1.
LAST
LETTER
Severus si svegliò quasi di
soprassalto, con la sensazione di aver appena ricordato qualcosa di
fondamentale, ma aveva già dimenticato cosa. Una delle sue mani era appoggiata
sul fianco di una donna. Una donna con i capelli rosa, che gli solleticavano la
bocca. Una delle sue gambe era tra quelle della donna e l’altra sopra il suo
fianco. Tonks. La guardò a lungo. Il volto rilassato, gli occhi chiusi e le
ciglia scure. La bocca seria, quasi imbronciata. Le accarezzò una guancia, ma
non ottenne nessun movimento in risposta. Dormiva
profondamente.
Sorridendo, con lentezza, si
districò dal corpo della donna e si alzò dal letto. Tonks borbottò qualcosa di
incomprensibile e si girò a pancia in sotto, abbandonando le braccia sopra la
testa.
Nudo, Severus attraversò il
pianerottolo e si chiuse in bagno. Ne uscì più di mezz’ora dopo, avvolto in un
asciugamano. Aprì la porta cercando di non fare rumore. Tonks dormiva ancora,
nella stessa posizione. Senza bacchetta e senza usare la voce, fece uscire in
silenzio dall’armadio biancheria e vestiti e velocemente li indossò. Prese in
mano le scarpe e uscì nuovamente dalla stanza. Si sistemò maglione e pantaloni
in cima alle scale e poi si mise seduto sul primo scalino e infilò calzini e
scarpe.
Non riusciva a togliersi quel
dannato sorriso dalle labbra. Lo aveva da quasi un’ora, accidenti a lei! Dalla
sera precedente a dire il vero. Anche peggio!
Scese le scale velocemente,
sistemandosi i capelli con uno di quegli aggeggi di Tonks, che lei aveva messo
sul suo comodino, mentre la consapevolezza di tutto quello che era accaduto la
sera e la notte precedente, e anche quella stessa mattina, molto presto,
iniziava a preoccuparlo.
Continuando a ripetersi che
era stata una scelta di entrambi e entrambi erano ampiamente nell’età adulta,
prese una teiera e la mise sul fuoco. Poi si chiese perché stava preaparando la
colazione come un babbano. Sbuffando, diede un piccolo pugno sul mobile e decise
che stava ragionando troppo e male. Cucinare come un babbano non era un
problema. Il problema era aver dimenticato quello che doveva
ricor…
Charlie! Charlie
Weasley!
Doveva arrivare quella
mattina con Remus portandogli le indicazioni su dove trovare l’Ippogrifo di quel
pazzo di Black, per potersi muovere liberamente. Non poteva sopportare l’idea
che Remus o, peggio ancora, Weasley si accorgessero di come il rapporto tra lui
e Tonks era cambiato.
Imprecando a voce alta,
Severus prese quello che gli era necessario dal frigorifero. Chiedendosi perché
mai era necessaria quell’invenzione ai babbani.
“Ciao…”
Si girò di scatto, con il
vasetto della marmellata in mano.
Tonks era davanti a lui, gli
occhi socchiusi dal sonno, i capelli arruffati e il suo maglione della sera
prima addosso, con sotto degli slip verdi.
“Avevi quelli, ieri?” le
chiese, con una smorfia di disgusto.
“Sì, non li hai visti?”
chiese con voce arrochita dal sonno.
“No,” gracchiò lui,
decisamente schifato. “O forse li ho tolti il prima possibile proprio per
quello!”
Lei ridacchiò. “Posso
baciarti anche se non mi sono ancora lavata di denti?” gli chiese, aprendo gli
occhi e guardandolo come se facesse le fusa. “Solo sulle
labbra…”
Severus sentì il cuore andare
a mille e il respiro bloccarsi. Era così ingenua! Come poteva interessargli il
fatto che non si fosse lavata i denti, se il giorno dopo se ne sarebbe dovuto
andare per sempre lontano da lei?
