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Autore: JoyS    31/12/2012    1 recensioni
Non ho paura del dolore, tanto ne ho sofferto, non ho paura del sangue, tanto ne ho visto, non ho paura della morte, già l'ho vissuta.
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Non ho paura






Era notte, ovvio, chi mai sarebbe così stupido da fare certe cose alla luce del sole?
Era notte e faceva freddo, un freddo secco, senza vento, quel tipo di freddo che ti congela dentro, le ossa, i muscoli, il cuore, sempre che tu ne abbia uno.
Io l'avevo un cuore, d'una bella muscolatura vermiglia e resistente, se solo avessi saputo che bastasse così poco, a distruggerlo.

Era notte, erano passati tre anni ormai, ma lo sapevo solo io, perchè non interessava mai a nessuno cosa provassi, nessuno s'era mai chiesto perchè fossi così diversa, così silenziosa, così sola.
Perchè è per colpa della solitudine che si diventa quel che son'io, si sta così tanto tempo in compagnia del silenzio che si ha voglia di distruggerlo, di lacerare quella barriera sorda tra se e il mondo, ma non si è mai abbastanza forti.
E' per colpa della solitudine che si diventa pazzi, perchè io prima non ero così, no che non lo ero.
C'è stato un periodo in cui non ero pazza.
C'è stato un periodo in cui non ero sola.
C'è stato un periodo in cui brillava il sole, ma non in quella sera.
Quella sera era notte.

Era notte quando attraversai con calma i marciapiede di quella via sporca, almeno quanto me, e fissavo con disprezzo la luce giallognola dei lampioni.
Avevo messo il vestito, quello rosso, quello a righe, quello sporco, quello che da tre anni non avevo la forza di indossare, e mi tremarono le mani quando lo infilai, e sentii ancora le sue sul mio corpo. Rabbrividii.

Guardai con attenzione i numeri di ceramica all'entrata di ogni abitazione, tutti finemente decorati e visibili anche nell'oscurità in cui mi trovavo.
Mi domandai se la gente sentisse davvero il bisogno di mettere in evidenza il proprio numero, come per farsi trovare, come se ogni persona aspettasse perennemente delle visite, e le visite stavano per arrivare, e arrivarono pochi minuti dopo, avvolte in un misero vestito bianco a righe rosse, che contrastava con tenacia il freddo della notte.

Camminavo piano, e i piedi facevano male, perchè le scarpe non le avevo, e le pietre facevano male, e i rami facevano male, e anche il cuore avrebbe sofferto, fosse stato ancora lì.

Era notte quando intravidi nell'oscurità la targhetta con il numero 37, pensai che fosse davvero un bel numero, perchè le cifre, sommate, facevano dieci, e anche il dieci era un bel numero, perchè uno più zero fa uno. E l'uno è un bel numero.
Pensai che non tutti i numeri avessero la facoltà d'essere così interessanti, l'uno era proprio un bel numero.
E anche il trentasette.

Salii le scale della casa e trovai la porta aperta, ma non mi stupii, perchè quello era un uomo stupido;
entrai, strisciando attraverso l'uscio, senza far rumore, e constatai con piacere che la casa era immersa in un buio profondo.

Da una sala alla mia destra proveniva una luce fioca, probabilmente quella di una televisione, e da un'altra il pianto di un bambino si stagliava nel silenzio. Mossi piccoli passi verso la luce, facendo aderire la pianta del piede alle piastrelle come una ventosa;
mentre entravo nella stanza mi accorsi, per la prima volta, di quanto, effettivamente, fosse pesante il coltello che stringevo nella mano destra, e questo mi fece agitare, perchè ero esile, ero debole, non sarei riuscita nel mio intento.

Davanti alla porta un divano, quello stronzo assopito su di esso, la televisione accesa ad un volume troppo basso perchè la stesse ascoltando davvero. Sorrisi.




Il bastardo si svegliò, e sono sicura si maledì per averlo fatto.

