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Autore: Elenis9    04/01/2013    6 recensioni
Morgana e Alessandro sono uniti da un matrimonio combinato che sembra essere destinato all'infelicità, le differenze fra loro sono insormontabili: lui col suo silenzio e la sua freddezza e lei con quella voglia di essere se stessa, libera da tutte le regole imposte dalla sua condizione di nobildonna.
Ben presto però si accorgeranno che il matrimonio non è il loro unico problema: il Re è minacciato da continui attentati e Alessandro, essendo suo fratello, non può che essere coinvolto.
Dalla storia:
"Si piegò su di me con lentezza, dandomi il tempo di ripensarci, di scansarmi, ma io non ne avevo intenzione, fremevo per un misto di aspettativa e timore e desideravo che il tempo si fermasse e accelerasse insieme.
Mi sfiorò prima la fronte con un lieve tocco di quelle labbra caldissime, poi si spostò verso l’orecchio, solleticandomi col respiro e con un piccolo morso sul lobo, strappandomi brividi che mi corsero lungo tutta la schiena."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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"Dove sono gli uomini? Si è un po' soli nel deserto...". "Si è soli anche con gli uomini".
Il Piccolo Principe

 
Scesi le scale vestita di una semplice camicia da notte: nella fretta avevo dimenticato di indossare sia la vestaglia che le babbucce, le mie gambe erano un po’ troppo esposte e il freddo invernale mi aveva già congelato i piedi.
Sapevo dove avrei trovato Alessandro, perciò non esitai fin quando non mi trovai davanti la grande porta della biblioteca. Rimasi a fissarla per diversi secondi mentre uno strano deja vu mi faceva tornare al giorno in cui il mio rapporto con Alessandro aveva iniziato a migliorare, anche quella volta avevo esitato davanti a quella stessa stanza, preoccupata per il mio abbigliamento e desiderosa di fare buona impressione.
“Mio signore?” aprii piano la porta, affacciandomi. La tenue luce di una candela rischiarava a mala pena la scrivania in legno pesante che ospitava libri e fogli sparsi a casaccio. Alessandro non c’era.
“Alessandro?!” Già preoccupata, mi precipitai nella stanza, cercandolo fra gli scaffali.
“Principessa, siete voi?” la voce di Giorgio mi fece sobbalzare, non mi aspettavo che uno dei domestici fosse ancora in giro per casa a quell’ora tarda della notte, avrebbero dovuto essere tutti nella dependance a riposare.
“Che ci fai qui?” La mia domanda risultò secca e scortese anche alle mie orecchie, ma dopotutto ero ancora in collera con Giorgio per aver cacciato Federico da casa mia senza il mio permesso. Cosa di cui avremmo proprio dovuto discutere, anche se quello non era il momento più adatto: mi sentivo troppo esposta e decisamente troppo nuda, avvolta dalla veste da notte bianca che aderiva alle mie forme e lasciava scoperte le mie gambe più del dovuto.
“Ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare. State bene?” si avvicinò con la candela in mano, probabilmente cercava di vedermi meglio, essendo io nel corridoio buio fra gli scaffali.
La cosa, comunque, non mi convinse: Alessandro aveva volutamente riservato ai domestici una casa non comunicante con quella in cui viveva lui, così da non avere troppa gente fra i piedi. Sara era l’unica che, svolgendo la maggior parte delle mansioni domestiche ed aiutandomi come mia dama da compagnia, aveva una stanza in quella stessa magione. Era impossibile che dalla dependance Giorgio mi avesse sentita aggirarmi in biblioteca!
“Sto bene, torna a dormire” ero nervosa e, anche se probabilmente non ne avevo alcun motivo, non potevo ignorare il mio cuore che aveva preso a martellare nel petto come il più sinistro dei presagi.
Vedendo che continuava ad avvicinarsi l’unica cosa che riuscii a pensare fu che dovevo procurarmi un’arma, così afferrai il primo oggetto contundente che trovai: un tomo dall’aria pesante posato sullo scaffale alla mia destra.