Allargò le braccia in
silenzio per accoglierla, mentre lei si tuffava verso di lui e gli dava un bacio
veloce.
Severus la strinse a sé con
forza, non lasciandole la possibilità di allontanarsi. Poi si ricordò di Charlie
e Remus. E allungò le braccia.
“Aspetto Remus e Charlie
Weasley, questa mattina,” la informò.
“Oh Merlino, oh Merlino!
Charlie…” esclamò cominciando a saltellare. “Hai sistemato il
salotto?”
“Stavo per farlo. Tu vai a
fare una doccia e pensa alla camera.”
“Corro!” Gli diede ancora un
bacio sulle labbra e scomparve.
Severus, ancora con quello
stupido sorriso sulle labbra, guardò il salotto e lo risistemò con quattro
Incantesimi, aprendo anche le imposte. Guardò l’orologio alla parete. Erano solo
le otto, per fortuna.
Terminò di preparare la
colazione e si sistemò al tavolino per mangiare. Non aveva senso aspettare che
lei scendesse per farle compagnia. Gli altri potevano arrivare da un momento
all’altro e lui doveva accordarsi con Remus. All’improvviso si chiese perché
Tonks avesse pronunciato il nome di Weasley. Mentre la sua mente divagava sul
quel particolare, bussarono alla porta.
Si alzò di malavoglia e andò
alla porta d’ingresso. C’erano delle ombre
immobili.
“Parola d’ordine,” chiese
perentorio.
Gli rispose, correttamente,
la risposta di Remus.
Aprì la porta e se lo trovò
davanti, con Charlie e Arthur Weasley alle spalle.
“Entrate.” Fece loro cenno
con una mano. “Ciao, Arthur. Buongiorno Charlie.”
“Severus.”
“Professore.”
Li precedette in salotto,
facendo cenno di accomodarsi sul divano.
“Tonks?” chiese
Charlie.
“Credo sia in doccia,”
rispose con tono vago Snape. “Scenderà per la
colazione.”
“Il cibo la farebbe arrivare
ovunque,” commentò con un sorriso Charlie. Era rimasto il figlio più possente di
Arthur e Molly. Lavorare con i draghi sembrava averlo portato ad assomigliare a
loro. Placido e serafico fino a quando qualcuno non lo aggrediva. In quel
momento sembrava in visita ad amici, rilassato in poltrona che si guardava
attorno. I capelli cortissimi e le piccole cicatrici sul viso facevano risaltare
gli occhi chiari. Severus si sentì pietosamente
geloso.
“Come mai con noi, Arthur?”
chiese, per distrarsi.
“Ufficialmente sono insieme a
Remus per controllare una segnalazione che potrebbe portare il Ministero a
catturati,” gli spiegò con un sorriso.
“Oh,” commentò Snape. “E dove
saremmo?”
“In Scozia, dalle parti di
Edimburgo.”
“Come mai?” chiese
perplesso.
“Una qualche tua vecchia e
lontana parente, dalla quale potresti rifugiarti.”
“Ah,” minimizzò Snape.
“L’unica parente di mio padre è una sua zia babbana di oltre ottant’anni che ama
farsi fotografare da giovani uomini!”
Charlie lo guardò
meravigliato.
“Volete qualcosa da bere?”
chiese Snape.
“Io devo ancora fare
colazione, in effetti,” confessò Remus. “E ho anche
fame.”
“Ecco, così poi ti prendi
quella maledetta pozione che dimentichi spesso!” sbottò Snape spostandosi in
cucina.
Quando Tonks scese, una
mezz’ora più tardi, trovò i quattro uomini ancora alle prese con la
colazione.
