorato, per la prima volta mi sento amato. Inizio a piangere, involontariamente le lacrime scendono calde a rigarmi il viso, cogliendo gli ultimi riflessi del sole, che da qui a poco lascierà il posto alla luna. Mi stanno salvando, sento che queste persone mi stanno salvando dal baratro della solitudine in cui stavo cadendo. Gli rivedrò ancora quegli occhi, ne sono sicuro, ci sarà sempre qualcuno che mi guarderà così, ma questa volta li affronterò, davvero. Posso essere accettato, non sono un mostro, l’ho capito, me l’hanno insegnato i miei primi amici e adesso tocca a me farlo capire agli altri.

Paura del diverso, di quello che non è come noi, è questo che ha portato la gente ad odiarmi, ed io l’ho sopportato per anni. Anche se ora ho qualche amico, però, la solitudine non scompare, il bisogno di avere qualcuno accanto la sera, qualcuno al risveglio al mattino, rimane. Sono in casa, solo, come un bambino non dovrebbe mai essere e sento un’inspiegabile senso di vuoto. Vorrei fuggire dalla notte, dal buio che mi avvolge come se gli appartenessi, come se volesse divorarmi. La notte mi impaurisce, ma allo stesso tempo mi attrae: è scura, tenebrosa e pare il mondo di un demone, ma possiede anche qualcosa di magico, qualcosa che la fa sembrare un sogno, un mondo parallelo, un’altra realtà, diversa e forse anche migliore. E allora ripenso a Shikamaru e alla sua mano intrecciata a quella del padre e sogno.


Sono in un luogo indefinito, ma completamente buio e sento delle voci. Impiego qualche minuto a riconoscerne i dialoghi e quando ci riesco ecco che tornano i dolori al petto, le crepe al cuore e le lacrime agli occhi. Cerco invano di asciugarmele, ma sono troppe e scendono rapide, inizia a mancarmi il respiro, mi inginocchio e piango, disperato, avvolto dalle tenebre. Lo stesso incubo, si ripete ogni notte. Il fiato mozzato, le ginocchia che tremano, la testa che scoppia. Lamenti, grida, urla, vorrei uscire da questo corpo e scappare dove quelle voci non possano raggiungermi, in un posto felice, dove possa essere amato.
È proprio quando sto per arrendermi, invece, che una mano, grande e calda, si appoggia sulla mia testa e una figura si inginocchia davanti a me, abbracciandomi. Sono sorpreso, nei miei incubi non c’è mai stato nessuno oltre ai demoni e a quelle voci, nessuno mi aveva mai abbracciato come sta facendo lui ora. Mi calmo un po’, ho gli occhi gonfi e rossi, ma non piango più. La persona davanti a me mi tiene stretto e mi sussurra parole dolci chiamandomi figliolo. Solo allora comprendo che è mio padre, quel padre che non ho mai conosciuto, ma che ho sempre desiderato incontrare e che ora mi sta abbracciando. Ha i capelli biondi e gli occhi celesti, proprio come me.
“Naruto” mi dice “Ti voglio bene” E qui non resisto più, mi nascondo tra le sue braccia, calde e possenti, che mi avvolgono e mi proteggono. Le lacrime ricominciano a scendere, ma sono diverse da prima, sono lacrime di gioia, lacrime che vogliono essere asciugate da quella mano che prima poggiava sul mio capo. Sguardi, gesti e parole, tutto quello che abbiamo perso lo recuperiamo in quest’abbraccio che sta per sciogliermi tanto è il calore che mi sta trasmettendo. Il tempo si ferma e sento il cuore riempirsi di affetto, l’amore di mio padre mi invade e mi addormenta in quello che da incubo è passato a sogno e che la notte porterà fino al mattino, cullandolo a sé.
 
 
I demoni scompaiono, insieme al buio e la luce filtra debole dalle mie finestre, ma la posso sentire scaldare il mio viso; è mattina. Mi rigiro nel letto, il sonno mi sta ancora tormentando e non ho voglia di svegliarmi. Lascio passare qualche minuto, poi mi decido ad aprire gli occhi, lentamente. Intravedo qualcosa davanti a me, ma gli occhi ancora socchiusi non mi permettono di mettere a fuoco l’immagine. Vedo tre figure, forse sono demoni, forse sto ancora sognando. Uno di loro inizia a parlare

“Guarda si è svegliato!” urla e subito dopo, una sottospecie di cane inizia a leccarmi la faccia.