“Perdono, mia signora…”mormorò le parole esatte che aveva detto Riccardo appena prima di pugnalare Alessandro, le mie viscere si contrassero pericolosamente e non attesi oltre: era a portata di libro. Lo colpii con tutte le mie forze e all’improvviso non eravamo più in biblioteca e lui non era più Giorgio, era Luca e mi guardava col sangue che gli incrostava le labbra.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola mentre mi rendevo conto che la spada che tenevo tra le mani era troppo pesante perché potessi usarla per colpirlo e lui era già talmente vicino che riuscivo a sentire l’odore pungente e ferroso del sangue. Mi guardai intorno per cercare una via d’uscita e notai Alessandro, era riverso fra le coperte con l’elsa di una spada che spuntava da sotto le costole: l’avevano usata per trapassargli il cuore.
“Ora tocca a te” la voce di Federico mi sussurrò all’orecchio quelle parole mentre mi ritrovavo a guardare il panorama che si poteva scorgere dal piano più alto della casa di mio fratello. Una lieve spinta e…
“Vi prego, svegliatevi mia signora!” Qualcuno mi toccava un braccio con una presa delicata e rassicurante, una ragazza.
Mi passai la mano libera sul viso, era bagnato da lacrime che dovevo aver versato durante quell’incubo terrificante.
Mi alzai a sedere, riconoscendo solo in quel momento la persona inginocchiata accanto al letto.
“Sara?” mi sentivo confusa e rallentata, avrei voluto rimettermi a dormire ed allo stesso tempo pensavo che non avrei mai più chiuso occhio in vita mia. “Che ore sono?” fu l’unica domanda che riuscii a formulare con una certa coerenza.
“Presto, mancano pochi minuti all’alba” mi rispose lei gentilmente, sembrava sollevata, probabilmente perché non era stata rimproverata per essere entrata senza permesso nelle stanze padronali.
“Dov’è Alessandro?” la sua parte di letto era intatta e fredda, l’unica cosa che aveva messo in disordine le coltri era stato il mio continuo agitarmi.
“Il signore è già uscito, mi ha chiesto di avvisarvi che entro domani sera sarà di ritorno” all’improvviso mi svegliai del tutto.
“Che cosa?!” il mio tono doveva aver spaventato Sara perché si scostò leggermente dal letto come se avesse paura di essere picchiata.
“Mi ha… mi ha detto di riferirvi questo, mia Signora, non…” balbettò terribilmente a disagio, facendomi sentire un mostro.
Com’era possibile che fossero due giorni che tutti i domestici si terrorizzavano solo perché il mio tono diventava leggermente meno amichevole del solito?
Decisi di sorvolare e le sorrisi, cercando di rassicurarla, “certo, Sara. Non preoccuparti. Puoi prepararmi un bagno?” lei acconsentì, affrettandosi a fare quanto richiesto senza attardarsi oltre.
Passai tutto il tempo possibile nella vasca, uscendo soltanto quando l’acqua diventò troppo fredda per essere rilassante.
Fuori cadeva una leggera pioggia e nessuno dei domestici sembrava essere nei paraggi, ripensando a quanto poco sembravano felici di avermi intorno in quei giorni decisi di non andare a cercarli per passare del tempo con loro: potevo cavarmela da sola per un paio di giorni, diavolo, certo che potevo!
Vidi Rosmerta solo perché mi servì il pranzo, nessuno passò davanti alla finestra della biblioteca in tutte le ore che restai seduta sul divanetto rigirandomi in mano volumi che non avevo molta voglia di leggere ma che speravo mi tenessero compagnia. Neanche Marco si fece vedere e verso sera iniziai a non sopportare più quel senso di oppressione al petto che era la consapevolezza di essere completamente sola.