Lei aveva passato l’ultima
ora, più o meno, a ripensare alla sera e alla notte precedente, crogiolandosi
nei ricordi. Nel piacere di quei ricordi. Ma i ricordi venivano interrotti dalla
consapevolezza della fragilità di quella relazione, dal timore di essersi fidata
di un traditore. Tutte le certezze date da Snape in quelle settimane non erano
sufficienti a cancellare la ferocia di quello che aveva fatto. Né a cancellare
anni e anni di brutta reputazione che si era costruito. Ma lei era attratta dal
suo strano modo di essere così attraente. Beh, si disse, attraente era
decisamente troppo. Un tipo. Un tipo decisamente particolare. Mentre faceva
questi ragionamenti, scendendo le scale, aveva sentito la voce di Arthur e la
risata di Charlie provenire dal salotto o dalla cucina. Erano parecchi giorni
che non vedeva Charlie, uno dei suoi amici più cari. Forse l’unico in grado di
capire, anche solo dal suo sguardo, quello che era appena accaduto. E questo la
preoccupava. Charlie era anche una persona molto riservata, come suo padre. E
questo poteva salvarla.
“Buongiorno a tutti,” disse
entrando e andando subito ad abbracciare l’amico. Charlie le diede un bacio
sulla guancia e le scompigliò i capelli.
“Ciao, Weasley!” borbottò
lei, fingendosi indispettita. E girandosi per afferrare una tazza, pronta ad
accogliere il suo te. Snape era appoggiato alla finestra della stanza, alle
spalle di Arthur e Remus, in una posizione dalla quale poteva guardarla in ogni
momento. Lei si sentiva esposta, troppo esposta
Si mise seduta a fianco di
Charlie, l’unico posto rimasto libero e si fece prendere dalle chiacchiere
attorno al tavolo.
Snape preferì restarne fuori.
Continuava a guardare Tonks come se non ci fosse altro nella stanza. O almeno a
lui pareva di fare così. Soprattutto guardava il modo in cui Tonks si rivolgeva
a Charlie, lo toccava per attirare la sua attenzione su quello che intendeva
dire, il modo in cui si sorridevano, il modo in cui Chiarlie la guardava
ironicamente. Avrebbe voluto essere al suo posto. Poterla guardare liberamente
in quel modo. La rabbia gli crebbe dentro come un vulcano in eruzione, un
vulcano che non doveva esplodere. Non lì e non in quel momento. Si girò a
guardare fuori dalla finestra, per cercare una distrazione. Il marciapiede era
vuoto.
“Severus!” si sentì chiamare
da Remus.
“Cosa c’è?” chiese, girandosi
verso il tavolo. Remus si era alzato e gli si era avvicinato. Gli parlò
sottovoce, costringendolo a distogliere gli occhi da Tonks per potergli dare
attenzione
“Quando intendi
partire?”
“Domani in
giornata.”
“Non c’è nulla che potrebbe
farti cambiare idea?” Remus lo guardava negli occhi, senza timore, senza ironia.
Serio.
“No,” gli disse bruscamente.
“Cosa ti fa pensare il contrario?”
“La direzione del tuo
sguardo. Il fatto che lei non ti guarda.”
“Noi due non siamo mai stati
amici, Lupin. Non intendo cominciare adesso,” sibilò
irritato.
“Ma lei è amica mia,”
sottolineò con durezza Remus.
“Geloso?” sogghignò Snape.
Con una dolce sensazione di vendetta.
“No,
preoccupato…”
Entrambi sapevano che ci
sarebbe dovuto essere un insulto, per concludere la frase.
Rimasero a guardarsi, pronti
a passare a modi ancora più duri.
“Sarò io uno di quelli che
dovrà consolarla quando non ci sarai. Cosa dovrò dirle?” chiese Remus con ira,
prendendolo per un braccio, deluso da
quell’indifferenza.