“Abbassa la voce, non vedi che è ancora assonnato?!” lo rimprovera un altro…questa voce, però, mi è
familiare, l’ho già sentita, forse nel sogno o ieri, al parco. Apro definitivamente gli occhi e mi siedo sul letto, davanti a me Shikamaru e Choji mi guardano amichevolmente. Con loro c’è un altro bambino, deve avere la nostra età, ha i capelli castani e dei segni rossi sul viso e con lui c’è un cagnolino che dice chiamarsi Akamaru.

“Forza Naruto vestiti che oggi facciamo una gara di velocità!” esclama Shikamaru.

Realizzo solo ora quello che sta accadendo: mi sono svegliato sentendo le risate dei miei amici, loro che hanno sentito il bisogno di me, che mi hanno cercato e mi hanno trovato. Mi vesto in fretta e usciamo, corriamo per le vie di Konoha, la gente ride al nostro passaggio anche se noto qualche sguardo rivolto a me, in quel modo. Usciamo dal villaggio e ci fermiamo davanti a una collina, Shikamaru prende il tempo quindi la risale per primo fino al grande albero sulla sua cima che segna il traguardo. Choji, il nuvo ragazzino ed io ci posizioniamo ai posti di partenza e appena sentiamo il razzo di Shikamaru partiamo. La sfida inizia e tutti e tre corriamo veloci verso il traguardo. Choji però è troppo stanco e dopo un po’ si ferma. Io invece continuo, cerco di andare più veloce possibile; corro fino allo stremo delle forze, ho il fiato mozzato, ma continuo a salire. Arriviamo in cima, il nuovo ha vinto, e sta scrivendo il nuovo record sopra gli altri che già sono incisi sull’albero: 3:37 è davvero veloce.

“Bravo” gli dico eccitato “Sei velocissimo”

Questo si gira a guardarmi e mi prende la mano con la sua, è allegro, vivace ha l’aria del burlone, ma è simpatico.

“Grazie, è stata una bella sfida!Io mi chiamo Kiba”

“Naruto!” gli rispondo sorridendo

Ci guardiamo con occhi che vogliono essere superiori, ma entrambi non riusciamo a tenere lo sguardo e dopo poco scoppiamo in una fragorosa risata che risuana nell’aria intorno a noi. Rido di cuore, non c’è
finzione, non ne ho bisogno, so che posso essere me stesso perché loro mi accettano per questo. Ci arrampichiamo sull’albero, da dove riusciamo a vedere tutta la foresta: la natura si propaga per miglia e miglia da qui, raggiunge il mare da una parte e il villaggio della sabbia dall’altra. I fiori s’intravedono dagli spiragli di luce che passano tra i rami, intrecciati tra loro, quegli stessi rami su cui si sono combattute tre guerre e su cui ninja di ogni villaggio si sfidano ogni giorno. Chissà cosa vogliono diventare loro da grandi, sono tentato di chiederglielo. Siamo seduti sui rami più alti e Kiba mi sta guardando con aria sospetta, forse sta tramando qualcosa, qualcosa che capisco non appena vedo le sue mani sporche di tempera che si avvicinano a me e mi segnano il viso con grossi tratti arancioni.

“Ti dona l’arancione” mi dice prima di scendere dall’albero e correre verso casa con Akamaru.

Choji e Shikamaru ridono, avevano architettato tutto. Faccio per arabbiarmi, ma perdo l’equilibrio e cado a terra e tutti scoppiamo in un’altra risata mentre il sole sale al centro del cielo e veniamo avvolti dal profumo della foresta.
 


“Sono belle le nuvole, vero?” Shikamaru mi guarda in cerca di una risposta. Siamo sdraiati sul prato, io e lui, con gli occhi puntati al cielo e un filo d’erba in bocca.

“Tanto!” gli rispondo felice

“Le nuvole…” riprende lui “Le nuvole sembrano gli abitanti del cielo, sono tante, e cambiano sempre forma, mi piacciono, le nuvole mi fanno sognare.”

Shikamaru è molto intelligente e sembra più grande della sua età. È altruista e anche se è un po’ svogliato sembra avere un forte spirito protettivo nei confronti degli altri.