Senza Alessandro non avevo nessuno, l’unico amico che fossi riuscita a mantenere nei miei vent’anni di vita era mio fratello e adesso che anche lui non era più con me, avevo soltanto mio marito. Mio marito che era chissà dove, chissà con chi, a fare chissà cosa. Potevano ucciderlo mentre io me ne stavo a fissare la finestra della biblioteca, potevano uccidere me, mentre lui non c’era.
Non si era degnato neppure di salutarmi prima di andarsene, avrei dovuto essere furiosa, invece sentivo solo una specie di apatico vuoto all’altezza dello stomaco. Era strano, certamente non in linea col mio carattere, non avevo nessuna voglia di combattere per migliorare il mio matrimonio, non avevo voglia di alzarmi da quella sedia per andare dai domestici e costringerli a dirmi perché diavolo erano due giorni che continuavano a scappare da me. Sarei rimasta a fissare il vuoto fuori dalla finestra fino a perdere i sensi, sì.
L’ora di cena era passata già da un po’ e nessuno si era fatto vivo per avvisarmi che il cibo si stava raffreddando.
Forse mi addormentai, forse invece restai tutta la notte a fissare la luna che si prendeva gioco di me dalla sua posizione privilegiata nel cielo, non lo sapevo per certo, ma sicuramente fu una delle notti più lunghe della mia vita. Non mi mossi nemmeno allo spuntare dell’alba, restai semplicemente lì a guardare finché un piccolo e dolce miagolio non attirò la mia attenzione. Principessa mi saltò sulle gambe, scrutandomi con quei suoi occhioni verdissimi che sembravano volermi entrare nell’anima. Aveva il mantello nero come la notte, e si muoveva goffamente per via della gravidanza che l’appesantiva. Ormai doveva mancare davvero poco, constatai, ricordandomi che pensavamo fosse vicina al parto già una settimana prima.
“Ciao piccola” mormorai, stupendomi di quanto suonava strana la mia voce alle mie stesse orecchie. La gattina miagolò come a volermi rispondere e poi mi si accoccolò in grembo, dandosi da fare per riempire di fusa il silenzio.
La accarezzai per ore, o almeno così mi sembrò quando all’improvviso la porta della biblioteca si spalancò, spaventando Principessa e facendola scappare.
Mi aspettavo di veder comparire Alessandro sulla soglia, Sara forse, non certo Francesco e, sicuramente, non con quell’aria preoccupata che gli stravolgeva i lineamenti.
“Oh, mia signora!” sembrò sollevato e il suo viso si aprì in un bel sorriso nel vedermi. “Non riuscivo a trovarvi e Rosmerta mi ha detto che non vi siete presentata agli ultimi pasti, così ho temuto che vi fosse successo qualcosa…” mi si avvicinò a passo spedito, inginocchiandosi accanto al divanetto per poter essere alla mia altezza, il suo viso si era fatto serio come non l’avevo mai visto. “State bene? Siete molto pallida” i suoi occhi neri mi guardavano con attenzione, cercando in me segni di qualche genere. Non mi ero accorta prima di quanto fossero morbidi i lineamenti di Francesco, aveva il viso delicato di un ragazzino, i capelli ricci e finissimi e delle mani grandi e piene di taglietti e calli, segno del duro lavoro che svolgeva ogni giorno.
Desiderai credere di potermi fidare di lui, perché avevo davvero bisogno di sentirmi al sicuro in presenza di qualcuno che non fosse Alessandro. Detestavo trovarmi a valutare una persona cercando di intuire se avrebbe fatto del male a me o a mio marito, scrutare le vesti del messaggero per scoprire eventuali armi nascoste. Era snervante per me, che ero sempre stata amichevole con la maggior parte delle persone.
“Perché tutti voi mi evitate, Francesco?” La voce mi uscì sfinita più o meno come mi sentivo.
“Io non vi evito affatto, mia signora” mi rispose sicuro, dai suoi occhi neri non traspariva altro che una ferma sincerità.
“Sei scappato ieri” gli ricordai, piccata.