Snape sentì la preoccupazione
nella sua voce, la rabbia e il senso di impotenza. Poteva anche fingere con gli
altri, ma dentro di lui le emozioni erano le stesse. Era preoccupato per lei,
per il suo futuro, era arrabbiato per quello che doveva fare, per il destino che
l’aveva costretto a diventare quello che era, si sentiva impotente di fronte ad
un impegno che andava oltre i suoi desideri. Distolse lo sguardo da Remus, di
scatto, guardando ancora fuori dalla finestra.
“Dille che… che avrei voluto
che fosse lei la mia anima.” Forse per la prima volta, Remus sentì il dolore
nella sua voce, il rimpianto, il desiderio. La voce però era sicura,
determinata.
Gli lasciò andare il
braccio.
“Che è stata la mia anima in
questi giorni, la mia vita,” aggiunse.
Remus fece un piccolo cenno
di assenso, che Severus non poté vedere, ancora impegnato a guardare una strada
quasi vuota.
“Remus?
Severus?”
Si girarono verso gli altri
tre. Li stavano guardando con aria interrogativa.
“Proseguiamo,” disse Remus
ritornando a sedersi al tavolo.
“Dove si trova l’Ippogrifo?”
chiese Snape, con un cenno a Charlie.
“Appena fuori dal paese,
nascosto nel bosco. Da dove siete arrivati.” Di fronte allo sguardo meravigliato
del Professore aggiunse. “Gli ho messo addosso un Incantesimo di Invisibilità,
l’ho ben nutrito e legato. Aspetta lei. Solo che dovrei farglielo conoscere io.
Ha passato parecchi proprietari negli ultimi anni ed è facilmente
irritabile.”
“Immagino,” commentò
sarcastico Snape. Passare da Black ad Hagrid non doveva essere facile neppure
per un Ippogrifo. “Ci andiamo adesso?”
Charlie si alzò
subito.
“Ci Smaterializziamo,
Weasley. Riusciamo a far passare me per Tonks?” chiese ad Arthur. “Destiamo meno
sospetti ai babbani e al Ministero della Magia.” Era necessaria la sua copertura
per confermare la presenza del figlio e di Tonks in quel paese. E per
autorizzare formalmente quell’Incantesimo, vista la situazione di incertezza e
di sfiducia. Avrebbero immediatamente controllato, sapendo che Tonks era un
Auror e aveva combattuto a fianco dell’Ordine.
“Certamente,” annuì
Arthur.
Snape uscì dalla stanza senza
rivolgere uno sguardo a Tonks, seguito da Charlie. Tonks rimase un attimo
immobile, lo sguardo concentrato, ma non molto allegro. Uscì dalla stanza e salì
le scale dietro a Snape che era andato a prendere il giubbotto imbottito che si
era comprato due giorni prima.
Entrò nella camera dietro a
lui e aspettò che si girasse, infilando il braccio del giubbotto. Rimase
interdetto dalla sua presenza. Guardandola mentre tentava di sistemare la
chiusura lampo, la vide avvicinarsi e poi baciarlo sulle
labbra.
“Ninphadora…” sussurrò,
ansioso.
“Lo so che tu non riesci
proprio ad essere romantico, ma io sì!” Gli sorrise quasi intimidita dalla sua
stessa audacia.
Snape rimase a fissarla,
incapace di arrabbiarsi, troppo irrigidito dalla vita per lasciarsi andare.
Tonks gli accarezzò il volto con la punta delle dita. All’improvviso Severus le
prese la mano e la portò contro la propria bocca, accarezzandola con il respiro,
gli occhi chiusi per non farsi distrarre dalla realtà. Tenendole la mano si
accarezzò le labbra e il collo, lasciandola andare. Ninphadora gli sorrise, un
sorriso grande come se le avesse appena dichiarato di amarla. E per la prima
volta anche lei vide negli occhi di quell’uomo la tristezza e il dolore. Rimase
a guardarlo, a farsi penetrare da quelle emozioni, fino a quando Severus decise
di riprendere la sua espressione di ironico distacco. Chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì, il
Professore era ricomparso.
