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Autore: HikaRygaoKA    04/01/2013    6 recensioni
Taichi e gli altri, chissà come, venivano sempre a scoprire quale catastrofe cosmica stava per abbattersi sul pianeta terra, per quanto lui si sforzasse di nasconderla. Lo avrebbero costretto comunque a fare l’eroe con al seguito l’angelo sessualmente confuso, a costo di forzare la porta della sua stanza, tanto valeva evitare che lo facessero trovandolo con un mano nelle mutande a boccheggiare mentre guardava un porno svedese.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: TK/Kari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il principe azzurro in groppa alla navicella spaziale verde vomito

Prologo


Quando Takeru vide la nave spaziale verde vomito arenata in casa sua, fumante in una voragine che (poteva giurare) prima era occupata dalla sua stanza, rimase inquietantemente calmo e solo un po’ (ma davvero poco) momentaneamente perplesso. Avrebbe dovuto dare di matto si disse, sarebbe stata la dimostrazione che la sua testa era ancora a posto, si disse. Poi si ricordò di aver passato l’infanzia e la prima adolescenza peregrinando per diverse dimensioni parallele, inferni digitali, oceani senza acqua; di aver combattuto insieme a creature mostruose e mitologiche all’ombra di giganteschi obelischi neri costruiti da un dittatore dodicenne che aveva tiranneggiato una intera dimensione solo per problemi di compensazione (ed era la verità, non una brutta battuta) e che il suo mostro protettore aveva le sembianze di un angelo in perizoma. Una navicella spaziale, tutto sommato, non era poi così male. Stappò la bottiglia e prese a sorseggiare il té verde, ispezionando la carcassa della nave: aveva un diametro di circa quattro metri, sembrava ricoperta da una lega metallica dipinta di un verde discutibile e non parevano esserci bocchettoni da nessuna parte. La superficie sembrava liscia, ma preferì non toccarla. Dopo aver riflettuto per un po’, si schiarì la voce e provò a parlare:

“Uhm… salve, uh… abitanti di un mondo lontano… Uhm… io sono Takeru Takaishi, il proprietario della stanza che avete distrutto. In nome di tutti gli abitanti del nostro bellissimo e pacifico pianeta vi do il benvenuto sulla terra e… ehm… Sentite, pacifismo d’obbligo a parte, quella tv costa e la rivorrei indietro, grazie.” 

Nessuna risposta.

“Vanno bene anche i contanti.”

Niente.

Takeru sospirò e si sedette  con calma sul divano. Afferrò il cordless e chiamò casa Yagami per riferire a Taichi: anche dopo gli ultimi anni trascorsi, non aveva mai smesso di considerarlo una specie di capitano della nave che cola a picco. Aveva constato, inoltre, che anche se dimostrava esplicito disinteresse riguardo le allucinogene avventure dei digiprescelti, non riusciva mai nel suo intento primo, ovvero rimanere ancorato al divano di casa con il pc sullo stomaco, la televisione nelle orecchie, e l’unica mano libera insozzata dall’unto delle patatine. Taichi e gli altri, chissà come, venivano sempre a scoprire quale catastrofe cosmica stava per abbattersi sul pianeta terra, per quanto lui si sforzasse di nasconderla. Lo avrebbero costretto comunque a fare l’eroe con al seguito l’angelo sessualmente confuso, a costo di forzare la porta della sua stanza, tanto valeva evitare che lo facessero trovandolo con un mano nelle mutande a boccheggiare mentre guardava un porno svedese. Dopo aver digitato il numero, attese un paio di squilli e gli rispose una voce femminile che sapeva di focolare materno e Takeru provò un fastidioso groppo alla gola: la signora Yagami era gentile e accogliente. Gli preparava il suo dolce preferito ogni volta che era a conoscenza di una sua visita, chiacchierava con lui volentieri e lo chiamava sempre “caro”. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che sua madre gli aveva cucinato qualcosa che gli piacesse o che avessero condiviso una conversazione che andasse oltre “Io esco, ciao”… Non era nemmeno certo che lo avesse mai chiamato “caro”.

Comunque, Taichi non era casa. E Hikari c’era? Si? Bene, disse, sarebbe arrivato di lì a poco. Gli avrebbe messo da parte una fetta di torta, grazie mille.

Takeru andò a prendere le scarpe all’ingresso e si guardò di sfuggita allo specchio: i suoi capelli sembravano una balla di fieno, gli occhi erano appestati dal sonno e indossava ancora il pigiama azzurro decorato con la stampa di pulcini. Purtroppo, il suo guardaroba era andato distrutto con la sua stanza, quindi avrebbe dovuto fare a meno anche dei calzini per un po’. Guardò un’ultima volta l’astronave: era silenziosamente accasciata nel parquet, divelta e ammaccata, sembrava stanca e appesantita da un grigiore intenso. Se non fosse stato per il fumo che usciva da vari, piccoli, fori nell’intelaiatura, gli sarebbe parsa il corpo esamine di un maestoso e massiccio animale con una strana malattia della pelle.  Stava per aprire la porta di casa quando un piccolo dubbio si insinuò nella sua mente. Trovò il block notes in cucina, strappò un foglio e scrisse con una calligrafia ordinata:

“Torno subito.”

“P.s: se mia madre torna prima di me, non mangiatela , per favore. Non ancora.”

  
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