Mosse convulsamente i polsi, invano, cercando di liberarli dalle corde che lo tenevano stretto alla sedia.
Utilizzò un po' di tempo per realizzare la prorpia posizione, poi mi cercò nella stanza.
- Dove cazzo sei?- uscii dall'ombra con la mia amata mannaia tra le dita, ma la mia soddisfazione venne smossa da una violenta scossa.
Avevo paura di lui.
Come sempre. 
Come ogni giorno della mia vita da quella sera, di tre anni prima. 
Per un istante ricordai tutto, ricordai le sue mani sotto il mio vestito, ricordai quando venni spogliata d'ogni speranza, d'ogni sogno, d'ogni vergogna.
Ricordai il momento in cui entrò in me e mi ordinò di stare zitta, perchè ero solo una bestia, perchè non meritavo di vivere. E più mi divincolavo più lui andava a fondo, e più piangevo, più lui rideva. 
Ero sola, quella sera di tre anni prima, ed ero sola anche in quell'istante, davanti a lui.
- Credevo t'avessero insegnato le buone maniere, non si usano quelle parole in presenza d'una ragazza.
Storciai le labbra in una strana smorfia, aspettando la sua risposta.
- Tu sei solo una puttana.
Le parole tranciarono il silenzio come un coltello. 
Non avrebbe dovuto dirlo, no. 
Non lui, lui che sarebbe potuto essere mio padre, lui che tre anni prima era il mio zio preferito, e cazzo se gli volevo bene.
Lui che mi condannò ad una vita sola, alla paura delle persone.

Non cercai di trattenermi, non mi interessava.
Sollevai il braccio e il coltello venne colpito dalla luce della luna, vidi i suoi occhi spaventati riflessi sulla lama. Risi.
Era buffo come si fossero invertiti i ruoli.
Mossi rapidamente l'arto verso la suo coscia, e lui urlò, urlò come una ragazzina quando il sanque iniziò ad uscire e a macchiare i suoi pantaloni grigi.
Sorrisi alla vista di quella macchia che si allargava, e uno strano calore mi pervase il corpo.

- Non riuscirai a vincere, puttana, ti troveranno e finirai in prigione.
- Sai, bisogna sempre ammettere la sconfitta.
- Non ho paura di perdere.
Tirai fuori il coltello dalla sua carne. Altro sangue, altro dolore, altre risate.
Prima di allontanarmi gli alitai in faccia poche parole.- Non ho paura di te.- L'uomo rimase a guardarmi, mentre mi accomodavo su una sedia lì vicino.
- Non ci credo, rimani sempre la solita, lurida, puttana, è ovvio che hai paura di me.

Accavallai le gambe ed esaminai la punta sporca del coltello
- Sai, sono passati tre anni, si cambia in tre anni- Passai un dito sul sangue e lo portai alle labbra, - soprattutto quando si è costretti a crescere in fretta..- mi vennero in mente tutti i ragazzi con cui ebbi paura di dimostrare il mio amore, tutte le amicizie perse, tutti gli insulti - alle persone non piaci quando cresci troppo in fretta, sei solo uno ''strano'',- lasciai che le lacrime iniziassero a scorrere - e rimani solo.-

Alzai lo sguardo verso di lui, i denti digrignati, sicuramente soffriva ancora per la ferita alla gamba, ma non urlava più.

Mi rialzai e mi misi davanti a lui, - Io sono cambiata.- feci oscillare la mano tremante fino alla sua spalla, appoggiando la punta della lama sulla carne, - ma non tutti lo fanno- portai anche l'altra mano al manico d'acciaio -no- spinsi con forza la mannaia nell'incavo del collo, l'uomo spalancò gli occhi in un'immagine agghiacciante.
Sollevai i palmi e vidi il sangue riflettersi nelle sue iridi che, lentamente, si spegnevano.
Estrassi l'arma mentre l'essenza rossastra del suo essere colava per la sua pelle caffèlatte, e macchiava i vestiti di qualcosa di indelbile - Tu sei rimasto lo stesso stronzo.-
Impugnai la mannaia con entrambe le mani, e guidata da una forza nuova, la conficcai sul suo ventre, ascoltando la sua voce spegnersi in un ultimo sospiro affaticato - Io non ho paura di finire la mia vita.- 
guardai con disgusto la sua bocca riempirsi di sangue, che lentamente colava sul collo e poi sul petto.


Era notte, e la mia vita stava iniziando proprio in quell'istante.








 

Joy

   
 
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