“Eravate in collera. E poi Alessandro ci ha istruiti sui modi della regina, raccomandandoci di non starle troppo intorno perché non lo gradisce” spiegò candidamente, restando semi inginocchiato in una posizione scomodissima che sembrava non pesargli affatto.
“E gli altri?” non ero ancora pronta ad arrendermi alla possibilità che la mia paranoia avesse ingigantito tutto.
“Non saprei, mia…” lo bloccai prima che potesse finire con un gesto spazientito della mano.
“Smettila di ripetere mia signora!” quasi ringhiai, irritabile grazie al mio pessimo carattere con l’aggiunta di tremende paranoie e notti insonni.
“D’accordo. Perdonatemi. Dicevo che non saprei, il principe mi ha affidato una commissione urgente l’altro giorno, prima di spedirmi a chiedere a voi e sua maestà di rientrare, e sono tornato soltanto una o due ore fa. Se lo desiderate vado a chiedere a Rosmerta per voi…” si offrì, regalandomi un sorriso gentile nonostante la mia scortesia nei suoi confronti.
“No, grazie” mi affrettai a dire, bloccandolo prima che si alzasse.
“Posso portarvi qualcosa da mangiare? Da quanto so non toccate cibo dal pranzo di ieri e fra non molto sarà ora di cena…”propose, speranzoso.
Acconsentii solo perché mi sembrava intenzionato ad insistere per tutta la sera e anche perché non volevo costringerlo a restare ancora in quella posizione scomoda.
 
“Che cosa vi succede, Morgana? Dov’è finita la vostra vivacità?”
Dopo avermi portato del cibo mi aveva chiesto il permesso di prendere una sedia per sedere al mio fianco e io glielo avevo concesso di buon grado, se avesse assunto di nuovo quella terribile posa accanto al divano avrei avvertito per lui il mal di schiena, ne ero certa.
“Cos’è tutta questa confidenza? Da quando mi chiami per nome?” mormorai distratta, infilandomi in bocca un pezzo di pane croccante. Non avevo mai avuto il permesso di mangiare in quel modo, lontano dal tavolo della sala da pranzo e dall’argenteria.
“Mi avete proibito di chiamarvi mia signora, dovrete accontentarvi” scherzò, osando forse un po’ troppo ma facendomi ridere. “Non mi avete risposto” tornò serio, smorzando anche il mio sorriso.
“Per Alessandro sono una seccatura, non è vero?” Qualcosa si spezzò dentro di me: pronunciare quelle parole ad alta voce me le faceva sembrare più reali, più vere di quanto fossero un secondo prima, prigioniere della mia mente paranoica.
“Ma no, perché dite questo?” Francesco sembrava sinceramente sorpreso, non si aspettava che il mio tormento fosse quello… E infatti era solo l’ultimo di una lunga lista.
“Si vergogna di me e di quello che potrebbe uscirmi di bocca quando siamo in pubblico, lo so. Era furioso con me, è per questo che se n’è andato per ben due giorni, no?” Infilai in bocca un altro boccone della mia cena nonostante mi si fosse chiuso lo stomaco, fu un gesto quasi automatico.
“Oh, certo che no, Morgana! Non sono autorizzato a parlarvene, ma certamente non è per allontanarsi da voi che è partito prima dell’alba di ieri, posso giurarvelo” la sua voce fu dolcissima e mi sorrise comprensivo, piegandosi un po’ verso di me dalla sua posizione, creando un’atmosfera quasi complice.
“Davvero? Probabilmente sta rimpiangendo di essersi fatto convincere a prendermi come moglie” borbottai, cocciuta come al solito, facendo ridere Francesco di gusto.
“Come vi sbagliate, principessa! Il mio signore ha dovuto insistere molto perché vostro fratello gli concedesse il permesso di chiedere la vostra mano”. Non credevo ad una sola parola, ma i suoi occhi erano talmente sinceri che non potevo davvero dubitare di lui.
“Che cosa? Ma non ci eravamo mai incontrati prima del matrimonio!” Protestai, certa di aver ragione io.