“Ma sono anche una seccatura!” esclama “Sai, in autunno, quando da bianche diventano grige e iniziano a svuotarsi sul villaggio, quando piove, le nuvole le odio, portano acqua e freddo”

“Sono una grandissima seccatura!” sussurra socchiudendo gli occhi.

Io scoppio a ridere, è proprio divertente, mi piace passare il tempo con lui.

“Naruto, posso farti una domanda?” mi chiede cambiando tono di voce, diventando serio.

“Si..” rispondo debolmente, ho una strana sensazione, ho paura di sapere cosa mi voglia chiedere.

“Perché la gente al villaggio ti evita?”

La domanda che volevo evitare mi viene porta su un piatto d’argento, sono obbligato a rispondere, non ho vie di fuga. Perché lo vuole sapere? Mi odierà quando avrà la risposta?

“Ahh quello, bhe è perchè ho qualcosa di brutto sigillato nel corpo, strano vero?” gli rispondo io ridendo, con non curanza, cercando di sviare il discorso, cercando di attuire la tensione e l’ansia che stanno crescendo in me.

“E allora?” continua, invece, lui serio.

Io resto muto, non era questa la reazione che mi aspettavo. Mi ha sorpreso, nessuno mi aveva mai osservato come sta facendo lui ora, con occhi volenterosi di capire la mia situazione e di risolverla, con occhi che vogliono salvarmi.

“Siete due cose diverse, avrai anche un demone dentro di te, ma il mostro non sei tu. Tu non sei lui e lui non è te. Siete due entità che convivono, ma non vi sovrapponete, se la gente ti odia per questo è proprio baka.”
Conclude tornando a guardare il cielo.

Rimango immobile, le sue parole mi hanno colpito nel profondo del cuore, hanno accesso una fiamma dove prima c’era il ghiaccio. Ancora una volta sono rimasto spiazzato: non credevo che qualcuno potesse pensarla cosi. Mi alzo, ho bisogno di pensare. Saluto Shikamaru e lo lascio felice alle sue nuvole, mentre io mi incammino verso il villaggio, con il sole alle spalle che sta calando.

I soliti colori del crepuscolo illuminano Konoha, mentre io varco la soglia del villaggio, ancora sopreso dalle parole di Shikamaru. Mi dovrei sentire bene, invece, per qualche strano motivo sono smarrito, mi sento perso, come se non mi fosse concessa la felicità e da un momento all’altro venga privato di quei pochi amici che ho faticato tanto per avere. Se solo mio padre fosse qui…se solo avessi qualcuno a cui rivelare i miei pensieri e le mie preoccupazioni…se solo non fossi così solo in realtà…potrà dire qualcuno un giorno di essere felice di avermi incontrato? Potrò mai essere io uno shinobi di Konoha ed essere orgoglioso di questo? Ho troppe domande e troppe poche risposte, non sono ancora in grado di chiarire tutti i miei dubbi, in fondo sono solo un bambino. Continuo a camminare, affianco il fiume che attraversa il villaggio e lo seguo nel suo tragitto. Sembra quasi farmi compagnia. I miei passi sono lenti, pensierosi e rispecchiano l’insicurezza che ora mi avvolge. Alzo lo sguardo, voglio guardarlo il fiume, in tutta la sua bellezza, ma la mia attenzione invece che da quello è catturata da un bambino, solo, come me, seduto su un pontile in balia di se stesso. Non lo vedo bene, è lontano, ma noto come il suo sguardo sia perso, malinconico e triste. Deve essere un Uchiha perché dietro la maglia che indossa è stampato il famoso ventaglio appartenente a quel clan. Come se l’avessi chiamato, questo si gira e mi scontro coi suoi occhi: occhi che mi attraggono come calamite, scuri e arroganti, ma che nascondono come i miei il dolore della solitudine. Sono due pozze di inchiostro, due occhi che hanno voglia di scriversela la propria storia senza lasciare che gli altri ne prendano il sopravvento. Occhi che cercano affetto, occhi che chiedono vendetta…sono occhi come i miei. Ma l’orgoglio degli Uchiha è famoso quanto il suo stemma e il ragazzino che ho davanti non verrebbe mai a chiedere aiuto a uno come me, ed io, per i soliti motivi, non mi avvicinerei mai a lui, così ci troviamo a distogliere lo sguardo l’uno dall’altro, ma lo abbiamo visto, e lo ricordiamo bene come il dolore negli occhi di entrambi sia lo stesso e sappiamo come gli uni potrebbero essere la salvezza per gli altri. Le nostre strade si dividono, ma forse in un futuro si incroceranno di nuovo.
 
