Anime & Manga > Ao no exorcist
Segui la storia  |       
Autore: DoubleLife    04/01/2013    1 recensioni
"Ero qualcosa che non avevo mai visto prima nei miei quattordici anni di vita."
Genere: Comico, Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amaimon, Mephisto Pheles, Nuovo personaggio, Rin Okumura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ricordo ancora l’espressione di mio padre quando riattaccò il telefono: un misto tra terrore e stupore. E io, ingenuamente, gli chiesi cos’era successo. Lui mi sorrise malgrado il grosso shock che aveva preso pochi attimi prima e mi rispose che non era successo niente.
“Io … vado fuori un attimo a fare una commissione.”, disse con voce irrequieta.
“Posso accompagnarti?”
“No. Ma promettimi che non aprirai la porta a nessuno.” e mi abbracciò talmente forte da soffocarmi in quel gesto affettuoso.
Poi aprì la porta di casa e, prima di andarsene, mi sorrise. Aveva un’ espressione triste malgrado il sorriso.
E poi il silenzio. Rimasi in piedi davanti alla porta ancora un attimo, poi salii le scale che conducevano al piano di sopra e mi chiusi in camera. 
Pensai che papà sarebbe ritornato nel giro di una mezz’oretta, massimo un’ ora. Ma non fu così. Passarono ben tre ore e di lui non c‘era ancora nessuna traccia. Ma ero tranquilla, perché pensavo dovesse fare qualcosa di veramente importante e sarebbe rientrato il giorno dopo. 
Stavo giocando con la casetta di legno quando arrivò quella macchina sinistra che si fermò perpendicolarmente davanti a casa mia. Mi alzai e controllai dalla finestra, scostando leggermente le tende di tonalità azzurra tendente al grigio: da quella macchina uscì un uomo vestito in nero, che a prima vista mi sembrò subito cattivo.  Notai immediatamente la pistola che teneva alla mano destra. Si stava dirigendo dalla mia parte, con passo deciso. E io ero inconsapevole di quello che stava succedendo. Mi vennero in mente le precauzioni di mio padre, “Ma promettimi che non aprirai la porta a nessuno”. 
Aprii il mio armadio, presi la prima borsa a tracolla che vidi e la riempii di oggetti: bambole che capitavano a tiro, peluche e arnesi vari. Ero ancora piccola, potete immaginare le cose a cui una bambina di 7 anni tiene di più. Oltre alla borsa presi un cappello rosa pallido largo, assieme a guanti e sciarpa abbinati, li indossai e chiusi la porta della stanza in un secco e rumoroso botto; scesi le scale in fretta in furia, perdendo per strada il contenuto della borsa e andai in cucina a prelevare budini al cioccolato in caso se mi fosse venuta fame. 
Poi mi resi conto che sul tavolo c’era una lettera. Presi anche quella, assieme al bento racchiuso in un fazzoletto arancione.
L’uomo vestito di nero era già arrivato da un pezzo davanti a casa mia e stava bussando alla porta in modo violento, aspettando una risposta. Mi gettai alla porta che apriva al garage, a mani tremanti girai la chiave che tolsi dalla serratura subito dopo e scappai. 
Avevo paura. Molta. Indescrivibile fu la strada che feci mentre scappavo da casa mia: mi graffiai la faccia più volte andando incontro a dei rami che, come mani ossute e maligne, cercavano di bloccarmi. Più graffiate ricevevo, più correvo. L’ adrenalina mi incitava ad correre ancora, ancora e ancora. Tanti brividi mi percorsero il corpo sudato e tremolante dalla stanchezza. 
Mi fermai solo quando trovai un lampione sperduto in mezzo alla notte. Non si vedeva né l’inizio e né la fine della strada; solo la fioca luce di quella finta luna. Mi avvicinai lentamente verso la luce e quando riuscii a toccare il palo con le mani gelide, finalmente mi sedetti per terra raggomitolata su me stessa, sempre rimanendo vicino al lampione. Solo in quel momento la fame si fece sentire. Tirai fuori il bento e staccai un budino al cioccolato da altri 5 che mi ero portata dietro prima di uscire di casa. Mangiai con avidità il budino in due bocconi e una piccola parte del cestino contenente il cibo. Poi riposi tutto ordinatamente nella borsa a tracolla.
“Mi deve bastare per un paio di notti”, pensai tastando il cibo nella borsa. Già. Quanto dureranno un paio di notti? Due, tre, quattro, cinque? Non lo sapevo, davvero. Avevo solo paura. La paura, quel sentimento così bastardo che ti divora dall’interno, come una termite che non ti lascia finchè l’hai fatta evacuare dal tuo corpo. 
Presi dalla borsa l’unico ricordo di casa mia, perché il resto era volato via dalla tracolla: un gatto nero in peluche. Lo strinsi fortemente a me, quasi piangendo. 
“Buonanotte”.
E rimasi sveglia in attesa di una risposta da qualcuno. Quanto desiderai che quel qualcuno fosse stato mio padre. Ma l’unico che vegliò su di me per tutta la notte fu il lampione con la sua luce giallastra che dava un senso di inquietudine. 
 