“Voi forse non ve ne siete mai accorta, ma si fermava ad osservarvi giocare in giardino dalla carrozza. Per questo lo so, ero sempre io ad accompagnarlo a far visita a vostro fratello e quasi ogni volta che voi eravate in vista mi chiedeva di attendere qualche minuto prima di ripartire.” Raccontò, poi vedendo che non reagivo sorrise con uno sguardo furbo “Lasciatemelo dire, principessa, siete proprio un maschiaccio. Ah, vi prego, se ci tenete alla mia vita non dite al principe che vi ho raccontato di questi episodi!” scherzò, nonostante probabilmente la richiesta di non parlare con mio marito di quella confessione fosse davvero sentita.
Sorrisi divertita, finendo di mangiare la cena che mi era stata portata e appoggiando il piatto sul tavolino insieme al libro che faceva bella mostra di sé.
Francesco seguì il mio sguardo e prese in mano il tomo, aprendolo alla prima pagina. “Se volete posso leggere per voi” propose, arrossendo leggermente quando vide che lo fissavo sorpresa “che avete da guardare? Ho detto forse qualcosa di male?”, domandò infatti siccome continuavo ad osservarlo senza parlare.
“No, no. Non pensavo sapessi leggere, tutto qui” balbettai, sentendomi quasi in colpa per aver fatto un commento che sembrava tanto un: “Non mi aspettavo che un poveraccio come te avesse accesso alla parola scritta”, quando non avevo alcuna intenzione di fargli pesare la sua classe sociale, né tanto meno di rimarcare le differenze con la mia.
“Oh. Mi è stato insegnato” Francesco arrossì fino alla radice dei capelli, quasi gli avessi chiesto di raccontarmi un episodio imbarazzante, poi si sentì in dovere di aggiungere: “Fortunatamente questo libro è scritto nella nostra lingua, non riesco a leggerne altre, nemmeno quella sacra”.
“Non preoccuparti. Sarò felice di ascoltarti, se ancora vuoi” dissi, imbarazzata per averlo messo in difficoltà senza volerlo.
“Ma certo mia sign... Morgana!” Si rianimò immediatamente, concentrandosi sulle parole del libro: leggeva lentamente, ma aveva una cadenza regolare che ricordava vagamente la risacca delle onde. O almeno quella che ricordavo dall’unica volta che ero stata al mare.
Lasciai che la sua voce mi cullasse verso l’oblio che mi era negato già da due notti e che faticava ad arrivare. Fluttuavo in una specie di dormi-veglia quando Francesco smise di leggere, sentii le sue mani che mi aiutavano a distendermi meglio sul divano e un piacevole formicolio quando le mie gambe si ritrovarono distese dopo essere state a lungo piegate.
Finalmente il sonno mi reclamò e io lasciai che mi prendesse, sperando che mi regalasse una intera notte di oscurità senza incubi.
Quando qualcosa di caldo mi avvolse, mugolai di sollievo: Alessandro era finalmente tornato e mi stava abbracciando, avrei voluto girarmi e salutarlo per bene, ma ero troppo stanca anche solo per formulare il pensiero di aprire gli occhi.
“Che diavolo?” Un ringhio quasi animale mi strappò all’idillio che stavo vivendo. Chi era che disturbava il nostro sonno in quel modo? Avrei potuto giurare che quella fosse la voce di mio marito, ma non era possibile, lui mi stava abbracciando...
“Mio signore...” Francesco? E lui perché era nella nostra stanza da letto?
“Che diavolo ci facevano le tue mani addosso a mia moglie?!” Alessandro sembrava davvero infuriato e io mi svegliai di colpo. Dovevo proprio essermi persa qualcosa!
Aprii gli occhi, ritrovandomi sdraiata sul divanetto della biblioteca con una coperta tutta avvolta intorno... doveva essere stata quella ad abbracciarmi. La luce delle candele era molto fioca e dovevo sforzarmi per distinguere bene i due uomini.