 
Le stagioni stanno passando e la natura si sta adeguando alle nuove temperature: il caldo afoso estivo ha abbandonato Konoha da tempo, gli alberi sono ormai spogli e il villaggio con loro si presta ad entrare nel gelo dell’inverno che da qui a poco ci raggiungerà. Il freddo già si sente, e la neve sta iniziando a cadere soffice sulle case. È bellissima la neve: bianca, pura e innocua, sovrasta ogni cosa senza fare rumore, come a volerle proteggere di nascosto, un’amica nell’ombra, un sussurro nel vento. Addormenta la natura, la rinchiude, per poi farla rinascere più viva che mai. Molte persone la odiano, porta freddo e gelo al cuore, dicono, ma se il cuore è già gelato non te ne accorgi. È pomeriggio già da qualche ora, ma per via del cielo bianco, non l’ho ancora notato, e continuo la mia opera. Semplice e tradizionale, quello che i bambini costruiscono d’inverno, un pupazzo di neve. Ha la testa un po’ storta, ma non ci faccio caso, non sono perfetto e non lo sarà di certo questo pupazzo. Sono nella neve da quasi un’ora ed inizio ad avere freddo, sento i brividi in tutto il corpo, ma non riesco a muovermi. Cerco di andare verso casa, ma sto gelando e non sento più le mani. Mi fa male la testa, la sento scoppiare, gli occhi si socchiudono e cado a terra, sento il freddo della neve sul viso e poi il buio.

Mi risveglio in un futon azzurro, la testa coperta da una salvietta bagnata e lo sguardo perplesso di un ragazzino addosso. È strano, porta un paio di occhiali neri e tondi, una mantellina bianca e un cappuccio dello stesso  colore. Mi chiede come sto. Non posso dire di essere in perfetta forma dopo essere svenuto in mezzo al parco di Konoha, ma sto…meglio. Anche il posto dove mi trovo è strano, è una casetta in legno, ma sembra nascosta dal villaggio. Lui deve notare il mio disagio perché inizia a parlare.

“È il mio posto segreto” mi dice “Sei il primo ad entrarci”

Lo guardo con stupore, sono onorato di questo privlegio, ma probabilmente è perché non sa chi sono, altrimenti non mi avrebbe nemmeno soccorso. Lui, comunque, continua imperterrito a fissarmi.

“Come ti chiami?” azzardo, il disagio sta salendo, lo sento, fa abbastanza paura questo tizio.

“Shino” “Shino Aburame, ti faccio paura?”

Mi sento uno stupido, il ragazzo che mi ha salvato la vita mi sta chiedendo se ho paura di lui. Devo averlo spaventato io, come tutti del resto.

“No, sei solo un po’, come posso spiegarmi…un po’ strano”

“Vuoi scappare?”

“No! Non voglio scappare, vorrei solo…conoscerti, posso?”

“S-Si…” “Io amo gli insetti

È strano Shino, ma ho sbagliato a dire che mi impaurisce, lui mi incuriosisce. Sembra essere molto solo, forse possiamo aiutarci a vicenda, forse riusciremo a riempire almeno un po’ il silenzio del nostro cuore. Stiamo passeggiando per i prati innevati dietro il villaggio, lui parla, ed io ascolto attento. Mi racconta dei suoi insetti, dai lombrichi alle libellule, mi parla dei ragni, delle formiche e di tutte quelle piccole creature che vivono dentro di lui. Sento la sua voce tremare quando mi spiega come i bruchi muoiano d’inverno per rifiorire come farfalle in primavera che lui va a guardare ogni giorno. Mi viene l’istinto di abbracciarlo e così faccio, mentre lui continua a parlare. Dice di aver visto una bambina che assomiglia ad una di loro perché è fragile come le ali di una farfalla, ma è forte, perché ha il loro stesso spirito di rinascita. La vede allenarsi ogni giorno perché vuole dimostrare di essere forte quanto il cugino. Il cugino, invece, dice che assomiglia di più a un’aquila perché è solo, come lei, e guarda dall’alto, per catturare, ma anche per proteggere. Nel frattempo la neve ha ripreso a scendere, allora prendo le mane di Shino e inizio girare, come farebbero i suoi insetti in primavera. Inizio a ridere, non mi riesco a fermare, e vedo che anche lui, sotto il cappuccio, accenna ad un sorriso. Scoppio di gioia, io sono riuscito ad aiutare qualcuno, io gli sono stato amico.