Ninphadora lo lasciò andare,
spostandosi di lato e facendo un cenno verso le
scale.
“Ti aspetto
qui.”
Severus si bloccò all’inizio
del secondo gradino, un attimo solamente e poi
scese.
Charlie era al suo fianco
mentre Snape si avvicinava all’Ippogrifo e faceva la sua conoscenza. Riconobbe
subito l’abilità del Professore nell’andare incontro a quell’animale. Lento,
distaccato e deferente. La risposta fu di accettazione immediata. Snape si era
guadagnato un alleato.
“Complimenti, Professore!”
esclamò sinceramente Charlie, dopo alcuni voli di
prova.
“Grazie, Weasley. Preferirei
che mi chiamassi per nome, comunque. Ho smesso da parecchi mesi di essere un
Professore.” Non era una richiesta, non poteva esserlo se arrivava dalla bocca
di Snape, ma era certamente un segnale di stima. E Charlie lo accolse come
tale.
“Ti servono informazioni su
come accudirlo?” gli chiese, lasciandosi beccare delicatamente e amichevolmente
un avambraccio dall’animale.
“Anni di insegnamento con
Hagrid sono stati sufficienti, grazie,” commentò, sarcastico. Ma gli fece un
accenno di sorriso.
“Sei sicuro della tua
scelta?” chiese, senza titubanza.
“Mi sembrate tutti
particolarmente attaccati alla mia vita…”
“Beh, ogni aiuto è prezioso
di questi tempi. Soprattutto un aiuto con le tue abilità e
conoscenze!”
“Almeno non sei retorico…”
commentò sinceramente compiaciuto Snape.
“Non crederesti ad altri
motivi, no?” Lo disse con la certezza della
risposta.
“No,” riconobbe
deciso.
“Come è stata la convivenza
con Tonks?” Charlie cominciò a sistemare nuovamente l’Ippogrifo per la
notte.
“Interessante…” Snape era un
po’ distante e lo stava guardando, per sapere quello che avrebbe dovuto fare,
quando si fosse trovato da solo con l’animale.
Charlie si girò a guardarlo
come se avesse fatto una battuta divertente.
“Movimentata…”
aggiunse.
“Silenziosa? Monotona?
Rispettosa, dolce e femminile?” propose Charlie
ridacchiando.
“Esatto…” Snape si lasciò
sfuggire un sorriso.
“È una delle amiche migliori
che abbia dai tempi della scuola.” Charlie gli si avvicinò, terminato il lavoro.
“Ho sempre pensato che avesse un pizzico di sana
follia.”
“Geni di famiglia,” commentò
Snape.
“Non è il tipo che si fida
facilmente degli altri, sai?” Charlie lo guardò negli occhi. “È sempre stata
selettiva nelle sue relazioni. Tonks si innamora solo quando si sente amata
dall’altro. Altrimenti desiste.”
Snape si limitò a restituire
lo sguardo.
Charlie gli sorrise.
“Andiamo?”
Snape
annuì.
Al momento del pranzo Snape e
Tonks erano nuovamente soli. Distanti, ma soli.
Snape era andato ai fornelli
per sfogarsi nella cucina. Cominciava a capire Molly. Concentrarsi sul cibo
poteva essere rilassante. Tonks era al piano superiore, ma non sapeva a fare
cosa.
Nella pentola stava
sobbollendo lo stufato con un piccolo Incantesimo per accelerare i tempi. Le
verdure erano in forno.
“Posso
disturbarti?”
“Dimmi…” le rispose
girandosi.
Tonks indossava nuovamente il
suo maglione della sera precedente. Con dei pantaloni pieni di tasche e
cerniere.
“Devo considerare quel
maglione tuo?” le chiese.
“Si, mi piacerebbe tenerlo,”
ammise.
Con un cenno di assenso della
testa, Snape si girò nuovamente verso i fornelli.