“Ho solo portato una coperta, mio signore. Ho pensato...” Francesco era calmo, nonostante una traccia di paura fosse evidente sul suo viso.
“Hai pensato? Hai pensato di poter approfittare delle mia assenza per sfiorare il suo corpo! Questo hai pensato!” Mi ci volle un po’ per liberarmi dalla coperta: doveva essere stata sistemata con cura per avvolgermi il più possibile, me la ritrovavo incastrata da tutte le parti, mi faceva praticamente da bozzolo!
“Mio signore...” il povero servitore se ne stava in piedi accanto al divano, l’aria costernata di chi non sa come spiegarsi.
“Che sta succedendo?” Domandai, senza che nessuno facesse il benché minimo sforzo per farmi capire di aver notato la mia presenza.
“Cos’è? Non hai mai toccato una donna? O forse ad eccitarti è che è la tua signora e la moglie di un altro?” Alessandro era fuori controllo: non aveva mai parlato tanto e non aveva mai mostrato tanta rabbia, nemmeno quando avevano litigato la sera del ballo.
“Dannazione, mio signore! Io amo gli uomini, capite? Gli uomini! Siete contento adesso?” Francesco era diventato di tutti i colori dell’arcobaleno per poi stabilizzarsi su una specie di verdolino pallido.
Santo Dio, vomiterà sul tappeto!Fu il mio poco coerente pensiero mentre la mia testa non era tutto certa di aver recepito bene il messaggio.
“Tu...?” Anche Alessandro sembrava vagamente stralunato, improvvisamente tutta la sua furia era svanita lasciandolo con un’espressione sgomenta che non era molto familiare sul suo viso.
“Bene. Preparo le mie cose, vi prego solo di non spargere la voce: sarà già molto difficile trovare un altro lavoro” Francesco mosse un passo verso la porta, a disagio, aveva il passaggio bloccato da mio marito che se ne stava impalato a fissarlo come se non l’avesse mai visto prima.
“Oh, no! Non andartene. Non è importante se non...” mi bloccai senza sapere bene come continuare, almeno però avevano smesso di ignorarmi: mi guardavano entrambi come se stessi rivelando uno dei misteri dell’universo. “Se non ti piacciono le donne, insomma. Non sono affari nostri, davvero” conclusi, agitandomi a disagio e arrossendo visibilmente.
Com’eravamo finiti in quel discorso? Era sconveniente che una persona ammettesse di provare attrazione per un’altra in un discorso che non coinvolgesse esclusivamente i due amanti, perciò non sapevo affatto come gestire una dichiarazione come quella di Francesco senza morire di imbarazzo.
Alessandro sembrava pensarla come me e non solo a proposito dell’imbarazzo perché riuscì a borbottare qualcosa a proposito della difficoltà di trovare persone valide da assumere, prima di spostarsi dalla porta e guardare Francesco con una smorfia che doveva essere un sorriso ma che sembrava di più una paresi facciale.
La sua espressione mi fece venire in mente quella di mio fratello, quando, poco prima del giorno del mio matrimonio, aveva tentato di spiegarmi cosa avrei dovuto aspettarmi da mio marito. Nel farlo gli era quasi venuto un infarto e aveva le orecchie tutte rosse, e sì che non era di certo un tipo pudico nei suoi approcci con le donne.
Se avessi avuto delle figlie, promisi a me stessa, alla giusta età le avrei preparate bene a qualsiasi tipo di imbarazzante discorso, così non si sarebbero mai trovate a boccheggiare senza saper che dire, avrebbero avuto abbastanza informazioni per poter gestire qualsiasi situazione, per quanto potesse essere poco consona.
Ai maschi, però, avrebbe dovuto pensarci il papà, poco ma sicuro.
“Davvero desiderate che continui a servirvi?” a risvegliarmi dalle mie fantasie furono le parole di Francesco, i suoi occhi neri erano ancora leggermente diffidenti, ma una luce di pura gioia aveva già cominciato a brillare in quello sguardo sincero.