“Grazie” sento sussurrare. So che non lo urlerà mai, non sarebbe da lui, ma a me basta così, con quella parola mi ha reso la persona più felice del mondo e quindi è con un sorriso che lascio, con il viso felice e la consapevolezza di poter salvare qualcuno.
 


L’inverno è appena iniziato e si prospetta molto lungo. Sono seduto davanti al palazzo dell’Hokage e sto progettando un modo per entrarci. A me, ovviamente, non è permesso il passaggio, ma io lo voglio incontrare di nuovo il capo del villaggio, voglio vederlo. La gente che passa mi guarda perplessa: che ci fa un bambino seduto in mezzo alla strada a fissare il Palazzo? Poi comprendono che sono io, quel bambino e tutto si chiarisce, se sono io, allora è normale…
Continuo il mio piano, avrei bisogno di un diversivo, potrei distrarre le guardie e poi saettare dentro e nascondermi…oppure dovrei aggirarlo e provare a entrare dall’altra porta…è troppo difficile! Ci vorrebbe un passaggio sotterraneo, come quelli nelle basi segrete, ecco! Se ce ne fosse uno potrei finalmente riuscire nella mia impresa! Porto la mano al mento e cerco di riflettere…

“Guarda il mostro!” “Vorrà attaccare il Palazzo?” “Dovremmo avvisare l’Hokage”

Spezzoni dei loro discorsi mi arrivano imperterriti e subito dopo una spinta mi butta a terra.

“Vattene!” dice un bambino alle mie spalle

“Non puoi stare qui, mostro!” mi urla un altro

“Vuoi distruggere il villaggio, lo sappiamo!”

Perché pensano questo di me? Cosa gli ho fatto? Mi alzo e li guardo negli occhi, sono arrabbiato, ne prendo uno per il colletto della maglia e lo spingo con forza.

“Io vi odio tutti” grido al culmine della mia rabbia “Non vi ho fatto niente, lasciatemi in pace!”

“Scappiamo! Ci ucciderà!”

Corrono via. Come se potessi davvero ucciderli, non si rendono conto che sono loro che, lentamente, stanno uccidendo me, ma non mi importa. Non ho bisogno di persone così. Torno al mio posto e riprendo a fissare il Palazzo, ma nuove voci mi intterrompono. I soliti discorsi. Il mostro si è ribellato, avvisiamo l’Hokage, dovremmo cacciarlo…ormai li conosco a memoria. Chiedo solo di essere lasciato in pace a guardare il Palazzo, è chiedere tanto?! A me non sembra.

Sono stufo, però, delle continue interruzioni, non riesco a escogitare un piano qui, dunque mi alzo e me ne vado, lentamente, ma con lo sguardo alto, fiero, non mi lascierò sottomettere così facilmente! Sono contento, mi sto facendo valere!
Mi sto incamminando per le scale verso i visi di roccia quando un altro bambino si presenta davanti a me. Vorrà insultarmi anche lui…però…io…sto per scoppiare a ridergli in faccia, ha…delle sopraciglia…gigantesche!!!

Lui deve notarlo, perché mi guarda divertito e si mette a ridere con me. L’ho preso in giro, ma non sembra
arrabbiato, è davvero forte emotivamente.

“Io sono Rock Lee” mi dice “E diventerò il ninja più forte e conosciuto di Konoha!” esclama sfoderando un sorriso a trentadue denti. Sono bianchissimi, sembra quasi che brillino. Questo tipo è proprio strano.

“Naruto” gli rispondo “E sarò il più grande Hokage che la Foglia abbia mai avuto”

Abbiamo entrambi due sogni, due speranze, due punti di forza.
Siamo bambini che parlano di un futuro troppo lontano perché si riesca a percepire, ma è un futuro in cui crediamo fermamente e che realizzeremo giorno per giorno.

Mi accompagna fino in cima alla montagna e li mi chiede se voglio sfidarlo, dice che le sfide creano le amicizie.

“Io voglio diventare tuo amico”

“Anch’io” gli rispondo.

“Ci serve un giudice però” aggiungo un po' dubbioso e solo allora mi accorco della bambina sopra l’albero che Rock Lee sta indicando con una mano.