Quando mi risvegliai il paesaggio circostante si trasformò in una normale stradina mattutina di città, con tanto di vento autunnale. Mi sgranchii le gambe e sbadigliai con ancora in braccio il peluche della notte scorsa. Passai ancora tre secondi alzata fissando il cielo grigio e cupo, prima di cominciare a camminare. Incamminarmi verso dove, poi! Ero totalmente disorientata e non avevo mai percorso le strade di Tokyo da sola, se non con mio padre. Ma lui non c’era. Feci una smorfia ripensando a papà, come se avessi preso una cucchiaiata di una medicina amara tutto d’un sorso.
Seguii gli aceri in fila che proseguivano vicino al marciapiede interminabile, pestando con forza le foglie bordeaux secche; tenevo ancora ben stretto a me il pupazzo, che a momenti pensavo potesse esplodere per la forza che mettevo nelle braccia spingendole contro il petto.
Arrivai fino ad un parco, mai visto prima d’allora, e mi sedetti sulla prima panchina che trovai. Mi venne fame e tirai fuori un budino dalla tracolla, ancora mangiabile malgrado avesse trascorso un‘intera notte fuori dal frigorifero; e mentre stavo curiosando nella borsa mi resi conto della lettera che era allegata al bento.
“Per la mia piccola Mononoke”, sussurrai leggendo l‘elegante carattere della scrittura sulla carta. 
“È per me la lettera … ”, pensai rigirando più volte la lettera su se stessa cercando il modo per aprirla. 
Aprii la busta e cominciai a leggere.
 
Cara Mononoke,
Se stai leggendo questa lettera significa che non sei a casa, ma al sicuro. Bravissima.
Scusami se ti ho lasciata all’improvviso, ma se ti avessi portata con me saresti finita male. Non preoccuparti di me, io sto bene.
Spero che il tuo disorientamento ti abbia portato nel quartiere dove vive tuo zio, perché lui è la sola persona di cui mi fidi ciecamente e sono certo che ti terrà con sé per i prossimi anni. Il suo nome è Himitsu Kurosaki.  
Quando arriverai a casa sua digli che ti ho mandato io: capirà al volo cos’è successo.
Sarà l’ultima volta che ti scriverò, ormai mi manca poco tempo prima che mi catturino. 
Ricorda che ti vorrò sempre bene qualsiasi cosa accada e un giorno rivivremo insieme, nella nostra casetta.
 
Papà
 
Rilessi la lettera più volte, per capire se quello che leggevo era giusto. Quando finalmente compresi che niente era irreale, alzai la testa e urlai. Un grido lungo e disperato che si propagava per tutto il parco, in cerca di aiuto. 
“PAPÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀÀ!!!!”.
Ero incredula di quello che stava accadendo. Papà si divertiva a farmi gli scherzi, pensai subito che era una balla la lettera. Ma per essere uno scherzo doveva essere davvero di cattivo gusto.
Mi rivenne in mente un ricordo, quando papà mi rimboccava le coperte e mi accarezzava dolcemente la testa in attesa che prendessi sonno.
“Piccola mia, affronteremo questo mondo insieme. Noi due contro il mondo intero!”. E da quel momento in poi mi ritrovai sola contro il mondo. Un mondo che ancora dovevo scoprire e che mi sembrava gigantesco, come l’universo stesso.
 
Però c’erano altri pensieri che mi affollarono la testa: raggiungere la casa di mio zio. La mia unica salvezza, il mio unico rifugio. L’ultima cosa che mio padre mi aveva pregato di fare. Lasciarmi alle spalle la vita trascorsa con lui e ricominciarla con un altro uomo. Non potevo disobbedire. Non volevo deluderlo.
Scivolai con decisione dalla panchina alla ricerca del presunto quartiere dove c’era mio zio. Chiesi indicazioni a una coppietta che incrociai durante la loro passeggiata per i sentieri del parco; mi stupii quando loro mi dissero che il quartiere di cui parlavo non era affatto lontano, anzi, bastava proseguire il sentiero davanti a me per poi trovarmi a destinazione.
Quando arrivai in zona domandai ad un passante dove vivesse questo Himitsu Kurosaki.
“Ah, quello che recita i versetti del Vangelo alle due di notte …”, esclamò senza alcun entusiasmo, “Vedi quel grosso edificio in fondo alla strada? Lui si trova là.”. Indicò la grossa casa alla fine della strada su cui eravamo. Ringraziai l’uomo e cominciai a correre cantando Alleluia trionfante, anche se col fiatone.
Finalmente arrivai davanti ad una porta color mattone. Era la casa di mio zio. Ebbi qualche esitazione nel suonare il campanello: ero eccitata, sudata e coi capelli scombinati. Il cappello lo tenni in mano, per evitare di perderlo.
Qualcuno pochi attimi dopo aprì la porta. Era un tipo alto in veste nera dai capelli marrone sbiadito scompigliati con un viso piuttosto affascinante da cui trasparivano i suoi trentasei anni tenuti piuttosto bene, ma nascosti da un paio di occhiali dalla montatura nera. Abbassò la faccia; in questo modo notai una certa somiglianza con mio padre attraverso gli occhi color nocciola.
“Sei Mononoke?”, mi domandò.
Ripresi un ansimare dopo la corsa. “Sì”.
Si limitò a sorridermi affettuosamente, con un una punta di tristezza.
“So già tutto. Entra, avrai sicuramente fame”.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Ao no exorcist / Vai alla pagina dell'autore: DoubleLife