“Ma certo!” Esclamai, mentre Alessandro annuiva. “A patto ovviamente che mi racconti del tuo uomo! Non ho amiche con cui spettegolare e inizio a sentirmi un po’ isolata!” conclusi, divertita, godendomi l’espressione dei due uomini che mutava via via che si rendevano conto delle mie parole.
“Mia signora!”
“Morgana!”
Mi ripresero entrambi con lo stesso identico tono a metà fra l’imbarazzo e lo stupore.
“Suvvia, dov’è finito il vostro senso dell’umorismo? Scherzavo, Francesco può certamente rimanere anche se non desidera condividere con me certe informazioni private” ghignai ancora, felice di essere riuscita ad alleggerire l’atmosfera. Ovviamente non ero certa di poter reggere uno scambio di quel genere senza morire d’imbarazzo, ma ero davvero disposta a provarci.
Divertito e sgomento, Francesco si congedò per la notte, lasciandomi sola con Alessandro.
Ero ancora seduta sul divanetto che occupavo dalla mattina del giorno prima ed ero stanca, non avevo alcuna intenzione di litigare perciò sorrisi ad Alessandro reprimendo qualsiasi cosa che non fosse il sollievo di sapere che era tornato tutto intero.
Lui non disse niente, limitandosi ad accendere qualche altra candela per potermi guardare senza sforzare troppo la vista. In effetti quella penombra cominciava ad innervosire anche me. E il silenzio teso? Perché poi non aggiungere alla lista la dose di delusione, risentimento e rabbia che provavo vedendolo aggirarsi tanto tranquillamente per la biblioteca, quasi fosse normale che un paio di sere prima avesse deciso di andarsene senza nemmeno un saluto?!
Mi alzai di scatto, dovevo decisamente andarmene un po’ a dormire prima che la situazione degenerasse fino ad un litigio. Non avevo le forze necessarie a sostenere una conversazione da adulta ragionevole in quel momento: avrei finito solo per gridargli contro senza risolvere un bel niente.
Guardai Alessandro, accorgendomi solo in quel momento che mi stava studiando in silenzio, i suoi occhi sembravano volermi sondare anche l’anima e il suo viso era corrucciato, ma come sempre non riuscivo a decifrare le sue emozioni. Avrebbe potuto essere rabbia quella vedevo, preoccupazione o dolore.
Era così strano sentirsi tanto profondamente legati a qualcuno e poi non riuscire a leggere il linguaggio del suo viso.
“Ho sbagliato ancora con te, non è vero?” mormorò, appena prima che decidessi di aprire bocca per congedarmi. Le sue parole mi fecero rimanere impietrita a guardarlo mentre si avvicinava. Si muoveva lentamente, con cautela, forse per non spaventarmi, forse pensava che un gesto troppo brusco mi avrebbe fatta scappare.
“Continuo a deluderti. Per quanto ci provi…” si passò una mano sul viso, fermandosi di fronte a me con l’aria distrutta, l’abisso di stanchezza che avevo intravisto nei suoi occhi stava straripando e se o portava via come un mare in tempesta.
Se prima avevo provato l’impulso di ferirlo, in quel momento era tutto svanito davanti al solito, prepotente, istinto protettivo che nasceva in me ogni volta che mi mostrava quanto era vulnerabile sotto quelle ossa grandi e quei muscoli forti.
“Perché sei andato via senza avvisarmi?” la mia voce risultò gentile, pacata, non avrei mai pensato di riuscire a porgli quella domanda senza sbranarlo.
“Io ho pensato che…” pausa, i suoi occhi non erano più fissi su di me, vagavano per la stanza come alla ricerca di un appiglio. “…che non avresti approvato, ma era necessario e non volevo litigare con te.”. Finalmente mi guardò di nuovo, aveva assunto un’aria da cucciolo bastonato davvero impressionante.
“Non avrei approvato cosa?” domandai, vagamente consapevole che un vago alone di rabbia cominciava a rifiorire in me. Tenermi nascoste le cose non era il modo migliore per non litigare.