“È una mia amica, è brava a fare il giudice, andrà benissimo” mi dice soddisfatto, allora aspettiamo il suo permesso, e poi iniziamo a sfidarci. Io non sono molto bravo, non ho mai combattuto, mentre Rock Lee è veramente forte, i suoi colpi sono precisi ed equilibrati e ha una velocità sorprendente. Ovviamente dopo pochi, io sono a terra e un kunai mi sfiora, piantandosi al suolo. Mi fa sobbalzare leggermente.

“La sfida è finita” grida la bambina avvicinandosi “Il vincitore è Rock Lee!”

È carina, ha due buffi codini che le spuntano tra i capelli scuri e gli occhi dello stesso colore. Porta una maglia rosa, ma non è una di quelle bambine di sette anni che giocano con le bambole, lei è ribelle, piena di energia e dice di amare le armi ninja. Mi fa vedere il suo kunai, per lei è la cosa più preziosa, mi dice di provarlo. Io ho paura, non vorrei romperlo. Lei, però, mi dice di non preoccuparmi, dice che non ha senso tenerlo chiuso in cassetto, per lei è come un tesoro, ma non un tesoro da seppellire sottoterra, è un tesoro da usare con gli amici e se si rompe, non importa, forse piangerà qualche lacrima, sarà triste per qualche giorno, ma poi si ricorderà di tutte le persone che ha conosciuto grazie a quell’oggetto e allora sarà felice che abbia fatto parte della sua vita, e andrà avanti.

E allora io prendo il kunai dalle sue mani e mi sembra di essere un shinobi di alta classe mentre lo lancio velocissimo verso il tronco avanti a me. Rock Lee e la bambina gridano di gioia, ho fatto un tiro bellissimo, mi applaudono e mi sorridono. Altri sorrisi, altri sentimenti rivolti a me. Altre fiamme nel mio cuore. Sorrido anch’io e vado a riprendere il kunai nel tronco, questa volta tira Rock Lee, poi ci proverà lei e dopo inizieremo il giro di nuovo. Giochiamo fino a sera nello spiano sulla montagna, fino a quando loro devono tornare a casa, sono in ritardo, ma sono felici perché si sono divertiti con me. Ci salutiamo, con la promessa di rivederci, per una nuova sfida.
 


La primavera è ormai alle porte, la neve si è sciolta e sui rami degli alberi i boccioli stanno per fiorire. Il verde ha inondato Konoha e il suo profumo si sente fino al villaggio. Alcune gemme hanno già mostrato i loro petali, sono in anticipo quest’anno, ma ne sono felice. Sono in un prato appena fuori dal villaggio insieme ad altri bambini, l’Hokage ha detto di volerci parlare. Io sono emozionatissimo, è da tanto che desidero sentire un suo discorso, un discorso rivolto a noi, a me.
Le bambine si divertono a raccogliere i primi fiori e ad accostarli tra loro fino a formare dei bellissimi bouquet, mentre i ragazzi parlano di cosa fare nel pomeriggio. Io sono sdraiato sull’erba, tranquillo, e mi godo i caldi raggi del sole con Shikamaru. L’Hokage non tarda molto ad arrivare, e appena lo vediamo ci posizioniamo ordinatamente in cerchio attorno a lui. È vecchio il nostro capo, ho sentito dire che quello prima di lui è morto mentre cercava di difendere il villaggio, ma non ne so molto. Si siede al centro, in mezzo a noi, ci guarda per un po’ e poi inizia a parlare. Ci spiega di come tra un due/tre anni inizieremo l’accedemia ninja e dovremo impegnarci al massimo per dimostrare quello sappiamo fare. Qui mi scappa un occhiata a Rock Lee che ricambia divertito. Ci racconta di come il nostro villaggio sia ammirato anche da quelli lontani, ma soprattutto ci vuole tramettere lavolontà del fuoco; il coraggio di combattere, la forza di non arrendersi mai, la paura di perdere. Il potere di proteggere il nostro re. Io non ho capito bene cosa intende per il nostro re, è ambiguo, non sembra riferirsi all’Hokage, a se stesso, ne parla in terza persona, dev’essere qualcun altro, ma chi è più importante dell’Hokage stesso? Chi merita così tanto la nostra attenzione? L’Hokage ride, dice che forse è troppo presto per parlarci di queste cose, ma voleva che sapessimo che esistono, anche se non le comprendiamo, per quello c’è tempo. Si alza, guarda il cielo, e noi con lui. È azzurro, limpido e ci osserva dall’alto. Lui ci saluta, alza la mano e si allontana, tornerà al villaggio. Io, però, non ho ancora voglia di rientrare, così mi stendo dove ero prima e immobile prendo gli ultimi raggi che riescono a infiltrarsi tra i rami, addormentandomi.