Tonks si avvicinò e gli mise
le braccia attorno alla vita, appoggiandosi alla sua schiena. Mescolando il cibo
con una mano, Severus appoggiò l’altra sopra le mani di Tonks. Rimasero così,
senza parlare.
“Parti domani?” chiese Tonks
in un sussurro.
“Sì,” confermò Severus. “Deve
essere così, Ninphadora.”
Senza dire nulla, Tonks
aumentò la stretta delle sue braccia attorno ai fianchi di Snape. “Niente ti
farà cambiare idea, vero?”
“Ho lavorato diciassette anni
per arrivare a questo, Ninphadora. È qualcosa che va oltre me e oltre i miei
desideri.”
“Almeno dimmelo, Severus…”
gli chiese con voce implorante.
Snape rimase in silenzio per
parecchi minuti, accarezzandole le mani. Poi le aprì e si girò verso di
lei.
“Ninphadora…”
Lei alzò lo sguardo verso di
lui.
“Mi piaci da molto tempo. Ti
ammiro già da quanto eri una mia studentessa.” Tonks sentì che cercava di
controllare il tono della voce, per evitare di farsi prendere dalle emozioni.
Era teso. “Io…” si fermò, incapace di parlare oltre. Si chinò verso di lei per
un bacio tenero.
“Lo so che non otterrò di
più…” gli rispose Tonks con gli occhi chiusi e il volto rivolto verso di lui.
“Ma questo mi basterà anche dopo…”
“Brava ragazzina…” le disse
Snape con condiscendenza.
Tonks
sorrise.
Mentre erano a tavola
parlarono del passato e dei ricordi del periodo di scuola. Tonks arrivò a ridere
fino alle lacrime ascoltando Severus che le raccontava aneddoti raccolti negli
anni. Passarono del tempo anche in salotto, davanti al fuoco acceso,
abbracciati.
E il resto della notte
insieme.
Una manciata
di tempo dopo…
Snape arrancava lungo la
strada in salita, al centro del paese, alla ricerca del numero civico esatto
presso il quale avrebbe trovato una camera e dei pasti caldi. Gli erano stati
garantiti attraverso l’Ordine in modo da non destare sospetti di collaborazione
né per il Ministero, né per
Mangiamorte.
Da lì avrebbe proseguito fino
all’incontro con Voldemort e al suo destino. Le sue valutazioni lo avevano
portato a pensare che non avrebbe mai partecipato ad uno scontro diretto con i
seguaci dell’Ordine, poiché Voldemort lo avrebbe distrutto prima per il suo
tradimento. Perché l’Oscuro Signore oramai sapeva che lo aveva tradito. Doveva
saperlo. E questo prevedeva morte certa. Il suo obiettivo era quello di passare
quante più informazioni errate ai Mangiamorte.
La casa era una misera
catapecchia a due piani, con le pareti verde marcio e scrostate. Suonò il
campanello e immediatamente venne accolto da una donnina mingherlina e rugosa,
che con voce flebile lo invitò ad entrare e salire le scale che portavano alle
camere. Non gli chiese alcun documento, né alcuna motivazione riguardante il suo
soggiorno. Lo stava aspettando ed era arrivato. L’avevano assicurata che avrebbe
pagato. E questo era sufficiente.
Snape si sistemò nella camera
spoglia. Era stata ben pulita, per fortuna.
Lanciò la sua borsa sul letto e iniziò a svuotarla. Ne uscirono i maglioni, i pantaloni e le camicie che aveva comprato. Ma anche una tuta grigia, un maglione arancione e una serie infinita di lacci per capelli di varie dimensioni e colori. E in fondo a questi una lettera. Sorridendo per la folle iniziativa della ragazzina, Snape si mise seduto sul letto e aprì la lettera.
“Mio caro
Severus,
o forse mio dolce Severus. Dolce?
Non ci credi neppure tu, vero?
