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Autore: manicrank    01/01/2013    3 recensioni
Io non sono un rifiuto, io non sono sbagliato. Chiudo gli occhi e vorrei dispiegare le ali ed andarmene, volare via, essere libero.
Ma sono bloccato qui, nell'oscurità. E solo la luna mi benedice, mi bacia, mi sfiora, come fossi suo figlio.
Mi piace - Penso - Essere un figlio della luna
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Reita, Ruki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                          L'uomo che camminava sui pezzi di vetro.

 

 



Era un'anima sperduta, ai miei occhi d'allora. Un'anima senza corpo, che vagava nei corpi degli altri. Era sogni ed era sospiri. Perduti nell'aria grave.
Questo paese è il regno dei morti, nebbia e sogni son morti tra le sue strade. Nemmeno io so dove siamo. Per me questo è tutto ed è niente. E la casa di Peter Pan mi sembra già più reale.


Quando lo vidi la prima volta pensai fosse matto, un matto dai capelli lattei e gli occhi neri. Un matto che camminava avvolto dai veli. Nessuno sapeva da dove veniva. Un giorno ci svegliammo e lo trovammo sdraiato in piazza ad aspettare qualcosa.

Mi vide, mi sorrise, e poi tornò a fissare il cielo bianco coperto da nubi.

Era un prigioniero come noi, un prigioniero della mente, del cielo e della terra.

 

Ma era un matto che non aveva parole, non aveva che occhiate, ed i sordi amavano andare da lui, stavano ore ad ascoltarlo mentre non diceva nulla. Così come i ciechi amavano osservarlo quando non faceva niente. Era un matto che aveva tanto da raccontare, forse di mondi e sogni perduti. Rimasti incastrati nella valle ombrosa dalla quale tutti noi veniamo.

 

Ed io strinsi i denti la prima volta che lo vidi camminare, perché il matto si era fatto portare specchi e vasi rotti, piatti, bicchieri e lampade. Poi aveva raccolto quelle cose e le aveva infrante in terra, con rabbia, lasciandosi un po' di frammenti in un cestello.

 

Ed il matto aveva giunto le mani in preghiera quasi, iniziando a muoversi con lentezza sui vetri spezzati. I suoi piedi non si ferivano ed il sangue non sgorgava. Ed il matto osservava e si inchinava a noi, andando lui dai ciechi e dai sordi. Raggiungendo quelle anime e posandogli una mano sul capo.

 

Il matto dopo averli sfiorati giungeva le mani e pregava quasi, mentre i ciechi aprivano gli occhi limpidi ed i sordi venivano investiti dal frastuono del mondo.

 

Poi il matto aveva raggiunto i muti, coloro che tutti guardano storto e che parlano a gesti, quelli che mai lo andavano ad ascoltare perché odiavano rispondere. E gli sfiorò le labbra, alle donne baciò con dolcezza, ai bambini regalò un soffio. Ed i muti parlarono, raccontarono storie.

 

Ed il matto annegò nei fiumi di parole che lo stavano investendo, e sorrise, e parlò anche lui.
La voce cristallina ci fece comprendere perché camminava sui pezzi di vetro. E ci fece sorridere perché lui era vetro. Le sue ossa cristallo ed i suoi occhi diamanti.


Ed il matto mi prese per mano, mi fece camminare con lui sul fiume tagliente. Ed io mi sfilai le scarpe, perché non mi tagliavo e non sentivo dolore. Gli strinsi le dita ed osservai il cielo, sentii le urla dei muti e vidi come un cieco. Fui felice ascoltando la miglior sinfonia di un sordo.

 

E col matto camminai sui pezzi di vetro, scendendo la montagna che non esiste in un paese che non c'è. Scendemmo in Valle d'Ombra e poi giù, nella terra dei mortali. Nel mondo che esiste. Nella città dei vivi. Dove le persone respirano ed i matti sono solo matti.

 

E lui si girò, regalandomi un bacio che mi strappò l'anima. E divenni anche io un matto come lui. Mentre capivo, capivo e sognavo di mondi lontani e di pace. Di frenesia animale.

 

Ed il matto non era più un matto, ma era un uomo, era un'anima ed un corpo. Ed io non ero più un abitante della terra che non esiste, ma ero un uomo, ero un'anima ed un corpo. Eravamo entrambi e ci appartenevamo. Ed il mondo era pieno di matti. Dalle loro rocche di cristallo.

 

E noi due matti insieme camminavamo sui pezzi di vetro, tra le mani noi stessi e nient'altro. E ridevamo, parlavamo ed ascoltavamo, ci beavamo delle bellezze del mondo, donandole ai poveri come fossero gemme. Mentre l'inverno arrivava ed i fiori avvizzivano, mentre la neve scendeva e noi sotto di essa correvamo. Felici, per mano.

 

In un mondo di cristallo e vetro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal diario di Takanori, primo giorno di libertà.

 

Annotazione di Akira: cosa vedono gli occhi strappati da un manicomio? 





























































__** 

Giuro che è l'ultimo capitolo, davvero. Ma ho avuto l'ispirazione e questa è la vera fine. Promesso. 

Buon anno piccole, vi tengo d'occhio. 

   
 
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