Qualche ora più tardi la voce di due bambine mi sveglia, stanno parlando, sembrano molto vicine. Quando apro gli occhi mi ritrovo infatti i loro due visi davanti e sobbalzo. Sono un po’ a disagio. La prima ha i capelli biondi, corti e gli occhi celesti mentre la seconda sembra un bocciolo di ciliegio. Ridacchio tra me e me, sono proprio fortunato, sono stato svegliato da due belle fanciulle.

“Chi sei?” mi chiede la prima.

“Naruto” rispondo allegro, “E voi?” domando accennando con il capo verso di loro.

“Io sono Ino mentre lei è Sakura” risponde quella prontamente.

Ino ha l’aria di essere una ragazzina un po’ preziosa, una di quelle che vogliono comandare, un po’ superiore, mentre Sakura è più timida, più riservata.
Ino sta indicando qualcosa sulla mia testa; mi accorgo solo ora di avere una splendida corona di fiori sul capo.

“L’abbiamo fatta noi” mi dice “Tienila”

Io la guardo un po’ perplesso, è bella, però non la voglio tenere per girare per il villaggio, è imbarazzante, se Kiba mi vedesse chissà cosa penserebbe. Ma non lo dico, sarebbe scortese, fino a quando saranno con me la terrò , poi la appenderò a casa, come ricordo.

“È fatta di cosmee” mi spiegano “Cosmee affiancate da mughetti. Il rosa e il bianco si abbinano bene”


Hanno ragione, sono una bella conbinazione, se ne intendono di fiori. Saranno delle brave mogli da grandi.

“Noi vogliamo diventare ninja” mi dicono, invece.

“Ninja?!?!” sono troppo sbalordito, loro, così carine e dolci, dei ninja?

“Certo, qualche problema? Diventeremo anche più brave di te, vero Sakura?”

Quella mi guarda sorridendo e mi tira un colpetto sulla spalla. Fa male, forse diventeranno davvero brave ninja.

“Nessun problema, anch’io diventerò un ninja forte e poi ci sfideremo”

“Sono d’accordo, facciamo un patto!” esclama Ino di colpo.

Mettiamo le mani aperte una sopra l’altra e giuriamo di realizzare il nostro sogno. In mezzo alla raduna, con i raggi del sole ormai deboli, ho incontrato due principesse, due principesse che non sono rinchiuse in una torre, ma che da quella torre si lanciano speranzose verso il futuro.
 
 

La primavera è fiorita bellissima a Konoha e a seguirla l’estate è tornata con il caldo stremante, che da qualche settimana si è deciso a sparire. La mia vita continua, decisa  a liberarsi della maledizione che porto. Adesso è autunno e al villaggio le foglie cadono leggere al suolo, gli alberi stanno perdendo i loro colori e l’odore della terra si fa più vivo. Tra qualche giorno è il mio compleanno, il primo che possa festeggiare con qualcuno. La solitudine che mi avvolgeva sta pian piano svanendo, anche se faticosamente, e quando torno a casa, la sera, non sento più tutto quell’odio avvolgermi. Passeggio per la foresta, ormai spoglia, incamminandomi verso il villaggio. La porta che apre l’ingresso a Konoha è grande, possente e pare avvolgerti. Poggio la mano sulla colonna, quella colonna che sorregge l’entrata e che tante volte mi ha visto piangere, inginocchiato a lei. Pensare a quei momenti mi rattrista, il dolore di allora era davvero insopportabile, mi rogorava dall’interno. Volto lo sguardo dall’altra parte e noto qualcuno che è appena arrivato, qualcuno che prima non c’era e che come me sta ripensando al passato, in silenzio, poggiato a quella che è la porta di un villaggio, ma che molte volte è stata vista più come una via di fuga. È alto come me, porta i capelli lunghi e ha gli occhi chiari, troppo chiari per passare indifferenti. Mi ricordano molto quelli della mia amica, della bambina con gli occhi che parlano, sono simili, ma i suoi hanno qualcosa di particolare, sembrano vissuti. Nonostante lui sia un ragazzino come me, sembrano aver visto tanto, troppo per la sua età; conoscono il dolore, lo scorgo dietro quella chiarezza innaturale, ma non ne vogliono parlare, sono silenziosi, si affidano solo a se stessi. Mi avvicino, per una volta sono io a fare il primo passo. Voglio aiutarlo. Mi siedo davanti a lui e lo guardo.