Mio Severus, allora. Chiaro e
conciso. La tuta è solo per avere qualcosa di più, il maglione arancione è per
avere qualcosa che ti ricordi di me e i lacci per avere qualcosa di mio. Oltre
questi oggetti anche questa lettera. Che ti scrivo mentre stai finendo di
prepararti alla partenza. Ti conosco abbastanza da sapere che anche questa
doccia durerà per mezz’ora. Ho tempo. Per dirti che ti amo. Non riesco ancora a
capire cosa è successo, ma tant’è. Credo che questo dubbio sia reciproco,
comunque. Neppure tu sai quello che è successo. Ma siamo innamorati. Vorrei che
la tua lealtà ti rendesse così leale e sincero da ammetterlo anche con me… ma se
i miei ricordi non sbagliano ti ho sentito mormorare qualcosa del genere questa
notte…
Mi
mancherai.
Ti
ricorderò.
La mia speranza mi porterà ad
aspettare il tuo ritorno e la mia mente continuerà a ripetermi che non ci sarà
alcun ritorno. Ma ti porterò con me.
Oltre a questo, amore, ricordati
di portarmi sempre con te. Sempre. In ogni momento.
Grazie per questi
giorni.
Sii coerente con te stesso e se
puoi ritorna.
La tua ragazzina.
Snape chiuse gli occhi. E
portò la lettera alle labbra.
Un mese
dopo
Aveva preso l’abitudine di
guardare Arthur quando rientrava a casa. Lo osservava per capire quale fosse la
situazione al Ministero, se erano arrivate notizie di Severus. Lo stesso faceva
quando incontrava Remus, per capire quali informazioni aveva l’Ordine riguardo a
Severus. Sapeva riconoscere i segni dell’esultanza o della sconfitta in entrambi
i suoi amici. Sapeva, solo guardandoli, se l’Ordine aveva raggiunto un successo
oppure se erano chiamati a non dimenticare un amico morto in
battaglia.
Remus le aveva detto
chiaramente che gli accordi con Severus erano di non mandare notizie all’Ordine,
ma di tenere i contatti tramite Hermione. Questo perché molte delle informazioni
che Severus poteva fornire sarebbero state utili anche a Harry. E perché i
continui movimenti dei tre amici avrebbero reso difficile un controllo sulle
rotte dei gufi.
Anche quella sera aspettava
il rientro di Arthur. Lei aveva terminato un programma di sorveglianza insieme
ad una nuova leva che stava addestrando. Dalla partenza di Severus si era
lanciata sul lavoro. Molly la guardava preoccupata per questo, già da parecchi
giorni.
Tonks non era ancora riuscita
a parlare con Molly del dolore che aveva dentro per quella lontananza senza
fine, per la consapevolezza che non sarebbe tornato, ma anche del piacere e
della felicità che i ricordi di quei pochi giorni le avevano dato. Il piacere e
la felicità di aver avvicinato così tanto un uomo come Severus Snape da
sentirgli sussurrare, tra i capelli, “Ti amo.”
Una felicità che si sarebbe
portata per tutta la vita. Senza alcun rimpianto per non avergli risposto.
Almeno non a parole.
“Ciao,
Tonks…”
Girò la testa di scatto verso
la porta della Tana. Era così persa nei ricordi che non aveva sentito entrare
Remus. Lo fissò accorgendosi della piega dura delle
labbra.
“Severus…” disse con calma e
consapevolezza.
“Non ho notizie certe Tonks.
Ma mi aveva detto, prima di andarsene, che se non avessimo avuto sue notizie per
almeno sette giorni dovevo considerarlo disperso in battaglia e consegnare a te
questa lettera.”
Remus aveva parlato con voce
bassa e arrochita dal dolore. E le stava allungando una pergamena
sigillata.
“Ho aspettato un giorno in
più,” le confessò con una smorfia di scusa.
Tonks sentiva la mano
tremare, ma prese la lettera dalla mano di Remus e la fissò ondeggiare nella
sua.