“Dovevamo lasciare un messaggio” asserì e, vedendo dalla mia espressione che non mi bastava quella risposta (anche perché non avevo capito esattamente cosa implicasse), prese un bel respiro e spiegò: “Ho esposto il corpo di Luca come monito per chi volesse cimentarsi come assassino” .
Lo guardai sinceramente sbalordita. “Esposto?! Pensavo l’avessi restituito alla famiglia…” beh, non era una bella cosa, ma non capivo perché avrei dovuto arrivare a litigare con lui: se pensava che sarebbe servito allo scopo, ero ben lieta di lasciare che una folla di persone si godesse la vista del cadavere.
“L’ho fatto. Dopo che la carrozza lo aveva trascinato per le strade di tutto il paese.” Mi ci volle qualche secondo prima di realizzare ciò che voleva dire con quelle parole e pensai che proprio non avrei dovuto leggere per lui l’Iliade. Decisamente no.
“Che cosa?” balbettai, incapace di non immaginare la scena.
“Era necessario!” Mi assicurò, inginocchiandosi ai miei piedi e lasciandomi del tutto a bocca aperta. Era talmente alto che anche così mi arrivava quasi con la testa all’altezza delle spalle. “Se tu fossi incinta saresti un bersaglio, e anche così ti hanno già minacciata una volta! Io voglio proteggerti e voglio che a tutti sia ben chiaro che non c’è niente che non sono disposto a fare. Voglio che mi credano crudele, pazzo, privo di umanità, che abbiano paura di me. Magari così ci penseranno bene prima di cercare di farti del male. O almeno si assicureranno che io sia morto stecchito”.
Era talmente puro il suo sguardo che davvero non riuscii ad essere disgustata dalla sorte del medico. Dopotutto non era forse vero che io stessa sarei stata disposta a tutto pur di proteggere il mio uomo?
Gli presi il viso fra le mani e sorrisi, abbassandomi a lasciargli un bacio sulle labbra caldissime. In effetti, anche la pelle sotto le mie dita era calda, molto più del normale.
“Mio signore, ma tu scotti!” mi preoccupai immediatamente, scostandomi dalle sue labbra quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi.
“Non è niente” mi rassicurò sospirando, sfregando la guancia contro la mano che era rimasta sulla sua guancia mentre l’altra si spostava fra i capelli. “Ho abusato un po’ troppo del mio corpo, basterà un po’ di riposo.”
 
Quella notte ero andata a dormire terrorizzata dai possibili incubi che avrei fatto: avrei proprio dovuto convincere Alessandro a passare ad un’altra stanza, ma quella mi piaceva davvero tanto e mi sarebbe dispiaciuto tanto lasciarla. La mattina dopo però, complice probabilmente anche la stanchezza, niente aveva turbato il mio sonno. A svegliarmi furono due labbra morbide e birichine che continuavano a lasciarmi piccoli baci ovunque. Qualcuno era di buonumore. Sorrisi e con gli occhi ancora semichiusi per il sonno gli accarezzai il viso, pregando tutti i santi che conoscevo di potermi svegliare così ogni mattina della mia vita. 

Capitolo un po' più lungo del solito, perché pensavo che la prima tristissima parte sarebbe stata più breve e avevo promesso a _Cannella_ che in questo capitolo avrei spiegato la fine di Luca. Fra l'altro vorrei segnalarvi che per sbaglio avevo invertito i capitoli 5 e 6 (non so nemmeno io bene come, probabilmente nel controllare da cellulare), se li avete letti al contrario, mi dispiace tantissimo! 
Grazie a tutte voi che avete recensito, noin mi stancherò mai di dire quanto adoro leggere le vostre impressioni!
E Grazie a Zonami84 , sto ancora gongolando per quella storia di Sesshomaru, giuro!
Beh, spero che siate pronte perché il prossimo capitolo sarà bollente! 
Alla prossima, baci Ale

  
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