“Ciao” sussuro

Lui mi guarda e accenna debolmente con il capo.

“Io sono Naruto, posso stare vicino a te?”

Non dice niente, solamente si sposta, facendomi posto accanto a sé.
Deve soffrire, è triste, è solo.

Mi fissa intensamente, sembra chiedere aiuto, vuole scappare da questa realtà. La vedo nel suo sguardo quella voglia, quella voglia di abbandonare tutto e sparire.

Con una mano si sfila la benda che prima gli copriva in parte il capo. C’è un segno, uno strano segno verde.

“È una meledizione” mi dice “È un sigillo, mio padre è morto per colpa della persona che gliel’ha impresso e che doveva proteggere. E morirò anch’io”

Non so cosa rispondere. Sto per piangere, ma mi trattengo per non ferirlo più di quanto sia già.

“Naruto, io voglio scegliere per cosa morire”

Ha gli occhi spenti, rassegnati. Il ragazzo davanti a me mi sta chiedendo aiuto ed io non posso salvarlo. Siamo uguali, noi, e lui lo sa, lo percepisce.

“Lo so, però, che è inutile” Si alza, ma ora è diverso. La sua voce è ferma e coperta da un velo di rabbia. " Il destino è già scritto, sono nato maledetto e maledetto morirò, forse domani, forse tra qualche anno. Non si può cambiare il destino” Avanza di qualche passo, poi si gira per lasciare un ultimo sguardo, a me, alla foresta e s’incammina verso il villaggio.
Potrebbe essere lui il bambino di cui parlava Shino, il ragazzino che gli ricorda l’aquila. Ha ragione, ci assomiglia.
 
Resto all’ingresso di Konoha fino a quando cala la sera e le stelle iniziano a comparire in cielo. Allora mi alzo e inizio a correre verso la collina perché voglio sentirle più vicine, più vere. Appena raggiungo la cima è fantastico, il loro splendore si riflette su tutto il villaggio, illuminandolo, mentre la loro magia l’addormenta. Mi siedo, tranquillo, ad ammirare questo paesaggio, quando arriva qualcuno. Mi volto lentamente e mi rispecchio in quegli occhi, già conosciuti, che mi hanno attratto appena gli ho visti, neri, scuri, occhi che ora brillano e riflettono l’intero cielo. Si siede, troppo vicino perché possa dimenticarlo, troppo lontano perché possa raggiungerlo. Siamo qui, insieme, ma distanti, come quel giorno  al fiume. Ci sfioriamo una sola volta,  con lo sguardo, di nascosto, nessuno dei due vuole ammettere di avere bisogno di quel contatto. Poi torniamo a fissare il cielo, muti, incantati, mentre una stella cadente lo attraversa e i nostri desideri iniziano a volare, come fossero stati richiamati.

Qualcuno una volta ha detto che quando si conosce l’amore si scopre anche l’odio, a me, invece, penso sia accaduto il contrario, è stato tutto l’odio accumulato negli anni, tutto il disprezzo subito a fami valorizzare tanto quei piccoli gesti d’amore che ho ricevuto. E sono stati proprio quei piccoli gesti le mie ancore di salvezza in questo mondo, troppo crudele e troppo ingiusto per essere conosciuto alla mia età. 























Spazio dell'autrice

Allora, premetto che questa è la mia prima fanfiction.
So di essere andata un po' OC con Naruto che in alcune parti sembra un filosofo di 80 anni e che di certo non usa il linguaggio che avrebbe un bambino di sette anni, ma volevo descrivere bene le sue emozioni quindi ho dovuto un po' stravolgere il personaggio.
Sono abbastanza contenta di come è venuta e spero davvero che vi sia piaciuta

Piccola curiositá, si è capito che la "bambina con gli occhi che parlano" è Hinata? Perchè non ne sono molto sicura...
A presto,
Ai-chan ❤
  
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