“Grazie,” gorgogliò con la
voce rotta dall’emozione.
Senza guardarlo si mise a
sedere sul divano, vicino al caminetto. Si accoccolò su un angolo del divano,
cercando di trovare un solido appoggio di fronte alla tensione che la stava
elettrizzando. Spezzò il sigillo della lettera e la
aprì.
Due fogli.
Ragazzina,
lascio questa mia lettera a
Remus per te con la consegna di fartela avere quando non avrò più notizie di me
per almeno sette giorni. A quel punto io non ci sarò più. Ma questo lo sapevamo
entrambi.
Quello che non sapevo, che
non prevedevo, che non immaginavo, era di innamorarmi di una ragazzina. Una
ragazzina con i capelli rosa. Una donna attraente e divertente. Mi hai sconvolto
la vita più di ogni altra cosa. Hai portato un tale turbinio di emozioni da
rovinarmi del tutto.
Devi avermi fatto bere
qualche pozione per rendermi così… umano. Severus Snape innamorato. Non lo avrei
mai messo tra le mie attese o tra i miei desideri.
Ti scrivo di notte,
l’ultima che passiamo insieme. Tu stai dormendo acciambellata sul letto. Io
scrivo a lume di candela seduto davanti a te, per
guardarti.
Sarò sincero. Ti desidero
da molto tempo. Con vergognosa certezza da quando ti ho rivisto nell’Ordine. Da
allora desidero capire cosa nascondono quei vestiti enormi che indossi. Mi
immaginavo qualche capo di biancheria intima rosso o arancione. Mi piaceva
immaginarlo. Mi è piaciuto scoprire che era vero. Ma questo lo hai visto.
Desideravo vedere i tuoi occhi scurirsi per il piacere e le tue labbra aprirsi
verso le mie. E desideravo tutto quello che abbiamo vissuto insieme in queste
due notti.
Ma innamorarmi, no. Quello
non era tra le mie aspettative. Eppure ci sei riuscita. Sappi che io non ho
fatto nulla per aiutarti. Non ho cercato motivi per innamorarmi di te, non ho
ascoltato mai i miei sentimenti. Ho cercato di oscurarli, di comprimerli, di
ignorarli. Ma tu sei stata brava a scovarli e alimentarli. Oltre il desiderio.
Fino ad entrare nella mia vita.
Remus mi ha chiesto cosa
poteva dirti quando io sarei morto. Gli ho risposto di dirti che sei stata la
mia anima, la mia vita.
Sto sgocciolando
romanticismo sul pavimento. Imbarazzante.
Ti immagino a casa di Molly
e Arthur. Immagino che ti abbracceranno e ti consoleranno. Lasciati consolare da
tutti coloro che vorranno farlo. Lasciati amare da altri uomini. E ama altri
uomini. Hai la forza per andare oltre. Hai il mio permesso, se dovessi sentirne
il bisogno.
Ho provato a dirti quello
che provo per te, ma stavi già dormendo. O forse no. Non lo saprò, ma tu sappi
che l’ho detto. Sottovoce.
Severus
Tonks ripiegò con attenzione
le due pergamene e le tenne tra le mani, mentre Molly, seduta al suo fianco, le
metteva un braccio attorno alle spalle e la abbracciava, lasciando che le sue
lacrime le bagnassero i vestiti.
Qualche mese
dopo…
Tonks stava percorrendo la
strada che l’avrebbe portata a casa di Remus per la riunione dell’Ordine. Erano
vicini alla vittoria. Lo sentivano. Lo sapevano.
Lei sentiva anche lo sguardo
di qualcuno alle sue spalle. Da alcuni giorni. E da alcuni giorni si ripeteva
che era solo la sua immaginazione, il suo desiderio di averlo ancora vicino.
Accennò ad un triste sorriso e accelerò il passo.
Qualcuno, dietro di lei, accelerò il passo.